CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO


CAPITOLO II.
Comparazione fra la potenza mentale dell’uomo e quella degli animali sottostanti.

La differenza fra le facoltà inferiori della scimmia più elevata e del selvaggio più digradato è immensa – Alcuni istinti sono comuni – Emozioni – Curiosità – Imitazione – Attenzione – Memoria – Immaginazione – Ragione – Miglioramento progressivo – Utensili ed armi adoperati dagli animali – Linguaggio – Consapevolezza di sè – Senso del bello – Credenza in Dio, in agenti spirituali, superstizioni.
Nel precedente capitolo abbiamo veduto che nella struttura del suo corpo l’uomo porta tracce evidenti della sua origine da qualche forma più bassa; ma si potrebbe soggiungere tuttavia che siccome l’uomo differisce tanto grandemente nella sua potenza mentale da tutti gli altri animali, possa essere erronea questa conclusione. Senza dubbio la differenza per questo riguardo è enorme, anche se compariamo l’intelligenza del selvaggio più digradato, quello che non ha vocaboli per esprimere un numero superiore a quattro, non adopera termini astratti per indicare gli oggetti o gli affetti più comuni con quello della scimmia più elevata nella sua organizzazione. Certo la differenza sarebbe ancora immensa qualora si trattasse di una scimmia migliorata e incivilita quanto lo è il cane rispetto al suo antenato il lupo o lo sciacallo.

Gli abitatori della Terra del fuoco sono collocati fra i selvaggi più bassi; ma fu per me sempre una continua meraviglia vedere come i tre indigeni di quel paese, portati a bordo della nave inglese Beagle, dopo aver vissuto alcuni anni in Inghilterra, ove avevano imparato a parlare un po’ d’inglese, rassomigliassero a noi nelle attitudini e in molte delle nostre facoltà mentali. Se nessun essere organico, tranne l’uomo, fosse stato dotato di potenza mentale, oppure se questa potenza dell’uomo fosse di natura al tutto diversa da quella degli animali sottostanti, noi non avremmo mai potuto convincerci che le nostre alte facoltà siano andate man mano sviluppandosi. Ma si può dimostrare con molta evidenza che non v’ha nessuna fondamentale differenza di questa sorta. Dobbiamo pure ammettere che vi è una distanza molto maggiore fra la potenza mentale di uno degli infimi pesci, come una lampreda od un Amphioxus lanceolatus, ed una delle scimmie più perfette, che non fra una scimmia e l’uomo; tuttavia questo immenso intervallo è colmato mercè innumerevoli gradazioni.
Non è lieve neppure la differenza nelle disposizioni morali fra un barbaro, come quello descritto dall’antico navigante Byron, il quale schiacciò contro gli scogli un suo figliuolo perchè aveva lasciato cadere un panierino di ricci di mare, ed un Howard od un Clarkson; e nell’intelletto, fra un selvaggio che non fa uso di vocaboli astratti, e Newton e Shakespeare. Questa sorta di differenze fra gli uomini superiori delle razze più elevate ed i selvaggi più degradati si rannodano con lievissime gradazioni. Quindi è possibile che possano scomparire e svilupparsi le une nelle altre.
Mi propongo in questo capitolo di dimostrare soltanto che non v’ha differenza fondamentale fra l’uomo ed i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltà mentali. Ogni divisione di questo argomento può venire svolta in un lavoro separato, ma qui deve essere trattato brevemente. Siccome non è stata accettata universalmente nessuna classificazione delle potenze mentali, io disporrò le mie osservazioni nell’ordine più conveniente al mio scopo; e sceglierò quei fatti che mi hanno maggiormente colpito, sperando che possano produrre lo stesso effetto sul lettore.
Per ciò che riguarda gli animali che stanno molto in basso nella scala, avrò da aggiungere alcuni fatti addizionali nel capitolo della Scelta sessuale, per dimostrare che le loro potenze mentali sono assai più elevate di quello che si sarebbe potuto supporre. La variabilità di queste facoltà fra individui della medesima specie è per noi un punto importantissimo, e ne darò qui alcuni esempi. Ma sarebbe superfluo entrare in troppi particolari su questo argomento, mentre io mi sono assicurato, dopo aver preso molte informazioni, che tutti quelli che hanno avuto che fare per lungo tempo con animali di molte sorta, compresi gli uccelli, sono unanimemente di opinione che esiste fra i vari individui una grande diversità in ogni caratteristica mentale. In qual modo siansi sviluppate dapprima le potenze della mente negli organismi inferiori, è una ricerca senza speranza, al par di quella intorno al modo in cui siasi sviluppata la vita. Questi sono problemi serbati per un lontano avvenire, se pure l’uomo riuscirà mai a scioglierli.
Siccome l’uomo è fornito degli stessi sensi come gli animali sottostanti, le sue intuizioni fondamentali debbono essere le stesse. L’uomo ha pure comuni con essi alcuni istinti, come quello della propria conservazione, l’amore sessuale, quello della madre pel suo nato, la facoltà di quest’ultimo di poppare, e così via dicendo.
Ma l’uomo, forse, ha un minor numero d’istinti di quello che abbiano gli animali che lo seguono immediatamente nella serie degli esseri. L’urango delle isole orientali, e lo scimpanzè dell’Africa, si costruiscono piattaforme per dormire; e siccome queste due specie hanno lo stesso costume, si potrebbe asserire che ciò è prodotto dall’istinto: ma non possiamo essere ben certi che questo fatto non sia invece l’effetto di una somiglianza di bisogni e di potenza di ragionamento pari in entrambi questi animali. Per quanto possiamo riconoscere, queste scimmie sanno distinguere e scansare molti frutti velenosi dei tropici, e l’uomo non possiede questa cognizione; ma siccome i nostri animali domestici quando vengono portati in paesi forestieri e condotti al pascolo in primavera mangiano spesso erbe velenose, che in seguito imparano a scansare, così noi non possiamo esser certi che le scimmie non abbiano imparato per l’esperienza propria o quella dei loro genitori a scegliere i frutti. È tuttavia cosa certa, come vedremo ora, che le scimmie hanno un terrore istintivo dei serpenti, e probabilmente anche di altri animali pericolosi.
È notevole il piccolo numero e la comparativa semplicità degli istinti negli animali superiori in riscontro a quelli degli animali inferiori. Cuvier asseriva che l’istinto e l’intelligenza stanno in ragione inversa l’uno dell’altra; ed alcuni hanno creduto che le facoltà intellettuali degli animali superiori siansi gradatamente sviluppate dai loro istinti. Ma Pouchet, in un interessante lavoro ha dimostrato che non esiste in realtà una cosiffatta ragione inversa. Quegli insetti i quali sono dotati di più meravigliosi istinti sono certamente i più intelligenti. Nella serie dei vertebrati, i meno intelligenti come i pesci e gli anfibi, non sono forniti di istinti complessi; e fra i mammiferi l’animale più notevole pei suoi istinti, cioè il castoro è intelligentissimo, come potranno persuadersene coloro che abbiano letto l’eccellente lavoro del signor Morgan intorno a questo animale.
Quantunque i primi barlumi dell’intelligenza, secondo il signor Herbert Spencer, siansi sviluppati mercè il moltiplicarsi e il coordinarsi delle azioni riflesse, e quantunque molti fra i più semplici istinti siansi gradatamente mutati in azioni di questa sorta, e possano appena distinguersene, come nel caso del poppare dei giovani animali, nondimeno gli istinti più complessi sembrano essere stati originati indipendentemente dalla intelligenza. Tuttavia sono ben lontano dal voler negare che le azioni istintive possano perdere il loro carattere costante ed indelebile, ed essere sostituite da altre compiute mercè l’aiuto della libera volontà. D’altra parte alcune azioni intelligenti, come quando gli uccelli delle isole oceaniche imparano a sfuggire l’uomo per la prima volta, compiute per lo spazio di molte generazioni, si convertono in istinti e divengono ereditarie: allora si possono considerare come scadute di carattere, perchè non si compiono più per opera della ragione o dell’esperienza. Ma il maggior numero degli istinti più complessi sembra essere venuto in un modo al tutto diverso, cioè per mezzo della scelta naturale delle variazioni di più semplici azioni istintive. Cosiffatte variazioni sembrano essere originate dalle stesse cause ignote che agiscono sulla organizzazione del cervello, che inducono lievi variazioni o differenze individuali in altre parti del corpo; e queste variazioni, a cagione della nostra ignoranza, vengono sovente dette originate spontaneamente. Credo che non possiamo giungere ad altra conclusione per ciò che riguarda l’origine degli istinti più complessi, se pensiamo al meraviglioso istinto delle operaie sterili delle formiche e delle api, che non lasciano prole cui trasmettere colla eredità gli effetti della esperienza e della modificazione nei costumi.
