ANNI 363 . 378 d.C.

da GIOVIANO a VALENTE I, a TEODOSIO - S. AMBROGIO

(1a Parte) FLAVIO GIOVIANO - VALENTINIANO IMPERATORE - GUERRE E GOVERNO DI VALENTINIANO
VALENTE: LA SUA VITA E LA SUA MORTE - INVASIONE DI GOTI E UNNI 
  --------------------------------------------------------------------------------------------------------

FLAVIO GIOVIANO


II 27 giugno del 363, all'indomani cioè della immatura morte del prode Giuliano, i generali dell'esercito di spedizione si riunirono per procedere alla nomina del nuovo imperatore. I voti furono tutti per Sallustio Secondo, prefetto del pretorio, ma questi era vecchio e malaticcio e rifiutò.
La seduta del consiglio continuò, ma i pareri erano discordi e non si sarebbe concluso nulla se una turba di soldati cristiani non si fosse data improvvisamente ad acclamare GIOVIANO, uno dei comandanti (decem primi) della guardia. 

FLAVIO GIOVIANO era un mediocrissimo soldato mentre occorreva invece, nelle circostanze in cui si trovava l'esercito, un valente generale; urgeva avere un capo e, poiché non si sapeva chi scegliere, Gioviano fu accettato ed assunto all' impero.
L'esercito romano si rimise in marcia, verso il Tigri, seguito e molestato continuamente dalle truppe del persiano Shapur, il quale, saputa la morte di Giuliano, cercava di trarne profitto imponendo al nemico una pace vantaggiosa. 
Combattendo sempre, le legioni imperiali giunsero in vista del Tigri; la riva era fortemente occupata dal nemico, ma un corpo di truppe germaniche lo sbaragliò e passò a guado, compreso l'imperatore, che non sapeva quanto fosse dannosa una perdita di tempo per truppe prive di vettovaglIe in un paese nemico; infatti volle che si costruisse un ponte, e i lavori furono iniziati; però l'impeto della corrente spazzò via ciò che era stato già costruito e impedì di terminare i lavori.

In quel frattempo si presentavano a Gioviano due ambasciatori persiani ad offrire la pace. La situazione dell'esercito romano, se non era ottima, non era neppure disperata: le forze nemiche non facevano paura ai legionari che con Giuliano le avevano sempre battute; inoltre l'armenia distava solo quattro giornate di marcia.

Ma Gioviano era un pessimo generale e temeva per giunta che la notizia della morte di Giuliano giungesse a Procopio e che questi gli togliesse l'impero. Gli premeva quindi terminare le ostilità e poi tornare in territorio romano. Entrò perciò in trattative con i Persiani che durarono quattro giorni ed alla fine concluse una pace vergognosissima. Gioviano rinunziava alla Armenia, cedeva alla Persia le cinque province alla sinistra del Tigri guadagnate a Roma da Diocleziano, dava nelle mani del nemico quindici piazzeforti della Mesopotamia tra cui Nisibi e Lingara e riceveva in compenso il passo libero e le vettovaglie necessarie per la ritirata.

L'impero, con la pace di Gioviano, perdeva tutti i vantaggi acquisiti da Traiano e Diocleziano e proprio quei baluardi che rendevano forte la frontiera orientale. La popolazione di Nisibi, quando seppe che la città era stata sacrificata; voleva difendere da sola la sua patria, ma fu costretta dall'imperatore a trasferirsi ad Amida che diventò la capitale della Mesopotamia romana.

