...
gli avversari gli attribuirono una frase che viene spesso ripetuta "La
forza supera il diritto". Bismarck negò di averla pronunciata,
ma essa resta come il fondo del suo pensiero, la base della sua politica.
E poichè questo pensiero messo in azione riuscì a fare
l'opera sognata più di quanto nessuno avesse immaginato, esso
finì per diventare la norma regolatrice della politica tedesca
e quindi anche del pensiero nazionale tedesco. La generazione dopo il
1870, quella cresciuta con Bismack, dominatore della vita politica per
quasi trent'anni, finì per imbeversi talmente della propria gloria
da giudicare la civiltà tedesca di gran lunga superiore alle
altre e da considerare come suo dovere quello d'imporla a tutto il mondo.
Con
quale mezzo? Con lo stesso adottato con tanto successo dal "Cancelliere
di ferro": "colla forza delle armi".
Con la forza delle armi, la Prussia da Stato subordinato all'Austria,
Bismarck riuscì a trasformare il suo Paese nella massima potenza
continentale europea, riunendolo dopo secoli di divisione nazionale.
Nel 1890, quello che fu definito il "grande burattinaio",
l' "onesto sensale", trasformatosi in uomo di pace, lasciò
il potere e rimase in disparte fino alla morte (1898) perchè
in urto con il nuovo giovane sovrano Guglielmo II; ma quella struttura
autoritaria e quell'aggressiva impronta militarista - iniziata già
nel periodo federiciano- rimase e portarono la Germania prima al disastro
della Prima Guerra Mondiale, poi, fortemente decisi a rivalersi della
umiliante sconfitta, con un "caporale" alla guida, al disastro
della Seconda.
LE
DATE PRINCIPALI DELLA VITA
DI
BISMARCK
1815 -
1 aprile OTTONE LEONARDO LEOPOLDO VON BISMARCK-SCHONHAUSEN, nasce, secondogenito,
nella famiglia prussiana dei Bismarck-Schonhausen, orgogliosa schiera
di aristocratici prussiani, noti con il nome di "JUNKER":
una rigida casta di latifondisti autoritari e potentissimi.
1847 -
Fino a questa data, Bismarck, alto, imponente, vigoroso, attivo nei
diversi sport, trascorre i suoi primi 32 anni di vita turbolenta e inquieta,
senza pensare alla politica. Poi si sposa con Giovanna Puttkamer, e
desideroso di trovarsi una "sistemazione" di prestigio, iniziò
a dedicarsi alla vita politica, quasi alla vigilia della rivoluzione
di Berlino. Viene eletto deputato alla Dieta degli Stati Tedeschi (la
prima che raccogliesse i rappresentanti degli Stati tedeschi che allora
formavano la Confederazione Germanica, formatasi nel 1815.
1848 -
Alla sanguinosa sommossa di Berlino del 18 marzo 1848 ( che si proponeva
di costringere il Re di Prussia, Federico Guglielmo, a concedere una
Costituzione) il trono stava vacillando, ma il giovane deputato si schierò
decisamente dalla parte del Re, ribadendo che la sovranità veniva
dal "diritto divino". L'atteggiamento fu premiato dal Sovrano,
affidandogli sempre più importatnti incarichi.
1851 -
Viene promosso ambasciatore. Dotato di eccezionale fiuto politico, Bismarck
inizia a dar prova del suo autentico genio politico e diplomatico. E'
lui a inventarsi la "Realpolitik", una "politica
realista" che lo avrebbe reso famoso; seguendo un solo dogma: raggiungere
l'obiettivo proposto con il mezzo più rapido, sicuro, efficace,
qualunque esso fosse.
1862 -
Viene nominato Cancelliere (Primo Ministro). Nella crisi politica di
quest'anno dovuto al rifiuto dell'opposizione che non voleva accettare
i provvedimenti di potenziamento, ammodernamento, riorganizzazione dell'esercito,
il sovrano fa una mossa autoritaria: sciolse il Parlamento. Ma in virtù
della Costituzione votata nel 1850, questa consentiva di rimanere in
carica anche dopo un voto contrario e dopo lo sciogliemnto del Parlamento.
Bismark resta al suo posto di comando.
1864 -
Sotto la sua guida, inizia il programma politico per fare della Prussia
lo Stato dominatore nel mondo tedesco, con il sogno di riunificare sotto
di essa la Germania divisa, con gli Stati subordinati all'Austria. E'
il periodo della Guerra alla Danimarca
1866 -
Sfrutta i dissidi interni dell'Austria e l'ostilità dell'Italia
per l'imperatore asburgico, dichiara guerra e vince gli austriaci in
una paurosa disfatta in Boemia a Sadova. La Confederazione, fino allora
dominata dall'Austria viene sciolta. Gli Stati si riuniscono in una
Confederazione (del Nord) sottoposta alla guida della Prussia.
1870-71 -
Dopo l'Austria rimaneva nel continente solo i Francesi di Napoleone
III, tradizionale avversario, a contrastatare l'egemonia tedesca. E
quando scoppiò la guerra i piani per l'invasione della Francia
erano pronti già da tre anni; I piani di Bismarck e la genialità
strategica di von Moltke travolsero ogni resitenza a Sedan, lo stesso
imperatore francese venne catturato, Parigi fu posta in assedio.
1871 -
Nella reggia di Versailles, centro e simbolo della monarchia
francese, Bismarck ebbe la soddisfazione di udire i principi
tedeschi che si sottomettevano a Guglielmo I di Prussia e lo nominavano
imperatore in Germania.
Così "in mezzo al ferro e al fuoco" come si espresse
lo stesso Cancelliere) poteva rinascere il Reich
tedesco dopo tanti secoli di divisione nazionale.
La cerimonia ufficiale della costituzione della nuova Germania fu una
provocazione senza precedenti nei confronti della Francia che la umiliava
profondamente, avvenne nella sala più prestigiosa del palazzo
reale.
Una umiliazione che i francesi non dimenticarono. Nello stesso
luogo umiliarono la Germania alla fine della Prrima Guerra Mondiale.
Ma poi furono nuovamente umiliati da Hitler dopo la sua invasione, la
conquista di Parigi e l'inizio della Seconda Guerra Mondiale.
1873-75 -
"Lotta per la cultura". Leggi contro la Chiesa cattolica
1878 -
Proprio come un accorto "burattinaio" Bismarck iniziò
a manovrare i fili di una complicatissimi rete di alleanze, rapporti
d'equilibrio, promesse e minacce, concessioni e pretese. E con Congresso
di Berlino di quest'anno sancì tale equilibrio.
1882 -
Dopo le manovre di sopra parte una serie di alleanze e di patti. La
maggiore tra queste alleanze fu la "Triplice Alleanza", alla
quale accedette anche l'Italia, insieme all'Austria e alla Germania.
1888 -
Muore l'imperatore Guglielmo I. Sale al trono Guglielmo II e subito
si aprì in contrasto tra Bismarck e il giovane 29 enne sovrano,
che (oltre che geloso della sua popolarità) non tollerava i sistemi
autoritari del "Cancelliere di Ferro".
1890 -
I contrasti durarono due anni, e inaspriti fino a tal punto che Bismarck
si vide costretto a dimettersi dal governo e ritornare a malicuore alla
vita privata.
1898 -
Dopo otto anni di vita trascorsa nel suo podere di Friedrichsruh, Bismarck
il 30 luglio muore a 83 anni d'età.
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UN
PROFILO SCRITTO NEL 1919
DA PIETRO ORSI

I grandi uomini
diventano i capi, le guide, i conduttori dell'umanità quando
l'opera loro concorda con le forze del passato e con la spinta verso
l'avvenire; perciò per comprendere esattamente l'azione esercitata
da Bismarck nella formazione dell'unità germanica bisogna anzitutto
studiare lo sviluppo del sentimento di nazionalità verificatosi
in Germania prima che Bismarck assumesse la direzione del governo prussiano.
Chi diede per primo alla Germania una coscienza nazionale fu... Napoleone
l; la cosa può sembrare strana, ma non per questo è meno
vera. Ancora alla vigilia della rivoluzione francese i grandi pensatori
e scrittori che avevano procurato alla Germania il rispetto e I' ammirazione
del mondo, Kant, Lessing, lo stesso Goethe, non solo non avevano preoccupazioni
nazionalistiche, ma andavano superbi di essere cittadini del mondo,
di non avere una patria.
Occorse la conquista napoleonica per scuotere la Germania. La battaglia
di Austerlitz spazzò via il sacro impero romano della nazione
germanica e liberò le menti da quest'ombra del passato, che impediva
la chiara visione dell'avvenire. Napoleone sbrogliò il caos delle
centinaia di Stati che dividevano la Germania e colla formazione di
nuovi raggruppamenti distrusse lo spirito locale: l'orizzonte di ognuno
si allargò. Nello stesso tempo la mano di ferro del conquistatore
suscitava gli sdegni e faceva sorgere l'aspirazione all'indipendenza;
così il popolo tedesco prese per la prima volta coscienza di
sé.
Tale cambiamento si svolse in pochi anni; la guerra, questa grande e
dolorosa realtà, scuote profondamente le anime e trasforma rapidamente
le idee. Per dimostrarlo basta confrontare le lezioni, che Giovanni
Fichte tenne a Berlino nell' inverno 1804-1805, cioè prima della
guerra napoleonica in Germania, con quelle da lui tenute pure a Berlino
nell'inverno 1807-08, cioè dopo le vittorie francesi. Nelle prime
lezioni (e si noti che Fichte aveva già più di quarant'anni
e quindi il suo pensiero doveva già essere formato) egli si dichiara
apertamente cosmopolita ed afferma che la patria delle persone colte
é lo Stato che in quel dato momento si trova alla testa della
civiltà. Ma quando nell'inverno 1807-08 egli sentiva fuori dell'aula,
nella quale insegnava, il rumore dei tamburi francesi, allora si fece
a sviluppare tutta una educazione nazionale tedesca, a celebrare l'amore
di patria, la fede nell'eternità della nazione, nell'immortalità
di ciò che per essa facciamo e soffriamo. Egli prese ad esaltare
la Germania vantandone la superiorità su tutti gli altri paesi,
ed arrivò a dichiarare che
se lo spirito straniero é come un'ape industriosa, « lo
spirito germanico é un'aquila, che con forza solleva il suo corpo
poderoso e raccoglie sotto di sé colle ali robuste ed esperte
una grande quantità di aria per avvicinarsi al sole".
Le affermazioni orgogliose di Fichte furono come una bevanda inebriante,
che riuscì allora salutare all'animo depresso e abbattuto della
nazione tedesca, come fu salutare agli Italiani prima del 1848 I'affermazione
del Gioberti sul nostro primato. In pochi anni sotto l'oppressione straniera
si verificò quello che il Fichte disse "guarigione della
nazione". Questo periodo si può considerare come il Natale
della nuova Germania. Da quel giorno non passò anno senza che
qualche scritto, qualche fatto accennasse al cammino della nuova idealità
per modo che presto la Germania restò pervasa da uno spirito
nuovo.
Questo nuovo pensiero della nazione venne raccolto ed espresso popolarmente
da Maurizio Ernesto Arndt nell' opuscolo famoso "Il catechismo
del guerriero germanico" stampato a Pietroburgo in quel mese
di settembre del 1812, nel quale l'incendio di Mosca illuminò
il principio della ritirata napoleonica "Il catechismo del
guerriero germanico" canta le lodi della patria e della libertà:
« Sorsero in questi giorni dei saccenti freddi e meschini
che sotto il dominio della loro nequizia dicono: Patria e libertà
sono parole prive di senso, dolci suoni con cui si illudono uomini stolti;
là dove l'uomo si trova bene là é la sua patria;
là dove é meno molestato, prospera la sua libertà.
