ANNI 1500 - BAGLIORI DI COMUNISMO IN EUROPA

CAP. I - ALBORI DELL'ANABATTISMO
CAP. II - L'ANABATTISMO DI WITTEMBERG A FRANKENHAUSEN
CAP. III - LE REAZIONI
CAP. IV - FONDAZIONE DELLA COLONIA COMUNISTA DELLA MORAVIA
CAP. V - ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA COMUNISTA DELLA MORAVIA
CAP. VI - MELCHIORRE HOFFMANN E GIOVANNI MATHIAS
CAP. VII - REGIME POLITICO E RELIGIOSO DELLA CITTA DI MUNSTER
CAP. VIII - L'ANABATTISMO A MUNSTER
CAP. IX - DALLA REPUBBLICA ALLA DITTATURA
CAP. X - IL TRAMONTO DELL'ANABATTISMO

CAP. IX- DALLA REPUBBLICA ALLA DITTATURA


Gli entusiasmi per il trionfo raggiunto non potevano non degenerare, dopo la compressione degli animi e le persecuzioni lungamente subite.
La folla dei popolani, e in essa si mescolavano anche elementi non anabattisti ma saccheggiatori e avventurieri, invase il convento dei Francescani, quello dell'Ordine Teutonico, quello Mauriziano e altri edifici sacri. I dipinti vennero rovinati, amputate le statue, infranti i vetri istoriati, le lapidi, le reliquie; le offerte di oro e di argento vennero asportate, le preziose stoffe ornamentali rubate, il piombo, il ferro, il bronzo venne divelto e raccolto per forgiare armi. I1 monastero Mauriziano fu infine incendiato.

Il 26 febbraio GIOVANNI MATHIAS attraversò la città a piedi nudi nella neve alta, gridando con voce lugubre : “Fate penitenza, fate penitenza, ribattezzatevi ! La spada vendicatrice è sospesa sul vostro capo” e intimando il nuovo battesimo pena l'espulsione dalla città. Una fitta colonna di popolo lo seguiva al canto di inni e levando alti clamori. Quelli che invece di acclamare e chiedere il nuovo battesimo tentavano di asserragliarsi nelle case, furono presi, spogliati dei loro indumenti e quasi nudi, malgrado la rigida stagione, cacciati fuori dalle porte della città, senza riguardo a età o sesso, cattolici o protestanti indistintamente. I pochi edifici che sì innalzavano subito oltre le mura vennero diroccati, affinché non servissero ad accogliere il nemico.

In tal modo gli anabattisti rimasero padroni incontrastati della città, mentre poco lungi da essa il Vescovo cominciava a riunire le sue milizie per soffocare “…a qualunque costo la rivolta e restaurare il dominio ecclesiastico”. Poiché le sue milizie erano insufficienti allo scopo, sollecitò aiuti dal langravio di Assia, dall'arcivescovo di Colonia, dal duca di Cléve e dal fonte di Lippe ; costoro gli inviarono alcuni rinforzi di uomini e forti quantitativi di materiale bellico.
Le truppe così riunite ascendevano a circa un migliaio di uomini, con alcuni cannoni. Erano divise in quattro gruppi comandati rispettivamente dal cavaliere DE BUREN, dal cavaliere DE MEGERSHEIM, da GIOVANNI KAESFELD e da un certo Munster che però pochi giorni dopo avere assunto il comando, disertò, e penetrato nella città si fece ribattezzare mettendosi quindi a disposizione dei difensori.

Dentro la città di Munster, nel frattempo, il prestigio di Mathias era cresciuto a dismisura, e per conseguenza egli aveva completamente riunite nelle proprie mani l’autorità civile, religiosa e militare. La sua residenza fu fissata ai monastero di Santa Agnese, già occupato dalle così dette vergini vestali. Knipperdolling fu sostituito nel consolato da Giovanni di Leyda ed assunse la direzione della difesa della città.
Grande fiducia avevano gli anabattisti nel loro capo, nel loro Profeta che assicurava grandi avvenimenti col prossimo arrivo dei fratelli anabattisti dall'Olanda. Non più una semplice difesa passiva della città, ma, insieme ai soccorsi che essi aspettavano, la battaglia, lo sbaraglio delle truppe del Vescovo, la liberazione della città dal blocco estenuante, la sollevazione delle città vicine, di tutto il principato, di tutta la Germania.
Di trionfo in trionfo, si sarebbe avverato il sogno di tanti martiri, cioè l'avvento di una repubblica universale basata sulla vera fede di Cristo e sulla abolizione di ogni specie di privilegio e di ogni forma di oppressione. Qualche voce isolata che osò levarsi contro Mathias, qualificandolo impostore, straniero e ambizioso, fu presto soffocata nel sangue, ed egli stesso volle in pubblica piazza giustiziare uno degli anabattisti che incitava a scegliere un altro capo, un capo che, sopratutto, non fosse uno straniero.
Imbaldanzito dal crescente favore popolare, Mathias, in nome dell'uguaglianza di tutti i cittadini, fece sciogliere il Senato ; e al disopra della massa frenetica, entusiasta, avvinta dalle sue parole e forse anche dalla sua violenza, restò egli solo, capo, profeta, tutto.

