ANNI 973 - 983 d.C.

IL PERIODO DI OTTONE II - LO SFASCIO NEL SUD

I PRIMI SETTE ANNI DELL'IMPERO DI OTTONE II - RIBELLIONE DEL DUCA DI BAVIERA - GUERRA TRA LOTARIO DI FRANCIA ED OTTONE - I PARTITI DI ROMA E IL PAPATO DA BENEDETTO VI A BENEDETTO VII - OTTONE II IN ITALIA - L'ITALIA MERIDIONALE DALLA MORTE DI OTTONE I ALLA DISCESA. DI OTTONE II - VICENDE DEL PRINCIPATO DI SALERNO - L'EMIRO ABU'L-KÀSIM NEL MEZZOGIORNO DELLA PENISOLA - OTTONE II NEGLI STATI LONGOBARDI - SPEDIZIONE DI OTTONE II NELLE PUGLIE E NELLA CALABRIA - BATTAGLIA DI STILO - FUGA DI OTTONE II, RITORNO NELL'ALTA ITALIA - ASSEMBLEA DI VERONA - VICENDE DI VENEZIA DOPO LA MORTE DI PIETRO CANDIANO IV - RAPPORTI TRA VENEZIA ED OTTONE II - MORTE DI BENEDETTO VII ED ELEZIONE DI GIOVANNI XIV
LA FINE DI OTTONE II
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I PRIMI SETTE ANNI DELL'IMPERO DI OTTONE II
SUA DISCESA IN ITALIA

Chiudendo il precedente capitolo su OTTONE I, avevamo accennato, che se lui fu il vero fondatore dell'egemonia tedesca in Europa, nel crearla, mentre nello stesso tempo si occupava della politica italiana, spesso si trovò a dover trascurare i propri territori.
E se in quell'opera d'unificazione dell'Italia la sua politica non ottenne il successo sperato, nell'ostinarsi a volerla compiere ad ogni costo (prima con le armi poi con le unioni matrimoniali), il risultato fu, che anche quell'unificazione monarchica che voleva realizzare in Germania fu fallimentare.
E fallimentare fu poi anche quella del figlio OTTONE II salito al trono imperiale il 7 maggio del 973, alla morte del padre, poco più che 18enne.

Ottone I aveva finito la sua vita dopo essere stato per circa sei anni lontano dalla Germania; mentre il giovane Ottone II iniziò il suo impero rimanendo sette anni lontano dall'Italia, e quando si decise a scendervi, la sua permanenza e anche la vita fu molto breve, morì a Roma a soli 28 anni senza aver concluso nulla. Anzi scendendo nel Meridione preparò il terreno ideale alle successive conquiste normanne, come vedremo alla fine di queste pagine.

E se del primo nella precedente puntata n'abbiamo visto i motivi, il secondo li vedremo ora in questa puntata, e diciamo subito quali furono questi motivi: fu obbligato a restare di là dalle Alpi per i disordini interni di quel regno che il padre gli aveva lasciato ma che aveva anche trascurato. Di modo che il figlio fu impegnato in guerre che fu costretto a sostenere contro la Francia, i Danesi, i Boemi, i Polacchi e, all'interno dello stesso regno ai contrasti dovuti all'accrescimento della potenza delle locali signorie feudali, che impediscono a questa seconda (breve) dinastia ottoniana (e che impediranno per lungo tempo) l'unificazione. Ma addirittura le cause furono dovute anche ai contrasti nati all'interno della stessa famiglia ottoniana.