Gli uomini, che così parlano, al pari degli stupidi animali non
pensano che al ventre e alle sue voglie; non sentono lo spirare dello
spirito divino. Essi pascolano, come le bestie, solo il pasto del giorno,
e ciò che dà loro godimento considerano come unica cosa
sicura; perciò la menzogna domina nei loro vani discorsi, e il
castigo della menzogna nasce dalle loro dottrine... Patria e libertà
sono agli occhi delle anime basse un'illusione, e una stoltezza per
tutti coloro che vivono soltanto per il momento; ma per i valorosi esse
sono una forza che li innalza al cielo, e nel cuore degli uomini semplici
esse operano miracoli".
E i miracoli si videro davvero pochi mesi dopo, quando tutta la Germania
con alla testa il fiore della sua intelligenza si levò in armi
per scacciare lo straniero. Per conoscere bene i sentimenti che animavano
quella gioventù basta leggere poche linee della lettera che il
giovane poeta Teodoro Korner, i cui versi patriottici dovevano poi essere
cantati su tutti i campi di battaglia della Germania, scrisse al padre
nel momento di partire volontario per la guerra. La vita gli sorrideva
lieta: era giovane, bello, amato appassionatamente dalla sua fidanzata,
aveva ottenuto, a soli 22 anni, la carica ambitissima di poeta del teatro
imperiale a Vienna; e tutto abbandona e va a morire per la patria :
"....Voglio con piacere strapparmi a questa vita felice e libera
di affanni per conquistarmi, sia pure a prezzo del mio sangue, una patria.
Non dire che la mia é baldanza giovanile, leggerezza, smania
selvaggia. Due anni fa ti avrei permesso di dire così, ma oggi
che so quanta felicità si può pur trovare in questo mondo,
oggi che tutte le stelle della mia fortuna mi contemplano con tanta
mitezza e con sì grande benevolenza, oggi, lo giuro in nome di
Dio, é un sentimento degno che mi spinge, é la potente
convinzione che nessun sacrificio é troppo grande per il più
grande dei beni umani, la libertà dei proprio popolo. Forse il
tuo cuore paterno si illude e ti dice: Teodoro é nato a più
alti destini, egli potrebbe compiere in un altro campo cose più
grandi, più importanti, egli ha un debito da pagare all'umanità.
Ma, padre mio, ecco la mia opinione: per votarsi alla morte in prò
della libertà e dell'onore nazionale nessuno é troppo
buono, mentre molti sono troppo cattivi per ciò. Se Iddio mi
ha veramente dato uno spirito alquanto superiore al comune e che sotto
la tua guida imparò a pensare, in qual altro momento potrei meglio
farlo valere che in questo momento? Una grande epoca vuole cuori grandi...
So che tu avrai a soffrire, che la mamma piangerà; Iddio la conforti.
Questo dolore io non ve lo posso risparmiare".
Sono questi i generosi sentimenti, che si radicarono fortemente nei
cuori tedeschi e costituirono d'allora in poi una delle grandi forze
della nazione germanica.
* * *
La gioventù tedesca, che si levò in armi nel 1813 e con
tanti sacrifici riuscì finalmente a scacciare lo straniero, sognava
una patria unita, potente, rispettata, che trascinasse i suoi figli
in una marcia gloriosa verso la grandezza e la prosperità. Ma
i diplomatici raccolti nel Congresso di Vienna, invece di tener conto
dei sentimenti dei popoli, pensarono soltanto a conciliare gli interessi
dei sovrani. In mezzo alle rivalità delle due Case d'Austria
e di Prussia, che entrambe avrebbero desiderato dominare sulla Germania,
si decise di non costituire un forte potere centrale, tanto più
che esso non era voluto né dai singoli Stati tedeschi, che amavano
conservare la propria indipendenza, né dalle grandi Potenze di
Europa, che non volevano una Germania saldamente organizzata.
La Germania quindi uscì dal Congresso di Vienna (1815) molto
più divisa ancora che l'Italia. Nonostante la semplificazione
già portata dall' opera di Napoleone vi rimasero ancora 39 Stati,
assai disuguali di forza poiché a fianco dell'Austria e della
Prussia che contavano fra le grandi Potenze di Europa, vi erano dei
ducati e dei principati, che non avevano nemmeno 50 mila abitanti. Ciascuno
di questi Stati conservò intera la propria sovranità;
solo per gli interessi comuni furono uniti in una Confederazione rappresentata
da una Dieta, che si raccoglieva a Francoforte.
Data la completa indipendenza dei singoli Stati, la Dieta non era altro
che una riunione di diplomatici incaricati di riferire ai rispettivi
governi le proposte che venivano presentate e di regolarsi poi secondo
le risposte che ricevevano; ora siccome nel grande contrasto di interessi
che esisteva fra gli Stati grandi e piccoli era impossibile un accordo,
così la Dieta era destinata all' inazione, e la Confederazione
all'impotenza. Quest'organizzazione dispiacque agli uomini più
insigni del paese, che avevano ormai la visione di una Germania grande
ed una. Per attuare il loro sogno, essi dovevano naturalmente rivolgere
il pensiero ad abbattere I' ordinamento esistente. Come si cercò
di arrivarvi?
Nella meravigliosa esplosione del 1848, l'anno delle illusioni e della
poesia anche per la Germania, si credette che l'entusiasmo e la fede
fossero sufficienti per compiere la grande opera della ricostituzione
della nazionalità germanica. Con questa fiducia si convocò
a Francoforte sul Meno un Parlamento Nazionale, del quale fecero parte
gli uomini più eminenti di tutta la nazione tedesca; ed esso
attese a preparare la nuova Germania. Ma questo Parlamento non aveva
che una forza morale, così che presto finì per ridursi
ad un congresso di studiosi, che discussero teoricamente sulla nuova
organizzazione della Germania e formularono delle proposte, che i Governi
poi non accolsero, mentre il popolo da parte sua si dimostrava inerte
ad agire in antagonismo coi suoi Governi. Anzi quando nel 1849 la reazione
trionfò dappertutto, il Parlamento di Francoforte fu sciolto
colla forza. Così dopo la crisi rivoluzionaria la Germania ritornò
nelle condizioni di prima.
Ma dopo il grande sviluppo dei sentimento di nazionalità era
impossibile che la nazione tedesca si rassegnasse ancora a rappresentare
nel mondo la parte insignificante che le derivava dal suo ordinamento
politico. Anche la trasformazione economica, che si veniva effettuando,
contribuiva a rendere più vive le nuove aspirazioni. Finché
la Germania era stato un paese essenzialmente rurale con commerci assai
scarsi e con orizzonti intellettuali limitati, essa poté anche
accontentarsi della vita modesta e pacifica che la Confederazione le
assicurava; ma quando coll'introduzione delle macchine nelle industrie
e con la costruzione delle ferrovie si ebbe un rapido sviluppo di industrie
e di commerci, questa trasformazione economica del paese rese più
tangibili e più insopportabili i mille inconvenienti materiali
che risultavano dal regime politico esistente, e avviò sempre
più gli animi verso le aspirazioni unitarie.
Fra i vari Stati della confederazione predominava l'Austria; ma l'unità
germanica non poteva essere fatta dall'Austria, potenza solo in parte
tedesca e la cui esistenza stessa costituiva una contraddizione al principio
delle nazionalità. Neppure i piccoli Stati del sud o del centro
della Germania potevano avere la pretesa di compiere l'unificazione
della nazione; perciò naturalmente quanti aspiravano ad un riordinamento
nazionale della Germania rivolgevano i loro sguardi verso la Prussia.
Nel centro geografico della Germania del nord, sopra un suolo povero
e triste, era cresciuta una popolazione forte di volontà, resistente
alle più dure fatiche, resa più gagliarda dall'uso continuato
delle armi e divenuta orgogliosa per i suoi successi militari. I suoi
capi (la dinastia degli Hohenzollern) erano riusciti fin dal secolo
XVII ad aggiungere alla loro antica marca di Brandeburgo (con capitale
Berlino) il ducato di Prussia ad oriente ed i ducati renani ad occidente.
Così il loro dominio venne ad estendersi dalla Vistola al Reno,
ma era un territorio lungo e stretto e in alcuni punti interrotto da
altri domini, il che destava facilmente le cupidigie dei vicini e nello
stesso tempo suscitava nei suoi principi tutte le audacie; Federico
Guglielmo I, il padre di Federico II , soleva dire: "Noi non possiamo
affacciarci ad alcuna finestra senza l'elmo in capo".
La necessità di essere pronti per tutte le guerre, perché
avevano la certezza di esservi sempre impigliati, obbligò gli
Hohenzollern ad organizzare militarmente il paese e ad avvezzare i sudditi
ad una disciplina di ferro. Guglielmo fu chiamato il "Re sergente"
perchè governò la Prussia come una caserma.
Ma il figlio poi - pur restio in gioventù alla vita di caserma
- fu lui a trasformare
tutta la Prussia in una caserma e farla diventare "la grande Germania".
( vedi qui la BIOGRAFIA di FEDERICO II - il
"Grande" > > >
I sovrani stessi diedero per primi l'esempio di un sacrificio completo
alla cosa pubblica. Mentre gran parte dei principi d' Europa mettevano
il loro onore nel parodiare gli splendori ed i vizi della corte di Versailles,
i Prussiani riguardavano con orgoglio i loro sovrani, sempre pronti
alla fatica, economi, severi verso sé e gli altri, principi che
si vantavano di essere i primi servitori dello Stato.
Da essi la nazione del dovere si estese a tutte le classi della società
penetrando profondamente le coscienze. Questi sentimenti modellarono
le anime per modo che tutti i cittadini prussiani, dal più alto
al più umile, si sentirono come operai addetti allo stesso lavoro,
ad un comune lavoro sublime, quello di preparare la grandezza e la prosperità
dello Stato. Così l'energica volontà degli Hohenzollern
assecondata per secoli dall'abnegazione e dall' eroismo del popolo portò
la Prussia ad essere sin dal secolo XVIII una delle grandi Potenze d'
Europa.
Era una Potenza essenzialmente militare, ma essa disponeva anche di
un' ottima burocrazia, di funzionari che sorvegliavano scrupolosamente
gli interessi che erano loro affidati e portavano nell' adempimento
del loro dovere abitudini di esattezza, di ordine, di attività.
E la burocrazia prussiana iniziò I' opera dell' unità
nazionale organizzando
lo Zollverein (Lega
Doganale), per il quale, prima ancora del 1848, ben 30 milioni di Tedeschi
si trovarono uniti per interessi commerciali sotto il patronato della
Prussia e coll'esclusione dell'Austria. Era questo un avviamento verso
la soluzione del problema nazionale, e tale corrente si venne rafforzando
ogni giorno di più anche in vista dei buoni risultati materiali
dell'unione doganale.
II commercio come la letteratura, gli uomini d'affari come gli uomini
di studio, tutti spingevano verso I' unità; ma la grande opera
fu compiuta soltanto dall'esercito, il quale appunto perciò diventò
l'elemento essenziale determinante il modo di pensare e di agire del
popolo tedesco.
* * *
In questo pensiero, che cioè l'esercito dovesse essere lo strumento
essenziale per l'attuazione degli ideali della Germania, si trovarono
concordi i due maggiori artefici del grande edificio: il re ed il ministro.
