TUTTO IL PERIODO > di ..... ROMA dal 34.000 a.C. al 476 d.C. -
Le Origini - La Fondazione - i Re - gli Imperaori - l'Impero - la Decadenza

 

(Prof. Giovanni Pellegrino)

Nel II secolo a.C. dopo circa un secolo di conquiste Roma era diventata capitale di un vasto impero che si estendeva dal Mediterraneo occidentale a buona parte di quello orientale.
Si erano così create le condizioni per un intenso commercio via mare che avrebbe abbattuto i costi assai più onerosi del trasporto via terra.
Grazie alla pace imposta da Roma i collegamenti commerciali e l’economia fiorirono dando grandi vantaggi in primo luogo a Roma.

Una prima conseguenza delle conquiste romane fu il grande afflusso di ricchezze verso Roma e l’Italia sotto forma di imposte provinciali generi alimentari bottini di guerra oggetti preziosi e schiavi. Da un lato i mercanti di tutto il Mediterraneo avevano preso come punto di riferimento Roma diventata ormai un vero e proprio cento di riferimento di scambi commerciali.
Dall’altro lato gli affaristi romani oppure italici guardarono a loro volta al Mediterraneo come un grande mercato dove espandere ed esercitare i propri affari. Tali affaristi romani ed italici erano attivissimi dovunque nelle province e anche al di fuori di esse.

Dalla seconda metà del II secolo a.C. il denario romano divenne decisamente la moneta più utilizzata negli scambi e nelle transazioni commerciali. L’abbondanza di capitali in mano agli affaristi romani diedero loro la possibilità di concedere numerosi prestiti. Di conseguenza molti sovrani ellenistici insieme all’élite dei loro stati entrarono nelle maglie usuraie dei ricchi commercianti romani che poterono inserirli così fra i loro debitori.
Si pensa inoltre alle estese proprietà fondiarie acquisite nelle province dagli aristocratici romani.

Di conseguenza diversi senatori e anche cavalieri possedevano veri e propri latifondi in Africa in Spagna e nel mondo greco. Nelle province inoltre molti ufficiali dello Stato romano si arricchirono abusando del loro potere e della propria posizione sociale. Tuttavia l’improvviso arrivo di ricchezze danneggiò pesantemente l’economia tradizionale dell’Italia e di Roma.

L’importazione di cereali e di altri prodotti alimentari dalle province venduti a basso prezzo oppure distribuiti gratuitamente al popolo di Roma mandò in crisi il mercato dei contadini romani ed italici. Pertanto molti di essi persero le loro piccole proprietà terriere costretti a venderle a causa dei problemi economici. Solo i latifondisti ne uscirono indenni.
Infatti i grandi capitali permettevano loro sia di investire ingenti quantità di denaro per riconvertire i terreni a culture speciali come olivi e vigne fronteggiando in questo modo la diminuzione dei prezzi dei cereali sia di disporre di una considerevole manodopera servile.

L’esenzione dal “tributum soli” ossia dalla tassa sulla proprietà fondiaria introdotta nel 167 a.C. per tutti i proprietari terrieri dell’Italia fu senz’altro un’altra misura che avvantaggiò soprattutto i grandi latifondisti. A sua volta l’artigianato italico andò incontro a uno sviluppo inaspettato.
L’enorme ricchezza nelle mani di un’ampia parte della società romana fece aumentare la richiesta di beni di lusso. Di conseguenza le officine che fabbricavano vasi di bronzo vetri ceramiche e tessuti aumentarono la loro produzione. Pertanto sempre più numerosi furono gli artigiani e gli altri specialisti stranieri soprattutto greci che giunsero in Italia e a Roma per lavorare.

I cambiamenti economici che ebbero luogo in Italia e specialmente a Roma aumentarono la differenziazione sociale nella distribuzione della ricchezza. La divisione già in corso nella società romana tra ricchi e poveri si fece sempre più radicale accentuata da un altro fenomeno conseguente alle guerre di conquista ovvero lo spopolamento delle campagne e la crisi della piccola proprietà agraria. I contadini la spina dorsale della società romana andarono in rovina.

Le cause furono molteplici: la devastazione delle campagne provocata dalla guerra contro Annibale; l’assenza prolungata dai campi di contadini soldati arruolati in eserciti che si spingevano sempre più lontano da Roma nonché la concorrenza delle merci prodotte dai grandi latifondi o importate dalle province.
A tutto ciò vanno aggiunte le sopraffazioni dei ricchi latifondisti che forzavano i coltivatori impoveriti a rinunciare alle loro piccole proprietà.

Pertanto la società romana si divideva tra una minoranza ricchissima e una maggioranza di poveri senza nessuna prospettiva pronta a vendersi. Si apriva così la strada verso la crisi sociale. La rovina dei contadini e lo spopolamento rurale diminuì drasticamente la stessa base del reclutamento dell’esercito dal momento che i proletari non potevano prendervi parte.
Inoltre la rovina economica vanificò la motivazione psicologica che animava il contadino soldato romano dal momento che privato della proprietà non avrebbe avuto più nulla da difendere.