Dopo tali gesta, Mathias provvide ad attuare la comunità dei beni, suprema aspirazione popolare più che il nuovo battesimo e le altre riforme religiose. Solo che la pratica attuazione del comunismo, inteso, come avrebbe voluto Mathias, in una riproduzione ampliata e migliorata della colonia morava, non poteva farsi, poiché fra le mura della città non vi erano terre da distribuire e coltivare, né molto lavoro da compiere ; quindi per il momento il comunismo veniva attuato più che altro con una spoliazione dei ricchi e degli esiliati a favore dei poveri. Designò a tale scopo alcune chiese ove ciascun cittadino doveva portare quanto possedeva in oggetti preziosi, oro, argento, stoffe e suppellettili di qualche valore, minacciando di morte chi cercasse di sottrarsi alla generale requisizione. Tale ordine, per amore o per forza, venne alla meglio eseguito.
Vennero inoltre nominati sette inquisitori che con informazioni e con visite alle case private dovevano accertarsi che nessun cittadino si sottraesse all'obbligo di consegnare i beni posseduti.
I viveri venivano tutti raccolti in determinati locali e quindi distribuiti a razioni, secondo il numero dei componenti di ciascuna famiglia e l'età di essi. Tutti i libri, fra cui preziosissimi manoscritti, vennero raccolti in un immenso rogo e bruciati ; fu solo risparmiata la sacra Bibbia. Agli anabattisti, ai fedeli confederati (come Mathias li chiamava) dell'Olanda e del Belgio, furono inviate lettere di esortazione a vendere i loro beni e comprare armi per la difesa e la gloria della nuova Sion, nonché ad accorrere in difesa dell'anabattismo, confermando la riunione per il 21 marzo a Hesselt.

Frattanto la notizia che le milizie episcopali si erano accampate in atteggiamento minaccioso poco lontano dalla città ed erano rinforzate da truppe di alcuni principi indusse Mathias ad occuparsi della difesa della città. Alcune sortite furono fatte allo scopo di prendere prigionieri dai quali trarre precise informazioni sulle forze e sugli intenti degli episcopali, e l' intento fu perfettamente raggiunto. I lavori di rafforzamento delle mura furono iniziati con grande ardore. Un largo fossato fu scavato oltre le mura della città e tutto intorno ad esse. La vigilanza affinché i lavori di fortificazione fossero accelerati ed eseguiti con ogni diligenza era severissima; ai lavoratori veniva portato il cibo sul lavoro stesso, e solo a sera si permetteva che ritornassero alle loro case ; venne perfino prescritto di lavorare a turno anche alcune ore della notte.
Alle donne incombeva l'obbligo di cooperare nel trasporto dei materiali dalla città alle mura e nel trasporto di vettovaglie e di acqua a coloro che erano intenti ai lavori.
Mathias con instancabile lena assai di frequente si recava lungo le mura e lungo il fossato, esortando, predicando, minacciando affinché ognuno lavorasse con grande energia. Volendo infine eccitare gli animi alla difesa, egli decise di operare una sortita da lui stesso condotta.

Il lunedì prima di Pasqua, lasciati gli altri armati a guardia delle mura, egli si mise alla testa di trecento uomini scelti fra i più risoluti ed uscì dalla città, oltrepassando le difese più avanzate. Giunto a poca distanza dal campo nemico, fece fermare la sua truppa e avanzò da solo. Indi, salito sopra un muricciolo, con voce stentorea si rivolse ai soldati episcopali, già accorsi in arme per la difesa, con un discorso di propaganda e con incitamento a disertare il campo e la causa del Vescovo, appellando costui figlio di Satana, tiranno, sfruttatore dei popolo, e ricordando ai soldati che gli erano di fronte come anch'essi fossero figli del popolo, e che la causa per la quale egli combatteva era la loro.

Gli episcopali ascoltavano, prima stupiti, poi attenti, la sua strana e feconda parola. Si risvegliavano in quei rudi uomini reminiscenze delle famiglie lontane e oppresse dalla miseria, vaghe aspirazioni, sete di libertà sconosciute. Ma uno dei capi episcopali, comprendendo l'effetto funesto che tali parole stavano per avere sui soldati, e considerando che gli Anabattisti si tenevano a notevole distanza dal loro capo, si avanzò cautamente verso Mathias, e scagliatosi all'improvviso contro di lui che era inerme, gli affondò la spada nel petto. Mathias morì sul colpo senza emettere un grido, e gli anabattisti, che avevano assistito fremendo alla fulminea e proditoria aggressione, si ritirarono precipitosamente nella città, portandovi la triste novella.

Gli episcopali trasportarono il corpo di Mathias fin sotto le mura, e , sotto lo sguardo dei difensori che imprecavano e giuravano vendetta, lo trafissero più volte con le spade e con le lance, abbandonarono infine i miseri avanzi in prossimità della porta Egidiana ai cani famelici.
Si spargeva poco dopo nella città la notizia che i fratelli anabattisti attesi dall'Olanda non sarebbero giunti, poiché ventuno vascelli ove essi si erano imbarcati per riunirsi in un determinato punto della costa erano stati sorpresi da Schenk di Leutenbourg affondati a Wollenhoe. Non è azzardato supporre che Mathias avesse avuto notizia di ciò, e che, subdorando la triste fine della sua impresa, fosse uscito dalla città per tentare un colpo disperato : o l’ammutinamento della soldatesca episcopale, o la morte. Se ciò non è accertato, è per altro verosimile, poiché, fallita la speranza nei soccorsi dall'Olanda, logicamente la sorte della città della causa anabattista era segnata. Per la morte di Mathias tutta la città fu in lutto, il dolore e la desolazione furono grandi. I cittadini si domandavano chi potesse prendere il posto da lui lasciato, e si radicava la convinzione che l' improvvisa uccisione di Mathias fosse un avvertimento di Dio. « Iudicius Dei a domo eius incipit ».