Re Guglielmo I, salito al trono di Prussia nel 1861 in seguito alla
morte del fratello, era nato nel 1797; giovanetto aveva assistito alle
umiliazioni del suo paese, curvato sotto il predominio napoleonico;
ma a 17 anni aveva provato la gioia della rivincita combattendo con
le truppe prussiane in Francia ed entrando trionfalmente in Parigi a
fianco di suo padre. Si era poi applicato con ardore alle cose militari
dedicandovi tutti i suoi pensieri e i suoi studi. Aveva passato più
di quarant'anni in questa vita esclusiva di continui esercizi militari
prima di essere chiamato al trono. Egli aveva fede nella missione storica
della sua dinastia ed aveva accolto nel suo cuore il magnifico programma
nazionale delle menti più elette della sua generazione, di unificare
cioè la Germania sotto l'alta direzione degli Hohenzollern, aspirazione
che era divenuta allora più ardente in vista della fortuna raggiunta
dall' Italia in quegli anni; ma era persuaso che per attuare quest'ideale
occorreva essenzialmente la forza militare.
Sebbene, quando arrivò al trono, contasse già 64 anni,
Guglielmo I, conservava una grande energia e fermezza di carattere;
egli quindi non abbandonò il potere nelle mani dei suoi consiglieri,
ma specialmente fino al 1870 esercitò un' azione diretta nella
politica del suo governo. Non era un grande ingegno, ma possedeva la
qualità più preziosa per un sovrano, quella di giudicare
esattamente il valore degli uomini, così che riuscì a
raccogliere attorno a sé quelli che meglio potevano contribuire
al raggiungimento dei suoi scopi: prima di chiamare Bismarck alla direzione
del governo egli di sua iniziativa collocò Moltke a capo dello
Stato Maggiore e Roon al ministero della guerra, due scelte che dimostrano
nel sovrano un singolare talento di penetrazione, perché Roon
fu il mirabile organizzatore di quell'esercito, che attuò con
precisione i sapienti piani di Moltke.
Nella politica interna Guglielmo era un geloso difensore dei diritti
della Corona. Nella reazione che aveva tenuto dietro agli avvenimenti
del 1848, le costituzioni che erano state date nei vari Stati della
Germania sotto le pressioni popolari erano poi state soppresse; la Casa
degli Hohenzollern però aveva lasciato sussistere la Camera ma
con poteri assai limitati. I deputati liberali prussiani, fra i quali
si trovavano uomini di alto valore come Virchow e Mommsen, credevano
che convenisse alla Prussia rendere sempre più liberali le sue
istituzioni e la sua politica, nella speranza che la Germania finisse
per staccarsi dall'Austria assolutista e raccogliersi attorno alla Prussia;
nonostante i disinganni del 1848-49 essi consideravano la formazione
dell'unità nazionale come un problema di politica interna e confidavano
ancora nelle conquiste morali. Miravano quindi ad allargare la costituzione
prussiana, a dare al Parlamento una partecipazione più diretta
e più efficace nel potere, a trasformare la monarchia temperata
di Prussia in un governo veramente parlamentare. Guglielmo I invece
considerava come suo dovere conservare alla monarchia la sua posizione
di assoluto predominio nello Stato; perciò salendo al trono dichiarò
esplicitamente che la corona gli veniva da Dio, ch'egli voleva restare
il vero capo del suo popolo, il centro dello Stato, il signore del paese.
L'occasione, che determinò Io scoppio del contrasto fra il Re
e il Parlamento, sorse appunto quando il Governo domandò fondi
per aumentare le forze militari del paese. I deputati liberali vollero
approfittare del malcontento suscitato da queste spese militari, di
cui non appariva chiaro lo scopo, per affermare l' autorità della
Camera, e rifiutarono i crediti richiesti. I ministri, ch'erano un po'
imbevuti dell'atmosfera liberale dilatatasi ormai in gran parte d'Europa,
consigliarono al re di fare qualche concessione; ma il re Guglielmo
I si sentì urtato nel suo orgoglio dinastico. D'altra parte egli
aveva personalmente collaborato al progetto
della riforma militare ed era persuaso che esso era assolutamente necessario
per il compimento dei grandi disegni della Prussia; non volle quindi
abbandonarne alcuna parte; perciò invece di far modificare il
progetto cambiò il ministero scegliendo a dirigerlo l'uomo che
gli sembrò più adatto per far trionfare la sua politica:
il 23 settembre 1862 Ottone di Bismarck diventava presidente dei ministero
prussiano.
Era l' nomo che occorreva al re per riuscire completo, poiché
Guglielmo pur essendo deciso al conseguimento di un fine provava talvolta
dei momenti di esitazione ed aveva bisogno di qualcuno che gli forzasse
la mano, di qualcuno, che (come dice lo stesso Bismarck con frase non
troppa rispettosa) gli facesse saltare il fosso davanti al quale stava
irresoluto.
* * *
La fisionomia di Bismarck è notissima al pubblico per l'infinita
quantità di ritratti e di caricature che tutti abbiamo visto,
ma la maggior parte di essi rappresentano il grande statista dopo il
1870. Nel 1862 egli era nel fiore dell'età: aveva 47 anni. Colla
sua colossale statura (era alto m. 1,88), colle sue larghe spalle, colla
sua forte testa solidamente piantata sopra un collo vigoroso, coi suoi
occhi superbi egli dava l'impressione di salute, di forza, di coraggio.
Era nato nel 1815 a Schoenhausen nella vecchia marca di Brandeburgo
ed apparteneva ad antica nobiltà di campagna di mediocre fortuna;
aveva cominciato a figurare nella vita pubblica negli avvenimenti del
1848 facendosi conoscere come un ardente assolutista, come un audace
campione dei diritti della Corona in opposizione alla democrazia. Nel
1851 era stato mandato alla Dieta della confederazione germanica in
Francoforte come rappresentante della Prussia; vi si fece subito notare
come un nomo di forte volontà. Notissimo è l'aneddoto
del campanello all'albergo: nella stanza, che gli era stata assegnata,
non vi era campanello; egli lo aveva reclamato, ma inutilmente; un mattino
il personale dell'albergo, i forestieri, i vicini sono messi sottosopra
dal rumore di alcuni colpi di rivoltella; si corre verso la stanza donde
sono partiti coll'ansia di trovarsi di fronte a qualche tragedia, e
si trova Bismarck che con gran calma avverte d'aver adottato quel sistema
per chiamare il cameriere. Naturalmente il giorno stesso il campanello
fu messo, e nessuno fu poi servito più premurosamente di lui.
Nella Dieta di Francoforte chi presiedeva era il rappresentante dell'Austria,
il quale fra le altre prerogative personali aveva questa: egli solo
fumava durante le sedute. Un giorno Bismarck tira fuori il suo portasigari
e davanti ai colleghi stupiti estrae un grosso sigaro, domanda del fuoco
al rappresentante dell'Austria e si mette a fumare. Questo sigaro audace
diede prestigio a lui ed origine a tutto un carteggio diplomatico, poiché
gli altri rappresentanti trovarono quest' avvenimento così grave
che lo riferirono ai loro governi domandando istruzioni. I governi non
volendo decidere la cosa senza matura riflessione tardarono a rispondere,
e così per sei mesi soltanto le due maggiori Potenze della confederazione
fumarono; poi I'ambasciatore di Baviera volle salvaguardare l'onore
della sua posizione e si mise a fumare; allora poco per volta anche
gli altri tirarono fuori i loro portasigari; persino quelli che non
avevano I' abitudine di fumare si sacrificarono per la dignità
del loro ufficio. Ho ricordato quest' episodio perché esso serve
a caratterizzare la nullità di quella Dieta: tutto si riduceva
ad un duello continuo fra l'Austria e la Prussia, nel quale gli Stati
secondari favorivano ora I' una ora I' altra delle due grandi Potenze
allo scopo di paralizzarne ogni azione e così conservare la loro
indipendenza. In tal modo la confederazione germanica era ridotta all'impotenza.
Ma se non era un posto di azione, la Dieta di Francoforte era un posto
magnifico di osservazione; perciò negli otto anni passati colà
da Bismarck le sue idee politiche si formarono e si precisarono, come
ce lo dimostra la sua corrispondenza di quegli anni. Egli imparò
a conoscere bene la Germania; si persuase che la confederazione era
una cosa morta, che soltanto la Prussia poteva fare I' unità
germanica e che per attuare questo sogno bisognava espellere l'Austria
dalla Germania.
Nel 1859 Bismarck fu inviato ambasciatore a Pietroburgo, dove si accaparrò
le simpatie dello zar Alessandro Il e per riuscirvi completamente si
mise anche a parlare russo (Bismarck ebbe sempre una grande facilità
per imparare le lingue). A Pietroburgo egli cercò di tener vive
quelle disposizioni ostili all'Austria, che la Corte di Russia aveva
dopo la guerra di Crimea; appunto da Pietroburgo, nel maggio del 1859,
durante la guerra d'Italia, egli suggerì al governo prussiano
d'approfittare dell'occasione per marciare contro l' Austria. Ma a Berlino
si avevano altre viste; si temeva più Napoleone III che I' Austria,
ed il fiero contegno della Prussia non fu una delle ultime ragioni che
indussero Napoleone IlI a fermarsi a Villafranca.
Da Pietroburgo nel 1862 Bismarck venne destinato all'ambasciata di Parigi.
Qui soggiornò pochi mesi, ma gli bastarono per conoscere esattamente
l'animo ondeggiante di Napoleone III. Così quando nel settembre
del 1862 venne chiamato a dirigere il governo prussiano, egli era ben
preparato: conosceva a fondo i principali personaggi, coi quali avrebbe
poi dovuto trattare.
***
Il pubblico invece non conosceva lui e non supponeva minimamente quali
grandi disegni di politica estera si agitassero nella sua mente: lo
credeva semplicemente un reazionario pronto a qualunque colpo di stato
contro il Parlamento; perciò la sua nomina rese ancora più
grave il conflitto del governo col partito liberale.
Bismarck, pienamente concorde col suo sovrano sulla necessità
di accrescere le forze del paese, sostenne con ardore i progetti militari
già presentati ; pochi giorni dopo la sua nomina a ministro dichiarò
apertamente alla Commissione del bilancio che l'avvenire della Prussia
si doveva raggiungere non con discorsi o con associazioni, ma "col
ferro e col fuoco". La Camera urtata da queste frasi di Bismarck
dichiarò che il nuovo ministro non godeva la sua fiducia. Fu
sciolta; ma le nuove elezioni
non modificarono la situazione; così che le sessioni parlamentari
del 1863-64 furono assai tempestose.
La costituzione restò in pratica sospesa; il governo si contentò
dell'approvazione della Camera Alta e fece tutte le spese militari nonostante
i voti contrari della Carriera dei deputati. Naturalmente l'opposizione
dalla Camera si comunicò alla stampa ed al paese; Bismarck fece
limitare la libertà di stampa.
In pochi mesi egli divenne l'uomo più cordialmente odiato in
tutta la Prussia, tanto che lo stesso re Guglielmo ne rimase assai impressionato.
