BIOGRAFIE

GIUSEPPE DOSSETTI

Uno dei padri della Costituzione

UNA VOCE CHE CHIAMAVA
NEL DESERTO DELLA DC

Prese i voti ma continuò le critiche contro la politica che deludeva "la povera gente".
Per questo lo chiamavano "prete bolscevico"

 

di Luca Molinari

L'EREDITA' DI GIUSEPPE DOSSETTI

Dossetti fu uomo di transizione, dimenticato fino ad un paio di decenni fa, quando è iniziato il difficile travaglio della democrazia italiana ed allora sono tornate di attualità le sue tesi ed i suoi insegnamenti.
Nessuno può avere un monopolio od un'esclusiva dell'eredità di Giuseppe Dossetti, anche perché è difficile parlare di una di tipo teologico, ma di tipo storico.

Nella storia personale di Dossetti vi sono contraddizioni tra gli anni della gioventù, un Dossetti fortemente innovatore sul piano costituzionale, e l'ultimo Dossetti, più conservatore e maggiormente legato al quadro costituzionale esistente. Si potrebbe, quasi paradossalmente, parlare di un parallelo tra la vita del monaco reggiano e quella di don Luigi Sturzo.

Ai tempi dell'Assemblea Costituente, Dossetti affermò che una Costituzione, contrariamente a quanto affermato dalla dottrina giuridica liberale classica, non è solamente un insieme di regole e di regolamenti, ma è, soprattutto una atto morale, un documento programmatico intriso di principi etici e morali. Per questo fu un oppositore del liberalismo classico che considerava troppo formalista. Per Dossetti dopo la caduta del regime fascista l'Italia non aveva bisogno solo di una ricostruzione formale, ma anche di una ripresa di spirito morale che trovasse espressione in un documento costituzionale.

Per "ricostruire la comunità", perché questo era il vero obiettivo dell'azione di Dossetti in Assemblea Costituente, occorrevano due fatti di primaria importanza:

- una "Costituzione in senso forte", ossia che non sia solo un insieme di leggi e norme, ma che contenga in se valori etici e morali in grado di farla apparire come il contratto, come il patto di una civile e fruttuosa convivenza con un forte afflato rivolto verso il futuro;

- il "partito politico", non da intendersi come macchina per la gestione del potere, ma come uno strumento di aggregazione e di scelta della classe dirigente. In quest'ottica fu affascinato dal modello e dall'esperienza del Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti che, nelle cosiddette "regioni rosse", aveva saputo mescolare ed unificare i movimenti sociali della base con la ricerca, la selezione e la formazione di una classe dirigente di alto profilo in grado di far si che il PCI stesso, in tali zone del Paese, fosse identificabile con la "società": era proprio in virtù di tale situazione che il PCI riusciva ad avere ed a mantenere l'egemonia in tali realtà geopolitiche.

Dossetti abbandonò la vita politica a seguito dello scontro con De Gasperi al quale rimproverava di aver assecondato il Paese nella persecuzione di una politica di "basso profilo" a scapito di un politica con grandi slanci morali. Per non indebolire il leader democristiano e favorire, così, la destra di Gedda, si ritirò dalla politica attiva volendosi dedicare alla riforma della Chiesa intuendo che, a breve, vi sarebbe stato un Concilio Ecumenico.

Seguì gli studi fatti da studiosi tedeschi sul Concilio di Trento che stavano a dimostrare che il Concilio trentino non era stato convocato solo in risposta alla diffusione del protestantesimo, ma anche per dare risposte alle sempre maggiori domande di riforma e di innovazione che avevano attraversato anche quei Paesi e quegli Stati che non si convertirono al protestantesimo, ma che rimasero cattolici.
Su indicazione del Cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, mise le sue capacità e le sue conoscenze al servizio del Concilio Vaticano II in cui, scrivendone il "Regolamento", impedì l'approvazione dei testi già preparati dalla Curia romana, facendo si che si aprisse una reale discussione.
Nel frattempo aveva preso i voti.

Accortosi che, regnante Papa Paolo VI, la riforma della Chiesa aveva subito delle battute di arresto, intrapresa la via del monachesimo, iniziò un pellegrinaggio in Terra Santa, che sarebbe dovuto arrivare fino all'Oriente, per testimoniare come il bacino del Mediterraneo fosse stato la culla delle principali tre religioni rivelate.