Il congiungimento dell'esercito di Gioviano con quello di Procopio, dopo una marcia durante la quale i Romani furono straziati dalla fame e dalla sete, avvenne a Tilsafata. Qui Procopio ebbe l'incarico di trasportare a Tapso le ceneri di Giuliano e di lui per qualche tempo non si seppe nulla e si pensò che fosse stato ucciso per ordine del sospettoso Augusto. Questi si sbarazzò di un altro Gioviano, valente generale, che venne gettato in un pozzo presso Niisibi.
Per impedire che la notizia della pace vergognosa venisse appresa, Gioviano fece spargere la voce di inesistenti vittorie da lui riportate sui Persiani, e per rafforzare la sua posizione che, in verità, era vacillante iniziò una politica opposta a quella che aveva seguito Giuliano schierandosi dalla parte dei Cristiani, suoi correligionari, cui restituì i privilegi perduti e accordando il suo favore ai seguaci del simbolo di Nicea. 
Dopo la pace con i Persiani, Gioviano si era portato ad Antiochia. Qui rimase fino a tutto il gennaio del 364, poi si mise in viaggio per la capitale dell' impero.
A Dadastana, tra la Galazia e la Bitinia, il 10 febbraio di quell'anno fu trovato morto nel suo letto non si sa bene se asfissiato dall'acido carbonico o avvelenato dai funghi.
Aveva appena trentadue anni e lasciava un figlio in tenera età.

VALENTINIANO  IMPERATORE

L'elezione del nuovo imperatore non ebbe luogo subito. Si aspettò di farla a Nicea e qui, otto giorni dopo, i generali si riunirono a consiglio. Anche questa volta la scelta cadde su Sallustio Secondo, ma il vecchio generale rifiutò ancora ed indicò VALENTINIANO, di famiglia pannonica, che aveva combattuto in Gallia con Giuliano e da lui era stato fatto comandante della seconda Schola della Guardia del Palazzo.

L'elezione di Valentiniano era caldeggiata dai soldati cristiani, i pagani volevano invece che fosse eletto un parente di Gioviano. Prevalsero i primi e Valentiniano fu proclamato imperatore.
Valentiniano  si trovava ad Ancira quando gli giunse la notizia che era stato assunto all'impero; si mise  subito in viaggio e giunse in Sicea la sera del 24 febbraio, il 25 ebbe l'incontro con i generali, e il 26 si presentò alle legioni e prese la porpora.

I soldati pagani avrebbero voluto che Valentiniano eleggesse un Cesare, ma il nuovo imperatore non volle subire imposizioni e solo il 28 marzo del 364, trovandosi a Sirmio, associò all'impero il fratello VALENTE cui diede da governare l'Oriente con sede a Costantinopoli, mentre lui si tenne per sé l'Occidente e fissò la sua residenza a Milano.
Un anno e mezzo circa era trascorso dalla proclamazione di Valentiniano, quando sorse contro i due fratelli un pretendente: era questi il generale PROCOPIO, che, temendo della gelosia di Gioviano, approfittando dell' incarico avuto di accompagnare a Tarso le ceneri di Giuliano, si era prudentemente allontanato ed era vissuto appartato aspettando la sua ora.
Il momento per una insurrezione era propizio: le popolazioni d'Oriente non erano contente del rigido governo di Valente e del suocero Petronio; d'altro canto il partito pagano dell'esercito aspettava un'occasione per prendersi la rivincita. Procopio, ch'era un parente di Giuliano, si era tenuto in segreti rapporti con i Goti e li aveva convinti a farsi aiutare per invadere l'impero dal Danubio.

 Il 28 settembre del 365 Procopio si fece proclamare imperatore da alcune truppe di passaggio a Costantinopoli e passò in Asia impadronendosi della Bitinia e tentando di conquistare la Frigia e la Siria. Ma la sua fortuna durò poco. Nella battaglia di Nacolea le truppe stesse che gli avevano data la porpora lo abbandonarono e lo consegnarono a Valente che lo fece perire con i principali complici della rivolta.

LE GUERRE DI VALENTINIANO
GOVERNO E RELIGIONE

Nell'anno stesso in cui Procopio si faceva proclamare imperatore, i confini della Gallia tornavano ad essere minacciati malgrado le numerose fortificazioni che sorgevano sulla linea del Reno. Le minacce venivano specialmente dagli Alemanni, i quali, sul finire di quell'anno, ruppero le frontiere e si riversarono nella Gallia percorrendo e devastando tutta la regione che dal Reno si stende fino all'alto corso della Senna, dopo avere sconfitto alcune truppe romane.