A questo proposito Bismarck racconta nei suoi Ricordi
un episodio assai caratteristico: Un giorno egli cercava di confortare
il re dicendogli che era pronto a continuare a governare senza maggioranza
e senza l'approvazione dei bilanci; ma il re lo interruppe dicendo;
« lo prevedo con precisione come tutto ciò andrà
a finire; là, sulla piazza del teatro, si taglierà la
testa a Lei e un po' più tardi a me." Il ministro guardò
il re e soggiunse: "Et après, sire" «
Après? après saremo morti" rispose Guglielmo. Bismarck
allora placidamente osservò: « Si, saremo morti; ma prima
o poi bisogna pur morire, e possiamo noi morire in modo migliore? »
Si vede qui la suggestione della grande idea che soverchia tutto, che
conduce ad affrontare ogni pericolo. In ciò Bismarck è
eguale al nostro Cavour. Ma quest'episodio ci fa anche rilevare la differenza
sostanziale fra i due grandi statisti, poiché Bismarck nell'ideale
dell'unità nazionale trascurò quelle libertà politiche,
di cui Cavour fu sempre geloso custode al punto da dichiarare ch'egli
preferiva la peggiore delle Camere alla migliore delle anticamere dei
sovrani.
Bismarck è il fiero Tedesco adoratore della Forza; Cavour é
I' Italiano geniale, apostolo ardente della Dea Libertà; e la
diversità d'idee tra i due uomini, che diressero il movimento
nazionale in Germania ed in Italia, influì anche potentemente
sopra il diverso ordinamento interno dei due paesi: l'Italia ebbe un
governo parlamentare, mentre in Germania il Reichstag non riuscì
mai ad essere il potere predominante.
I quattro anni, dal settembre 1862 (quando assunse il potere) al luglio
del 1866 (alla battaglia di Sadowa, anzi fino al trattato di Nikolsburg)
rappresentano nella vita di Bismarck il periodo più agitato:
egli aveva contro di sé non solo il Parlamento e una gran parte
della stampa, ma anche la diplomazia, la corte, la regina Augusta, il
principe ereditario Federico: e doveva ogni giorno assicurarsi che il
re non finisse per cedere a tante pressioni contrarie.
I primi due problemi di politica estera, ch'egli dovette affrontare,
furono quelli riguardanti la rivoluzione polacca del 1863 e la questione
dei ducati danesi, ed egli seppe servirsi del primo per risolvere il
secondo a vantaggio della Prussia. Comprendendo che per i suoi disegni
contro la Danimarca gli occorreva assicurarsi la connivenza della Russia
si affrettò a dare ad Alessandro II una grande dimostrazione
d'amicizia aiutandolo a reprimere l'insurrezione polacca, e quest' amicizia
tornò tanto più gradita allo zar di fronte al contegno
ostile di tutto il resto d'Europa.
Per impedire poi che nella questione danese l'Austria prendesse la parte
di rappresentante dei
mondo tedesco egli (che in cuor suo aveva già deciso di combattere
l'Austria per escluderla dalla Germania) non esitò a combinare
con essa un'azione comune. Del resto il suo ideale in politica estera
(lo dichiarò egli stesso) fu sempre l'indipendenza da ogni sentimento
di simpatia o d'avversione per qualsiasi paese straniero. "Fra
i paesi stranieri io non ho sentito simpatia che per l' Inghilterra;
ma se mi si proverà che la politica prussiana lo esige, farei
tirare le nostre truppe sulle truppe inglesi colla stessa soddisfazione
come sulle francesi, sulle russe e sulle austriache" .
Non nomina in questa lettera le truppe italiane non perché egli
provasse maggiore simpatia per il nostro paese, ma perché queste
parole furono da lui scritte prima del 1859, prima cioè che l'
Italia contasse fra le Potenze d'Europa.
Quest'alleanza della Prussia coll'Austria indignò i liberali
prussiani; essi rifiutarono i crediti domandati per la guerra. In quell'occasione
Bismarck attaccò violentemente Virchow dicendo: « Virchow
mi ha accusato di non avere alcuna idea di una politica nazionale; io
posso rinviargli il suo rimprovero sopprimendo l'aggettivo; egli non
comprende nulla in politica.» Nonostante il voto contrario
della Camera prussiana la guerra ebbe luogo (1864), e la Danimarca dovette
rinunziare a favore delle due Potenze vincitrici al Lauemburgo, all'Holstein
ed allo Sleswig, cioè a quei territori, che fornendo alla Germania
la meravigliosa rada di Kiel e dandole poi modo di condurre un canale
dal Baltico al Mare del Nord dovevano preparare le condizioni necessarie
per una grande Potenza marittima.
Gli avversari di Bismarck dicevano: Bel modo di scacciare l'Austria
installandola anche in una parte dei ducati del Nord. Ma Bismarck sapeva
che la comunanza di possesso é sorgente feconda di conflitti
facili a suscitare; e quando si volle procedere alla divisione fra i
due vincitori Bismarck condusse le trattative in modo tale da inasprire
i rapporti e rendere inevitabile la guerra.
In tutte le guerre egli riuscì sempre con un' abilità
diplomatica veramente geniale ad isolare il nemico. Nell'ottobre del
1865 si recò a trovare Napoleone Ill che villeggiava a Biarritz
(presso Baiona); gli manifestò la necessità per la Prussia
di scacciare l'Austria dalla Germania e di stringersi perciò
coll'Italia, che avrebbe potuto ottenere il Veneto; e fece balenare
dinanzi alla mente dell'imperatore dei Francesi vaghe speranze di vantaggi
in un riordinamento tedesco. Napoleone III, che incominciava ad essere
un po' malandato in salute, non prese una posizione decisa; manifestò
le sue simpatie per il principio di nazionalità, ma non assunse
alcun impegno formale. Egli credeva che la guerra sarebbe riuscita difficile
alla Prussia e sarebbe andata per le lunghe; pensava quindi che la Francia
avrebbe avuto tempo d'intervenire al momento opportuno, d'imporre la
sua mediazione e di farsi dare un compenso. li ministro tedesco quando
si fu persuaso che il governo francese non si sarebbe opposto alle sue
mosse fu lieto di non essere costretto a precisare meglio le sue proposte,
e appena ritornato a Berlino assunse verso l'Austria un contegno ancora
più provocante di prima.
L'imperatore Francesco Giuseppe fece domandare a Bismarck se con questo
contegno aveva intenzione di romperla coll'Austria; al che Bismarck
rispose: "No; ma se avessi davvero quest' intenzione, potrei io
rispondere diversamente?"
In realtà proprio in quei giorni egli stava concludendo l'accordo
con l' Italia. II generale Alfonso La Marmora, che era allora presidente
del consiglio dei ministri del regno d'Italia, sollecitato da Bismarck
mandò a Berlino il generale Govone sotto il pretesto di studiare
il sistema delle fortificazioni, ma effettivamente per concludere I'
alleanza: I'8 aprile 1866 fu firmato a Berlino un trattato segreto fra
l'Italia e la Prussia.
L'Austria comprendendo d'essere minacciata da due parti cominciò
a prendere qualche provvedimento di difesa, il che fornì argomento
a Bismarck per denunziare l'Austria come provocatrice e per prepararsi
apertamente alla guerra. Anche I' Italia affrettò i suoi preparativi.
In simili circostanze l'Austria fece offrire all'Italia per mezzo di
Napoleone III la cessione dei Veneto, purché essa abbandonasse
I' alleanza colla Prussia; ma Vittorio Emanuele volle mantenersi fedele
all'impegno assunto. Allora Bismarck credette opportuno di precipitare
le cose: nel giugno 1866 si iniziarono le ostilità.
Questa guerra fu essenzialmente voluta da Bismarck, che la giudicava
necessaria per risolvere il vecchio contrasto coll'Austria: il re Guglielmo
era sempre stato molto perplesso; la regina Augusta e il principe ereditario
Federico erano addirittura contrari; anche gran parte dell'opinione
pubblica in Germania era ostile a quest'impresa.
Essa non si presentava facile, perché oltre all'Austria la Prussia
doveva combattere gli Stati tedeschi della confederazione, i quali,
comprendendo che la vittoria della Prussia e l'esclusione dell'Austria
dal mondo germanico avrebbero necessariamente diminuito la loro indipendenza,
si dichiararono per l'Austria. Ma questi Stati erano scarsi di forze
e si dimostrarono fiacchi e lenti nei loro preparativi per modo che
la Prussia riuscì presto a metterli fuori causa; d'altra parte
I' Austria dovette destinare una parte delle sue forze alla difesa dei
Veneto contro gli Italiani, cosi che non poté raccogliere in
Boemia che un esercito di 250 mila uomini sotto il comando del generale
Benedek, mentre i Prussiani vi entravano con più di 300 mila
uomini.
Appunto in questa guerra si incominciò a constatare l'importanza
decisiva delle ferrovie per l'azione militare; l'Austria per trasportare
le sue truppe dalla Moravia e dalla regione al nord di Vienna in Boemia
non aveva che una sola linea ferroviaria, così che la massima
parte dei soldati dovette recarvisi per via ordinaria, mentre la Prussia
poteva disporre verso la Boemia di sei linee ferroviarie.
Il 1° luglio il generale Benedek essendosi accorto della grande
superiorità che il nemico aveva su di lui e dei vantaggi che
ad esso derivavano dal nuovo fucile ad ago perdette ogni fiducia in
sé e nel suo esercito e telegrafò all'Imperatore «
Prego caldamente V. M. concludere ad ogni costo la pace. Catastrofe
per l'esercito inevitabile ». A Francesco Giuseppe parve
strana la proposta di chiedere la pace al nemico prima d' una battaglia
decisiva; lontano dal luogo degli avvenimenti non poteva comprendere
come il suo generale fosse sicuro della sconfitta; rispose quindi: "Concludere
la pace impossibile. Ordino, se non si può altrimenti, che si
intraprenda la ritirata nel massimo ordine. Ebbe luogo una battaglia?"
Per questa domanda, colla quale si chiudeva il dispaccio imperiale,
Benedek si credette moralmente obbligato a dare una battaglia prima
di battere in ritirata. Il 3 luglio, nei dintorni di Kònigràtz
e di Sadowa, ebbe luogo lo scontro dei due eserciti: la disfatta degli
Austriaci fu completa.
Il re Guglielmo ed i generali prussiani nell'ebbrezza della vittoria
volevano spingere le cose all'estremo e proseguire la marcia su Vienna.
La tentazione era forte e seducente, ma Bismarck seppe resistere, perché
pensava all'avvenire: egli non voleva umiliare troppo l'Austria, né
dar tempo a Napoleone IlI di armarsi e d'imporre la sua mediazione.
Raccomandò perciò al suo sovrano di far subito la pace
a condizioni moderate, ma non riuscì a convincere né Guglielmo
né il consiglio di guerra; quei generali volevano sfruttare il
loro trionfo ed entrare in Vienna. Disperato di non essere riuscito
a persuaderli Bismarck provò tanto dolore, che rientrato nella
sua stanza si buttò sul letto e pianse. Questa crisi in quell'uomo,
che non sapeva che cosa fossero le lacrime, é assai caratteristica;
essa ci dimostra quale immensa importanza avesse tale decisione nel
suo programma. Superato questo momento di sconforto pensò d'esporre
per iscritto in un rapporto al re il suo ragionamento minacciando anche
di rassegnare le sue dimissioni; ma il repersistette nell'idea che bisognava
trarre il massimo guadagno dalle vittorie dell'esercito. Il principe
ereditario però era stato scosso dall'insistenza di Bismarck;
andò a trovarlo e gli disse: "Ella sa che io fui contrario
alla guerra coll'Austria; Ella la giudicò necessaria e ne porta
la responsabilità; ora Ella é persuaso che lo scopo é
raggiunto e che debba farsi la pace; io sono pronto ad appoggiare la
sua opinione presso mio padre". Si recò dal re e ritornò
una mezz'ora dopo dicendo: "La cosa é stata difficile,
ma finalmente mio padre ha acconsentito".