Questi primi disordini familiari, furono causati dall'ambizione di GIUDITTA, vedova del duca ENRICO di Baviera e madre del figlio con lo stesso nome. Giuditta aveva, sacrificato alla propria ambizione la giovane figlia Ludovica sposandola al vecchio duca di Svevia BUCCARDO II con la speranza di riunire la Svevia alla Baviera dopo la morte dell'anziano genero. Calcolo in parte riuscito, perché il vegliardo non tardò a lasciare questo mondo nel dicembre del 973.
Calcolo pero senza il risultato finale, perché morto Burcardo, il giovanissimo re OTTONE II conferì il ducato svevo a suo nipote omonimo Ottone, figlio del fratellastro LIUDULFO, provocando lo sdegno di Giuditta e della figlia, le quali insieme con il giovane Enrico ordirono una congiura contro l'imperatore, in cui trassero dentro il vescovo ABRAMO di Fresinga e i duchi di Boemia e Polonia (clero e duchi, non accontentati abbastanza dal precedente imperatore).

La ribellione della Baviera durò, non ininterrottamente ma in varie fasi, fino al 976.
Nel luglio di quest'anno, occupata Ratisbona, dove ENRICO si era chiuso e fortificato, OTTONE II costrinse il duca ribelle a fuggire in Boemia.
Questi fatti ebbero come conseguenza una levata di scudi di ARALDO, re di Danimarca, BOLESLAO, duca di Boemia e MIECZISLAO duca di Polonia che furono però anche loro vinti e domati; e così finirono pure le autonomia di alcune marche ribelli.
La Baviera fu conferita al figlio di Liudulfo (l'omonimo Ottone) ma da questa furono staccate le marche di Carinzia e di Verona, che furono erette in ducato autonomo, e la marca orientale (Ostmark), la quale fu data a LIUTPOLD (fu quest'ultimo il fondatore della dinastia austriaca).

Dal 976 al 980 fu la Lorena (Lotaringia) che assorbi tutta l'attività di OTTONE II e provocò una guerra tra Germania e Francia e la rottura tra ADELAIDE e il figlio (ricordiamoci che la madre, era la figlia del franco Rodolfo di Borgogna, andata giovanissima sposa a Lotario, quindi fu madre di Emma (che sposò poi il Re di Francia); vedova a 18 anni, sposò in seconde nozze Ottone I, e fu madre appunto di Ottone II).
La Lorena era divisa in due ducati sottomessi alla dominazione tedesca. Quello dell'Alta Lorena era governato dal duca Federico, cognato di Ugo Capeto, quello della Bassa Lorena, rimasto vacante fin dal 964, fu da Ottone II messo sotto il governo di Carlo, fratello del re di Francia Lotario.

Questa nomina fu una delle cause del dissidio tra la giovane nuora imperatrice (Teofato, la bizantina, sposata da Ottone II) e la madre Adelaide, la quale avrebbe voluto che il ducato fosse dato al re di Francia, marito di Emma, che era la figlia -l'abbiamo già ricordato sopra) del primo matrimonio dell'imperatrice con Lotario re d'Italia, quindi sorellastra di Ottone II.

Fu anche causa, quest'assegnazione, della guerra che presto scoppiò tra il re di Francia ed Ottone. Si trovava l'imperatore nel giugno del 978, ad Aquisgrana quando Lotario lo assalì con un esercito di ventimila uomini. Fuggito a Colonia, Ottone si ritirò di là in Sassonia, dove, mentre la madre con la figlia Matilde si ritirava in Borgogna presso il fratello Corrado, si preparò alla riscossa.
Nel settembre del 978 Ottone con un esercito di trentamila uomini penetrò nella Francia e pose l'assedio a Parigi; ben presto però, rimasto privo di vettovaglie ed avvicinandosi l'inverno, dovette battere in ritirata, incalzato dai Francesi, che riportarono qualche successo di lieve entità sulla retroguardia imperiale. La guerra non ebbe altro seguito, anzi nel 980 troviamo che i buoni rapporti tra Lotario ed Ottone si erano ristabiliti. Il primo abbandonava ogni pretesa sulla Bassa Lorena; in cambio Ottone riconosceva la successione al trono di Francia del sedicenne LUDOVICO, il quale, nel maggio di quell'anno, si recava con il padre Lotario a Margut sur-Chiers a far visita all'imperatore.