In tanto profondo avvilimento, del quale il Vescovo avrebbe potuto approfittare per forzare la difesa della città, sorse una voce di conforto, di incitamento, e parve inviata da Dio. Colui che sollevava gli animi a nuove speranze era GIOVANNI BÉCOLD di LEYDA. Mentre nella piazza del mercato la folla dei cittadini commentava la sventura che colpiva la città e si abbandonava a tristi previsioni, egli prese a parlare con parole di fierezza e di fede “Lungi da noi, o cittadini, le lagrime, lungi da noi lo sterile compianto, e felice colui che è chiamato da Dio come vittima della sua causa. Nessuno di noi tenti scrutare nella volontà del Signore ! Prendiamo pure il lutto, piangiamo per la sua dipartita, ma gioiamo anche per lui che ha lasciato il vile involucro della carne e felice è passato all'immortalità”.

Indi ricordò le sofferenze che innumerevoli anabattisti avevano sopportato fino a quel giorno, e dimostrò che nulla aveva compromesso la causa anabattista, che anzi ogni dolore avvicinava l'ora del trionfo.
Due giorni avanti Pasqua KNIPPERDOLLING, dichiarandosi ispirato da Dio, annunziò che da Lui aveva avuto l'ordine di indicare BÉCOLD quale successore di Mathias, e seguito da un codazzo di popolo si diede a percorrere nudo la città, gridando : «Gloria al novello Profeta, gloria a Giovanni, capo della nuova Sion!».
Seguendo lui, il popolo accorse alla casa di GIOVANNI DI LEYDA, volle che egli si unisse alla moltitudine, e fra canti e clamori lo acclamò Profeta e Capo degli anabattisti. Giovanni di Leyda, benché si aspettasse e ardentemente desiderasse tale investitura, si mostrò dapprima riluttante, protestando che nessuno fra quanti erano in Munster avrebbe potuto degnamente succedere a Mathias, Profeta e martire, e che egli avrebbe preferito combattere fra i più umili invece di essere il primo fra gli anabattisti. Infine si decise ad accettare, ed egli stesso intonò il canto “Gloria in excelsis Dei” accompagnato in coro dalla moltitudine riverente.
I primi atti della sua dittatura furono veramente felici. Cominciò dal costituire un Consiglio di dodici giudici chiamati anziani del popolo. A capo di essi mise il rude KNIPPERDOLLING. Questi aveva il compito di regolare le controversie fra i cittadini e fissare le condanne ; a lui spettava anche vigilare sulla equa distribuzione dei beni fra tutti i cittadini. Emanò subito dopo alcune leggi che Rothmann spiegò al popolo; di esse giova ricordare alcune specialmente interessanti:

1°) É proibita la bestemmia e il non credere in Dio.
2°) Ai magistrati è dovuta obbedienza se sono di fede anabattista.
3°) 1 figli devono sottostare all'autorità dei genitori, che è assoluta. Lo stupro, l'adulterio, la fornicazione, il furto, le risse, la menzogna sono proibite e punite con gravi pene e perfino con la decapitazione.
4°) Nessuno deve uscire dalla città per affrontare il nemico se non per ordine dei Capi, pena la morte.
5°) Fra l'ottava e la nona ora di sera ogni cittadino deve rientrare nella sua casa, dovendo
essere tutta l'attenzione della città, da quel momento fino all'alba, rivolta alla difesa.

In ultimo veniva decretato che ciascun fratello anabattista dovesse obbedienza assoluta al Profeta. Coloro che non si fossero attenuti a ciò, sarebbero stati condannati alla decapitazione o al carcere perpetuo.
GIOVANNI DI LEYDA prescrisse inoltre che i pasti fossero presi in comune, che il lavoro fosse obbligatorio per tutti, che solo pochi uomini fossero tenuti in permanenza sotto le armi per non distogliere i cittadini dal proficuo lavoro ; ma che in caso di assalto alla città tutti dovessero concorrere alla difesa, anche le donne, i vecchi ed i fanciulli.
Fece infine compilare dai giudici un proclama che inviò a mezzo di emissari alle città vicine, ed alcune copie nottetempo fece lanciare presso le sentinelle e i posti di guardia nemici. In esso si esponeva il programma pacifico degli anabattisti di Munster e si affermava che la guerra che insanguinava il Principato non dagli anabattisti ma dai principi era voluta per annientare la vera parola di Dio.
Tale proclama così concludeva:

“È necessario che ciascuno sappia contro chi e perchè combatte.
La nostra fede e la nostra speranza riposano solo nel vero Dio creatore del cielo e della terra. Noi crediamo che Dio ami coloro che si comportano bene e maledica i malfattori e coloro che violano la giustizia. Noi non temiamo l'Anticristo, i preti, i monaci, il diavolo e tutta la sua sequela di furbi.
Se voi avete dei dubbi su quanto noi affermiamo, mandate dei vostri rappresentanti che si accerteranno coi loro occhi !
Scritto a Munster, la città di Dio supremo, l'anno dopo la nascita di Cristo millecinquecento trentaquattro, il giorno otto aprile”.

Tali parole, rivolte specialmente ai soldati del nemico, e l'invito ad una specie d'inchiesta sui risultati raggiunti e sulla organizzazione della città, quanti riscontri hanno nella storia delle rivoluzioni ! e specie nella storia contemporanea !