Ed il consenso era espresso in quest' annotazione a lapis fatta sul
margine del rapporto di Bismarck: «Dacché il mio presidente
dei ministri mi lascia nell'imbarazzo dinanzi al nemico, ed io non sono
qui in grado di sostituirlo, ho discusso la questione con mio figlio,
e siccome questi si é schierato dalla parte del presidente dei
ministri, mi vedo costretto, con mio dolore, dopo così splendide
vittorie dell'esercito, a mandar giù questo boccone amaro e ad
accettare una pace tanto vergognosa ».
Veramente la pace segnata nei preliminari di Nikolsburg era tutt'altro
che vergognosa per la Prussia, poiché l'Austria oltre al pagamento
di un'indennità cedette alla Prussia i suoi diritti sui ducati
danesi, riconobbe sciolta la confederazione germanica del 1815 e lasciò
carta bianca alla Prussia per il nuovo ordinamento della Germania rinunziando
a parteciparvi e abbandonando al loro destino gli Stati tedeschi, ch'erano
stati suoi alleati. Per la fretta di concludere e per impedire l'opera
di mediazione offerta da Napoleone III Bismarck non si curò di
far partecipare l'Italia alle trattative, così che il nostro
governo apprese con dolore la notizia di questi preliminari conclusi
senza il suo intervento; ma Bismarck con molta disinvoltura dichiarò
ch'egli aveva semplicemente promesso d'aiutare l'Italia ad ottenere
il Veneto, e che tale cessione era stata accordata. Se non si accettavano
i patti fissati, tutte le forze dell'Austria, rese audaci dalle vittorie
che essa aveva riportato sopra di noi, potevano ad un tratto piombare
nella penisola.
Gli Italiani quindi dovettero subire le condizioni stipulate e adattarsi
all'umiliazione di ricevere il Veneto attraverso la mediazione di Napoleone
III. che volle rappresentare almeno questa parte nel grande avvenimento
svoltosi senza il suo intervento.
L'esito della guerra del 1866 mutò l'avversione del popolo prussiano
per Bismarck in una vera ammirazione, ed egli se ne valse per far la
pace col Parlamento, per regolarizzare il passato con un bill
d'indennità. Ormai egli può procedere innanzi più
facilmente; gli anni più difficili sono passati; egli ha fede
sicura nel successo, e la Prussia e la Germania hanno fede in lui.
Egli attese anzitutto alla nuova organizzazione della Germania. Coll'uscita
dell'Austria dal mondo germanico cessò quella rivalità
fra le due grandi Potenze, che aveva tenuto in piedi la divisione della
Germania; finì quel dualismo, sul quale i piccoli Stati giocando
d'altalena avevano potuto conservare la loro indipendenza.
La Potenza predominante in Germania restò la Prussia. Essa ottenne
un notevole ingrandimento territoriale. Anzitutto le vennero assegnati
i ducati strappati alla Danimarca con la riserva "che le popolazioni
delle province settentrionali dello Sleswig saranno di nuovo unite alla
Danimarca purché ne esprimano il desiderio con un voto liberamente
emesso », Bismarck però unì quei territori
alla Prussia senza curarsi di interrogare le popolazioni; più
tardi anzi per togliere ogni pretesto ad agitazioni approfittò
delle buone relazioni ristabilite con l'Austria dopo il congresso di
Berlino ed indusse questa Potenza ad abrogare formalmente questo articolo
del trattato di pace.
Quanto agli Stati tedeschi, ch'erano stati alleati dell'Austria, la
Prussia tolse loro i territori che più le accomodarono; ed anche
qui l'annessione avvenne per solo diritto di conquista, senza domandare
il parere delle popolazioni. Il re di Annover e l'Elettore di Assia
Cassel, privati di tutti i loro dominii, pubblicarono delle proteste
violente, che parvero un vero grido di guerra. Allora Bismarck stigmatizzò
i Coriolani che volevano lacerare il seno della madre aggiungendo che
«tutte le donne di Cassel e della Germania non sarebbero in
grado di riconciliarli con la patria, come fecero le donne di Roma »;
fece deliberare il sequestro del patrimonio del re di Annover e dei
beni dell'Elettore di Assia e autorizzare il Governo a disporre degli
interessi di tali capitali per sorvegliare gli agenti di questi principi,
per perseguitare (com'egli disse) questi rettili maligni
persino nelle loro tane. Così si costituì un grosso fondo
per le spese segrete che servì poi al governo prussiano per comperare
la stampa, donde il nome di rettili passò
ai giornalisti ministeriali.
Coll'occupazione di questi e di altri territori la Prussia diventò
uno Stato più compatto, padrone delle coste del mare del Nord,
e la sua popolazione salì da 19 milioni di abitanti a 24 milioni:
si trovò quindi in grado di esercitare sul resto della Germania
un'attrazione irresistibile.
Nel trattato di pace l'Austria aveva dichiarato di non opporsi alla
formazione di un'unione federale più stretta fra gli Stati al
nord del Meno: si trattava di 21 Stati, che fra tutti contavano appena
sei milioni di abitanti e che dovevano raccogliersi attorno al Regno
di Prussia. Essi quindi non poterono far altro che inchinarsi al predominio
prussiano. Questa Confederazione del Nord fu molto diversa dall'antica:
i singoli Stati conservarono bensìi loro governi, ma riconobbero
nello stesso tempo l'autorità suprema del governo federale. Bismarck
aveva raccomandato a chi preparava la costituzione di mantenere nelle
apparenze una confederazione di Stati, ma di adoperare dei termini elastici
che dessero modo di poter poi nella pratica accostarsi allo Stato Federale:
questa frase caratterizza appunto l'organizzazione della Germania. Infatti
furono lasciate ai singoli Stati attribuzioni assai larghe, ma essi
le possiedono soltanto fino a che il governo federale non giudichi necessario
attribuirsele. Questo governo federale é presieduto dal re di
Prussia con carattere ereditario, ed egli esercita i suoi poteri per
mezzo del Cancelliere. Oltre al Presidente il Governo Federale comprende
un Consiglio Federale (Bundesrat) ed un'assemblea elettiva (Reichstag).
Il Bundesrat, composto dei delegati dei singoli Stati, funzionari dei
governi, si può considerare come la continuazione della Dieta
di Francoforte.
Di fronte a questo Consiglio Federale, che rappresenta gli interessi
dei principi, Bismark creò un'assemblea (Reichstag) eletta a
suffragio universale, non certo per simpatie per le idee liberali, ma
perché giudicò il popolo tedesco di tendenze più
nazionali che i principi; egli dubitava che questi conservassero aspirazioni
regionali: volle quindi servirsi del popolo per vincere le resistenze
feudali e particolariste dei principi. La creazione di quest'assemblea
costituiva una soddisfazione data alla democrazia, ma nel pensiero di
Bismarck essa era essenzialmente il modo infallibile per rompere il
regionalismo, per provocare un'irresistibile corrente nazionale e vincere
le resistenze, che l'egoismo locale avrebbe potuto tentare contro il
progresso dell'unificazione.
Pur ammettendo una Camera a suffragio universale Bismarck non intese
affatto di dotare la Germania d'un regime parlamentare. II Reichstag
esercita semplicemente un'azione moderatrice nel governo, esprime dei
voti, ma non ha alcuna azione precisa ed effettiva; non ha davanti a
sé un ministero responsabile, ma soltanto il Cancelliere, un'autorità
troppo alta perché un voto del Reichstag
possa farlo cadere. D'altra parte le due Assemblee, essendo di origine
così diverse, non possono trovarsi unite contro il governo; Bismarck
pensava appunto che il Bundesrat, naturalmente
aristocratico e monarchico, avrebbe servito per frenare le mire democratiche
e parlamentari dei deputati e che il Reichstag, organo dell'opinione
pubblica, avrebbe
giovato a vincere le resistenze particolariste dei governi. Così
tra queste due Assemblee di tendenze necessariamente opposte l'autorità
effettiva sarebbe appartenuta al Presidente, cioé al re di Prussia.
Rimanevano fuori di questa Confederazione del Nord i quattro Stati del
Sud, cioè Baviera, Wúrtemberg, Baden e Assia-Darmstadt;
essi erano stati alleati dell'Austria nella guerra e dovettero alla
conclusione della pace cercare d'accordarsi col vincitore, il quale
però si dimostrò abbastanza generoso accontentandosi del
pagamento di un 'indennità e di una rettifica di frontiera. Nei
preliminari di Nikolsburg si era detto che questi quattro Stati avrebbero
avuto il diritto di formare una Confederazione germanica del Sud con
una posizione internazionale indipendente. Era questa l'idea fissa di
Napoleone III il quale credeva che la divisione della Germania in tre
parti: confederazione del Nord, confederazione del Sud ed Austria avrebbe
assicurato la Francia. Ma nell'accarezzare questa soluzione del problema
germanico si ingannò, come si era ingannato a Villafranca nel
credere possibile in Italia una confederazione: si ingannò perché
non conosceva bene il cammino fatto dal sentimento nazionale negli ultimi
anni, e perché trovò anche in Germania lo statista che
seppe sventare i suoi disegni approfittando subito di una sua mossa
sbagliata.
Dopo i preliminari di Nikolsburg Napoleone III, che sentiva il malcontento
dell'opinione pubblica francese per l'ingrandimento della Prussia, desiderava
ottenere qualche compenso sul Reno; credendo che il re di Prussia non
avrebbe avuto difficoltà a cedergli qualche territorio dei principi,
che avevano fatto causa comune coll'Austria, domandò le province
renane della Baviera e dell'Assia. Bismarck, che ormai finita la guerra
si sentiva sicuro, non solo rifiutò con alterigia di cedere qualsiasi
parte di territorio tedesco, ma si servì di queste velleità
annessioniste della Francia per spaventare gli Stati del sud; dichiarò
che soltanto la Prussia poteva proteggerli purché si attaccassero
alla sua politica, ed essi si indussero a concludere separatamente col
governo prussiano dei segreti trattati di alleanza. Così gli
Stati del sud legarono le loro armi e la loro politica alle armi ed
alla politica della Prussia. Bismarck poi con la riorganizzazione dello
Zollverein strinse gli Stati del sud al nord anche per gli interessi
commerciali.
* * *
Ma a questo punto il movimento d'unione parve fermarsi. In fondo le
popolazioni del sud con i trattati conclusi avevano ormai la sicurezza
politica ed i vantaggi economici dell'unione; non sentivano quindi il
bisogno di legarsi in modo più stretto: i governi per il desiderio
di difendere la loro sovranità, i popoli per un po' di antipatia
per il predominio prussiano. Nel 1869 l'illustre storico Ferdinando
Gregorovius trovandosi a Monaco scriveva nei suoi Diari: «
Mi sembra che il prussianesimo berlinese incuta spavento nel sud, e
ciò durerà certo ancora molto ». A precipitare
le cose, ad abbattere la barriera che divideva ancora il sud dal nord,
Bismarck pensò che occorreva suscitare una questione che risvegliasse
le passioni e trascinasse con sé principi e popoli, che bisognava
far sorgere una grande guerra d'interesse nazionale, dinanzi alla quale
le piccole rivalità locali svanissero; perciò volle e
preparò la guerra contro la Francia, contro quello ch'era detto
il nemico ereditario. E qui dobbiamo fermarci un momento sopra la notissima
accusa di falso, che venne fatta a Bismarck a proposito del così
detto dispaccio di Ems.