Pacificata la Germania e ristabilita l'amicizia con la Francia, OTTONE II rivolse il pensiero all'Italia, dove le vicende di Roma reclamavano la sua presenza. Qui, come altrove abbiamo detto, la cittadinanza era divisa in due partiti, dei quali uno sosteneva la casa di Sassonia, l'altro gelosamente difendeva l'indipendenza di Roma dalla supremazia tedesca. Quest'ultimo partito faceva capo ai CRESCENZI, una delle più potenti famiglie nobili romane, alla quale apparteneva un Crescenzio figlio di Teodora.

Il partito antitedesco che qui, impropriamente, chiamiamo nazionale, temendo le rappresaglie di Ottone I era stato costretto a riconoscere BENEDETTO VI, il Pontefice voluto dalla fazione avversa; morto però l'imperatore, riteneva che era giunto il momento di agire togliendo il Papato dall'influenza germanica. Sobillati da Crescenzio, i Romani si erano levati in tumulto, avevano fatto prigioniero il Pontefice l'avevano rinchiuso a Castel Sant'Angelo, dove nel luglio del 974 Benedetto era morto, indi avevano eletto quel franco, che era già stato candidato nel 972, il quale, salendo al soglio pontificio, aveva assunto il nome di BONIFACIO VII.
Questi però non aveva pontificato a lungo: l'imperatore, sebbene in Germania, seguiva attentamente le vicende di Roma e si affrettava a mandarvi come suo messo, SICCO; d'altro canto il contegno del nuovo Pontefice dava occasione al partito imperiale di rialzare il capo. Dopo quaranta giorni dalla sua elezione BONIFACIO VII era fuggito a Costantinopoli, portandosi via il tesoro pontificio e nell'ottobre del 974 era stato eletto papa il vescovo di Sutri col nome di BENEDETTO VII.

Pontificava questi da sei anni fra le ostilità dei suoi avversari, che erano anche quelli dell'imperatore, quando OTTONE II - affidato il governo della Germania all'arcicancelliere Willigiso e al duca Bernardo di Sassonia con l'assistenza degli arcivescovi di Salisburgo, Magdeburgo, Amburgo, Colonia e Treviri - nell'ottobre del 980 si mosse con un esercito verso l'Italia per la via di Costanza, Coira e Chiavenna. Lo accompagnavano l'imperatrice Teofano, il figlioletto Ottone III, Ottone di Baviera, i vescovi di Worms, Metz e Merseburgo e numerosi conti, principi e prelati.

A Pavia l'imperatore si conciliò con la madre Adelaide; di là si recò a Ravenna dove celebrò il Natale del 980 e rimase fino alla metà del gennaio del 981. A Ravenna giunsero molti vescovi del regno italico ad ossequiarlo, ed ebbe anche la visita del Pontefice fissando gli accordi per il suo viaggio a Roma.
Preceduto da BENEDETTO VII, l'imperatore lasciò Ravenna nella seconda metà di gennaio, e accompagnato dalla moglie, dalla madre, dalla sorella MATILDE, dallo zio CORRADO di Borgogna, da UGO CAPETO e da molti cavalieri e vescovi italiani, spagnoli, tedeschi e francesi, per la Toscana si diresse a Roma, dove con il suo splendente seguito fece l'ingresso solenne nel giorno di Pasqua dell'anno 981. A Roma l'imperatore si trattenne fino al settembre.
Durante questo soggiorno romano, tra le cure dello stato, maturava nella sua mente il progetto da portare a compimento l'impresa che al padre non era riuscita: la conquista dell'Italia meridionale. Quest'impresa era inoltre reclamata dalla situazione che, durante l'assenza di Ottone, si era venuta formando nel mezzogiorno della penisola e che rapidamente esponiamo.

