CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO


CAPITOLO IV.
Del modo di sviluppo dell’uomo da qualche forma inferiore
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Variabilità del corpo e della mente nell’uomo – Eredità – Cause della variabilità – Leggi di variazione uguali nell’uomo come negli animali sottostanti – Azione diretta delle condizioni della vita – Effetti del maggiore esercizio o del difetto di esercizio delle parti – Arresto di sviluppo – Reversione o regresso – Variazione correlativa – Proporzione dell’accrescimento – Freno all’accrescimento – Scelta naturale – L’uomo, l’animale più dominatore del mondo – Importanza della sua struttura corporea – Cagioni che hanno prodotto il suo portamento eretto – Mutamenti di struttura che ne sono derivati – Diminuzione nella mole dei denti canini – Forma e mole del cranio accresciuta ed alterata – Nudità – Mancanza di coda – Condizione inerme dell’uomo.

 

Nel primo capitolo abbiamo veduto che la struttura omologica dell’uomo, il suo sviluppo embriologico ed i rudimenti che conserva ancora, tutto dimostra colla maggiore evidenza che egli ebbe origine da qualche forma inferiore. A questa conclusione, l’essere egli fornito di alte facoltà mentali non è obiezione insuperabile. Onde un essere somigliante alle scimmie potesse venir trasformato in uomo, è necessario che questa primitiva forma, come pure molte successive forme intermedie, abbiano tutte sopportato mutamenti nella mente e nel corpo. È impossibile avere prove evidenti intorno a questo particolare; ma se si può dimostrare che l’uomo varia oggi, che i suoi mutamenti sono indotti dalle stesse cause generali, ed obbedisce alle stesse leggi generali come nel caso degli animali sottostanti, non vi è guari dubbio che gli anelli intermedi precedenti non abbiano sopportato consimili mutamenti. Le variazioni debbono essere state parimente, in ogni successivo stadio di provenienza, in qualche modo accumulate e determinate.

I fatti e le conclusioni che esporremo in questo capitolo si riferiscono quasi interamente ai mezzi probabili coi quali si è compiuta la trasformazione dell’uomo, almeno per ciò che riguarda la struttura del suo corpo. Il capitolo seguente sarà consacrato allo sviluppo delle sue facoltà intellettuali e morali. Ma la discussione presente si riferisce pure all’origine delle varie razze o specie del genere umano, qualunque possa essere il vocabolo che si preferisce.