Come é noto, la candidatura di un Hohenzollern (Leopoldo) cugino
del re di Prussia al trono di Spagna aveva suscitato un grande sdegno
in Francia; il governo francese protestò; ed il re di Prussia,
dopo aver dichiarato che si trattava d'un semplice affare di famiglia
che non riguardava affatto il governo di Prussia, promise come capo
della famiglia Hohenzollern che se suo cugino ritirava la sua candidatura
egli lo avrebbe approvato; e poiché il principe Leopoldo rinunziò,
parve scongiurato ogni pericolo di guerra. Ma il governo francese pretese
ancora che il re Guglielmo assicurasse che quella candidatura non verrebbe
più ripresentata. Guglielmo I si trovava allora ai bagni di Ems
(presso Coblenza); rimase indispettito di questa insistenza; perciò
quando l'ambasciatore francese Benedetti domandò una nuova udienza
per apprendere la decisione del re su quest'ultima richiesta del suo
governo, gli fece dire dal suo aiutante di campo che colla rinunzia
del principe Leopoldo egli considerava l'affare finito e che non aveva
più nulla da aggiungere; poi telegrafò a Bismarck le circostanze
di quest'ultimo episodio.
Bismarck era a Berlino ed aveva passato quella giornata (13 luglio 1870)
in una grande ansietà, perché vedeva sfuggirgli di mano
l'occasione di questa guerra da lui giudicata indispensabile per compiere
l'unità germanica. Aveva invitato a pranzo Moltke e Roon e parlava
con essi della situazione quando arrivò il dispaccio reale di
Ems. Alla prima lettura i tre commensali provarono un senso di costernazione,
poiché sembrò ad essi che l'affare fosse finito; ma Bismarck
rileggendo il dispaccio fermò la sua attenzione sulle ultime
linee, nelle quali il re dichiarava di rimettersi in lui per decidere
se le nuove esigenze del governo francese ed il rifiuto opposto dovevano
essere comunicate ai rappresentanti della Prussia all'estero ed alla
stampa; il re così gli forniva il mezzo di riaprire la questione.
Bismarck domandò a Moltke se l'esercito era pronto, e Moltke
rispose energicamente di sì soggiungendo che bisognava aprir
subito le ostilità per essere superiori al nemico. Allora Bismarck
facendo delle cancellazioni nel dispaccio ridusse le 232 parole di esso
a solo cento parole, e così diede al rifiuto del re di continuare
le trattative una forma più asciutta e più altera sopprimendo
le spiegazioni che gli toglievano ogni carattere ingiurioso. In realtà
questo riassunto non é falso e neppure inesatto, soltanto fa
un'impressione diversa. Del resto il dispaccio di Ems non creò
la guerra tra la Francia e la Germania; essa era ormai inevitabile;
questo dispaccio servì soltanto a farla scoppiare nel momento
propizio per la Germania.
Napoleone III, sempre più malandato in salute e fatalista all'eccesso,
si lasciò trascinare alla dichiarazione di guerra dai consigli
dei suoi ministri, che credevano alla possibilità di stringere
alleanza con l'Austria e con l'Italia e gli dichiaravano risolutamente
che l'esercito era pronto e fornito di tutto, e dai suggerimenti dell'imperatrice,
che pensava soprattutto a suo figlio e desiderava che il nuovo regno
si inaugurasse sotto il prestigio di grandi vittorie. Invece le alleanze
coll'Austria e con l'Italia fallirono, sia perché Napoleone III
per non disgustare il partito clericale non volle ritirare le sue truppe
da Roma, sia per il contegno della Russia, poiché lo zar per
le promesse fattegli da Bismarck di lasciargli carta bianca in Oriente
minacciò d'attaccare l'Austria se ci fosse mossa contro la Prussia.
Anche questa volta, come nelle due guerre precedenti, Bismarck riuscì
ad isolare completamente il nemico. L' Inghilterra si limitò
a dichiarare che considererebbe come causa di guerra qualunque violazione
della neutralità e dell'indipendenza del Belgio; e poiché
questa violazione non avvenne, si mantenne neutrale.
Il governo francese sperava che gli Stati della Germania del sud e specialmente
la Baviera, gelosi del predominio prussiano, si sarebbero o alleati
con la Francia (come ai tempi napoleonici) o almeno mantenuti neutrali;
ma la vecchia Germania, sulla quale Napoleone III faceva assegnamento,
non esisteva più; i pochi, ch'erano malcontenti della nuova organizzazione,
restarono paralizzati dalla corrente generale dell' opinione pubblica.
Tutta la Germania marciò concorde contro la Francia, e con la
grande superiorità della sua organizzazione militare schiacciò
completamente l'antico rivale, catturando perfino l'Imperatore francese.
Bismarck, persuaso (per dirla con una sua frase. che farà poi
fortuna delle guerre di fine e inizio anno 2000) che "quest'operazione
chirurgica" fosse necessaria per risanare le vecchie malattie ereditarie
tedesche, non permise che la guerra venisse evitata, la volle subito,
rapida, senza misericordia. Verso l'Austria egli pensando all'avvenire
aveva insistito perché lo Prussia vincitrice fosse indulgente,
ma verso la Francia ogni indulgenza é per lui un errore, il germe
di future rivincite. Nello guerra dei 1870 Bismarck si dimostrò
veramente brutale. Un giorno il ministro francese Giulio Favre si lagnava
con lui che le artiglierie tedesche dinanzi a Parigi facessero fuoco
sugli ammalati ricoverati nell'Istituto dei Ciechi; e Bismarck sorridendo
rispose: « Non so che cosa Ella ci trovi di tanto crudele; da
parte vostra fate ben peggio; sparate sui nostri soldati che sono....
tutti giovani..... sani..... ed utili uomini".
Sui campi di battaglia francesi, in mezzo all'entusiasmo della vittoria,
le piccole rivalità fra il Nord ed il Sud scomparvero e si suggellò
l'unità germanica. Si incominciò a parlare della nuova
unione da sostituirsi ai particolari trattati di alleanza e si prese
per base lo confederazione del Nord ; in sostanza gli Stati del Sud
entrarono nella confederazione. Era naturale che il compimento dell'unità
venisse consacrato con la restaurazione di quell'impero germanico, il
cui ricordo era tanto radicato nel cuore della nazione.
Veramente il re Guglielmo I non aveva alcun desiderio di cambiar titolo:
era vecchio (contava già 73 anni), ascoltava volentieri le lamentele
dei conservatori contro le novità e provava un po' di malinconia
a mettere in seconda linea il titolo di re di Prussia; Bismarck più
giovane e più capace di rinnovellarsi aveva accolto facilmente
l'idea imperiale; ma chi ne era addirittura entusiasta era il principe
ereditario Federico.
Si stabilì la cerimonia per il 18 gennaio 1871, anniversario
del giorno in cui 170 anni prima Federico I degli Hohenzollern aveva
cinto per la prima volta lo corona regia di Prussia; ed anche in questa
occasione si volle riaffermare il trionfo della forza. La proclamazione
dell'impero germanico non ebbe luogo né a Berlino, la vecchia
capitole degli Hohenzollern, né ad Aquisgrana presso la tomba
di Carlomagno, né in alcun'altra delle città tedesche
che potevano richiamare cari ricordi nozionali; la si fece invece a
Versailles nella grande galleria degli specchi di quel palazzo reale,
dal quale Luigi XIV aveva dettato legge all' Europa, per unire per sempre
al nome stesso dell'impero tedesco il ricordo dell'umiliazione inflitta
alla Francia.
Bismarck anzi credette che per completare l'unità tedesca fosse
necessario strappare alla Francia le province dell'Alsazia e della Lorena;
ma con questa forzata annessione egli fece sorgere una nuova questione
internazionale. Nella protesta, redatta in quei giorni da Leone Gambetta
e sottoscritta da 107 deputati (fra i quali figura Clemenceau), si affermano
in modo evidente le dolorose conseguenze di questo atto di violenza:
- « L'Europa non può permettere né ratificare l'abbandono
dell'Alsazia e della Lorena. Custodi delle regole della giustizia e
del diritto delle genti le Nazioni civilizzate non saprebbero restare
più o lungo insensibili alla sorte della loro vicina sotto pena
di essere a loro volta vittime degli attentati che esse avrebbero tollerato...
L'Europa moderna deve per la sua propria conservazione interdire simili
abusi di forza. Essa sa d' altra parte che l'unità dello Francia
é, oggi come per il passato, una garanzia dell'ordine generale
del mondo, una barriera contro lo spirito di conquista e d'invasione.
La pace fatta al prezzo di una cessione del nostro territorio non sarebbe
che una tregua rovinosa e non una pace definitiva. Essa sarebbe per
tutti una causa d'agitazioni intestine una provocazione legittima e
permanente alla, guerra.
Queste province strappate alla Francia non furono da Bismarck annesse
alla Prussia, ma dichiarate paese dall'impero (Reichsland)
e messe sotto il diretto potere del governo imperiale, per non mescolare
alle questioni politiche delle questioni dinastiche, ed anche perché
egli giudicava più facile che gli Alsaziani si famigliarizzassero
col nome di Tedeschi che con quello di Prussiani. Mentre nelle altre
regioni si doveva cercare di cancellare il regionalismo, in Alsazia
bisognava anzitutto rinforzarlo: -"quanto più ---
diceva Bismarck --- gli abitanti dell'Alsazia si sentiranno Alsaziani,
tanto più smetteranno il francesismo". Col proposito
di procurare la rigermanizzazione del paese si fondò in Strasburgo
una grandiosa Università tedesca; ma tutti questi tentativi riuscirono
vani, ed oggi la questione dell'Alsazia-Lorena (1919 ndr.) é
più viva che mai.
* * * Dopo
aver fondato l'impero Bismarck attese a radicarlo saldamente nelle leggi,
nei costumi, nelle abitudini tedesche. Questa seconda parte dell'opera
sua non è meno interessante, ma in generale vi ci si ferma poco
l'attenzione, perché la prima, l'opera di ferro e di sangue,
è più clamorosa.
Anche nelle riforme interne Bismarck fece conoscere di non avere preoccupazioni
teoriche; dichiarava apertamente il suo disdegno per le teorie e canzonava
Gladstone, il grande campione del liberalismo, dicendolo il
professore Gladstone. Egli aveva un' antipatia cordiale
per i professori, sempre troppo teorici a suo giudizio; eppure erano
stati quei professori tedeschi pieni di teorie, che avevano creato l'ambiente
necessario per l'attuazione della sua politica.
Indifferente per le teorie egli variò la sua azione a seconda
delle circostanze. Fino al 1866 era stato con i conservatori, anzi con
i reazionari più accaniti; ma nella grande trasformazione, che
la guerra del '66 portò in Germania, i conservatori si trovarono
presto a disagio, videro intaccati gli ultimi avanzi del loro potere
e delle loro abitudini; e allora Bismarck ricercò la collaborazione
dei liberali per attuare la nuova organizzazione dei paese. In pochi
anni, specialmente dopo il 1870, tutto fu riformato: amministrazione,
giustizia, finanza, mentre i cinque miliardi pagati dalla Francia procuravano
uno sviluppo rapidissimo di tutte le iniziative.