Di Leyda fece, inoltre, intensificare il lavoro alle fortificazioni, e stabilì un sistema di spionaggio a mezzo di emissari che, fingendosi stanchi del regime della città, si recavano nottetempo nel campo avverso portandovi false notizie sulla situazione di Munster e prendendone di vere ed utili sul nemico. L'abilità organizzatrice di Giovanni di Leyda appare manifesta, e (per quanto dicano alcuni storici non certo imparziali) la prova più evidente di ciò è data dalla resistenza opposta dalla città, malgrado il blocco sempre più rigido, i combattimenti, e malgrado perfino le stranezze, gli eccessi e gli errori ai quali lo stesso Giovanni di Leyda più tardi si abbandonò.
Per oltre un mese la lotta sembrò languire ; gli anabattisti ne approfittarono per fortificare le mura, gli episcopali per rendere più rigoroso il blocco e costruire lavori di assedio per opporsi ad ogni eventuale sortita degli anabattisti. II giorno 16 maggio, per tener desto lo spirito e il valore dei suoi, Giovanni di Leyda fece una improvvisa sortita, irrompendo nel più vicino campo nemico. Molti episcopali furono uccisi, altri fuggirono, alcuni vennero portati prigionieri in città, fra il delirante entusiasmo della folla che acclamava il suo Profeta vittorioso.

Il Vescovo accolse con furore la notizia della umiliazione subita, e, riuniti i capi delle sue truppe, ordinò che si procedesse una buona volta ad assalire le fortificazioni della città e a finirla con quel manipolo di avventurieri eretici e sovversivi. Venne concordato un piano d'azione, secondo il quale il duca di GUELDRE con i suoi uomini avrebbe dovuto assalire e scalare le mura in un certo tratto, mentre le altre truppe avrebbero simulato un attacco nel tratto opposto della cinta fortificata per distogliere i difensori dall'accorrere alla difesa del tratto più minacciato.
I preparativi per l'assalto furono lunghi, e prima ancora che si svolgesse, gli anabattisti, grazie al loro servizio di spionaggio, conoscevano già il tratto ove l'assalto decisivo doveva svolgersi, lo schieramento delle forze nemiche, l'ora dell'attacco e ogni altro particolare.
Le truppe del duca di Gueldre, lanciate all'attacco, superarono con inaspettata facilità il fossato e così pure le mura di cinta ; penetrate quindi nella città, e credendo di avere ormai raggiunto lo scopo, si abbandonarono a clamori di vittoria, e prima ancora di raggiungere il centro iniziarono il saccheggio delle case lungo le vie che percorrevano. Ma d' improvviso dalle strade laterali e dai cortili sbucarono i difensori. Gli episcopali, disorganizzati e sparpagliati in cerca di bottino, furono violentemente assaliti. Si impegnarono brevi e sanguinose lotte alla fine delle quali la maggior parte di quelli che erano penetrati nella città rimase uccisa, mentre i pochi superstiti venivano condotti prigionieri nella piazza del Mercato. Conseguenza di tale vittoria fra gli anabattisti fu una più gagliarda fede nella propria causa e un illimitato entusiasmo per Giovanni di Leyda.

Erano a tal punto le cose, quando un inatteso decreto emanato dal Senato per istigazione di Giovanni di Leyda gettò la costernazione negli animi dei più puri anabattisti e un fertile germe di discordia e di affanni nella massa dei cittadini. Con tale decreto il Senato, citando e falsando esempi tratti dalla Bibbia, stabiliva essere lecita per gli anabattisti la poligamia.

Le cause che determinarono tale passo avventato non sono ben note. La poligamia non aveva nulla a che fare con la comunità dei beni né con la Sacra Scrittura logicamente interpretata. Gli avversari di Giovanni di Leyda affermarono, e forse non a torto, che questi, sorpreso in flagrante delitto di adulterio con la bellissima Divara, vedova di Mathias, e incappando nelle pene da lui stesso comminate per gli adulteri, si fosse affrettato a far promulgare la legge sulla poligamia. Egli infatti era ammogliato e aveva lasciata la moglie con i figliuoli a Leyda per seguire Mathias in Munster.

Il Weill invece suppone che movente di tale editto possa essere stata l'enorme preponderanza numerica dell'elemento femminile su quello maschile, dal momento che la maggior parte delle monache (che erano in gran numero a Munster) avevano abbandonato i conventi per darsi all'anabattismo e si mostravano ferventi comuniste, mentre gli esili e le uccisioni avevano ridotto di molto il numero degli uomini. Egli calcola che in quel momento su cinquemila uomini vi fossero nella città oltre novemila donne, in gran parte esaltate e senza scrupoli di sorta, onde Giovanni di Leyda, col promuovere la legge sulla poligamia, avrebbe inteso di combattere sopratutto la prostituzione e l'adulterio. Ciò non toglie però che la poligamia era un passo verso l'anarchica concezione dell'amore libero, e nel caso di Munster era pericolo gravissimo.

Per suo conto egli mise subito in pratica il decreto stesso sposando Divara, e subito dopo sposando le due figlie di Knipperdolling, anche esse di grande avvenenza.
Il suo esempio venne rapidamente imitato, ed una folata di sensualità e di immoralità legalizzata sconvolse la vita monotona degli assediati. Da molte parti si levarono alte doglianze e aperte disapprovazioni ; si gridò allo scandalo e alla corruzione. Una folla di circa cinquecento uomini si riunì nella piazza del Mercato, e, arringata da un certo ENRICO MOLLENHECKE, levò alti clamori contro l'insano editto. Questa turba, ingrossata da molte donne, percorse la città urlando e chiedendo l'abolizione dell'editto.
Immediatamente di Leyda e Knipperdolling, riunite le milizie fedeli e tutti quelli che per amore di sensualità, per depravazione o per sfuggire alle pene sancite contro gli adulteri approvavano l'editto, si scagliarono contro i rivoltosi. Nacque una vera battaglia che si svolse con sanguinosi episodi fra la residenza di Giovanni di Leyda e la piazza del Mercato ; alla fine i rivoltosi, decimati, dovettero arrendersi.