Senza contare poi che tale situazione peggiorava anche la vita politica di Roma dal momento che il voto nei comizi veniva sempre di più comprato da ambiziosi aristocratici che in tal modo potevano giungere alle più importanti cariche pubbliche. Pertanto la crisi agraria per tutte queste sue implicazioni diventò una crisi sociale di ancor più vaste proporzioni che metteva in difficoltà persino il sistema politico.
Infatti a vedersi trasformata non era solamente la piccola proprietà agraria ma anche i ceti superiori della società mutarono radicalmente.
L’aristocrazia senatoria divenne molto ricca e potente così che i suoi componenti avevano interessi in quasi tutti i settori economici anche se la loro ricchezza si basava soprattutto sul latifondo.

Quella dei senatori cominciava a essere una classe sempre più chiusa ed esclusiva divenendo una vera e propria oligarchia che monopolizzava l’esercizio delle magistrature. Di conseguenza un senatore romano che avesse esercitato le magistrature e governato una provincia godeva di fortune e poteri superiori a quelli di molti re orientali.

L’inevitabile conseguenza sul piano morale e comportamentale fu quell’arroganza dei nobili lamentata dalle fonti storiche che portava l’aristocrazia a violare i valori tradizionali del “mos maiorum” vale a dire le regole e il costume degli antenati.
I senatori apprezzavano molto la civiltà greca e la loro cultura era sempre più cosmopolita ma il rigore morale istituzionale che sino a quel momento era stato la loro forza diventava sempre più debole.

In sintesi i valori etici erano sempre più permissivi nell’ambito familiare come nella vita pubblica. Essendo loro impedito intraprendere e gestire in prima persona affari commerciali in base alla “lex Claudia” del 2018 a.C. i senatori ricorsero a intermediari ovvero cavalieri o liberti.

L’ascesa sociale dei cavalieri cominciò proprio verso il II secolo a.C.
Essi possedevano fortune paragonabili a quelle dei senatori, indossavano abiti e insegne speciali e usufruivano di luoghi riservati nelle manifestazioni pubbliche. Soli a poter gestire le grandi attività commerciali i cavalieri investivano i propri capitali in attività finanziarie a largo raggio. I cavalieri ricavano enormi profitti dagli appalti che lo stato concedeva ai privati per la riscossione delle imposte nelle province, per i rifornimenti di armi e vettovaglie in zone lontane e per l’esecuzione dei lavori pubblici.
Tuttavia i cavalieri erano esclusi dalle cariche politiche rigorosamente accentrate nelle mani della “nobilitas”.

Le richieste più volte avanzate da questa classe emergente per aver parte al potere politico furono causa di diversi conflitti interni.
Nonostante tutto questo il
ceto superiore non riuscì a sviluppare un’attività politica in grado di difendere i propri specifici interessi.

Per quanto riguarda lo sviluppo dei ceti medi della società romana esso fu più complesso e persino contradditorio. Il generale progresso dell’artigianato e del commercio portarono a una evoluzione dei ceti urbani e alla loro diversificazione. Tuttavia anche i commercianti e gli artigiani stranieri acquistarono sempre più importanza.
A Roma alcuni mestieri di alta qualificazione divennero il dominio degli stranieri soprattutto greci.

Lo sviluppo dei mestieri del commercio serviva in primo luogo ai bisogni delle classi superiori. In ogni caso il II secolo a.C. fu caratterizzato da trasformazioni che interessarono anche i livelli più bassi della scala sociale. Infatti le vittoriose guerre di conquista fecero entrare a Roma ingenti masse di schiavi.

Gli schiavi difatti venivano impiegati sia in mansioni di responsabilità e in lavori di intelletto sia in compiti di fatica. Il fenomeno nuovo della società romana consistette nella massiccia presenza di schiavi spesso anche concentrati negli estesi latifondi nelle officine artigianali nelle miniere e perfino nelle scuole di gladiatori.

Le grandi insurrezioni servili dell’antichità che a volte crearono difficoltà allo stato romano ed in alcuni casi rappresentarono un vero e proprio problema militare si verificavano nell’ambito sociale romano proprio in questo periodo storico.

Oltre al numero degli schiavi in questo periodo storico aumentò anche quello dei liberti.
Essi per gratitudine nei confronti dei padroni che li avevano liberati avevano il dovere legale di aiutarli e sostenerli nell’ascesa economica sociale e politica.

Concludiamo questo articolo mettendo in evidenza che alcuni liberti riuscirono a mettere insieme fortune considerevoli ma la loro presenza talvolta inaspriva ancora di più il clima politico di Roma e favoriva le velleità degli aristocratici ambiziosi.


Prof. Giovanni Pellegrino

 
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