Quando era partito Ottone I dall'Italia, PANDOLFO "Testa di ferro", rimasto a tutelare gl'interessi imperiali nell'Italia meridionale, aveva anche saputo ingrandire i propri domini e la propria autorità. Una congiura, capeggiata da LANDOLFO di Conza, aiutato dal Duca di Amalfi MONSONE III e dal duca di Napoli MARINO, aveva scacciato da Salerno GISULFO.; e sebbene questi fosse avversario della politica germanica, Pandolfo nel 974 era intervenuto a favore del principe spodestato e lo aveva rimesso sul trono.
Gisulfo, essendo senza prole, per riconoscenza si era associato al trono, come erede, il figlio minore di Pandolfo, che portava lo stesso nome del padre. Nel 1977 Gisulfo era morto e gli era successo il giovane Pandolfo, ma alcuni mesi dopo, nel maggio del 978, "Testa di ferro" aveva annesso ai suoi domini il principato di Salerno, diventando il signore più potente dell'Italia meridionale, rappresentante e difensore formidabile della politica tedesca.
PANDOLFO "Testa di ferro" era morto nel marzo del 981. La sua morte costituiva un serio pericolo per l'egemonia tedesca nel mezzogiorno, la quale si fondava sul personale prestigio di Pandolfo, cessato di vivere il quale, il suo vasto stato minacciava di sfasciarsi, il che avvenne, infatti, di lì a poco.

Il pericolo che l'influenza germanica correva era reso più grave dalla ricomparsa dei Saraceni nell'Italia meridionale. Era allora emiro della Sicilia ABN'L-KÀSIM, il quale nel 976 (maggio) aveva scacciato da Messina i Bizantini e i Pisani che poco prima l'avevano con un colpo di mano occupata e, inseguitoli di là dallo stretto, era giunto fino a Cosenza e Cellere, cui aveva imposto una taglia, mentre il fratello con una flotta assaliva le coste della Puglia e invadeva il territorio di Gravina. L'anno dopo Abn'l-Kàsim, sbarcato di nuovo in terraferma, aveva occupato S. Agata di Reggio, Gallipoli ed Otranto, bruciato Oria, Bovino e alcuni quartieri di Taranto, e se n'era tornato in Sicilia, carico di bottino portandosi dietro numerosi prigionieri.
Il pericolo musulmano era tanto più grave quanto più impotente a fronteggiarlo si mostrava l'impero bizantino, di cui erano sovrani i figli di Romano II, Basilio II e Costantino VIII, impegnati contro i Fatimiti in Siria e i Bulgari in Macedonia.

OTTONE II comprese che, era giunto il momento di tradurre in realtà il sogno paterno. Le popolazioni della Puglia e della Calabria, vessate dal governo bizantino tornato ad essere rapace, qua e là era già in aperta rivolta, e quindi favorivano l'impresa, resa più agevole da una debole presenza militare nei territori del mezzogiorno della penisola; d'altro canto una campagna contro i Saraceni era un ottimo pretesto per togliere ai Bizantini il possesso dell'Italia meridionale.
Decisa la spedizione, dalla quale invano tentò di dissuaderlo lo stratega bizantino di Bari consapevole delle riposte mire dell'imperatore tedesco, senza aspettare i rinforzi chiesti in Germania, Ottone II, nel settembre del 981, partì da Roma diretto in Puglia, certamente per aiutar la rivolta che già era scoppiata in alcune città come Trani, Ascoli e Bari.

Ma era da poco giunto in Puglia quando fu costretto a rivolgere la sua attenzione agli stati longobardi del centro-sud, dove la morte di "Testa di ferro" aveva provocato quei rivolgimenti che Ottone aveva temuto che avvenissero.
Salerno, infatti, si era data a MONSONE III duca di Amalfi, e Benevento, dove LANDOLFO IV era stato sbalzato da PANDOLFO II, e si era resa indipendente da Capua.
Non gli riuscì però di ricostituire il vasto principato di PANDOLFO "Testa di ferro", perché a Benevento fu costretto a riconoscere il fatto compiuto e a Salerno, dopo un inutile assedio, dovette lasciare Monsone III; ottenne però che la sua alta sovranità fosse riconosciuta sia dall'una che dall'altra città.