La repressione fu quanto mai crudele. Tutti quelli che rifiutarono di dichiararsi favorevoli alla poligamia furono uccisi, e gli stessi di Leyda e Knipperdolling presero personalmente parte alla esecuzione delle condanne. Alcuni vennero decapitati, altri legati ad alberi e poi trafitti con le spade ; alcune donne che si erano rifiutate di darsi in moglie ad uomini già ammogliati vennero trasportate in una località detta “Rosenthal” e qui date in ludibrio ed in possesso alla folla che, dopo averne fatto scempio, le uccise.
La poligamia in tal modo venne imposta definitivamente, ma con essa spuntava un triste germe di sventure.

Da quel momento la concordia degli animi fu gravemente scossa. Gravi litigi scoppiavano in città, provocati dalle donne e dalla risvegliata brutalità degli uomini. I legami familiari essendo sconvolti, i più sacri affetti svanivano dinanzi alla concupiscenza. La rilassatezza dei costumi divenne generale.
Per colmo di depravazione, vi furono donne che, in contrapposto alla istituzione della poligamia che esse consideravano tutta a favore degli uomini, chiesero fosse anche permessa la poliandria, alla quale, dicevano, avevano diritto poiché esse lavoravano come gli uomini, avevano anche preso parte ai combattimenti per la difesa della città, corsi gli stessi rischi degli uomini, e quindi dovevano essere ad essi equiparate nei diritti come lo erano nei doveri. Esse, poi, senza attendere alcun editto, attuarono il loro proposito, e, poiché la poliandria non era stata concessa, ne nacque una volgare, obbrobriosa mescolanza di sessi.
ROTHMANN, l'apostolo, il saggio, disgustato da tali turpitudini, si ritirò in disparte. Egli non volle neanche combattere di Leyda, o perchè ne temesse il furore, o perché sperasse che, una volta trionfato definitivamente l'anabattismo e realizzato il sogno della sua anima di poeta, sarebbe stato facile sbarazzarsi dai profanatori e dagli avventurieri e condurre i fedeli a più onesti propositi. Ma l'assenteismo di Rothmann danneggiò la difesa di Munster più che una battaglia perduta contro le truppe del Vescovo.

Frattanto di Leyda escogitava altre radicali trasformazioni. Sarebbe però azzardato giudicare sulla loro effettiva portata e sul loro vero scopo, tenendo presente che la fonte di tali notizie è data dalle narrazioni di Kerstenbrok, Meshovo ed altri acerrimi nemici degli anabattisti, ciò che ingenera sempre il dubbio che nelle intenzioni di Giovanili di Leyda le innovazioni apportate in seguito fossero dettate, sia pure errando, da un movente politico, allo scopo di fronteggiare le crescenti difficoltà fra le quali si dibatteva, difficoltà che egli cercava di nascondere al popolo con ogni mezzo.
Comunque, anche ammesse tali attenuanti, non si può non rilevare l’impopolarità e l’inopportunità delle riforme stesse, i mezzi addirittura selvaggi adoperati per imporle e l'esito disastroso di esse.
Vi era nella città un certo GIOVANNI TUISCOSURER, già lavorante orefice, che si era fatto notare per fervore nella fede anabattista e per personale attaccamento a Giovanni di Leyda. Costui, dopo che Rothmann si era isolato nelle sue dolorose meditazioni su quanto avveniva in Munster, venne nominato Profeta al posto di lui.
Un mattino Tuiscosurer affermò che, in una rivelazione avuta in sogno durante la notte, Dio gli aveva palesato cose straordinarie che egli doveva riferire a tutto il popolo, convocato nella piazza del Mercato. A tale appello i magistrati e il popolo accorsero per ascoltare dalle sue labbra le parole del Signore. La folla era tale che la piazza era insufficiente a contenerla, e nella folla, mischiato ai popolani, in abito dimesso e con viso compunto, si trovava anche di Leyda.
Ottenuto con un cenno il silenzio dall'enorme folla, Tuiscosurer, con volto ispirato e dopo lunghi preamboli, raccontò al popolo che il Signore Iddio gli aveva designato fra i veri cristiani un uomo onde insignirlo di una più grande e solenne autorità sul popolo rigenerato, e quest' uomo era là, in quel momento, nella folla, ignaro della grazia divina che aleggiava sul suo capo. E con gesto enfatico indicò di Leyda che ascoltava in apparenza attonito. Indi proseguì con voce tonante:
“E a te, Giovanni Bécold di Leyda, che Iddio dona questa spada” e così dicendo, dopo avergli fatto cenno di avvicinarsi, gli porse una corta e massiccia spada. “E’ te che Dio proclama Re, affinché non solo tu regni nella nuova Sion, ma riunisca sotto il tuo scettro l’Universo intero, allarghi i confini di questo tuo regno, e quanti uomini esistono sulla nostra terra riunisca sotto il tuo scettro ! Del tuo operato renderai un giorno conto a Cristo, poiché Egli solo ha un tribunale che possa giudicarti!”.