A fiaccare gli entusiasmi del nemico fu mandato sul posto da Valentiniano che si trovava a Rheims, il magister equitum Giovino, il quale a Scarpona (Charpeigne) sulla Mosella, poi venuto a contatto con un'orda di barbari, l'attaccò e la disfece. Una sconfitta ancora più sanguinosa (366) la ebbero a Chàlons sulla Marna gli Alemanni, il cui esercito numerosissimo, battuto e poi inseguito, si disperse nel caos che seguì.

Ma questa vittoria non valse a liberare il territorio gallico dai barbari. Impotenti a misurarsi in battaglia campale coi Romani, gli Alemanni, guidati da un giovanissimo principe, Viticcio, figlio del re Vadomaro, si diedero a percorrere le campagne e ad assalire i centri abitati, avendo cura di evitare le truppe imperiali. Questo nuovo genere di guerra causava danni enormi al territorio; i campi erano abbandonati per le continue scorrerie né le città erano sicure: Magonza, assalita improvvisamente fu occupata e saccheggiata. 
Allora Valentiniano pensò ad una grossa spedizione oltre il Reno. Nell'agosto del 367  nominò suo successore al trono il figlio GRAZIANO e nella primavera del 368, passato il gran fiume con un grande esercito, risalì la valle del Nicer (Neckar), devastando il paese fino a Salicinio (Sulz) dove gli Alemanni tentarono sbarrare il passo ai Romani e ci fu lo scontro.
 La battaglia fu accanita, ma alla fine sconfitti, i nemici dovettero riparare tra i boschi. Valentiniano stimò prudente non andar più oltre e tentò di metter contro gli Alemanni altre popolazioni germaniche. I Burgundii sollecitati dall'imperatore, strinsero con lui alleanza e inviarono al Reno numerose truppe per muovere con le legioni imperiali contro gli Alemanni; ma l'offensiva degli alleati non ebbe luogo forse perche Valentiniano temette all'ultimo momento di esser tradito. 
Tuttavia altre spedizioni vennero fatte, una dalla Rezia e l'altra dal Reno (371) che recarono danni considerevoli nel paese nemico e diedero modo ai Romani di restaurare e migliorare il sistema di fortificazione del confine germanico.

Questa contro gli Alemanni non fu la sola guerra che Valentiniano ebbe a fare in Occidente. Orde di Sassoni facevano frequenti incursioni nel territorio della Belgica dalle foci del Reno presso cui erano stanziati, e dal mare i Franchi, infestavano le coste settentrionali della Gallia e rendevano malsicure le comunicazioni con la Britannia.
Un'orda di Sassoni venne circondata dalle legioni romane e interamente distrutta, numerosi navigli barbari vennero catturati. 
In condizioni infelici versavano intanto la Britannia e le province d'Africa.
In Britannia, la trascuratezza del governo centrale e l'avidità dei governatori avevano creato un malcontento piuttosto pericoloso nelle popolazioni locali; l'esercito non pagato e mal nutrito aveva rotta la disciplina e si era dato al brigantaggio; i barbari del nord, Pitti, Scoti e Attacoti, approfittando di questo stato di cose, calavano dai monti a saccheggiare i territori romani dell' isola. In Africa il malgoverno (i funzionari erano diventati tutti ladri) aveva suscitata l'indignazione degli indigeni e un grave fermento nelle guarnigioni:  popolazioni e milizie, sostenute dai Donatisti, si erano ribellate ed avevano nominato imperatore Firmo, un ricco capo mauritano, vittima della persecuzione e delle vessazioni del governatore (che poi era il capo di una cricca di corrotti funzionari).