Così, il vasto e forte principato di "Testa di ferro" risultò diviso in tre signorie distinte: quella di Capua e Spoleto sotto LANDOLFO IV, quella di Benevento sotto PANDOLFO II e quella di Salerno sotto MONSONE.

Questo frazionamento dello stato longobardo sarà la causa principale
della fortuna dei Normanni nell'Italia meridionale.

Gli italiani, quando lottavano, erano sempre più abili a farlo fra di loro, raramente con gli stranieri. E le uniche guerre vinte, furono quelle interne: di italiani contro italiani.

OTTONE II NELL'ITALIA MERIDIONALE - BATTAGLIA DI STILO
OTTONE E VENEZIA - MORTE DI OTTONE II

Nel dicembre del 981 troviamo OTTONE a Salerno, e qui celebrò il Natale. Poi nel gennaio del 982, marciò avventatamente verso la Puglia con l'evidente scopo di impadronirsi di questa regione prima di avventurarsi verso l'estrema punta meridionale e di aspettarvi gli aiuti richiesti dalla Germania.
La conquista della Puglia sembrava ad Ottone impresa di non difficile attuazione; invece vi incontrò una notevolissima resistenza, e dopo quattro mesi, nel mese di maggio lo troviamo ancora intorno a Taranto, dove intanto si andava radunando un discreto esercito di Tedeschi e Italiani, guidati da vassalli dell'impero, laici ed ecclesiastici.
Con OTTONE vi erano il figlioletto e la moglie TEOFANO (Bizantina!), la cui presenza doveva forse agli occhi delle popolazioni legittimare la conquista.
Sul finire di maggio il grande esercito imperiale si mosse da Taranto e, costeggiando il golfo giunse fino a Rossano, mentre Abn'l-Kàsim, alle prime notizie del muoversi dell'imperatore, bandita la "guerra santa" aveva raccolto numerose forze e, passato lo stretto, sbarcato nella terraferma, risaliva la costa orientale della Calabria.

Fu detto dagli storici che Bizantini e Musulmani, alleatisi contro Ottone, combattessero fianco a fianco, ma è forse un asserzione messa in giro dai cronisti tedeschi male informati degli avvenimenti o forse da una falsa cronaca. Abn'l-Kàsim non credeva di dovere affrontare un esercito così numeroso come quello imperiale di modo che quando fu a non molta distanza da Rossano ed ebbe sicure notizie sulla vera entità delle forze nemiche, ordinò la ritirata.
La sua mossa non rimase ignorata da Ottone. Informato da alcuni navigli, incrocianti presso la costa, della ritirata dei Saraceni, l'imperatore lasciò a Rossano i bagagli, il tesoro, la moglie e il figlio sotto la protezione di Teodorico vescovo di Metz e una milizia tedesca, e con il grosso dell'esercito si mise all'inseguimento del nemico.

Questi fu raggiunto a sud di Crotone, presso Stilo (capo delle colonne). Abn'l-Kàsim, non riusando a sfuggire all'inseguimento, si era fermato ed aveva preferito schierare i suoi uomini a battaglia. Il combattimento fu ingaggiato non si sa bene se il 13 o il 14 luglio e fu violentissimo. Dopo una lotta non breve e di esito incerto un fortissimo contingente di cavalieri imperiali buttandosi con impeto sul centro musulmano, lo sfondò e, inseguendolo, giunse fino alle bandiere dei reparti principali; e qui trovò Abn'l-Kàsim, con un forte nucleo di guerrieri saraceni pronto a far fronte al nemico. La zuffa che ne seguì fu veramente epica. L'emiro, colpito alla testa in quello scontro, cadde ucciso, ma i suoi pur avendo perso il capo, non si sbandarono davanti all'incalzare degli imperiali, anzi impegnandosi al limite delle loro forze, permisero al centro che era stato sfondato non solo di riannodarsi ma le due ali, riunendosi si chiusero a tenaglia e presero in una morsa di ferro l'esercito di Ottone; seguì un macello di soldati tedeschi.