Quantunque un grado elevato di intelligenza sia certamente compatibile colla esistenza di istinti complessi, come vediamo negli insetti testè menzionati e nel castoro, non è improbabile che possano fino a un certo punto incepparsi reciprocamente nel loro sviluppo. Poco si sa intorno alle funzioni del cervello, ma possiamo scorgere che quanto più le forze della intelligenza sono sviluppate, tanto più le varie parti del cervello debbono essere collegate fra loro per via dell’intreccio dei più intricati canali e in conseguenza ogni parte separata avrà forse una tendenza a divenire meno acconcia a rispondere in un modo definito ed uniforme, cioè istintivo, alle particolari sensazioni o associazioni.
Ho creduto utile fare questa digressione, perchè possiamo agevolmente tenere in minor conto le forze mentali degli animali superiori, e specialmente dell’uomo, quando compariamo le loro azioni fondate sulla memoria di passati avvenimenti, sulla previdenza, sulla ragione e sull’immaginazione, con azioni esattamente simili compiute per istinto dagli animali inferiori; essendo in quest’ultimo caso la attitudine a compiere cosiffatte azioni stata acquistata passo a passo per mezzo della variabilità degli organi della mente e della scelta naturale, senza nessuna intelligenza consapevole per parte dell’animale durante ogni successiva generazione. Non v’ha dubbio che, come ha dimostrato il signor Wallace, una gran parte delle opere intelligenti fatte dall’uomo son dovute all’imitazione e non al ragionamento: ma vi è questa grande differenza fra le sue azioni e quelle degli animali più bassi, che l’uomo può nella sua prima prova fare una accetta di pietra o uno schifo colla sua facoltà imitatrice. Egli deve imparare colla pratica a compiere la sua opera; invece un castoro può fare la sua diga o il suo canale, ed un uccello il suo nido, tanto o quasi tanto bene la prima volta che lo imprende, quanto se fosse vecchio e pieno di esperienza.
Ma torniamo al nostro principale argomento: gli animali sottostanti sentono evidentemente come l’uomo il piacere e il dolore, la felicità e la infelicità. La felicità è molto chiaramente espressa dai giovani animali, come i cagnolini, i gattini, gli agnelli, ecc., quando si trastullano fra loro come i nostri propri bambini. Anche gli insetti si divertono insieme, come ha descritto quell’eccellente osservatore che è P. Huber, che vide le formiche corrersi dietro cercando di mordersi per giuoco come fanno i cagnolini.
Il fatto che gli animali a noi sottostanti risentano le medesime emozioni che risentiamo noi stessi è tanto evidentemente fermato, che non è necessario tediare il lettore riferendo molti particolari. Il terrore ha la stessa azione sopra di essi come sopra di noi, facendone tremare i muscoli, battere il cuore, rilasciare gli sfinteri, e drizzar i peli. Il sospetto, generato dal timore, è eminentemente caratteristico della maggior parte degli animali selvatici. Il coraggio e la timidezza sono facoltà che variano sommamente negli individui della medesima specie, come si vede chiaramente nei nostri cani. Certi cani e certi cavalli hanno indole cattiva e s’imbronciano facilmente; altri posseggono un buon carattere; e queste facoltà sono certamente ereditarie. Ognuno sa quanto siano gli animali inclinati alla collera furiosa e quanto chiaramente la dimostrino. Si sono pubblicati molti aneddoti, probabilmente veri, intorno alla lungamente celata ed artificiosa vendetta di vari animali.

I diligenti osservatori Rengger e Brehm affermano che le scimmie americane ed africane che avevano in domesticità, certamente si vendicavano. È noto l’amore del cane pel suo padrone; e tutti sanno che nell’agonia della morte egli accarezza il padrone; e ognuno può aver sentito dire che il cane che soffre mentre viene sottoposto a qualche vivisezione lecca la mano dell’operatore; quest’uomo, a meno di avere un cuore di sasso, deve provare rimorso fino all’ultima ora della sua vita. Come ha osservato Whewel, “Colui il quale legge gli esempi commoventi dell’amor materno, riferiti tanto spesso, delle donne di ogni nazione e delle femmine di tutti gli animali, può egli mettere in dubbio che il principio dell’azione non sia lo stesso in ambi i casi?”.
Noi vediamo l’amore materno dimostrato fino nei più minuti particolari; così Rengger osservò una scimmia americana (un cebo) che stava scacciando diligentemente le mosche che tormentavano il suo piccolo; e Duvaucel vide un ilobate che lavava il viso del suo piccolo ad un ruscello. Il dolore della perdita dei loro nati è così potente nelle scimmie femmine, che fu causa certa della morte di alcune specie tenute prigioniere da Brehm nel nord dell’Africa. Le scimmie orfane venivano sempre adottate e custodite con gran cura da altre scimmie, tanto maschi che femmine. Un babbuino femmina era di tanto cuore che non solo adottava le giovani scimmie di altre specie, ma rubava cagnolini e gattini, che si portavano continuamente in giro. Tuttavia la sua amorevolezza non giungeva al punto di dare alla famigliuola adottiva una parte del suo cibo, ciò che sorprendeva Brehm, perchè le sue scimmie dividevano ogni cosa di buon grado coi loro propri piccini. Un gattino adottato in tal modo graffiò un giorno il suddetto amorevole babbuino, il quale certo era dotato di molto ingegno, perchè rimase al tutto attonito vedendosi graffiato, ed osservò subito le zampe del gattino, e senza esitare gli strappò via coi denti le unghie.

Ho inteso dire da un custode del Giardino zoologico di Londra che un vecchio babbuino (C. chacma) aveva adottato una scimmia Rhesus; ma quando vennero messi nella sua gabbia un giovane drillo e un mandrillo, egli sembrò accorgersi che quelle scimmie, sebbene fossero specie distinte, gli erano parenti più prossimi, perchè respinse il Rhesus e adottò gli altri due. Il giovane Rhesus, come potei vedere, fu molto indispettito di quell’abbandono, e, come un ragazzo stizzoso, cercava di annoiare e stuzzicare il giovane drillo ed il mandrillo, ogniqualvolta poteva farlo senza pericolo: questa condotta eccitava molto risentimento nel vecchio babbuino. Le scimmie pure, secondo Brehm, sanno difendere il padrone quando venga aggredito da qualcheduno, quanto possono farlo i cani affezionati contro le aggressioni di altri cani. Ma qui siamo entrati nel terreno della simpatia, ove ritorneremo poi. Alcune delle scimmie di Brehm si dilettavano a tormentare un certo vecchio cane che era loro antipatico, come pure altri animali.
Una gran parte delle emozioni più complesse sono comuni agli animali più elevati ed a noi. Ognuno può aver veduto quanta gelosia dimostri il cane se il padrone prodiga il suo affetto ad un’altra creatura, ed io ho osservato lo stesso fatto nelle scimmie. Ciò dimostra che non solo gli animali amano, ma sentono il desiderio di essere amati. È chiaro che gli animali sono sensibili alla emulazione. Amano l’approvazione e la lode; ed un cane che porta in bocca il panierino del padrone mostra in sommo grado la sua soddisfazione o il suo orgoglio. Credo che non si possa mettere in dubbio che il cane senta la vergogna ben diversa dal timore, e un non so che come di modestia quando troppo spesso viene a chiedere il cibo. Un cane grosso non bada punto ai deboli latrati di un cane piccolo; ciò può essere considerato come magnanimità. Parecchi osservatori hanno affermato come cosa sicura che le scimmie si offendono quando vengono burlate, e talora credono ad offese immaginarie. Io vidi nel Giardino zoologico di Londra un babbuino andare su tutte le furie quando il suo custode traeva di tasca una lettera od un libro e glie lo leggeva ad alta voce e la sua rabbia era così grande, che una volta lo vidi mordersi una gamba fino a farla sanguinare.