A cacciare i barbari dalla Britannia e a restaurarvi la disciplina militare Valentiniano mandò truppe ed abili generali, fra cui TEODOSIO (padre), che fra il 368 e il 370 riuscì a respingere nelle loro antiche sedi i nemici e a rimetter l'ordine nell'esercito e nella popolazione. Nel  territorio posto tra il vallo di Adriano e il vallo di Antonino fu formata una nuova provincia che dalla moglie dell' imperatore prese il nome di Valenzia.
Dalla Britannia Teodosio passò in Africa e qui mise in opera tutta la sua energia per ridare alle truppe la disciplina e tutta la sua sagacia per calmare la popolazione, poi iniziò una guerra implacabile contro Firmo e, sconfittolo più di una volta, lo costrinse a darsi la morte. Teodosio non fece solo questo; ricevuto per la sua grande onestà l'incarico di cercare le cause di quelle sommosse, avendole capite tentò di stroncare la corruzione che era arrivata a livelli preoccupanti nelle alte sfere, governatore in testa. Valentiniano gli aveva dato carta bianca. E ovviamente operando con molta severità, e con condanne a morte nei casi più gravi, ben presto si venne a trovare (essendo i funzionari ladri molti e infidi) nel mirino di una congiura per stroncargli  la carriera e la vita. L'onesto generale alla fine cadde nel tranello che gli era stato teso e fu accusato lui di corruzione; nel frattempo morto Valentiniano, diventato Augusto Graziano, il ragazzino firmò lui la condanna a morte che ovviamente gli fu suggerita dai consiglieri complici dei corrotti accusatori. Quest'uomo aveva un figlio, di cui sentiremo presto parlare più avanti; Teodosio, trentenne che fra l'altro militava valorosamente proprio nell'esercito di Graziano. 

Nel 375 Valentiano dovette accorrere sul Danubio, dopo aver conclusa la pace con Macrino, re degli Alemanni, per combattere altri barbari che improvvisamente avevano invasa la Pannonia. Erano questi i Quadi: irritati perché nel loro territorio i Romani avevano costruito delle fortezze e avevano fatto uccidere Gabinio, loro re, avevano passato la frontiera, massacrato due legioni romane e si erano spinti nell' Illirico.
All'avvicinarsi dell' imperatore i Quadi ripassarono i confini, ma Valentiniano non si accontentò: insieme con Merobaudes, valoroso generale di origine germanica, portò le sue legioni in territorio nemico e lo devasto; poi tornò in Pannonia e si diede a rafforzare il confine.
A Brigerio, sul Danubio, dove aveva posti i suoi quartieri invernali, il 17 novembre del 375, vennero a lui ambasciatori dei Quadi a chiedere la pace. Mentra li ascoltava, colpito da congestione, l'imperatore cessava di vivere.

Aveva regnato dodici anni. Valentiniano era un soldato rude e di modi semplici e sarebbe stato sotto tutti gli aspetti un ottimo imperatore se non lo avessero dominato l'iracondia e una grande caparbietà da cui furono prodotti non pochi atti di ferocia e di malgoverno. Fra questi vanno notati i processi e le condanne voluti da Massimino, vicario di Roma, con l'appoggio di Valentiniano, contro le principali famiglie patrizie della vecchia capitale. Del resto Valentiniano, sebbene non di rado mostrasse i suoi istinti che tradivano l'origine barbarica, fu guidato nel suo governo da un alto spirito di giustizia e da un grande desiderio di dare il benessere e la concordia alle popolazioni dell' impero. Egli fu inflessibile nel reprimere gli abusi dei magistrati, proibì ai funzionari di accettare doni e di acquistar terre nelle province; istituì un controllo severissimo sui servizi pubblici e sull'amministrazione centrale e provinciale; ridusse le spese delle corti e anche se non riuscì a ridurre i tributi almeno non li inasprì; fece stipendiare i medici dallo stato; comminò pene gravissime contro gli espositori dei neonati; fondò istituti accademici a Roma e a Costantinopoli e su quest'ultima città relaizzo un grande acquedotto, dei portici e un ponte.