Indi esortò il popolo all' ubbidienza e i giudici alla misericordia, e, dopo un inno di grazie al Signore, discese dal palco.
Allora Bécold, stringendo al petto la spada che Tuiscosurer gli aveva affidato, si prostrò toccando il suolo con le labbra ; rialzatosi, proclamò di accettare, come era suo dovere, l'ordine del Signore, e che non avrebbe deposto quella spada se non quando avesse umiliati i grandi della terra e sollevati i miseri dalla loro servitù. Quindi, stringendo sempre la spada che simboleggiava lo scettro del nuovo regno, si incamminò lentamente verso il cimitero, e, nel più grande silenzio degli astanti, promise a Dio che tutta la vita l’avrebbe spesa per la causa della giustizia, e implorò la benedizione di Lui sulle anime dei morti per la causa santa e sul popolo rigenerato.

A questo punto, invece delle acclamazioni e degli inni sacri che per solito seguivano le sue parole, si levarono voci discordi, discussioni, mormorii. Poi molti, timorosi della loro vita, si allontanarono, ed intorno a di Leyda rimasero i fanatici, gli illusi, gli adulatori e i mestieranti che con festose grida salutarono Giovanni di Leyda “Re della nuova Sion”.

Nella stessa giornata Giovanni di Leyda, ormai Re, per formarsi una corte di persone fidate impose cariche e titoli ai suoi più fidi amici. Rothmann, (e ciò era fatto per compiere un gesto che piacesse al popolo) sebbene assente, venne nominato oratore del regno; tale nomina era puramente formale, poichè Rothmann non intendeva interrompere il suo volontario e sdegnoso isolamento. Knipperdolling venne nominato governatore della città ; Boeckbinder, Krechting, Reming e Recker formarono il regio consiglio, Knippenbrock venne nominato tesoriere e Tylbek prefetto di corte. Vennero nominati ventotto guardiani (addetti alla persona del Re) e dodici littori (o guardie del Re).
Si accese allora fra coloro che si erano dimostrati sotto il regime episcopale i più fanatici sediziosi, e che sembravano i più convinti comunisti, una aspra lotta per ottenere cariche ed . onori. Il Re volle accontentare i più violenti e creò appositamente per loro cariche ed uffici inutili, distribuì titoli ampollosi e con tatto politico non comune seppe spegnere le ire e le gelosie che l'ambizione destava.

Però fra gli osanna dei beneficiati si delineava sinistramente il tramonto dell'anabattismo, condannato a perire non dalla forza delle armi avversarie, ma dalla debolezza propria, dalla corruzione e dalla generale disillusione. Da quel momento di LEYDA si rivelò quale era : superbo, crudele, ampolloso, tiranno. Diede ordini severissimi affinché chiunque in pubblico criticasse l'operato del Re fosse passato per le armi. Fece eseguire una nuova requisizione di vestimenta, calzature, vettovaglie, e tutto il ricavato fece distribuire fra i più fedeli, dopo che la corte regia ebbe per proprio conto scelto il meglio. Credette poi che all'autorità che gli era conferita non fosse consona la modestia e la banalità degli abiti comuni, e volle istituire speciali e fantastici abbigliamenti per sé e per la corte.
Egli, a dire di Meshovo, si fornì di un diadema d'oro nel quale erano incastrate pietre preziose multicolori. Ebbe uno scettro laminato di oro che usava portare quando compariva dinanzi al popolo nelle occasioni solenni. Ad una lunga catena di oro portava sospeso un globo d'oro di piccole dimensioni, unite al quale si incrociavano due piccole spade, una d'oro ed una d'argento. Sul globo era inciso : “Ein Kònig der Gerechtigkeit, úberall”.
Istituì per sé e per le sua corte una scuderia ove raccolse i migliori fra i pochi cavalli della città. Usava portare alla mano un anello ove era inciso: “Der Kónig in dem newen Tempel fuhret diss zeichen”. Non usciva più solo, ma sempre preceduto e seguito dai suoi littori. Tutta la corte sfoggiava un estremo lusso, mentre con grande severità si prescriveva la modestia e la semplicità per gli altri cittadini.
Quale regina egli designò, fra le sue mogli, la bella Divara, donna di media statura, il cui viso pallido dai delicati lineamenti era illuminato da dolcissimi occhi azzurri. Costei, già buona ed intelligente compagna di Mathias, esercitò più tardi degnamente ed efficacemente un'opera di moderazione e di bontà a profitto dei perseguitati e delle vittime della prepotenza regia. Kerstenbrok così scrive di lei:
“Nella corte spiccava su tutti la divina Divara, bella fra le belle, col suo opulento seno, le sue guance ove si fondevano il colore della rosa e del giglio, i suoi grandi occhi color del cielo”.
In seguito di Leyda prese in moglie (se così può dirsi) altre fanciulle, tutte giovanissime, in tutto sedici; ma la favorita restò sempre Divara.
Il palazzo del Vescovo fu scelto ad accogliere questa specie di harem ove egli usava trascorrere le notti nelle sue orge, e perché egli nel recarvisi non fosse costretto ad attraversare la strada, venne costruito fra il palazzo contiguo (ove abitava) e quello assegnato alle regine un corridoio coperto che li riuniva.
Nella piazza del Mercato fece innalzare una specie di alto trono ove egli periodicamente andava a sedersi; lì ascoltava le lamentele dei sudditi, risolveva le controversie, predicava e condannava. Fece inoltre coniare monete d'oro e di argento con le seguenti incisioni : “1534 Monasterii”; « Unum regnum Dei, unus rex iustus super omnes, unus Deus, una fides, unum baptisma”. Sul margine era inciso: “Qui non est natus ex aqua et spirito sancto non potest intrare regnum coelorum”.