I morti assommarono, secondo uno storico arabo degno di fede (Ibn el-Athir), a quattromila. Fra questi le cronache italiane ricordano Landolfo, principe di Capua, suo fratello Atenolfo e i nipoti Ingulfo, Vodiperto e Guido di Sessa; le cronache tedesche registrano molti prelati e grandi laici, fra cui il vescovo di Augsburgo Arrigo, l'abate di Fulda Werner, il duca Odone e i conti Dilmar, Becelino, Gevehardo, Guntero, Bertoldo, Eccelino, Burchardo, Dedone, Corrado, Imfrido ed Arnoldo. Un macello anche di nobili!

Numerosissimi furono anche i prigionieri, tra i quali il vescovo di Vercelli che fu, con molti altri laici ed ecclesiastici, riscattato alcuni anni dopo. Ciò che rimase dell'esercito imperiale, si diede alla fuga verso Rossano, entro le cui forti mura era già sicuro di trovar protezione.
OTTONE II, insieme al duca di Baviera, si allontanò dal campo di battaglia a briglia sciolta e già, arrivato presso la costa, in vista di due navigli bizantini che incrociavano in quei paraggi, si credeva sicuro, quando improvvisamente stremò il cavallo. Un suo fidato ebreo che lo seguiva gli offrì il suo, raccomandandogli i figli, ed Ottone, mentre il duca di Baviera riprendeva la fuga, montato in sella spinse il cavallo in mare facendo cenno ad una delle due navi di raccoglierlo; ma quella tirò diritto.
Tornato alla riva, l'imperatore si vide perduto, perché i Saraceni, sopraggiunti avevano ucciso l'ebreo e si avvicinavano minacciosi. Allora Ottone II si spinse nuovamente in mare e fu raccolto dalla seconda nave bizantina e solo perché un ufficiale schiamone fece rallentare la nave.

Salito a bordo disse che era il tesoriere dell'imperatore, ma saputo che facevano rotta per Costantinopoli, Ottone svelò al capitano della nave chi veramente era finse di esser lieto di andare nella capitale dell'impero bizantino presso gli imperatori suoi cognati, ma aggiunse che sarebbe stato ancora più lieto di condurvi l'imperatrice Teofano, che si trovava a Rossano. Il capitano, non conoscendo le vere intenzioni del suo ospite, credendo di aiutare un congiunto del suo imperatore, fece mettere la prora in direzione della marina di Rossano, nelle cui acque giunse la nave dopo una veloce navigazione.
Ottone aveva fatto il suo piano: mandò a terra l'ufficiale schiavone ad avvertire del suo arrivo l'imperatrice e il vescovo di Metz; a quest'ultimo mandò a dire di scendere in spiaggia con un gruppo di milizie. Di lì a poco comparve l'imperatrice Teofano con il vescovo Teodorico e, dietro, una fila di cavalli che, si diceva che trasportavano il tesoro imperiale.
Il vescovo con un gruppo di armati si fece portare con alcune barche alla nave bizantina all'àncora e vi sali fingendo di volere rendere omaggio all'imperatore, il quale, spiccato un salto nel mare, raggiunse a nuoto la riva. Un bizantino che voleva trattenerlo fu trafitto da uno dei familiari, gli altri della ciurma accorsi furono tenuti a bada dal vescovo e dai suoi armati.