Nella politica religiosa Valentiniano seguì le orme di Costantino il Grande. Nel giugno del 364 pubblicò un editto con cui ristabiliva la libertà d'insegnamento. Fu questo il suo primo atto della sua tolleranza religiosa. Egli, al pari del fratello, volle trattare egualmente Pagani e Cristiani e seppe adoperare la sua politica in modo da non suscitare attriti fra i seguaci dei vari culti. Incamerò nel fisco i beni confiscati da Giuliano in favore dei templi pagani, proibì per motivi di pubblica moralità le cerimonie notturne del paganesimo, ammise alle alte cariche dello stato Pagani e Cristiani, confermò a questi ultimi i privilegi dati da Costantino, ma limitò l'esenzione dalle pubbliche cariche municipali di cui godeva il clero cristiano. 
Valentiniano era cristiano e soleva concedere, nella ricorrenza della Pasqua, un'amnistia. Poiché l'Occidente era in prevalenza cattolico, Valentiniano — al contrario di Valente che seguì l'Arianesimo — fu cattolico; ma non perseguitò gli avversari del simbolo di Nicea: nel seggio episcopale di Milano, infatti, lasciò l'ariano Assenzio anche dopo che questi fu scomunicato da un sinodo riunito a Roma. Allo stesso modo Valente difese Atanasio, costrinse Aezio, acceso ariano, a ritirarsi a Lesbo e non molestò mai Basilio che riuscì in Oappadocia a far trionfare il Cattolicesimo. 
Solo una volta Valentiniano dovette intervenire nelle lotte religiose, ma lo fece perché esse avevano generato tumulti sanguinosi e turbata la tranquillità di Roma la cui cattedra episcopale era contesa da Damaso e da Ursino. Pure anche questa volta l'imperatore volle mostrare che il suo intervento non intendeva favorire l'una o l'altra delle parti in lotta ed affidò ad un pagano la prefettura della città.

VALENTE LA SUA VITA E LA SUA MORTE
INVASIONE DI UNNI E VANDALI

Fra il Dniester e il Danubio era stanza ormai da oltre un secolo il popolo dei Goti i quali erano divisi in due gruppi: quello degli Ostrogoti o Goti orientali e quello dei Visigoti, Goti occidentali. Con questi ultimi — come abbiamo potuto vedere nel corso di questa storia — avevano parecchie volte avuto da fare i Romani e molti di questi barbari erano stati ammessi come coloni nel territorio dell' impero. Mentre gli Ostrogoti rimanevano fedeli alla religione dei padri, tra i Visigoti il Cristianesimo (Arianesimo) aveva fatto numerosi proseliti. Dalla diffusione del Cristianesimo tra i Visigoti aveva, senza dubbio, avuto origine la formazione di un grosso partito che riconosceva come re o giudice Fritigerne ed aveva nelle sue file il vescovo Wulfia, traduttore della Bibbia in lingua gotica. Il resto dei Visigoti, più numeroso e potente, era rimasto idolatra ed ubbidiva al re Atanarico.
Ai Visigoti aveva chiesto aiuto Procopio quando si era proclamato imperatore ed essi avevano aderito all'invito mandando un esercito oltre il Danubio.
Contro questo nuovo nemico, dopo la morte di Procopio, dovette rivolgersi Valente: i suoi generali tagliarono la ritirata ai Goti e, fatti prigionieri, li distribuirono nel territorio dell' impero. Da questo fatto ebbe luogo una guerra che durò dal 367 al 369 e finì con una pace vantaggiosa per i Romani.
Ma era appena finita la guerra contro i Goti che un'altra  ne iniziava contro i Persiani, che invadevano l'Armenia uccidendo il re Arsace e scacciavano il re Sauromace dall'Iberia. 
Questa guerra ebbe la durata di alcuni anni con risultai piuttosto favorevoli ai Romani, che rimisero sul trono di parte dell'Iberia Sauromace, aiutarono Paia, figlio di Arsace, a riconquistare il regno paterno e riportarono qualche vittoria sui Persiani.