Proclamò infine una nuova costituzione in ventotto articoli ; in essa erano proibiti e condannati severamente l'ubriachezza, l'adulterio, il furto, il giuoco, l'assassinio, il matrimonio alle persone affette da malattie ereditarie o comunque di debole costituzione. Tale ultimo divieto venne ammesso più tardi anche dal Campanella nella sua utopistica “Città del Sole” ; egli, come riferiva Maurizio De Rinaldis, cognato di uno dei seguaci del Campanella, voleva che “la generatione umana si doveva solamente fare da li huomini buoni, che li inabili non dovevano fare generatione”.
Era inoltre severamente punito come delitto l'ozio. Pochi cenni venivano fatti in tale costituzione su questioni religiose, mentre la comunità dei beni veniva, almeno in teoria, solennemente e nuovamente riaffermata.
Dopo gli ultimi avvenimenti, però, l’impopolarità del Re andò crescendo giornalmente, e di ciò pensò trarre profitto KNIPPERDOLLING per promuovere una rivolta allo scopo di ripristinare la forma popolare di governo.
Dopo avere ordita una congiura con pochi fedeli, un giorno, nell'ora in cui la piazza del Mercato era più affollata, egli arringò il popolo, eccitandolo a sollevarsi contro il Re ormai indegno di governare essendosi dimostrato uomo volgare, crudele e tiranno, e tentando di trascinare la folla verso la residenza regia.
Di Leyda, messo immediatamente al corrente della cosa da alcuni soldati, inviò contro il ribelle le truppe che aveva disponibili, precedute dai dodici littori. I pochi temerari che circondavano Knipperdolling furono messi allo sbando, e lui fu legato e condotto alle carceri, fra il silenzio e il terrore degli astanti.

Tale episodio istruì il Re meglio dell'assenteismo di Rothmann sullo stato d'animo popolare a suo riguardo ; ma la constatazione non servì ad altro che ad accrescere le restrizioni alla libertà dei cittadini, e ad avvicinare lo sfacelo della pubblica cosa.
Delle difficili condizioni createsi nella città a causa della istituzione della poligamia e del colpo di stato di Giovanni di Leyda venne informato il Vescovo che cercò, sebbene in ritardo, trarne profitto ordinando un nuovo assalto alle fortificazioni. Egli non comprendeva che al disopra delle discordie interne e del disordine regnava ancora la fede anabattista, e che la certezza della sorte che attendeva i cittadini se il Vescovo avesse rioccupata la città infondeva in essi disperato coraggio.
Prima di iniziare le operazioni di attacco, il Vescovo inviò un parlamentare alla città, intimando la resa affinché fosse evitato spargimento di sangue.
La risposta di Giovanni di Leyda fu veramente degna di un re : “Dite al Vescovo che la città è a sua disposizione ; che venga a prenderla, se crede che il diritto sia dalla sua parte”.

Respinta così l' intimazione di resa, il 25 maggio le truppe episcopali iniziarono l'assalto generale alla città. Gli anabattisti lasciarono che gli assalitori superassero il fossato, si avvicinassero alle mura della città e ne iniziassero la scalata. Poi ad un tratto reagirono violentemente e con tale furore, che gli episcopali furono presto sopraffatti. Le donne stesse cooperarono alla difesa con lancio di sassi e di materie infiammabili dalle mura. Mentre fra i difensori non vi furono che perdite lievissime, fra gli attaccanti le perdite furono molto gravi e scoraggianti. Circa quattromila episcopali rimasero uccisi o feriti nella lotta, e dei pochi prigionieri nessuno ebbe salva la vita.
La vittoria clamorosa sollevò per un istante gli animi degli assediati, mentre il Vescovo, convinto ormai dell' impossibilità di occupare la città con la forza delle armi, ordinò di intensificare il blocco onde prenderla per fame. Fece quindi costruire linee di palizzate, parapetti, nuovi fossati e tutte le altre opere atte alla difesa contro le sortite e al più rigoroso blocco.
Si rivolse quindi agli elettori di Magonza, Colonia, Treviri e del Palatinato e ai principi della Westfalia, chiedendo loro la cooperazione contro la città ribelle, e dimostrando il grave pericolo che tutti avrebbero corso se l'anabattismo non lo si distruggeva alle radici. A tale scopo venne iniziata a Coblenza una conferenza durante la quale dal Vescovo venne agitato principalmente ed astutamente lo spettro della espropriazione e della comunità dei beni, opifici, aziende agricole, case e palazzi.
II risultato fu che gli aiuti richiesti furono concessi, però sotto molte condizioni e con umilianti limitazioni, e a patto che il comando dell'esercito così formato fosse assunto non da un ufficiale del Vescovo, ma da un capo designato dai coalizzati. Fu scelto a tale scopo ULRICO DI FALKENSTEIN. Le truppe cominciarono a riunirsi nei pressi Munster, ed il loro affluire nelle linee degli episcopali gettò il più alto sgomento nella città assediata. La loro adunata e il loro addestramento richiesero minuziose cure e molto tempo.