L'imperatore, così avventurosamente scampato, si rifugiò anche lui a Rossano dove avevano trovato rifugio i superstiti della battaglia di Stilo. Si aspettavano di essere attaccati dai Musulmani, ma questi si erano già ritirati. Preso il comando dell'esercito GIÀBER, il figlio del caduto Abn'l-Kàsim, ai suoi uomini vincitori non fu concesso neppure di raccogliere le armi né di fare bottino. Spinto dal timore di essere assalito da forze nemiche superiori o di perdere, durante la sua assenza, l'emirato ereditato dal padre, Giàber fece suonare la fine delle operazioni e iniziò la ritirata verso la Sicilia.
A Rossano l'imperatore non si trattenne che pochi giorni. Nell'ultima decade di Luglio, insieme con la famiglia e seguito dai superstiti dell'esercito vinto, partì, si può immaginare con quanta gioia dei Bizantini, i quali, di lì a poco tornarono padroni di tutti i territori della Calabria e della Puglia.
Il 27 luglio, OTTONE era a Cassano, il 2 agosto sul Laino, il 18 a Salerno, a settembre a Capua, dove andò a trovarlo la madre Adelaide e lì rimase fino a novembre per dare assetto al principato, essendo periti, come si è detto, nella battaglia di Stilo i due figli di Pandolfo Testa di ferro, Landolfo e Atenolfo; diede Capua al quarto figlio di Pandolfo, LANDENOLFO, con l'assistenza della madre Aloara. Spoleto fu data a TRASEMONDO.

Partito da Capua, il 12 novembre 982 OTTONE II giunse a Roma angosciato per la sconfitta subita ma animato da un ardente desiderio di rivincita.
Questa, in verità, non era solo spinta dall'orgoglio ferito dell'imperatore, ma era anche reclamata dalla situazione dell'impero, dove la rotta di Stilo aveva provocato e abbassato il prestigio di Ottone, in Germania e in Italia.
Mentre Danesi e Slavi, sulla frontiera dell'Elba, erano in minaccioso fermento, in Germania la condotta dell'imperatore -assente oltre che perdente- veniva aspramente giudicata.
Mentre nell'Italia settentrionale, la politica imperiale tutta favorevole ai vescovi di cui Ottone II aveva accresciuta la potenza, c'era un gran malcontento nella nobiltà laica che agitava le acque più torbide pronte a inghiottire gli avversari.
E come leggeremo più avanti anche a Venezia.

Da Roma, Ottone si recò a Pavia, poi a Verona e qui nel giugno del 983 convocò una grande dieta alla quale furono presenti numerosi vassalli laici ed ecclesiastici della Germania e dell'Italia. Nell'assemblea veronese fu proclamata la guerra contro i Bizantini e i Saraceni e furono presi importanti provvedimenti riguardanti l'Italia e la Germania. Essendo morto nel novembre il duca OTTONE di Svevia e di Baviera, il ducato svevo fu dato a CORRADO di Franconia, fratello del conte Odone caduto a Stilo, quello di Baviera con la Carinzia e la marca di Verona a ENRICO già duca di Carinzia; e a UGO, figlio del marchese UBERTO, gli fu rinnovata l'investitura della marca di Toscana.
Allo scopo di assicurare la tranquillità dell'impero durante la prossima spedizione meridionale che lo avrebbe costretto a rimaner lontano dalle cure dello stato, l'imperatore espresse l'intenzione di far eleggere re, il figlio OTTONE III, che allora contava tre anni, e lo fece andare in Germania, ad Aquisgrana per farlo incoronare a Natale (del 983), con la partecipazione dell'arcivescovo di Ravenna; il che ci rivela il proposito di Ottone di unire in uno solo i due regni d'Italia e Germania. A reggere l'Italia, durante la sua assenza, scelse la madre Adelaide e le fissò come sede Pavia.

Mentre Ottone si trovava a Verona, giunsero a trovarlo gli ambasciatori di TRIBUNO MENIO, doge di Venezia. La loro presenza a Verona aveva un'importanza particolare perché si trattava di ristabilire i rapporti tra la repubblica veneziana e l'impero, che da alcuni non erano privi di forti contrasti.