Noi ora ci rivolgeremo alle emozioni e facoltà più intellettuali, che sono importantissime perchè formano la base dello sviluppo delle forze mentali più elevate. Gli animali godono evidentemente nell’eccitamento e soffrono la noia, come si può vedere nel cani, e secondo Rengger, nelle scimmie. Tutti gli animali sentono la meraviglia, e molti mostrano curiosità. Talvolta quest’ultima facoltà reca loro danno, come quando il cacciatore si atteggia buffamente e li attira in tal modo; io ho osservato questo coi cervi, e segue lo stesso con vari camosci e con alcune specie di anatre selvatiche. Brehm riferisce alcuni curiosi ragguagli intorno al terrore istintivo che dimostravano le scimmie pei serpenti; ma la loro curiosità era così grande che non potevano a meno di soddisfare, quando ne avevano il destro, il loro orrore in un modo quasi umano, alzando il coperchio della scatola ove stavano racchiusi i serpenti. Rimasi tanto sorpreso da questo ragguaglio, che presi un serpente impagliato e lo portai nella gabbia delle scimmie del Giardino zoologico di Londra, e l’eccitamento che quella vista cagionò là dentro fu uno degli spettacoli più curiosi cui io abbia mai assistito. Fra i più spaventati v’erano tre specie di cercopiteci: essi balzavano qua e là per la gabbia mandando gridi particolari di allarme, che erano compresi dalle altre scimmie. Solo alcune giovani scimmie ed un vecchio babbuino Anubis non badarono al serpente. Allora posi il mio esemplare impagliato sul pavimento di uno degli scompartimenti più larghi. Dopo un certo tempo tutte le scimmie si raccolsero intorno formando un largo cerchio, e cogli sguardi intenti presentavano un aspetto sommamente ridicolo. Divennero tutte molto eccitate; cosicchè quando una palla di legno che serviva loro giornalmente di trastullo venne per caso mossa nella paglia ov’era quasi nascosta, fuggirono via all’istante tutte sgomente.

Queste scimmie si comportavano diversamente quando nelle loro gabbie si metteva un pesce morto, un topo, o qualche altro insolito oggetto; perchè sebbene a prima vista fossero spaventate, si accostavano in breve e li prendevano in mano per esaminarli. Posi allora un serpente vivo in un sacco di carta, colla bocca ben chiusa, in uno dei più vasti scompartimenti. Una scimmia si accostò subito, aperse con precauzione un tantino il sacchetto, vi guardò dentro e subito fuggì via. Allora fui testimonio di ciò che ha descritto Brehm; cioè le scimmie, una dopo l’altra, col capo sollevato e rivolto da un lato, non poterono resistere alla curiosità che le spingeva a dare un’occhiatina nel sacco per vedere lo spaventoso oggetto che se ne stava tranquillamente al fondo. Sembrerebbe anche che le scimmie abbiano una certa nozione delle affinità zoologiche, perchè quelle tenute da Brehm mostrano uno strano, sebbene erroneo, istintivo terrore delle innocue lucertole e delle rane. Si è veduto anche un urango rimanere spaventato al vedere per la prima volta una testuggine.
Il principio dell’Imitazione è forte nell’uomo, e specialmente nell’uomo in stato di barbarie. Desor ha notato che nessun animale imita volontariamente un’azione compiuta dall’uomo finchè risalendo nella scala animale non si giunga alle scimmie, che, come tutti sanno, sono ridicole imitatrici. Tuttavia, gli animali imitano talora le loro reciproche azioni; così due specie di lupi che erano stati allevati da cani impararono ad abbaiare, come fa qualche volta lo sciacallo: ma se ciò possa venir detto imitazione volontaria, è altra questione. Da una relazione che ho letta, vi è ogni ragione per credere che i cagnolini nutriti dai gatti imparano talvolta a leccarsi i piedi e pulirsi in tal modo il muso: è almeno cosa certa, che ho udita da persona degna di fede, che alcuni cani si comportano in tal modo. Gli uccelli imitano il gorgheggio dei loro genitori, e spesso quello di altri uccelli e i pappagalli sono noti per la facoltà che hanno d’imitare ogni suono che sentono.
Non v’ha forse facoltà più importante pel progresso intellettuale dell’uomo quanto la potenza dell’Attenzione. Gli animali dimostrano chiaramente di essere dotati di questa facoltà, e ciò si osserva quando un gatto sta attento spiando da un buco per esser pronto a balzare sulla preda. Gli animali selvatici sono talvolta tanto assorti in quella aspettazione, che si lasciano accostare agevolmente. Il sig. Bartlett mi ha fornito una prova curiosa del come sia variabile questa facoltà nelle scimmie. Un uomo che ammaestrava scimmie per farle operare, soleva comprare dal Giardino zoologico di Londra le specie più comuni pagandole circa 125 franchi l’una; egli però offerse di raddoppiare il prezzo se glie ne avessero lasciate tre o quattro per pochi giorni onde scegliersene una. Essendogli stato domandato come poteva sapere in un tempo così breve se una data scimmia sarebbe riuscita una buona attrice, egli rispose che tutto ciò dipendeva dalla loro potenza di attenzione. Se mentre egli parlava e spiegava ogni cosa ad una scimmia, questa invece di stare attenta si distraeva facilmente per una mosca che volasse sul muro, o per qualche altro oggetto, il caso era disperato. Se coi castighi cercava di far agire una scimmia disattenta, diveniva dispettosa e cattiva. Invece una scimmia che stesse bene attenta a lui, poteva venire benissimo ammaestrata. È quasi superfluo dire che gli animali hanno una eccellente Memoria delle persone e dei luoghi. Mi è stato detto da sir Andrea Smith che un babbuino al Capo di Buona Speranza lo riconobbe e si mostrò allegro rivedendolo dopo un’assenza di nove mesi. Io aveva un cane che era rustico e scontroso con tutti gli estranei, e volli appunto far prova della sua memoria dopo un’assenza di cinque anni e due giorni. Mi accostai alla scuderia ove soleva rimanere, lo chiamai nel mio modo antico; non mostrò gioia, ma mi venne dietro sul momento, obbedendomi proprio come se lo avessi lasciato solo una mezz’ora prima. Una serie di vecchie rimembranze, che per cinque anni erano rimaste sopite, si svegliarono così repentinamente nella sua mente. Anche le formiche, come ha dimostrato con tanta evidenza P. Huber, riconobbero le loro compagne che appartenevano allo stesso formicaio dopo una separazione di quattro mesi. Gli animali possono certamente in qualche modo giudicare degli intervalli di tempo passato fra gli avvenimenti seguiti.
L’Immaginazione è una delle più elevate prerogative dell’uomo. Egli con questa facoltà unisce, indipendentemente dalla volontà, antiche immagini ed idee, e crea così brillanti e nuovi effetti. “Un poeta, siccome osserva Giovan Paolo Richter, il quale deve riflettere se farà dire di sì o di no ad un suo personaggio, il diavolo se lo porti, non è che salma inerte”. I sogni ci dànno la miglior nozione di questa nostra potenza; come dice lo stesso Giovan Paolo: “Il sogno è un’arte poetica involontaria”. Naturalmente il valore dei prodotti della nostra immaginazione dipende dal numero, dalla accuratezza e dalla chiarezza delle nostre impressioni; dal nostro giudizio e dal gusto nello scegliere e respingere le involontarie combinazioni, e fino a un certo punto dalla nostra potenza a combinarle volontariamente. Siccome i cani, i gatti, i cavalli e probabilmente tutti gli animali superiori ed anche gli uccelli, come è affermato da buone testimonianze, hanno sogni vivaci, e ciò dimostrano coi movimenti e colla voce, dobbiamo ammettere che posseggano una certa potenza d’immaginazione.