Ultima fase della sua vita fu un ritorno in Patria ed alla politica attiva dopo la comparsa sulla scena politica della destra di Silvio Berlusconi, di cui temeva la pericolosa carica eversiva. In quest'ultima fase fu testimone dell'esperienza costituente e sempre più di frequente invitava al ricordo dei valori e dei contenuti della Costituzione. Fu una fase, per un certo senso, segnata da immobilismo, perché le Costituzioni vivono e si perpetuano nel tempo se sono circondate da consenso e non se diventano un intoccabile "libro sacro".

L'eredità di Dossetti, quindi, sembra maggiormente legata ai primi due momenti della sua vita:
- la "Costituzione come grande patto per l'avvenire", patto per la "società che non c'è" sottoscritto da gruppi di persone che credono in valori morali e che perseguono la creazione di una classe dirigente competente attraverso lo strumento del "partito politico"; - la "riforma della Chiesa".


Martedì 9 febbraio 1999

di Luca Molinari


una pagina di
PAOLO DEOTTO

Ci sono uomini che hanno occhi e cuore che guardano lontano, in una dimensione che non è la nostra di tutti i giorni, perché in loro urge qualcosa di diverso, che facciamo fatica ad afferrare, presi come siamo dai nostri schemi, dalle nostre faccende, dai nostri interessi. E purtroppo accade che questi uomini siano incompresi da vivi, perché difficilmente classificabili in comode categorie, e incompresi da morti, quando tanti si sentono autorizzati ad esprimere giudizi e a dettare epitaffi, incoraggiati dal fatto che il morto non può esprimere il suo eventuale dissenso.

Giuseppe Dossetti non è sfuggito a questo destino. Alle 6.30 di domenica 15 dicembre 1996 è tornato "al suo desideratissimo Signore" (sono le parole con cui nel 1968 diede l'annunzio della morte di sua madre). Alle 6.31 sono iniziate le parole di troppo, da parte di troppi. Perché di Dossetti non si poteva non parlare, ma si è parlato ancora una volta a sproposito, con quello sciagurato vizio nazionale di voler sempre classificare, oltretutto secondo schemi ormai decotti: destra, sinistra, centro, cattocomunismo, liberal-cattolicesimo e via straparlando; non rendendosi conto, da parte di molti, che don Giuseppe Dossetti aveva quello sguardo lungo e quel cuore grande che fecero di lui, anzitutto, un uomo, nel senso più pieno della parola. E un uomo vero non è mai soggetto a classificazioni. Forse nell'orgia di parole, che Don Giuseppe avrà ascoltato col suo sorriso dolce dal cielo, la palma della banalità e della superficialità tocca al presidente della Regione Lombardia, Formigoni, secondo il quale "... dal punto di vista politico è l'emblema del complesso di inferiorità del cattolicesimo politico nei confronti del marxismo."

MONTANELLI - IL GROSSIER e il primo premio per il cattivo gusto e la gratuita cattiveria spetta senza dubbio a Montanelli che scrive: "... era stato uno di quei 'professorini' della sinistra integralista democristiana che, con la convinzione di trasformare il partito in missione, lo strapparono a De Gasperi... I Quattro Cavalieri di questa Apocalisse, Dossetti, Fanfani, La Pira e Lazzati, erano gli uomini più onesti dello scudocrociato... Ma, salvo Fanfani..., gli altri tre avevano gli occhi troppo levati al cielo per accorgersi della fogna in cui i loro piedi stavano guazzando".

Dossetti nasce il 13 febbraio 1913 a Genova. Giovane di Azione Cattolica, a 21 anni è già laureato, a Bologna, in Giurisprudenza. Poi è in Cattolica a Milano, professore incaricato di diritto ecclesiastico. E' un uomo che brucia le tappe. E che non si rifugia in facili neutralismi, quando la coscienza dice che è il momento di fare la guerra: antifascista, è presidente del CLN di Reggio Emilia; rifiuterà sempre però di portare le armi. La sua carriera politica nella Democrazia Cristiana è rapidissima: vice segretario del partito nel 1945, il 2 giugno del 46 viene eletto alla Costituente e nominato membro della "commissione dei 75" incaricata di elaborare il testo della Costituzione. Svolgerà un lavoro intenso nella prima sottocommissione, che si occupava dei "diritti e doveri dei cittadini". In questo stesso anno fonda con Fanfani, La Pira e Lazzati l'associazione "Civitas Humana", il cui programma è già insito nel nome.