Torniamo indietro di qualche anno. Ucciso - come altrove abbiamo narrato - Pietro Candiano IV, era stato proclamato doge PIETRO ORSEOLO I, il cui governo era durato fino al 978, quando fuggito da Venezia gli era successo VITALE CANDIANO, fratello del doge ucciso. Ma con il ritorno dei Candiani non era tornata la pace a Venezia, divisa in due fazioni: quella dei cosiddetti "Mauroceni" volevano che la repubblica rimanesse indipendente, e se mai n'avesse bisogno, si appoggiasse all'impero bizantino; quella dei "Coloprini" invece spingevano verso l'unione di Venezia all'impero ottoniano.

OTTONE II, spinto dalla vedova di Candiano IV, fuggita in Germania dopo che marito era stato ucciso, era sceso in Italia nel 980 con il proposito di favorire i Coloprini allo scopo di ridurre Venezia nella sfera dell'influenza germanica; farne insomma una "vassalla"..
Ma tra il 980 e il 983 c'era stata di mezzo la nota sconfitta di Stilo, che aveva modificato la politica veneziana dell'imperatore. Nella sua prossima campagna contro Bizantini e Musulmani egli aveva necessità dell'amicizia di Venezia e sapeva di non poterla ottenere continuando in una politica che aveva per obiettivo l'asservimento, del resto non facile (a parte la potenza della repubblica marinara) per i Veneziani da sempre indipendenti e gelosi di questa autonomia.
Ottone più remissivo, accolse quindi volentieri gli ambasciatori del doge Tribuno Menio e intavolò trattative che portarono al rinnovamento degli antichi accordi con Venezia, consacrati in un trattato che fu stipulato il 7 giugno 973.

La dieta di Verona si sciolse verso la fine di luglio, quando già il nuovo esercito che Ottone aveva raccolto in Italia era ormai pronto. La stagione per intraprendere la spedizione di riscossa era propizia; in compagnia della moglie Teofano, l'imperatore partì da Verona e, per la via di Mantova, alla testa delle truppe giunse a Ravenna, e lungo la costa adriatica, prese il cammino verso il mezzogiorno d'Italia.

Era appena giunto in terra pugliese quando una notizia giuntagli da Roma lo costrinse a interrompere la marcia: era morto il 10 luglio, papa BENEDETTO VII.
Premeva ad Ottone che il nuovo Pontefice fosse devoto all'imperatore e seguisse la politica di riforma ecclesiastica di cui il defunto Papa era stato caldo fautore. Rimandata l'impresa nell'Italia meridionale, Ottone II si recò rapidamente a Roma e fece eleggere un suo fedele prelato, PIETRO, vescovo di Pavia e cancelliere del regno italico, che prese il nome di GIOVANNI XIV.

Mentre si trovava a Roma, gravi notizie giunsero all'imperatore dalla Germania: i Danesi si erano ribellati al loro re ARALDO, il cui figlio SVENONE, messosi alla testa dei ribelli, aveva invaso lo Schleswig; anche i Vendi si erano ribellati e, tornati al paganesimo, avevano riempito di stragi i territori vicini distruggendo le città di Avelberga, Brandeburgo e Amburgo.
Queste notizie trovarono l'imperatore ammalato di febbre e furono fatali alla sua salute.

OTTONE II, morì a Roma il 7 dicembre del 983; all'età di soli 28 anni. Il suo corpo fu sepolto nella basilica di S. Pietro e le sue ceneri messe in un'arca accanto al sepolcro di papa Gregorio V.

L'imperatore così giovane, lasciava una triste eredità al piccolo OTTONE III, che prima ancora di essere incoronato a Natale ad Aquisgrana (come voleva il padre) il 7 dicembre dinasticamente lo era già diventato.
Ma avendo tre anni, la reggenza causò qualche lite, qualche losca trama,
e l'insofferenza reciproca di due donne, nonna e madre
una franca, l'altra bizantina entrambe ex imperatrici.

Fu insomma una eredità politica molto difficile con tanti guasti
in Germania, e di conseguenza anche in Italia
Che narreremo nel prossimo capitolo
ed è il periodo che va dall'anno 983 al 1002 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi

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