Fra tutte le facoltà, della mente umana, si riconoscerà, credo, che la Ragione è la più elevata. Sono pochi quelli che vorranno negare che gli animali non siano forniti di un certo potere di ragionare. Si possono vedere costantemente animali che si fermano, deliberano e risolvono. È un fatto significante che quanto più un naturalista studia i costumi di un dato animale, tanto più fa larga la parte alla ragione e minore al semplice istinto. Nei capitoli seguenti vedremo che alcuni animali affatto al basso della scala danno apparenti prove di un certo grado di ragione. Senza dubbio spesso è difficile distinguere fra la potenza della ragione e quella dell’istinto. Così il dottor Hayes nella sua opera The Open Polar Sea, osservò ripetutamente che i suoi cani invece di continuare a tirare le slitte riuniti in una massa compatta si discostavano e si sparpagliavano quando giungevano sul ghiaccio più sottile, onde il loro peso fosse più equamente distribuito. Sovente questo era il primo avvertimento che ricevevano i viaggiatori dello assottigliarsi del ghiaccio e del suo diventare pericoloso. Ora quei cani agivano essi per l’esperienza di ciaschedun individuo, o per l’esempio di cani più vecchi e più esperti, o per costumanza ereditaria, vale a dire per istinto? È possibile che questo istinto sia derivato da tempi molto antichi, quando i cani vennero primamente adoperati dagli indigeni a tirare le slitte; ovvero i lupi artici, primo stipite del cane esquimale, possono avere acquistato quell’istinto, che li conduceva a non aggredire la preda in brigate compatte quando erano sopra uno strato sottile di ghiaccio. Questa sorta di questioni sono molte ardue da sciogliere.
Sono stati riferiti tanti fatti in varie opere per dimostrare che gli animali sono forniti di un certo grado di ragione, che non farò qui menzione se non di due o tre esempi, accertati da Rengger, e ove trattasi di scimmie americane che sono le più basse del loro ordine. Egli afferma che la prima volta che diede uova alle sue scimmie, esse le schiacciarono, e in tal modo perdettero buona parte del contenuto; ma poi ruppero con grazia contro qualche corpo duro un poco del guscio, e colle dita tolsero i pezzetti di esso. Quando si erano ferite una volta con qualche oggetto tagliente non lo toccavano più, ovvero lo prendevano in mano con ogni sorta di precauzioni. Sovente venivano loro dati pezzetti di zucchero ravvolti nella carta, e talvolta Rengger poneva una vespa viva dentro la carta, cosicchè quando aprivano in fretta l’involtino esse venivano punte; ma dopo che ciò fu fatto una volta esse sempre accostavano l’involtino all’orecchio prima di svolgerlo, per assicurarsi che non v’era dentro nulla che si movesse. Chiunque non rimanga convinto da fatti di questa sorta, e da ciò che possiamo osservare nei nostri cani, che gli animali possono ragionare, non se ne convincerà checchè possa io aggiungere. Nondimeno voglio citare ancora un fatto che riguarda i cani, perchè è appoggiato da due distinti osservatori, e può essere attribuito alla modificazione di un qualche istinto.
Il signor Colquhoun colpì due anatre selvatiche che caddero sulla riva opposta del fiume: il suo cane cercò di portarle entrambe insieme, ma non gli fu possibile; allora, sebbene sino a quel punto non avesse mai strappato una penna ad un uccello, deliberò di ucciderne una, portò la prima, poi tornò indietro a prendere la morta. Il colonnello Hutchinson racconta che avendo egli colpito una volta due pernici ad un tempo, una rimase uccisa e l’altra ferita; questa corse via e venne raggiunta e presa dal cane, il quale tornando si imbattè nell’uccello morto: si fermò, evidentemente molto imbarazzato, e dopo uno o due tentativi, vedendo che non poteva abboccarlo senza lasciar sfuggire l’uccello ferito, dopo averci riflettuto un momento, uccise questo deliberatamente dandogli una forte stretta coi denti, poi li portò tutti e due insieme. Quella fu l’unica volta in cui il cane abbia fatto volontariamente male ad un capo di selvaggina. Qui dunque v’ha raziocinio, sebbene non al tutto perfetto, perchè il cane avrebbe potuto portare prima l’uccello ferito e andare poi a prendere quello morto, come nel caso delle anatre selvatiche.
I mulattieri del sud America dicono: “Non vi darò la mula che ha il passo più dolce, ma la mas racional, quella che ragiona meglio”; e Humboldt aggiunge “questa espressione popolare, dettata da una lunga esperienza, combatte il sistema di macchine animate, meglio forse che non tutti gli argomenti della filosofia speculativa”.
Abbiamo, credo, dimostrato ora che l’uomo e gli animali superiori, specialmente i primati, hanno in comune alcuni pochi istinti. Tutti hanno gli stessi sensi, le stesse intuizioni e sensazioni, – passioni, affetti ed emozioni simili, anche le più complesse; sentono la meraviglia e la curiosità; posseggono le stesse facoltà di imitazione, attenzione, memoria, immaginazione e raziocinio, sebbene in gradi molto differenti. Nondimeno molti autori hanno asserito con insistenza che l’uomo per le sue facoltà mentali è separato da tutti quanti gli animali più bassi da una insuperabile barriera. Molto tempo fa io avevo raccolto un buon numero di cosiffatti aforismi, ma non valgon la pena di essere riferiti, perchè la loro grande differenza ed il loro numero dimostrano la difficoltà, se non l’impossibilità, del tentativo. È stato asserito che l’uomo solo è capace di progressivo miglioramento, che egli solo adopera strumenti o fa fuoco, addomestica gli altri animali, possiede proprietà, fa uso di un linguaggio; che nessun altro animale ha la coscienza di se stesso, si conosce, ha la forza di astrazione o possiede idee generali; che l’uomo solo ha il senso del bello, è soggetto a capricci, ha sensi di gratitudine, di mistero, ecc.; crede in Dio, o è fornito di una coscienza. Mi arrischierò a fare alcune osservazioni intorno ai punti più importanti ed interessanti fra questi.
L’arcivescovo Sumner asseriva già che l’uomo solo è capace di un progressivo miglioramento. Per ciò che riguarda gli animali, osservando solo l’individuo, ognuno che abbia avuto qualche pratica del tendere trappole sa che gli animali giovani si prendono con maggiore facilità dei vecchi; e si lasciano avvicinare dal nemico molto agevolmente. In quanto agli animali vecchi, è impossibile prenderne molti nello stesso luogo e collo stesso agguato, o distruggerli colla stessa qualità di veleno; tuttavia non è probabile che tutti abbiano assaggiato il veleno, ed è impossibile che tutti siano stati colti al laccio. Essi debbono imparare ad esser cauti vedendo i loro compagni presi o avvelenati. Nell’America del nord, ove gli animali dalle pellicce sono stati lungamente perseguitati, essi mostrano secondo le asserzioni unanimi di tutti gli osservatori, una dose quasi incredibile di sagacia, di cautela e di malizia: ma gli agguati sono stati adoperati tanto lungamente che è possibile che l’eredità sia venuta in giuoco.
Se osserviamo le successive generazioni, o la razza, non v’ha dubbio che gli uccelli ed altri animali vadano acquistando e perdendo gradatamente la cautela in rapporto coll’uomo o cogli altri loro nemici; e questa cautela è in gran parte dovuta all’eredità od istinto, ma in parte è frutto di esperienza individuale. Un buon osservatore, Leroy, asserisce in quelle parti ove si dà molto la caccia alle volpi, i giovani quando cominciano a lasciare le loro tane sono incontestabilmente molto più guardinghi che non i vecchi in quelle parti ove non sono molto disturbati.