GLI ANNI TERRIBILI - Sono gli anni in cui la DC e l'Italia sono guidati da un uomo fuori del comune: Alcide De Gasperi. E sono anni terribili, in cui il Paese deve ritrovare sè stesso, dopo le lacerazioni di una guerra fratricida, e in cui i guasti provocati dagli eventi bellici hanno accentuato le tensioni sociali. Sono gli anni in cui al Nord i comunisti oscillano tra le tentazioni rivoluzionarie e barricadiere di Pajetta e il freddo realismo di Togliatti, ma in cui decine di migliaia di cittadini dormono ancora nei rifugi perché le città del triangolo industriale sono state massacrate dai bombardamenti degli alleati. E al Sud intanto contadini affamati occupano terreni spesso incolti, di proprietà di latifondisti miopi, aggrappati ad egoismi ottocenteschi, provocando interventi di una polizia il cui grilletto facile nasce più dalla impreparazione che da cinica volontà repressiva.

In questo marasma il compito di chi si impegnava in politica era senza dubbio enorme: bisognava ricostruire una Nazione, ridare speranza alla gente, restituire dignità ad un popolo che, come ci ricorderanno senza mezzi termini gli Alleati in sede di trattato di pace, era comunque un popolo sconfitto.

La Democrazia Cristiana alle elezioni del 2 giugno del 46 per l'Assemblea Costituente conquistò la maggioranza relativa, col 35,2% dei voti e 207 seggi su 556. Il 18 aprile del 48 il 48,5% degli elettori scelsero lo scudocrociato.

E fu proprio da questo consenso popolare così ampio che nacquero (o si acutizzarono) i problemi interni del partito.
La Democrazia Cristiana ormai esprimeva due anime:
quella di De Gasperi e quella di Dossetti.

Quella del partito di governo e quella degli ideali. Due anime diverse, ma non inconciliabili. La seconda avrebbe potuto essere lo stimolo, il motivo ispiratore della prima. Se così fosse stato, forse la storia successiva d'Italia sarebbe stata migliore, più pulita.

POLITICO ANOMALO Giuseppe Dossetti lasciò la politica attiva nel 1952, con una breve "riapparizione" nel 56, per contendere invano al comunista Dozza la carica di Sindaco di Bologna. Fu quindi come papa Celestino V, "che fece per viltade il gran rifiuto?"

Non è così: politicamente Dossetti era un anomalo, e tanto più ciò divenne chiaro col passare degli anni, dopo il suo ritiro dalla scena, provocato dal comportamento dei politici "di mestiere". Perchè lo definiamo anomalo? Perchè, col peso che la sua corrente aveva ad un certo punto assunto all'interno della DC, Dossetti avrebbe potuto intraprendere una brillante carriera, controllando quasi il 40% dei voti dei delegati del Congresso della DC. Avrebbe potuto condizionare De Gasperi, avrebbe potuto agevolmente reclamare per sè e per i suoi uomini i ministeri più importanti.

Invece intraprese ben altra "carriera": la prima tappa, il giorno dell'Epifania del 1956, fu la pronuncia dei voti religiosi nelle mani del cardinale Lercaro, che pochi mesi prima aveva dato la sua approvazione alla regola della comunità monastica della "Piccola Famiglia dell'Annunziata", fondata su "silenzio, preghiera, lavoro e povertà". Dossetti, che già precedentemente aveva ricevuto la vestizione a terziario francescano, tre anni dopo, sempre nel giorno dell'Epifania, riceverà l'ordinazione sacerdotale.