I conservatori, urtati da tante riforme, non nascondevano il loro malumore
e cercavano di fermare il movimento servendosi della loro influenza
personale a Corte. Ma un'opposizione più forte e più decisa
fu quella dei cattolici. In Prussia i cattolici erano una minoranza
trascurabile, ma nell'impero sopra i 40 milioni di abitanti d'allora
si contavano 14 milioni di cattolici, gran parte dei quali rappresentavano
anche sentimenti particolaristi di alcune regioni. In generale poi il
clero cattolico era dispiacente che la corona imperiale fosse toccata
ad una dinastia protestante, tanto più che questa non solo non
aveva voluto saperne d'accogliere l'invito di intervenire in Italia
per ristabilire il potere temporale, ma difendeva anche con energia
i diritti dello Stato di fronte alla Chiesa. Questo partito cattolico
assunse un none senza significato politico (frazione del Centro),
ma fece capire chiaramente i suoi intendimenti scegliendo a suo capo
il deputato Windthorst, che e era già fatto conoscere per il
più formidabile avversario parlamentare di Bismarck.
Così si iniziò quella lotta, che il grande scienziato
Virchow appellò Kulturkampf (lotta per la civiltà).
Nelle discussioni sopra quest'argomento Bismarck pronunziò i
suoi migliori discorsi. Bismarck non fu un grande oratore, anche perché
non sentiva il bisogno di persuadere ; sapeva d'avere la forza ed il
potere e ciò gli bastava. I suoi discorsi sono in generale troppo
lunghi, non bene ordinati, un po' confusi, ma qualche volta il suo pensiero
finisce per districare; così in un discorso del 1873 a propoeto
delle nuove leggi ecclesiastiche da lui proposte chiarì molto
bene la situazione : "Non si tratta già, come si vuole
dare ad intendere ai nostri concittadini cattolici, della lotta di una
Dinastia evangelica contro la Chiesa cattolica, non si tratta della
lotta per la fede o la irreligiosità; si tratta dell' antichissima
lotta per il potere, antica come il mondo, della lotta fra monarchia
e sacerdozio, lotta assai più antica della comparsa sulla scena
del nostro Redentore, lotta in cui si trovava Agamennone in Aulide con
i suoi auguri e che costò a lui la figlia e impedì ai
Greci di salpare, lotta che ha riempito la storia germanica dei medio
evo sotto il nome di lotta dei Papi cogli Imperatori... Lo scopo che
balenò sempre senza interruzione dinanzi agli occhi del Papato
è l'asservimento dei potere laico allo spirituale, uno scopo
eminentemente politico... È uno spostamento della questione,
calcolato per fare effetto sulla gente senza giudizio, il raffigurarla
come se e trattasse di opprimere la Chiesa. Si tratta di difendere lo
Stato, si tratta di delimitare fin dove deve arrivare la signoria sacerdotale
e fin dove quella del re"
.
Coi temperamento di Bismarck e arrivò presto agli estremi: quasi
tutti i vescovati si trovarono vacanti, perché i loro titolari
erano o in prigione o in esilio. Alle persecuzioni del governo rispose
il linguaggio sempre più violento della stampa cattolica, e a
questo tenne dietro un attentato: il 13 luglio 1874 un fanatico tentò
d'uccidere con un colpo di pistola Bismarck, che restò soltanto
leggermente ferito. Nonostante le minacce e i pericoli Bismarck continuò
la lotta. Nel 1875 i giornali tedeschi interpreti del suo pensiero dichiararono
di rimpiangere che il papa non fosse più un sovrano temporale,
perché in tal caso alle sue scomuniche si sarebbe potuto rispondere
come aveva fatto Napoleone I, facendo cioè sbarcare a Civitavecchia
un corpo di soldati, che si sarebbero impadroniti di Pio IX e lo avrebbero
condotto prigioniero in qualche fortezza della Germania, dove egli avrebbe
avuto modo di riflettere sulla validità delle leggi tedesche.
Non potendo far ciò Bismarck insistette presso il governo italiano
affinché impedisse che il papa potesse lanciare da Roma delle
bolle oltraggiose per la Corte di Berlino; ma il governo italiano sostenne
la completa indipendenza del pontefice nell'esercizio del suo ministero
ecclesiastico.
In quei giorni Bismarck lamentò anche che dal Belgio partissero
incoraggiamenti agli ecclesiastici tedeschi che si ribellavano alle
leggi dell'impero e domandò al governo belga di modificare la
sua legislazione per poter impedire ai suoi sudditi di turbare la pace
interna dello Stato vicino. La Gazzetta di Colonia sottolineò
il reclamo con queste parole: « Se i Belgi continuano a disconoscere
i loro interessi naturali, non è affatto improbabile che lo stesso
secolo veda il principio e la fine dello Stato belga ». Ma
l'Inghilterra si allarmò di questa minaccia, e Bismarck finì
per lasciar cadere la questione.
Intanto il rapido sviluppo delle industrie verificatosi in Germania
dopo il 1870 aveva determinato un aumento enorme d' operai, ed in seno
ad essi il socialismo incominciò a fare grandi progressi. Bismarck
impressionato si staccò dai liberali per accostarsi di nuovo
ai conservatori, ed approfittando della politica più calma e
più abile del nuovo papa Leone XIII si riconciliò con
lui per avere l'appoggio del Centro; prese
poi a perseguitare i socialisti con uno di quegli odii tenaci ed implacabili
che costituivano il fondo del suo carattere. Ma anche combattendo i
socialisti Bismarck sentiva che nel loro programma vi era qualche cosa
di giusto e di realizzabile; perciò attese con grande energia
alla preparazione di leggi sociali e nel 1881
presentò i primi progetti sull'assicurazione degli operai contro
gli infortuni e contro le malattie.
In tutto egli dimostrò uno straordinario senso pratico; anche
nella politica coloniale subordinò sempre gli acquisti lontani
ai suoi interessi vicini. Giudicava le colonie un utile complemento
d'influenza, ma non voleva che esse assorbissero troppo il pensiero
e l'attività della nazione; non ci teneva ad avere le mani nette,
ma voleva averle sempre libere; perciò si contentò di
far occupare piccoli territori allo scopo d'aprire la via alle future
ambizioni germaniche. Nello stesso tempo cercò subito di influire
sopra le altre Potenze raccogliendo nel 1884 la conferenza di Berlino
per un accordo internazionale riguardo all'Africa.*
* *
L'attenzione principale di Bismarck fu sempre rivolta alla politica
estera.
I meravigliosi successi delle armi tedesche nel "70 avevano portato
al colmo la potenza ed il prestigio della Germania, così che
il nuovo impero diventò il perno della vita politica d'Europa.
Lo stesso imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, che allo scoppio
delle ostilità franco-germaniche aveva sperato di poter prendersi
una rivincita sopra la Prussia, si affrettò a riconoscere che
il lungo contrasto in Germania tra gli Absburgo e gli Hohenzollern era
definitivamente risolto in favore di questi ultimi e si riconciliò
sinceramente con essi. L' imperatore di Russia non volle restar fuori
di quest'amicizia austro-germanica, e così nel 1872 con la venuta
a Berlino di questi due sovrani si ebbe la manifestazione solenne dell'accordo
dei tre imperatori.
Ma più ancora che coll'azione diplomatica la nuova Germania si
propose d'assicurare il suo avvenire mantenendo una formidabile organizzazione
militare sempre pronta per la guerra; perciò seguendo l'esempio
della Prussia pensò a costituire subito un tesoro di guerra,
e sull'indennità imposta alla Francia destinò a tale scopo
150 milioni da tenere in deposito in monete d'oro e d'argento, che furono
rinchiuse nel castello di Spandau presso Berlino. Il lasciare infruttifero
un capitale così ingente poteva sembrare un grave errore economico;
ma il deputato Miquel ne espose chiaramente i vantaggi: «
Il primo effetto di un subitaneo pericolo di guerra é notoriamente
uno scomparire di ogni fiducia nei valori cartacei, nei titoli di credito
che servono in tempo di pace; tutti domandano e vogliono denaro sonante;
governo, banche, uomini d'affari e persino i privati vogliono avere
nei loro scrigni del denaro contante onde garantirsi per tutti i casi
nei quali non corra la carta moneta. Il denaro coniato sparisce dalla
circolazione aumentando le preoccupazioni generali, il credito cade,
il panico scoppia. Se in mezzo ad una situazione simile rifluisce nella
circolazione improvvisamente una somma, non ancora statavi, di molti
milioni in monete coniate e il contante che tutti domandano, in luogo
di sparire, cade come una pioggia benefica sui campi arsi, la fiducia
persiste, il credito ritorna e si evita il panico. Ecco quanto fu osservato
in Germania nel luglio 1870 a motivo dei tesoro di guerra prussiano,
che venne a rimpiazzare il denaro che si nascondeva".
Il partito militare prussiano vedendo la Francia rialzarsi rapidamente
dai disastri subiti manifestava l'opinione che si dovesse approfittare
della superiorità incontestabile delle forze tedesche per rinnovare
prontamente la lotta; nel 1875 Bismarck parve aderire a quest'ordine
di idee per modo che si ebbe una viva preoccupazione in tutta Europa
di uno scoppio prossimo della guerra. Ma la Russia e l'Inghilterra non
si dimostrarono disposte a permettere un ulteriore indebolimento della
Francia e diedero opera a dissipare le diffidenze tra i due governi;
poco per volta il panico di una prossima guerra svanì. II contegno
della Russia in quell'occasione indispettì Bismarck; sino al
1870 egli eveva potuto servirsi della Russia per trattenere l'Austria,
ma poiché ora la prima non si dimostrava più così
docile, Bismarck incominciò a pensare ad un rovesciamento dell'antico
accordo.
La questione d'Oriente venne a facilitargli questo passaggio. Veramente
Bismarck dichiarava di disinteressarsene perché a suo giudizio
la questione d'Oriente non valeva le ossa di un solo granatiere della
Pomerania; ma in realtà sorvegliava attentamente quegli avvenimenti
perché nella sua tenebrosa politica vi vedeva il modo di accentuare
la discordia tra la Russia e I' Austria, il che lo avrebbe reso arbitro
della situazione europea. Tale infatti apparve nel Congresso di Berlino
(1878), ed in esso egli favorì le mire ambiziose dell'Austria
preparando così la nuova situazione politica: nel 1879 fu stipulata
l'alleanza austro-germanica diretta specialmente contro la Russia. Per
assicurarsi poi dalla parte della Francia egli spinse questa nazione
ad un'ardita espansione coloniale aggravando così i contrasti
franco-inglesi e franco-italiani; l'occupazione francese di Tunisi determinò
l'Italia a gettarsi nell'alleanza austro-germanica, e così sorse
nel 1882 la TRIPLICE ALLEANZA a profitto essenziale dell'impero tedesco.
Ma per Bismarck la garanzia più sicura consisteva sempre nei
grandi armamenti " - Non so che farmi - diceva egli in
un suo discorso - di ciò che ci si assicura qui in Parlamento
col dire: se giunge il pericolo, potete calcolare sull'ultimo tallero,
potete calcolare che risponderemo coi beni e col sangue. Queste sono
parole e non so che farne; parole non sono soldati e discorsi non sono
battaglioni; se abbiamo il nemico in casa e noi gli leggiamo questi
discorsi, egli si burla di noi...." ...."Noi Tedeschi
- concluse in un altro suo famoso discorso - temiamo Dio, ma
null'altro al mondo ».
In quest'ultimo periodo Bismarck aveva avuto la mano completamente libera
nel governo, perché l'imperatore Guglielmo, che fin dal 1877
aveva celebrato il suo ottantesimo anno d'età, si affidava interamente
a lui. Quando Guglielmo I morì (l'8 marzo del 1888), suo figlio
Federico III, che ispirava le più vive simpatie, era moribondo;
perciò nei suoi tre mesi di regno Bismarck continuò ad
avere piena libertà di azione. Ma il 18 giugno del 1888 salì
al trono il 29 enne Guglielmo II.