I nostri cani domestici discendono dai lupi e dagli sciacalli e sebbene non abbiano progredito in malizia, e possano aver perduto un certo grado di diffidenza e di sospetto, tuttavia han progredito in certe qualità morali, come in amorevolezza, confidenza, carattere, e probabilmente nella intelligenza in generale. Il topo delle chiaviche, o surmulotto, ha conquistato e vinto parecchie altre specie di topi in tutta Europa, in alcune parti dell’America del nord, nella Nuova Zelanda, e recentemente in Formosa, come pure nel continente della Cina. Il signor Swinhoe, che descrive questi ultimi fatti, attribuisce la vittoria del topo comune sul grosso Mus coninga alla sua maggiore malizia, e quest’ultima qualità può essere attribuita all’esercizio abituale di tutte le sue facoltà per sfuggire alla distruzione che ne fa l’uomo, tanto che quasi tutti i topi meno maliziosi o meno intelligenti sono stati successivamente distrutti da lui. Lo asserire, senza nessuna prova diretta che nessun animale nel corso dei secoli abbia progredito nell’intelligenza o in altre facoltà mentali, è chiamare in campo la questione della evoluzione della specie. Vedremo in seguito che, secondo Lartet certi mammiferi viventi che appartengono a parecchi ordini hanno il cervello più grande di quello dei loro antichi prototipi dell’epoca terziaria.
Si è detto molto sovente che nessun animale adopera utensili di sorta; ma lo scimpanzè in stato di natura schiaccia un frutto indigeno, una sorte di noce, con un sasso. Rengger insegnò molto facilmente ad una scimmia americana a spaccare così le noci di cocco, ed in seguito l’animale adoperò quel sistema a rompere ogni sorta di noci, come pure le scatole. Essa toglieva parimenti la pellicola del frutto, che ha sgradevole sapore. Un’altra scimmia aveva imparato a sollevare il coperchio di una scatola con un bastoncino, e poi adoperava il bastoncino come leva a muovere corpi pesanti; ed io medesimo ho veduto un giovane urango mettere una verghetta in una fessura, far scorrere la mano dal capo opposto e adoperarla appunto come una leva. Nei casi testè menzionati i sassi e i bastoncini erano usati come utensili: ma sono pure adoperati come armi. Brehm asserisce sull’autorità del notissimo viaggiatore Schimper, che in Abissinia quando i babbuini che appartengono ad una specie (C. gelada) scendono in schiere dai monti per saccheggiare i campi, incontrano spesso schiere di un’altra specie (C. hamadryas), e allora segue un combattimento. I gelada fanno rotolare giù grosse pietre, che le amadriadi cercano di scansare, e le due schiere, mandando altissime grida, si slanciano furiosamente l’una contro l’altra. Brehm, quando accompagnava il duca di Coburgo Gotha, prese parte ad una battaglia con armi da fuoco contro un esercito di babbuini nel passo di Mensa in Abissinia. I babbuini per difendersi rotolarono giù dai monti un numero cosiffatto di sassi, alcuni dei quali grossi come il capo di un uomo, che gli aggressori dovettero in fretta battere in ritirata; e il passaggio fu allora per un certo tempo impedito alla carovana. Merita menzione il fatto che quei babbuini operavano di comune concerto. Il signor Wallace vide in tre occasioni le femmine degli uranghi, accompagnate dai loro piccoli, “rompere i rami e staccare grossi frutti spinosi dall’albero Durien, con segni evidenti di collera, e scagliarli per modo da fare una pioggia di proiettili tale da impedir loro di avvicinarsi troppo all’albero.
Nel Giardino zoologico di Londra una scimmia che aveva i denti deboli soleva rompere le noci con un sasso, e i custodi mi hanno assicurato che dopo averlo adoperato lo nascondeva nella paglia, e non lo lasciava toccare da nessun’altra scimmia. Così noi vediamo qui l’idea della proprietà, cosa del resto comunissima in ogni cane che ha un osso, e in moltissimi, se non in tutti, gli uccelli pel loro nido.
Il duca di Argyll osserva che il fabbricare un ordegno per un uso speciale è opera al tutto particolare all’uomo; e considera che ciò formi un insuperabile abisso fra esso ed i bruti. Senza dubbio questa è una distinzione importante; ma secondo me vi è maggior verità nella asserzione del signor Lubbock, che quando l’uomo primitivo incominciò ad adoperare le selci per qualche suo uso particolare, le avrà spezzate per caso, o si sarà servito dei frammenti più taglienti. Da questo primo passo la strada è breve per giungere a romperle di proposito, e non è troppo lunga per giungere a foggiarle grossolanamente. Tuttavia questo ultimo progresso, deve aver preso molti secoli, se giudichiamo dall’immenso intervallo di tempo che è passato prima che gli, uomini dell’epoca neolitica cominciassero ad arrotare e levigare i loro utensili di pietra. Spaccando le selci, osserva pure J. Lubbock, saranno uscite scintille, e arrotandole si sarà svolto calore: “così possono essere stati originati i due più comuni metodi per ottenere il fuoco”. La natura del fuoco doveva essere stata nota nelle tante regioni vulcaniche ove alle volte la lava scorre in mezzo alle foreste. Le scimmie antropomorfe, guidate probabilmente dall’istinto, si costruiscono temporanee piattaforme; ma siccome molti istinti sono grandemente controllati dalla ragione, i più semplici, come quello di costruirsi una piattaforma, si possono agevolmente convertire in un atto volontario e consapevole. Si sa che l’urango si copre di notte colle foglie del pandano; e Brehm asserisce che uno dei suoi babbuini soleva ripararsi dal calore del sole ponendosi una stuoia sul capo. In queste ultime abitudini vediamo forse i primi passi verso alcuna fra le più semplici arti; cioè la grossolana architettura ed il vestiario, come ebbero origine presso i primi progenitori dell’uomo.
Linguaggio. – Questa facoltà è stata con molta ragione considerata come una delle principali distinzioni fra l’uomo e gli animali ad esso inferiori. Ma l’uomo, come osserva un giudice molto competente, l’arcivescovo Whately, “non è il solo animale che possa far uso del linguaggio per esprimere quello che gli passa per la mente, e comprendere, più o meno, ciò che viene in tal modo espresso da un altro”. Nel Paraguay il Cebus azarae quando è eccitato manda almeno sei suoni distinti, che destano una somigliante emozione in altre scimmie. Noi comprendiamo i movimenti della fisonomia ed i gesti delle scimmie, come esse in parte comprendono i nostri, secondochè asseriscono Rengger ed altri. È anche un fatto notevole che il cane dacchè è divenuto domestico, ha imparato ad abbaiare almeno in tre o quattro modi diversi. Sebbene l’abbaiare sia un’arte nuova, senza dubbio le specie selvatiche, gli antenati del cane, esprimevano i loro sentimenti con varie sorta di gridi. Nel cane addomesticato noi abbiamo il latrato smanioso, come nella caccia; quello della collera; il grido o l’ululo della disperazione, quando viene chiuso; quello della gioia quando si avvia a passeggio col padrone; e quello ben distinto di domanda supplichevole quando desidera che gli si apra una porta o una finestra.
Tuttavia il linguaggio articolato è particolare all’uomo; ma questo adopera in comune cogli animali a lui inferiori grida inarticolate per esprimere il suo desiderio aiutandosi coi gesti e coi movimenti dei muscoli del volto. Ciò specialmente segue pei sentimenti più semplici e vivaci, che hanno scarso rapporto colla nostra più alta intelligenza. Le nostre grida di dolore, di timore, di sorpresa, di rabbia, unitamente alle azioni appropriate, e il mormorio di una madre al suo diletto bambino, son più espressivi che qualunque parola. Non è il solo potere di articolare che distingue l’uomo dagli altri animali, perchè come tutti sanno, i pappagalli riescono a parlare; ma è la sua grande facoltà di poter riunire suoni definiti con definite idee; e questo ovviamente dipende dallo sviluppo delle facoltà mentali.