Secondo certi archetipi potremmo quindi immaginare "un prete" imprestato alla politica, con tutti i limiti che questo comporta. Val quindi la pena di soffermarci un attimo più nel dettaglio sul Dossetti politico e, ci piace ribadirlo, politico anomalo. Ci sembra significativo il fatto che del gruppo cosiddetto dei "professorini" (Lazzati, La Pira, Fanfani, Dossetti), che tanto peso ebbe nell'Italia postfascista, la carriera più brillante l'abbia fatta proprio colui che fu prima fascista fervente, poi prudente fuoruscito nell'ospitale Svizzera, poi reduce a tempesta finita: Amintore Fanfani. L'antifascismo di Dossetti fu reale e si tradusse, come dicevamo sopra, anche nella presidenza del CLN di Reggio Emilia. Ma il partigiano "Benigno" non portò mai le armi: la sua arma era il Vangelo, era la fede assoluta da cui discendeva l'assoluto rispetto per l'uomo.

INTELLIGENZA LUNGIMIRANTE - Nei lavori dell'Assemblea Costituente Dossetti portò tutto il peso della sua preparazione giuridica e i suoi interventi furono sempre di alto livello. Ed oggi, che si parla di repubblica presidenziale come uno dei possibili rimedi all'instabilità cronica dei nostri esecutivi, è interessante rileggere certe opinioni espresse cinquant'anni fa dal "professorino", in favore appunto di una repubblica presidenziale, così come è interessante rileggere i suoi interventi in favore della riforma della pubblica amministrazione, per una più accentuata autonomia degli enti locali, nonchè i suoi dubbi circa la funzionalità del bicameralismo puro. Tutti argomenti che oggi travagliano i nostri politici, convinti di scoprire esaltanti novità.

Troviamo insomma un giovane giurista pensoso dell'avvenire del paese, preoccupato di dare allo Stato anche quella snellezza e quella funzionalità che sono indispensabili se si vuole realmente che il cittadino sia "cittadino" e non "suddito".

Ma l'attività politica quotidiana non soddisfa le urgenze del cuore di Dossetti. E infatti alle elezioni del 1948 decide di non ripresentarsi: recederà dalla sua posizione solo per obbedienza a Monsignor Montini.

Nel congresso della DC, tenutosi a Venezia dal 2 al 6 giugno del 49, i delegati che si riconoscono nella linea di Dossetti, espressa dalla rivista "Cronache Sociali" ottengono oltre un terzo dei voti. E in questa sede De Gasperi non manca di criticare aspramente la "sinistra" del partito: "Egli (Dossetti, ndr) si è preparato a questo congresso per molti mesi... in analisi meditative... Io disgraziatamente non ho avuto questo tempo, perchè ho dovuto occuparmi di realizzazioni e di esperienze costruttive... io accetto anche il pungolo, ma ad una condizione: che a un certo momento quelli che stanno pungolando si mettano anch'essi alla stanga, e dimostrino di saper tirare."

Dossetti accetta di tornare alla vice-segreteria, che già aveva avuto nel 1945 e dalla quale si era poi dimesso. Ma avverte che la sua stagione politica si sta concludendo. Ciò nonostante profonderà il suo impegno, avviando quella stagione di grandi riforme che si tradurranno nella legge stralcio di riforma agraria, nell'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, nell'avvio della riforma tributaria di Vanoni.

Ma il dissenso con De Gasperi (o il "velame", come lo chiamerà lo statista trentino) è ormai radicato. Eppure è un dissenso che potrebbe essere costruttivo.

IL COCKTAIL DEMOCRISTIANO - La Democrazia Cristiana fondò il suo grande successo elettorale soprattutto sulla contrapposizione al comunismo: la guerra fredda era iniziata subito dopo la conclusione della Guerra Mondiale e l'"interclassismo" della DC trovò la sua vera ragion d'essere nella paura dell'avanzata stalinista in Europa. E in questo senso la DC di De Gasperi raccolse al suo interno di tutto, e in questo "tutto", che frettolosamente si può suddividere in destra, centro e sinistra, i ceti moderati si riconoscevano più facilmente nelle posizioni "liberal-cattoliche" di un Pella che in quelle "populiste" di un La Pira. De Gasperi guidava una DC che era un grande contenitore e guidava un governo che, a un certo punto, aveva dovuto fare delle scelte di campo, con l'estromissione dei comunisti nel 1947 e l'avvio di una collaborazione organica con i liberali, le cui posizioni erano marcatamente "di destra".