Intanto movimenti di popoli, che dovevano avere una grave ripercussione sull' impero romano, avvenivano nell' Europa orientale. Gli Unni, popolazioni selvagge e bellicosissime provenienti dall'Asia, che, riversandosi in Europa, avevano travolto prima gli Alani, poi gli Ostrogoti (373), si rovesciavano nel 376 contro i Visigoti. Impotenti a resistere ad un nemico così numeroso e forte, i Visigoti parte con Atanarico si rifugiarono nella Transilvania, parte con Fritigerne chiesero all'Angusto dell'Oriente il permesso di stanziarsi sulla destra del Danubio (376).
L'ottennero a patto che deponessero le armi e si obbligassero a difendere l'impero, il quale si incaricava di fornir loro le vettovaglie necessarie; inoltre concedeva stanziamenti ai barbari nella Tracia. (CHE ERRORE!!!)

L'immigrazione sarebbe avvenuta pacificamente se l'ingordigia di Massimo e Lupicino, comandanti delle legioni danubiane, che volevano trar profitto dalle condizioni dei Goti per arricchirsi, non avesse spinto i barbari alla ribellione (377). Sotto la guida di Fritigerne assalirono e sconfissero Lupicino, che fu costretto a rifugiarsi entro le mura di Marcianopoli, e, tratti alla ribellione i coloni goti che da tempo si erano stanziati nella Mesia e nella Tracia, si spinsero fin oltre i Balcani mentre il Danubio, rimasto incustodito, veniva passato da orde di Alani, di Sarmati e di Unni.

Contro i Goti, che avanzavano devastando e saccheggiando, Valente mandò un esercito comandato da Sebastiano, mentre calava dall'Occidente con un altro esercito il generale Bicimiero. Ma tutte queste forze non erano sufficienti contro il numero impressionante dei barbari, tuttavia questi vennero respinti dalla Tracia oltre la catena dell' Emo. Qui però i Goti ritornarono alla carica e, ripassati i monti, invasero una seconda volta la Tracia e spinsero le loro avanguardie verso il Bosforo.
Sebastiano era stato costretto a chiudersi in Adrianopoli. Essendo il nemico comparso sotto le mura della città, il generale tentò una sortita e il successo gli arrise: Fritigerne, battuto, dovette ritirarsi coi suoi a Cabile.

Questa vittoria galvanizzò Sebastiano, il quale, in un consiglio di guerra tenutosi nei primi di agosto del 378 alla presenza di Valente, propose di attaccare il nemico. I più provetti ufficiali dell'esercito consigliarono di aspettare l'arrivo delle truppe dell' Augusto d'Occidente che erano giunte già a Sirmio, ma prevalse il parere di Sebastiano e di Valente che era della stessa idea: cioè attaccare subito.

La battaglia ebbe luogo il 9 di quello stesso mese di agosto nella piana di Adrianopoli, e terminò con la disfatta dell'esercito imperiale.
Con la battaglia di Adrianopoli, a detta di molti storici, termina la tradizionale supremazia delle fanterie romane sugli eserciti barbarici. 
 Un poderoso attacco della cavalleria gotica sbaragliò quella romana e causò la rotta delle legioni, che riportarono perdite gravissime. La perdita più grave fu quella di Valente il quale, — secondo quel che si narra — ferito in combattimento, venne portato in una capanna, ma qui perì tra le fiamme che i vincitori vi appiccarono.
(VALENTE E IL SUO GROSSO ERRORE, VEDI L'ANNO 378)


FINE PERIODO DAL 363 AL 378

... vai al periodo dal 378 al 395 d.C. > > >

Fonti, citazioni, e testo
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA , 
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE 

PROSEGUI CON I VARI PERIODI