Come osserva Horne Tooke, uno dei fondatori di quella nobile scienza che è la filologia, il linguaggio è un’arte come fare il pane o far la birra; ma lo scrivere sarebbe stato un paragone molto più acconcio. Non è certamente un vero istinto perchè ogni lingua deve essere imparata. Tuttavia differisce moltissimo da tutte le arti ordinarie, perchè l’uomo ha una tendenza istintiva a parlare, come vediamo nel balbettare dei nostri bambini; mentre nessun bimbo ha mai una tendenza istintiva a fare il pane, la birra o scrivere. Inoltre, oggi nessun filologo suppone che ogni linguaggio sia stato inventato a bella posta; ognuno si è svolto lentamente e inconsciamente mercè molti passi. I suoni prodotti dagli uccelli offrono in parecchi casi la più stretta analogia col linguaggio, perchè tutti i membri della stessa specie mandano gli stessi istintivi gridi che esprimono le loro emozioni, e tutte le specie dotate del dono del canto esercitano questa facoltà istintivamente: ma il canto attuale, e anche le note di richiamo sono imparate dai genitori o da altri parenti. Questi suoni, come ha dimostrato Daines Barrington “non sono più innati di quello che sia il linguaggio nell’uomo. I primi tentativi a cantare si possono paragonare al tentativo imperfetto di un bambino che balbetta”. I giovani maschi continuano a far pratica, o, come dicono gli uccellatori, a ricordarsi, per dieci o undici mesi. I loro primi tentativi dimostrano appena un rudimento del canto futuro; ma a misura che vanno avanti nell’età possiamo accorgerci che vi riescono, ed alfine si dice che “compiono la loro canzone”. I nidiacei che hanno imparato il canto di una specie distinta, come quello dei canarini allevati in Tirolo, insegnano e trasmettono il nuovo canto alla loro prole. Le lievi differenze naturali del canto nella medesima specie che abiti diversi distretti possono essere comparate, appunto come osserva Barrington, ai dialetti delle varie provincie, e i canti di specie affini ma distinte possono essere paragonati alle lingue delle diverse razze umane. Ho dato questi particolari per dimostrare che l’istintiva tendenza ad imparare un’arte non è una facoltà esclusiva all’uomo.

 

Per ciò che riguarda poi l’origine del linguaggio articolato, dopo aver letto per una parte le interessantissime opere del signor Hensleigh Wedgwood, del rev. F. Farrar, e del prof. Schleicher, e dall’altra le celebri letture del professore Max Müller, non posso mettere in dubbio che il linguaggio deve la sua origine alla imitazione e modificazione aiutata dai segni e dai gesti dei vari suoni naturali, delle voci degli altri animali, e delle grida istintive dell’uomo. Quando parleremo della scelta sessuale vedremo che l’uomo primitivo, o meglio alcuni dei primi progenitori di esso, adoperavano grandemente la loro voce come fanno oggi le scimmie ilobati, producendo cadenze musicali, cioè cantando: potremo quindi conchiudere da una estesa analogia, che questa attitudine si sarà esercitata particolarmente durante gli amori dei sessi, servendo ad esprimere varie emozioni, come l’amore, la gelosia, il trionfo, e venendo anche adoperata per sfidare i rivali.
L’imitazione di grida musicali fatta con suoni articolati deve avere dato origine a vocaboli esprimenti svariate e complesse emozioni. Quanto poi all’argomento dell’imitazione, esiste una grande tendenza nelle nostre prossime affini, le scimmie, negli idioti microcefali e nelle razze umane barbare ad imitare tutto ciò di cui l’orecchio dà loro contezza. Siccome le scimmie intendono certamente molta parte di ciò che l’uomo dice loro, e siccome nello stato di natura mandano grida di allarme per avvertire le compagne, non sembra al tutto incredibile che qualche animale come la scimmia insolitamente dotato di ingegno superiore abbia cercato d’imitare il ruggito di una belva tanto per indicare alle scimmie sue compagne la qualità del pericolo che le minacciava. E questo sarebbe stato il primo passo nella formazione di un linguaggio.
Mentre la voce si andava sempre più adoperando, gli organi vocali debbono essersi man mano rinforzati e perfezionati pel principio degli effetti ereditari dell’esercizio, e ciò può avere reagito sulla facoltà di parlare. Ma la relazione tra l’uso continuato del linguaggio e lo sviluppo del cervello deve essere stata indubbiamente molto più importante. Le potenze mentali di alcuni fra i primi progenitori dell’uomo debbono essere state molto più sviluppate di quello che siano in nessuna scimmia esistente oggi; prima anche che fosse adoperata qualunque, per quanto imperfetta forma di linguaggio; ma possiamo credere con piena fede che l’uso continuato e il progresso di questa potenza deve aver reagito sulla mente rendendola atta sempre meglio a formare una lunga catena di pensieri. Una lunga e complessa serie di pensieri non può formarsi senza l’aiuto delle parole, siano esse pronunciate, o taciute come non si può fare un lungo calcolo senza adoperare le figure dell’algebra. Sembra anche che qualunque ordinaria serie di pensieri abbia bisogno di qualche forma di linguaggio, perchè una fanciulla sorda, muta e cieca, per nome Laura Bridgman fu veduta muovere le dita mentre sognava. Nondimeno una lunga successione di idee vivaci e ben coordinate può passare per la mente senza l’aiuto di nessuna forma di linguaggio, come vediamo nei sogni prolungati dei cani. Abbiamo anche veduto che i cani da caccia possono fino a un certo punto ragionare: e ciò fanno evidentemente senza l’aiuto di un linguaggio. L’intimo legame che esiste fra il cervello come è oggi sviluppato in noi e la facoltà di parlare è benissimo dimostrato in quelle curiose malattie del cervello nelle quali vien lesa particolarmente la parola, come per esempio quando si perde la memoria dei sostantivi, mentre le altre parole si pronunciano correttamente. Non vi è maggior improbabilità a ciò che gli effetti dell’uso continuo degli organi della voce e della mente siano ereditati, di quello che lo sia la scrittura, che dipende in parte dalla conformazione della mano, e in parte dalla disposizione della mente; ed è certo che la facoltà calligrafica si eredita.
Non è difficile vedere la ragione per cui gli organi ora adoperati per parlare si siano in origine perfezionati all’uopo, a preferenza di qualunque altro organo: le formiche hanno nelle loro antenne mezzi notevolissimi per comunicarsi le loro idee; ciò è dimostrato da Huber, il quale ha speso un intero capitolo intorno al loro linguaggio. Noi avremmo potuto adoperare le dita come strumenti efficaci, perchè una persona che sia pratica può riferire ad un sordo ogni parola di un discorso rapidamente pronunziato in una pubblica riunione; ma la perdita dell’uso delle nostre mani mentre fossero occupate in quell’esercizio, sarebbe stato un grande inconveniente. Siccome tutti i mammiferi più elevati sono forniti di organi costrutti secondo lo stesso stampo generale dei nostri, e sono adoperati come mezzi di comunicazione, era molto probabile che, se la facoltà di comunicazione doveva venir migliorata, quegli stessi organi dovessero sempre più svilupparsi; e ciò si è compiuto coll’aiuto di nuove e ben acconce parti, cioè la lingua e le labbra.
Il fatto che le scimmie più elevate non adoperano i loro organi vocali per parlare dipende senza dubbio dacchè la loro intelligenza non ha sufficientemente progredito. Il possesso per parte loro di organi che con una lunga e continua pratica avrebbero potuto acconciarsi all’uso della parola, sebbene non mai adoperati a questo scopo, può esser messo a paro col fatto di tanti uccelli che posseggono gli organi propri del canto, eppure non cantano mai. Così l’usignuolo ed il corvo hanno organi vocali somigliantemente costrutti, il primo li adopera in varie fogge di gorgheggi, e l’altro solo a gracchiare.