Poteva De Gasperi fare diversamente? Probabilmente no. Si trovava a reggere una nazione sfasciata, che non poteva prescindere dagli aiuti americani per la sua ricostruzione, nè questi aiuti erano ovviamente disinteressati. D'altra parte De Gasperi pagava lo scotto del suo potere, ed era assolutamente nel vero quando, come ricordavamo sopra, al congresso del 49 faceva notare che lui non aveva avuto il tempo per lunghe meditazioni, perchè preso dalle urgenze quotidiane. Però mancò, a nostro avviso, della sensibilità necessaria per rendersi conto che l'esperienza di "Cronache Sociali" e del gruppo dossettiano non andava scaricata classificandola come "sinistra" (o incanalata con una vicesegreteria), ma piuttosto si sarebbe dovuta valorizzare come coscienza critica di un partito che quanto più cresceva di importanza tanto più rischiava di perdere la propria matrice originaria, ossia l'ispirazione cristiana. Marta e Maria possono convivere, se Marta comprende che Maria forse non è una brava massaia, ma rappresenta quella luce che non si può spegnere se non si vuole, prima o poi, perdere la strada.

Le critiche di Dossetti sulla politica sociale ed economica, che tardava a venire incontro "alle attese della povera gente" o le perplessità sull'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, permisero di classificare i "professorini" come "la sinistra" del partito. Ma se questo può esser vero per chi di loro poi fece carriera politica (passando per altro con agilità da destra a sinistra, al centro), per Dossetti il discorso è ben diverso. E valgano i fatti: quando si rese conto che la sua visione politica non era realizzabile, lasciò la politica in cui, ci pare opportuno ripeterlo, aveva raggiunto posizioni di potenza che non sfruttò. Fu leale finchè fu nel partito. Poi, semplicemente, ne uscì.

L'UOMO CHE CAPIVA TROPPO - A un uomo che aveva nel Vangelo la sua ispirazione, non poteva non urgere un'equità fiscale, un'equità distributiva, un reale soccorso a una classe operaia che ancora agli inizi degli anni cinquanta era ampiamente sfruttata. Così come non poteva sfuggire il pericolo insito nello "schierarsi" col Patto Atlantico: il mondo usciva da una guerra guerreggiata e si apprestava a ricreare contrapposizioni. Questo, con buona pace dei facili fornitori di classificazioni, non fu filo-marxismo. Fu quella capacità di vedere più avanti degli altri. Ed oggi è lo stesso Papa che mette in guardia contro i pericoli di un neo-liberismo sfrenato, sfruttatore e corrotto, che si è sostituito a tanti regimi comunisti morti di consunzione naturale nell'Europa dell'Est.

È ozioso oggi voler immaginare un'Italia diversa: siamo quello che abbiamo voluto essere. Ma viene la tentazione di chiedersi cosa saremmo stati se una Democrazia Cristiana fosse stata meno centro di potere a tutti i costi, se l'azione politica non fosse stata solo lotta con ogni mezzo, ma reale servizio alla gente. Viene da chiedersi cosa saremmo se la corruzione non fosse stata a un certo punto accettata come componente inevitabile di un sistema che, comunque, aveva il merito di ripararci dal pericolo comunista.

Discorsi oziosi, inutili. Don Giuseppe Dossetti non ce ne vorrà se facciamo un paragone, che non è assolutamente irriverente, con Don Camillo, il prete "anomalo" di Guareschi. Don Camillo al Cagnola, uno dei grossi proprietari, che si lamenta degli scioperi dei braccianti, sobillati dai rossi, si trova a un certo punto a dire: "ma chi spinge i braccianti a scioperare? I comunisti, o voi altri, col vostro sporco egoismo, col vostro desiderio di fare sempre più soldi sulla pelle degli altri?". Al che il Cagnola, atterrito, si segna ed esclama: "prete bolscevico!".

UN PURO. PERCIO' SGRADITO - Giuseppe Dossetti sceglie il saio e forse, finalmente, non si sente più fuori posto. La sua comunità cresce: dall'originaria sede sul colle di San Luca, sopra Bologna, si espande in Terrasanta, in Giordania, e nel 1985 stabilisce un insediamento anche a Casaglia di Montesole, teatro, negli anni bui, di un eccidio nazista. Nessun insediamento è casuale; Dossetti, anche da religioso, è sempre una spina nel fianco, è sempre un testardo testimone dell'amore per Cristo e quindi per l'uomo. Testimone sul luogo in cui non dimenticare l'abisso nazista, testimone a Gerico sui territori occupati nella guerra dei Sei Giorni da Israele , a cui ricordare in silenzio il primato dell'Amore sulla forza.