Nella delusione generale per la metamorfosi subita dalle istituzioni popolari, per gli arbitrii e le violenze del Re, per la corruzione generale e per le discordie fra le più eminenti persone della città, il fanatismo non era scomparso e con esso l'eroismo che ne è spesso conseguente effetto. I vari episodi, lo stoicismo nel sopportare i tormenti, la supposta ispirazione divina, l'esaltazione eroica, se non avevano notevole importanza per gli effetti immediati che da essi ne conseguivano, erano, però, un indizio dello stato d'animo, del generoso furore, e spesso del generoso errore degli anabattisti.
Vi era fra gli anabattisti di Munster una giovane e bella donna, a nome ILLA, che si distingueva fra i cittadini per fervore di fede e fermezza di propositi. Ella godeva tra i fratelli anabattisti grande fama per l'ardire e lo slancio col quale aveva combattuto, con altre donne, durante gli assalti delle truppe del Vescovo alla città. Mano a mano che per il rigoroso blocco aumentavano le sofferenze, le malattie, la fame e gli stenti, si rinforzava in lei la convinzione che solo la soppressione del Vescovo, autore di tanto male, avrebbe liberata la città dalle sue pene e salvata la santa causa degli anabattisti.

Tale convinzione assunse in lei forma così assoluta e dominante, che ella si propose senz'altro di imitare il gesto liberatore e vendicatore di Giuditta contro Oloferne, pur sapendo perfettamente quale sorte era a lei serbata dopo il compimento di tale disegno. Il suo proposito, noto solo al Re, venne da costui caldamente incoraggiato, contando egli di compiere una vigorosa sortita e dar battaglia decisiva non appena avesse avuto sentore della morte del Vescovo, e sfruttando così a suo vantaggio lo sgomento che avrebbe invaso gli animi degli assedianti in tale occasione. D'accordo col Re, Illa stabilì un minuzioso piano per attuare il suo disegno.
Si vestì da semplice popolana, scegliendo però quella foggia di vestito che più desse risalto alla sua giovanile avvenenza; prese con sé poche monete, e all'alba del 16 giugno 1534, simulando di essere sfuggita con astuzia alle sentinelle anabattiste, si presentò a quelle del Vescovo. Arrestata e condotta nel campo episcopale, ella, con aspetto commosso, dichiarò di aver disertato il campo anabattista per sfuggire alle persecuzioni del Re, e di voler parlare al Vescovo per rivelargli importanti segreti sulla difesa della città, conoscendo i quali era facile occuparla senza spargimento di sangue cristiano. Dagli ufficiali di quel campo fu subito inviata a Waldeck, e condotta alla presenza del capitano di Merfeld.

Per quanto costui la interrogasse e insistesse, non riuscì ad avere da lei la rivelazione di quel segreto per mezzo del quale sarebbe stato possibile occupare la città di sorpresa. Ella si limitò a dichiarare di essere maritata (cosa non vera), di essere una vittima degli anabattisti, di voler fornire al Vescovo il mezzo sicuro per prendere la città senza spargimento di sangue, e null'altro chiudeva che grazia per suo marito che si trovava nella città, ed essendo pentito di aver combattuto fra gli anabattisti anelava a rientrare nel grembo della chiesa cattolica.

Il mistero di cui ella si circondava, la convincente parola e l'avvenenza della persona (requisito che valeva quanto una raccomandazione per la benevolenza del corrotto vescovo Waldek) convinsero il capitano Merfeld, e venne deciso che nei successivi giorni la donna sarebbe stata condotta alla presenza del Vescovo dal quale sarebbe stata ricevuta in segreto colloquio. Ma il ritardo frapposto dal capitano di Merleld salvò il Vescovo e fu sventura per Illa.

A Munster, non si sa come, e forse per imprudenza dello stesso Re, si era venuti a conoscenza dell'audace proposito della novella Giuditta. Un certo ERMANNO RAMERS, già disertore degli episcopali, convinto che la causa degli anabattisti era condannata all’insuccesso, pensò di procacciarsi il perdono del Vescovo salvandolo dalla minaccia imminente. Uscito dalla città nella notte fra il 17 e il 18, si recò agli avamposti episcopali, chiese di parlare subito con gli ufficiali, e ad essi confidò che una giovane e fanatica donna, della quale diede i connotati, era uscita due giorni prima da Miinster per attentare alla vita del Vescovo.
La notizia fu inviata immediatamente a Waldek, e Illa, che ancora attendeva di essere chiamata dal Vescovo, fu subito arrestata e rinchiusa in carcere.
Condotta nuovamente innanzi al capitano di Merfeld, confessò alteramente il suo proposito, che era quello di liberare il mondo da un odiato tiranno e gli anabattisti dal loro principale nemico. Venne quindi istruito un sommario processo in seguito al quale ella fu condannata alla decorticazione. La fanciulla accolse con fermezza la notizia dell'orribile sorte che l'attendeva, solo rammaricandosi di non aver potuto giovare ai suoi fratelli di fede. Ma il capitano di Merfeld, impietosito dello strazio che si sarebbe fatto di tanta bellezza, ottenne che l'atroce condanna fosse mutata in quella della decapitazione.
A Bewergern, presente molta truppa e nel più religioso silenzio degli astanti, Illa fu consegnata al carnefice. Prima dell'esecuzione ella si inginocchiò e pregò fervidamente Iddio ; indi salì con passo risoluto il palco e si offrì al carnefice che troncò, con un colpo di scure, quella generosa giovinezza. II cadavere venne bruciato, e le ceneri furono disperse.


Ma disperso e al tramonto c’era anche l’anabattismo….

CAP. X - IL TRAMONTO DELL'ANABATTISMO > > >

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