La formazione di linguaggi differenti e di specie distinte, e le prove che gli uni e le altre si sono andati sviluppando con un graduato processo sono in singolar modo le stesse. Ma possiamo segnare l’origine di molti vocaboli molto più indietro di quello che non sia pel caso delle specie, perchè possiamo vedere come siano veramente derivati dall’imitazione di certi suoni. Noi trovammo in linguaggi distinti notevoli omologie dovute alla comunanza di origine, ed analogie dovute ad un somigliante processo di formazione. Il modo in cui certe lettere o suoni mutano quando altri mutano è veramente come un accrescimento correlativo. In ambi i casi noi abbiamo il raddoppiamento di parti, gli effetti di una lunga e continua abitudine, e così avanti. La frequente presenza di rudimenti, tanto nelle lingue quanto nelle specie, è ancor più notevole. Nella lingua inglese la lettera m nel vocabolo am significa Io; cosicchè nell’espressione I am (io sono) si è conservato un rudimento superfluo e inutile. Parimente nel sillabare le parole sovente rimangono certe lettere come rudimenti di antiche forme di pronunzia. Le lingue, come gli esseri organici, possono venire classificate in gruppi e sotto gruppi; e si possono anche classificare naturalmente secondo l’origine ed artificialmente per altri caratteri. Le lingue e i dialetti dominanti si sparsero largamente e furono causa della graduata estensione di altre lingue. Una lingua, come una specie, osserva sir C. Lyell, una volta estinta non ricompare più.
La stessa lingua non ha due patrie. Linguaggi distinti possono incrociarsi e confondersi insieme. Noi osserviamo che ogni lingua varia sempre, e nuovi vocaboli si formano continuamente; ma siccome vi è un limite alla potenza della memoria, certi vocaboli isolati, come certi linguaggi interi, vanno gradatamente estinguendosi. Come osserva con molta ragione Max Muller: “Ferve una continua lotta per la vita fra i vocaboli di tutte le lingue. Le forme migliori più brevi, più facili, acquistano sempre maggior credito, e vanno debitrici del loro successo alla loro propria inerente virtù”. A queste cause più importanti della prevalenza di certi vocaboli si potrebbe anche aggiungere la novità; perchè nella mente dell’uomo v’ha un amore potente per mutare tutte le cose. Il sopravvivere o il conservarsi di certi vocaboli fortunati nella lotta per l’esistenza è scelta naturale.
La costruzione perfettamente regolare e meravigliosamente complessa delle lingue di molte nazioni barbare è stata sovente addotta come prova, o dell’origine divina di quelle lingue, o dell’arte elevata e della primitiva civiltà dei loro fondatori. Così F. di Schlegel scrive: “In quelle lingue che sembrano essere nell’infimo grado di coltura intellettuale, noi osserviamo frequentemente un altissimo ed elaborato grado di arte nella loro struttura grammaticale. Questo è specialmente il caso coi Baschi ed i Lapponi, e molti dei linguaggi americani”. Ma è certamente un errore considerare qualunque linguaggio come un’arte nel senso che sia stato elaborato e metodicamente formato. Ora i filologi ammettono che le coniugazioni, le declinazioni, ecc. esistevano in origine come distinti vocaboli, e che poi furono riunite assieme; e siccome cosiffatti vocaboli esprimevano le più ovvie relazioni fra gli oggetti e le persone, non dobbiamo meravigliarci che siano stati adoperati dagli uomini di moltissime razze durante i primi secoli. Riguardo poi alla perfezione, il seguente esempio servirà a dimostrare quanto facilmente possiamo errare: un crinoide talvolta è fatto di non meno di 150.000 pezzi di conchiglia, tutti disposti con perfetta simmetria in linee raggiate; ma un naturalista non considera come più perfetto questo animale di uno bilaterale fornito di un numero comparativamente minore di parti, e neppure se ne manca affatto tranne che sui lati opposti del corpo. Egli considera giustamente il differenziarsi e lo specializzarsi degli organi come una prova di perfezione. Così è pei linguaggi; i più simmetrici e i più complessi non debbono essere messi al di sopra di quelli irregolari, abbreviati ed imbastarditi, che hanno preso ad imprestito vocaboli espressivi ed utili forme di costruzione dalle varie razze conquistatrici, o conquistate, od immigranti.
Da queste poche ed imperfette osservazioni concludo che la costruzione regolare e sommamente complessa di molte lingue barbare non è una prova che esse siano state originate da un atto speciale di creazione. Neppure, come abbiamo veduto, la facoltà di articolare la parola non offre in se stessa una obiezione insuperabile alla credenza che l’uomo siasi sviluppato da qualche forma inferiore.
Coscienza di sè, individualità, astrazione, idee generali, ecc. – Sarebbe inutile tentare di discutere queste altissime facoltà, le quali, secondo parecchi recenti scrittori, costituiscono la sola e compiuta differenza tra l’uomo e i bruti, perchè appena due soli scrittori sono d’accordo nelle loro definizioni. Cosiffatte facoltà non possono essere pienamente sviluppate nell’uomo se non quando le sue potenze mentali abbiano raggiunto un livello molto elevato, e ciò implica l’uso di un perfetto linguaggio. Nessuno può supporre che un animale sottostante all’uomo mentre va e viene faccia riflessioni intorno alla vita e alla morte e simili. Ma possiamo noi essere certi che un vecchio cane, dotato di eccellente memoria e di qualche potenza d’immaginazione, come lo dimostra nei suoi sogni, non rifletta mai alle antiche cacce ed ai piaceri che gli hanno procurato? E questa sarebbe una forma di coscienza di se stesso. Inoltre, come osserva Büchner, la moglie di un selvaggio dell’Australia degradata e dedita a opere manuali, che non adopera quasi vocaboli astratti e non sa contare oltre quattro, non può esercitare molto queste facoltà, o riflettere intorno al problema della propria esistenza.
È fuor di questione che gli animali ritengono la loro mentale individualità. Quando la mia voce svegliava una serie di antiche associazioni nella mente del cane sopra menzionato, egli doveva aver conservata la sua individualità mentale, sebbene ogni atomo del suo cervello abbia sopportato probabilmente più di un mutamento nell’intervallo di cinque anni. Questo cane può avere afforzato l’argomento addotto ultimamente per schiacciare tutti gli evoluzionisti, ed essersi detto: “Io rimango in mezzo a tutte le modificazioni mentali ed i mutamenti materiali.... La teoria che gli atomi lasciano le loro impressioni, come un legato agli atomi che prendono il posto lasciato vacante dai primi, è contraria alla manifestazione della consapevolezza di sè, e quindi è falsa; ma è la teoria necessaria all’evoluzionismo, in conseguenza l’ipotesi è falsa”.
Sentimento del bello. – Questo sentimento è stato dichiarato particolare all’uomo. Ma quando noi vediamo i maschi degli uccelli sfoggiare pomposamente le loro piume e gli splendidi colori agli occhi delle femmine, mentre altri uccelli meno bene adorni non la sfoggiano così, non è possibile mettere in dubbio che le femmine non ammirino la bellezza dei maschi loro compagni. Siccome in ogni paese le donne sogliono adornarsi con quelle piume, non può esser negata la bellezza di cosiffatti ornamenti. Le clamidere, adornando con ottimo gusto con oggetti colorati i luoghi ove sogliono trastullarsi, come pure certi uccelli mosca i loro nidi, mostrano con piena evidenza che posseggono il sentimento del bello. Così pure, per ciò che riguarda il canto degli uccelli, è certo che i dolci gorgheggi modulati dai maschi durante la stagione degli amori sono ammirati dalle femmine; e di questo fatto daremo in seguito alcune prove. Se le femmine degli uccelli fossero state incapaci di apprezzare la bellezza dei colori, degli ornamenti e della voce dei loro compagni maschi, tutte le fatiche e le cure di cui questi danno prova nel far pompa delle loro grazie agli occhi delle femmine sarebbero state spese invano, e questo non si può assolutamente ammettere. Io credo che non si possa spiegare perchè certi colori brillanti e certi suoni facciano piacere, quando sono armoniosi, più di quello che si spieghi la ragione per cui certi sapori ed odori sono gradevoli; ma è positivo che gli stessi colori e gli stessi suoni sono ammirati da noi e da molti altri animali sottostanti.