Nato nel 1859 era cresciuto al suono delle grandi vittorie tedesche
GUGLIELMO II si era imbevuto di gloria e di patriottismo; d'ingegno
pronto, di carattere deciso, di un'attività febbrile ed ingombrante
non tardò a trovar fastidiosa la tutela di Bismarck. II contrasto
tra la volontà ferrea del vecchio Cancelliere e la baldanza sconfinata
del giovane imperatore durò qualche tempo; finalmente nel marzo
del 1890 Guglielmo II obbligò Bismarck a rassegnare le sue dimissioni
e a ritirarsi a vita privata.
Aveva 75 anni; aveva lavorato in modo indefesso per tutta la sua vita,
eppure non sentiva bisogno di riposo; sentiva invece sempre il bisogno
di agire, e restò fieramente disgustato contro Guglielmo II.
Quando questi a testimonianza di onore gli assegnò il titolo
di duca di Lauemburg (a ricordo della prima guerra preparata da Bismarck),
il vecchio ministro colla sua solita mordacità rispose che se
ne sarebbe servito quando avesse voluto viaggiare in incognito. Ritiratosi
nel suo castello di Friedrichsruhe (presso Amburgo) riprese le sue laboriose
abitudini di gentiluomo campagnolo, ma non seppe sempre far tacere il
suo malumore per l'offesa patita. Però nei Ricordi
e Pensieri da lui scritti nel suo riposo involontario egli
arresta la sua narrazione colla morte di Federico III; alcuni credono
ch'egli abbia lasciato un terzo volume, ma può anche darsi ch'egli
abbia giudicato sola forma di protesta degna di sé il non parlare
di Guglielmo II.
Bismarck si spense il 30 luglio 1898 a 83 anni d' età.
* * *
Naturalmente nei limiti di spazio assegnati a questo profilo non é
possibile esporre tutta la vita politica di Bismarck, poiché
egli riempì di sé ben trent'anni della storia di Europa:
solo mi sono proposto di fermare l'attenzione del lettore sopra alcuni
punti che fanno specialmente risaltare le caratteristiche di questa
grande personalità.
Bismarck si vantò sempre di essere eminentemente positivo ed
utilitario. Quando, al colmo della potenza e della gloria, egli presiedette
il Congresso di Berlino non seppe trovare altra immagine per indicare
la sua funzione d'arbitro dell'Europa che quella di un grande sensale;
e sotto la sua ispirazione la vita politica delle grandi Potenze finì
per ridursi ad una gara di rapine.
Egli
affermava apertamente che l'utile é il criterio, la regola, la
misura di tutto; per lui tutto ciò che non rende é in
politica un pregiudizio, del quale bisogna liberarsi; perciò
l'immaginazione e il sentimento furono da lui considerati sempre come
due grandi nemici, che si devono fieramente combattere.
Egli li conobbe questi nemici, perché erano personificati nella
consorte dei suo sovrano, la principessa Augusta di Weimar. Questa nipote
del celebre protettore di Goethe aveva passato la giovinezza in un ambiente
molto intellettuale, aveva un'anima nobile e generosa ed una mente aperta
a tutti i progressi del pensiero moderno. Essa sosteneva apertamente
i liberali e desiderava esercitare il suo influsso in loro favore ;
diventò quindi presto la grande nemica di Bismarck.
Quest'uomo, che marciava sempre diritto al suo scopo ed abbatteva ogni
ostacolo che si presentava sul suo cammino, dovette molte volte a malincuore
rigirarsi per stornare l'effetto di questa opposizione, la sola contro
cui non potesse muovere coi suoi soliti procedimenti brutali. Ed ancora
tanti anni dopo, nel silenzio dei suo riposo, scrivendo le sue Memorie,
fra tanti nemici ed avversari combattuti ed abbattuti egli si ricorda
specialmente di questa grande nemica e scrive lunghe pagine sulla opposizione
da lei fattagli.
Una sera
in un ballo di corte Bismarck, stanco del contrasto, disse all'imperatrice
d'aver riguardo alla salute già malandata dell' imperatore e
di non esporlo agli effetti di dissensi politici. A queste parole l'imperatrice
si drizzò sulla persona, e il suo sguardo, dice Bismarck, scintillò
di un fuoco quale non vidi mai né prima né dopo. "Non
ho mai visto l' imperatrice Augusta così bella come in quel momento".
Questa osservazione di Bismarck viene a completare la sua fisionomia
morale: per lui anche nel campo estetico vi deve essere una nota d'odio
per avere la Bellezza.
Che odiano pure, purché temano; questa fu la divisa di Bismarck,
e purtroppo essa diventò la divisa della nazione tedesca.
Il programma attuato da Bismark, di raccogliere la Germania sotto la
direzione degli Hohenzollern, era il programma messo innanzi già
da lungo tempo dai più insigni pensatori della Germania, ma la
parte sua originale consiste nel mezzo adoperato per attuarlo. Bismarck
aveva pensato che per spezzare le resistenze interne bisognava che il
problema dell'unità tedesca diventasse un problema di politica
estera, perché solo di fronte allo straniero si poteva scuotere
tutto il mondo tedesco; di qui le tre guerre colla Danimarca, coll'Austria,
colla Francia; esse costituiscono i tre atti di un grande dramma, atti
che si legano l'uno all'altro e si chiudono col trionfo della Germania.
La leva dunque adoperata per raggiungere ii grande intento fu la forza
materiale. Se noi prendiamo ad esaminare i discorsi di Bismarck troviamo
che la parola forza é quella che viene ripetuta più spesso;
dopo di essa si trova ripetuta frequentemente la parola Dio, ma sempre
in modo da far comprendere che il Dio invocato é completamente
al servizio della forza tedesca.
Gli avversari di Bismarck gli attribuirono una frase che viene spesso
ripetuta: "La forza supera il diritto". Egli negò di
averla pronunziata, ma essa resta come il fondo del suo pensiero, la
base della sua politica. E poiché questo pensiero messo in azione
compì l'opera sognata più rapidamente di quanto nessuno
avesse mai immaginato, esso finì per diventare la norma regolatrice
della politica tedesca e quindi anche del pensiero nazionale tedesco.
Nei rapporti fra le nazioni l'immagine che si presenta più spesso
al pensiero tedesco é quella dell'incudine e dei martello. Giustamente
i Tedeschi non vogliono servire da incudine e perciò desiderano
fare da martello e picchiar sodo. Questa esaltazione della forza materiale
é una delle conseguenze del modo col quale si effettuò
l'unità germanica.
Quest'unificazione poi ebbe il carattere di una conquista della Germania
per opera della Prussia. Nella formazione d'Italia il Piemonte, che
aveva assunto la direzione dei movimento, si fuse col resto della nazione;
era uno Stato di soli 5 milioni di abitanti che in due anni (dalla primavera
del 1859 alla primavera del 1861) si trasformò in un regno di
22 milioni di abitanti; non poté quindi mantenere un predominio
assoluto nel nuovo Stato.
In Germania invece la Prussia da un secolo contava già fra le
grandi Potenze di Europa e al momento dell'unione aveva essa sola una
popolazione superiore a quella complessiva di tutti gli altri Stati
che entrarono a far parte dell'impero. La Prussia quindi restò
la grande dominatrice, ed essa foggiò lo Stato tedesco. La vita
intellettuale della Germania era stata specialmente opera dell'ovest
e del sud della Germania, ma lo Stato tedesco fu opera della Prussia:
essa informò sul suo modello il resto della Germania, ed il suo
spirito militare si estese all'intera nazione con le conseguenze dolorose
che tutto il mondo oggi conosce.
(l'autore si riferisce alla grande sconfitta nella Grande Guerra 1914-18,
non immagina nemmeno lontanamente quale sarà il disastro tedesco
subito nella guerra del 1939-45 - Ndr)
Purtroppo le vittorie dei 1870 determinarono anche un'esaltazione della
Germania; in tutto il mondo si andò a gara nel celebrare non
solo il valore degli eserciti tedeschi, ma le virtù del suo popolo
e il grande sapere dei suoi dotti; perfino nella musica, perfino nel
socialismo tutti si inchinavano dinanzi ai maestri tedeschi.
(ricordiamo qui, che contariamente ai socialisti di tutta Europa, soprattutto
quelli italiani, i socialisti tedeschi furono subito degli "interventisti".
Ndr)
Si comprende facilmente come mezzo secolo di simile esaltazione abbia
condotto il patriottismo tedesco alle più orgogliose esagerazioni.
La generazione cresciuta dopo il 1870 finì per imbeversi talmente
della propria gloria da giudicare la civiltà tedesca di gran
lunga superiore alle altre e da considerare come suo dovere quello d'
imporla a tutto il mondo. E con qual mezzo? col mezzo ch'era stato adottato
con tanto successo dalla Prussia: colla forza delle armi.
Il trionfo della forza era dei resto il principio che col diffondersi
delle teorie darwiniane si veniva proclamando anche nel campo filosofico:
la lotta per l'esistenza veniva messa a base di tutta la storia naturale,
si esaltava l'opera sapiente della selezione, si dichiarava l'illegittimità
della debolezza. Il tedesco é un logico terribile; quando per
una data cosa si é trovata una formula, un sistema, egli con
un'ostinazione irremovibile tenta di adattare la realtà a quel
sistema e ne trae tutte le conseguenze possibili; e come Nietzsche proclamò
il diritto del superuomo a calpestare tutti i diritti degli altri, così
il popolo tedesco persuaso ch'esso era il più intelligente, il
più istruito, il più forte credette d'essere chiamato
da Dio ad imporre la sua civiltà a tutta l'umanità e che
di fronte a questa grande missione tutti i diritti degli altri potessero
essere sacrificati senza riguardo.
Per buona fortuna la forza materiale non é la sola potenza dominatrice
nella vita dell'umanità.
Nell'ebbrezza dei successi del 1870 si credette che i grandi risultati
raggiunti fossero dovuti soltanto alle vittorie militari ; non si pensò
che la forza materiale aveva potuto trionfare, perché era stata
messa a servizio di una causa che rispondeva esattamente allo sviluppo
storico della Germania e alla sua preparazione morale; senza i pensatori
e i poeti che avevano preparato I' ambiente, senza le circostanze generali
che spingevano al trionfo delle nazionalità, Bismarck non avrebbe
potuto attuare la sua politica; essa trionfò perché coincideva
col pensiero dell'epoca sua.
Oggi invece si volle applicare la forza per attuare disegni di predominio
di una razza sulle altre, disegni che sono in contrasto col pensiero
dei nostri tempi, il quale tende piuttosto a stabilire una cooperazione
delle varie nazionalità europee arrivate pressappoco allo stesso
grado di civiltà, tende, più che all' impero di una razza,
a preparare una federazione di Stati liberi ed eguali. Perciò
i sogni ambiziosi della Germania imperiale non hanno probabilità
di successo.
(l'autore qui non immagina neppure lontanamente - siamo nel 1919 - che
un "caporale" sta fin d'ora preparando (ma non è solo!)
a scatenare il più grande conflitto di tutti i tempi. Ndr).
Come un secolo fa l'Europa si coalizzò contro Napoleone, così
oggi si ripete il fenomeno per la Germania. È da augurarsi che
questa guerra determini in essa una guarigione in senso inverso a quella
verificatasi un secolo fa; allora a rialzare l'animo depresso della
nazione tedesca riuscì salutare lo squillo della vittoria; oggi
a svegliarla dall'ebbrezza delle sue mire ambiziose di predominio mondiale
riuscirà salutare la sconfitta.
PIETRO ORSI