Fu anche anche chiamato al Concilio Ecumenico Vaticano II dal cardinale Lercaro, che lo volle con sè come suo perito personale. Al concilio don Giuseppe Dossetti non si limitò a dare le sue competenze di giurista, formulando proposte per lo svolgimento dei lavori conciliari (Ordo Concilii), ma espresse anche la sua ansia e la sua aspirazione per una Chiesa che fosse "povera" per essere realmente "Chiesa dei poveri". La sua vita ascetica era la migliore testimonianza della purezza di questo suo desiderio. Ma la sua presenza al Concilio non è sopportata in alcuni ambienti e Dossetti si ritira, come sempre in silenzio, senza contestazioni. Pro-vicario della sua diocesi, si dedica sempre con passione alla vita della sua comunità, nella ferma volontà che rimanga sempre saldamente radicata al Vangelo, in fedeltà creativa al Concilio e ai segni dei tempi da discernere. Negli anni, a lui fanno riferimento in molti, semplici cittadini ed uomini politici, famiglie e altre comunità, tutti attratti dalla radicalità della scelta religiosa, che non esclude, ove necessario, il far nuovamente sentire la sua voce "fuori", nel mondo.

E a venire, ovviamente, nuovamente frainteso, adoperato, strumentalizzato. La recente difesa della Costituzione, attuata anche attraverso i comitati che portano il suo nome, provoca la classificazione di Dossetti fra quanti considerano "intoccabile" la carta fondamentale. La realtà è ben diversa. L'anziano monaco, giurista e costituente, uomo di fede, studioso profondo, vede i pericoli che nascono dall'avanzare di una nuova classe politica improvvisata e rampante, che sulle ceneri della Prima Repubblica vuole "costruire" "qualcosa": ma cosa? Il lunedì di Pasqua del 1994 Don Giuseppe pronuncia un discorso alla Comunità di Montesole, in cui mette in guardia contro i pericoli delle "nuove illusioni storiche".

E LO CHIAMARONO "CARTESIANO" - "Siamo in un periodo di frantumazione del pensiero, di un pensiero che si fa sempre più debole... ogni tentativo di ricostruire una sintesi culturale o una organicità sociale che difenda la Fede sarà sempre più un tentativo illusorio... Forse già in questi giorni si preparano nuovi presidi, nuove illusioni storiche, nuove aggregazioni che cerchino di ricompattare i cristiani. Ma i cristiani si ricompattano solo sulla parola di Dio e sull'Evangelo!... La Chiesa stessa, se non si fa più spirituale, non riuscirà ad adempiere la sua missione e a collegare veramente i figli del Vangelo!".

Che dice Formigoni? E' questo "dal punto di vista politico l'emblema del complesso di inferiorità del cattolicesimo politico nei confronti del marxismo." ? Non vogliamo dare spazio all'alluvione di giudizi su Dossetti: chiunque legga i giornali o segua i programmi radiotelevisivi ne ha già fatto indigestione. Diamo piuttosto l'ultima battuta a Don Giuseppe Dossetti, perché sia ancora lui a dirci una parola che ci aiuti a capirlo. Il 5 novembre 1987 Don Giuseppe teneva una commemorazione nel decennale della scomparsa del suo grande amico Giorgio La Pira. Fu un discorso di grande rigore razionale e filologico, da "cartesiano" (come le stesso La Pira amava canzonarlo), mettendo tuttavia in rilievo il fondo mistico della testimonianza lapiriana. Il giornalista Vittorio Citterich ci racconta che volle rivolgersi scherzosamente al monaco: "Don Giuseppe, si può dire che il più grande riconoscimento al misticismo di La Pira è stato dato dal più cartesiano dei suoi amici." Al che Dossetti rispose: "Che vuole, queste definizioni sono soltanto diverse modalità per esprimere la stessa fede".

PAOLO DEOTTO
Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore Gianola
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