Il gusto del bello, almeno per ciò che riguarda la bellezza femminile, non è, nella mente umana, di una natura speciale; perchè differisce notevolmente nelle diverse razze di uomini, come vedremo in seguito, e non è al tutto lo stesso nelle differenti nazioni di una medesima razza. Giudicando dagli orridi ornamenti e dalla orrida musica che si ammirano da moltissimi selvaggi, potremmo dire che le loro facoltà estetiche non sono tanto sviluppate come in certi animali, per esempio negli uccelli. Certamente nessun animale può esser capace di ammirare certe scene, come il cielo, la notte, un bel paesaggio od una musica lavorata; ma questi gusti elevati, che dipendono solo dalla coltura e da associazioni complesse, non sono assaporati dalle persone barbare od ineducate.
Molte delle facoltà che sono state d’inestimabile aiuto all’uomo pel suo progressivo avanzamento, come le potenze dell’immaginazione, della meraviglia, della curiosità, un senso indefinito del bello, una tendenza all’imitazione, e l’amore dell’eccitamento o della novità, non possono a meno di aver prodotto i più capricciosi mutamenti di costumi e di mode. Ho voluto far cenno di questo, perchè uno scrittore recente ha stranamente insistito sul capriccio, “come una delle più notevoli differenze tipiche fra i selvaggi e i bruti”. Ma non solo noi scorgiamo che l’uomo è capriccioso, ma che, siccome vedremo poi, anche gli animali sottostanti sono capricciosi nelle loro affezioni, nelle avversioni e nel senso del bello. Vi sono anche buone ragioni per sospettare che amino la novità per se stessa.
Credenza in Dio – Religione. – Non vi è nessuna prova che l’uomo in origine sia stato fornito del nobile sentimento dell’esistenza di un Dio onnipotente. Al contrario vi è ampia evidenza, derivata non da viaggiatori di passaggio ma da uomini che hanno vissuto lungamente presso i selvaggi, che hanno esistito e che esistono ancora numerose razze di uomini che non hanno idea di una o di più divinità, e non hanno nella loro lingua vocaboli per esprimere quest’idea. Naturalmente la questione è al tutto distinta da quella più alta, se esista un Creatore e Regolatore dell’universo; ed a ciò e stato risposto affermativamente dai più alti intelletti che siano mai vissuti.
Se, tuttavia, noi comprendiamo col vocabolo religione la fede in agenti invisibili e spirituali, il caso è al tutto diverso, perchè questa credenza sembra essere quasi universale nelle razze meno incivilite. E non vi è grande difficoltà a comprendere d’onde tal fede abbia avuto origine. Appena si furono sviluppate in parte le importanti facoltà dell’immaginazione, della meraviglia e della curiosità, insieme colla potenza, l’uomo naturalmente avrà anelato a comprendere ciò che seguiva intorno a sè, ed avrà indefinitamente speculato sulla propria esistenza. Come ha osservato il signor M’Lennan: “L’uomo deve essersi inventata qualche spiegazione dei fenomeni della vita; e giudicando dall’universalità di essa, sembra che la più semplice ipotesi e la prima che siasi presentata all’uomo sia stata questa, che fenomeni naturali si debbano riferire alla presenza negli animali, nelle piante, nelle cose, e in tutte le forze della natura di certi spiriti pronti ad agire, come l’uomo sente di avere in sè” È probabile che, come ha dimostrato con molta chiarezza il signor Tylor, i sogni abbiano dato primamente origine all’idea di spiriti; perchè i selvaggi non distinguono prontamente fra le impressioni soggettive e le obbiettive. Quando un selvaggio sogna, crede che le figure che gli appaiono alla mente siano venute da lontano per fermarglisi dinanzi; “ovvero l’anima del sognatore va in giro, e torna a casa colla rimembranza di ciò che ha veduto”. Ma finchè le summenzionate facoltà dell’immaginazione, curiosità, ragione, ecc., non si sono bene sviluppate nella mente dell’uomo, i suoi sogni non possono averlo indotto a credere negli spiriti, più di quello che sia pel cane.
La tendenza che hanno i selvaggi ad immaginare che gli oggetti e gli agenti naturali siano animati da essenze spirituali o vitali, ha forse un esempio in un fatterello che potei osservare una volta: il mio cane, animale bene sviluppato e molto sensitivo, stava sdraiato sul terreno durante una calda e tranquilla giornata; ma poco lungi da esso una brezzolina faceva muovere un ombrello aperto, al quale il cane non avrebbe certo badato, se qualcuno fosse stato vicino a quell’ombrello. Intanto ogni volta questo lentamente si muoveva, il cane brontolava ed abbaiava fieramente. Egli doveva, credo, aver fatto il ragionamento fra sè in modo rapido e inconsapevole, che il movimento senza nessuna causa apparente indicava la presenza di qualche estraneo agente vivo, e che nessun estraneo aveva il diritto di stare sul suo territorio.
La credenza in agenti spirituali fa passaggio agevolmente alla credenza nell’esistenza di uno o più Dei: perchè i selvaggi attribuiranno naturalmente agli spiriti le stesse loro passioni, lo stesso amore della vendetta o la più semplice forma di giustizia, e le stesse affezioni che provano essi medesimi. Gli indigeni della Terra del fuoco sembrano essere per questo riguardo in una condizione intermedia, perchè quando il chirurgo della nave Beagle sparò il fucile ed uccise alcune giovani anatre per servirsene come esemplari, York Minster gli disse con piglio solenne: “Oh! signor Bynoe, molta pioggia, molta neve, molto vento”; e ciò era evidentemente una punizione per lo sciupare che egli faceva il nutrimento dell’uomo. Così di nuovo egli narrò, che quando suo fratello uccise un uomo selvaggio, vennero terribili uragani e cadde molta pioggia e molta neve. Tuttavia non abbiamo mai potuto accorgerci che gli indigeni della Terra del fuoco credano in ciò che noi chiamiamo Dio, o pratichino riti religiosi e Jemmy Button, con giusto orgoglio, asseriva baldanzoso che nel suo paese non vi era nessun demonio. Quest’ultima asserzione è la più notevole, perchè è più comune nei selvaggi la credenza negli spiriti cattivi che non nei buoni.
Il sentimento di divozione religiosa è sommamente complesso perchè consta di amore, di compiuta sommissione ad un essere superiore elevato e misterioso, di un forte sentimento di dipendenza, di timore, di riverenza, di gratitudine, di speranza nell’avvenire, e forse di altri elementi. Nessuna creatura potrebbe provare un’emozione tanto complessa, senza che le sue facoltà morali e intellettuali abbiano raggiunto un certo grado di elevatezza. Nondimeno noi vediamo qualche lontano barlume di questo stato della mente nel profondo amore del cane pel suo padrone, unito ad una piena sommissione, un po’ di timore e forse altri sentimenti. Il contegno di un cane quando ritorna al suo padrone dopo un’assenza, e, posso anche aggiungere, quello di una scimmia verso il suo diletto custode, è molto differente da quello che mostrano al loro simile. In quest’ultimo caso le dimostrazioni di gioia sono meno intense, ed ogni azione dimostra il sentimento della uguaglianza. Il professore Braubach giunge al punto di asserire che il cane considera il suo padrone come un dio.
Le medesime alte facoltà mentali che hanno primamente indotto l’uomo a credere ad agenti spirituali invisibili, poi al feticismo, al politeismo ed infine al monoteismo, dovevano infallibilmente condurlo, finchè la sua potenza del ragionare era ancor poco sviluppata, a varie strane superstizioni e strani costumi. Molti di questi fanno orrore a pensarvi – il sacrifizio di esseri umani ad un dio assetato di sangue; le prove col veleno o col fuoco su persone innocenti, per stregonerie, ecc. – tuttavia è utile riflettere talora a queste superstizioni, perchè ci dimostrano quale immenso debito di gratitudine noi dobbiamo avere pel miglioramento della nostra ragione alla scienza ed allo accumulamento delle nostre cognizioni. Come ha osservato molto bene sir J. Lubbock, “non si può abbastanza deplorare l’orribile terrore d’ignoti mali che come una fitta nube gravano la mente del selvaggio, e gli amareggiano ogni godimento”. Queste miserabili ed indirette conseguenze delle nostre facoltà più elevate possono essere comparate cogli errori incidentali ed occasionali degli istinti degli animali sottostanti.

prosegui - CAPITOLO III > >

< RITORNO INDICE