Evidentemente è cosa manifesta che oggi l’uomo è soggetto a molto variare. Non si trovano due individui della medesima razza che siano perfettamente uguali. Possiamo prendere milioni di facce e compararle fra loro, ed ognuna sarà distinta. Parimente vi è una grandissima diversità nelle proporzioni e nelle dimensioni delle varie parti del corpo; la lunghezza delle gambe è uno dei punti più variabili. Sebbene in certe parti del mondo predomini il cranio allungato e in altre parti prevalga il cranio corto, pure havvi una gran diversità di forma anche entro i confini di una stessa razza, come negli indigeni dell’America e dell’Australia del Sud, quest’ultima razza essendo “probabilmente tanto pura ed omogenea nella genealogia, nei costumi e nel linguaggio, quanto qualunque altra che esista”; ed anche come negli abitanti delle isole Sandwich che hanno un’area tanto limitata. Un distinto dentista mi ha assicurato che vi è quasi tanta diversità nei denti quanta ve n’è nelle fattezze. Le arterie principali scorrono così spesso anormalmente, che è stato giudicato utile per la chirurgia calcolare sopra 12000 corpi quanto sovente s’incontri una data disposizione. I muscoli variano eminentemente: per esempio, nel caso dei muscoli del piede, il professore Turner ha trovato che sopra cinquanta corpi non ve ne erano due ove quei muscoli fossero perfettamente uguali; ed in alcuni le deviazioni erano notevoli. Il professor Turner aggiunge che la facoltà di compiere gli acconci movimenti deve essersi modificata in rapporto con parecchie deviazioni. Il signor J. Wood ha riferito il caso di 295 variazioni muscolari sopra trentasei soggetti, e in una serie dello stesso numero non meno di 558 variazioni, calcolando i due lati del corpo come uno. Nell’ultima serie non un corpo dei trentasei “che non si dipartisse al tutto dalle regole descritte del sistema muscolare che si trovano in tutti i trattati di anatomia”. Un solo corpo presentava lo straordinario numero di venticinque distinte anomalie. Talora lo stesso muscolo varia in molti modi: così il professore Macalister descrive non meno di venti distinte variazioni nel palmaris accessorius.
Wolff, famoso e antico anatomico, afferma che i visceri interni sono più variabili che non le parti esterne: Nulla particula est quaæ non aliter et aliter in aliis se habeat hominibus. Egli ha inoltre scritto un trattato sulla scelta degli esemplari tipici dei visceri per dimostrazione. Suona stranamente al nostro orecchio una discussione intorno alla bellezza ideale del fegato, dei polmoni, dei reni, ecc., come della faccia divina dell’uomo.
La variabilità o la diversità delle facoltà mentali fra gli uomini della stessa razza, per non parlare delle maggiori differenze che esistono fra gli uomini di razze distinte, è tanto nota che non vale la pena spenderci intorno ulteriori parole. Ciò segue pure negli animali sottostanti, come è stato dimostrato con alcuni esempi nel precedente capitolo. Tutti quelli che hanno avuto cura di animali racchiusi nei serragli ammettono questo fatto, e noi lo vediamo evidentemente nei nostri cani ed in altri animali domestici. Brehm in particolare afferma che ogni individuo delle scimmie che egli teneva in schiavitù in Africa aveva una propria particolare tempra e disposizione: egli fa menzione di un babbuino dotato di grande intelligenza; ed i custodi del Giardino zoologico di Londra mi mostrarono una scimmia appartenente alla divisione di quelle del continente nuovo, pure notevolissima per la sua intelligenza. Anche Rengger insiste sulla diversità dei vari caratteri della mente delle scimmie della medesima specie che egli teneva presso di sè al Paraguay; e questa diversità, aggiunge egli, è in parte innata, in parte l’effetto del modo con cui sono state trattate o educate.
Ho già pienamente discusso altrove l’argomento della eredità, per cui non credo di aggiungere qui altri particolari. Sono stati raccolti un numero maggiore di fatti intorno alla trasmissione tanto dei lievi come dei più importanti caratteri dell’uomo che non in qualsiasi degli animali sottostanti; sebbene intorno a questi ultimi i fatti siano pure numerosi. Così nei nostri cani, nei nostri cavalli ed altri animali domestici, la trasmissione per ciò che riguarda le facoltà mentali è evidente. Inoltre certi particolari gusti e costumi, l’intelligenza generale, il coraggio, l’indole buona o cattiva, ecc., si trasmettono certamente. Codesti simili fatti noi vediamo nell’uomo in quasi tutte le famiglie; ed oggi dai bellissimi lavori del signor Galton sappiamo che il genio, che richiede un così meraviglioso complesso di alte facoltà, tende ad essere ereditato; e, inoltre, è pur troppo certo che la pazzia ed il deterioramento delle facoltà mentali si trasmettono parimente nelle stesse famiglie.
Intorno alle cagioni della variabilità noi siamo in tutti i casi affatto all’oscuro; ma possiamo vedere che tanto nell’uomo quanto negli animali sottostanti sono in relazione colle condizioni a cui ogni specie è stata sottoposta pel corso di parecchie generazioni. Gli animali domestici variano più di quelli che sono allo stato di natura; e ciò sembra dover essere attribuito al fatto che il complesso delle loro condizioni è stato modificato o mutato. Le varie razze umane somigliano, per questo riguardo, agli animali domestici, e così pure segue negli individui di una stessa razza che vivono in una vastissima area, come sarebbe l’America. Questa azione delle condizioni diversificate la vediamo nelle nazioni più civili, i membri delle quali appartenendo a differenti classi sociali, seguono occupazioni diverse, e presentano quindi maggiori varietà di caratteri che non i membri delle nazioni barbare. Ma l’uniformità dei selvaggi è stata sovente esagerata, ed in alcuni casi si può dire appena che esista. Nondimeno è un errore parlare dell’uomo, anche guardandolo solo alle condizioni a cui è stato assoggettato, come di un essere “molto più addomesticato” che non qualunque altro animale. Alcune razze selvagge, come gli indigeni dell’Australia, non sono più esposti a condizioni diverse che non molte altre specie che hanno cerchie molto spaziose. Inoltre l’uomo, per un altro e importantissimo riguardo, differisce grandemente da qualunque animale strettamente addomesticato; perchè il suo allevamento non è stato governato da una scelta metodica od inconsapevole. Nessuna razza o corporazione di uomini è mai stata tanto compiutamente soggiogata da altri uomini, che certi individui siano stati conservati e in tal modo scelti senza volere, da essere poi per qualche verso utili ai loro padroni. E neppure sono stati scelti ed accoppiati a bella posta certi maschi e certe femmine, tranne il caso ben noto dei granatieri prussiani; e in questo caso l’uomo ha obbedito, come si poteva bene aspettarselo, alla legge della scelta metodica; perchè si asserisce che molti uomini di alta statura erano stati allevati nei villaggi abitati dai granatieri e dalle loro alte mogli.
Se consideriamo tutte le razze umane come formanti una sola specie, la cerchia di questa è enorme; ma alcune razze umane separate, come gli Americani e quelli della Polinesia, hanno una cerchia molto vasta. È una legge bene riconosciuta questa che le specie che hanno una vasta cerchia sono molto più variabili che non le specie che l’hanno più ristretta; e la variabilità dell’uomo può venire, con molta maggior verità, comparata con quella delle specie che hanno una vasta cerchia, che non con quella degli animali addomesticati.
Non solo la variabilità sembra prodursi nell’uomo e nei sottostanti animali mercè le stesse cause generali, ma negli altri si vedono modificati gli stessi caratteri in un modo strettamente analogo. Godron e Quatrefages hanno dimostrato questo con grande evidenza, per cui non ho bisogno qui che di riferirmi alle loro opere. Certe mostruosità che vanno gradatamente mutandosi in leggere variazioni sono parimente tanto simili nell’uomo e negli animali sottostanti, che si adoperano nei due casi la stessa classificazione e gli stessi nomi, come si può vedere nel grande lavoro di Isidoro Geoffroy St-Hilaire. Questa è una conseguenza necessaria di ciò che le stesse leggi di mutamento prevalgono per tutto il regno animale. Nella mia opera intorno alla variabilità degli animali domestici ho cercato disporre alla meglio le leggi di variazioni nei seguenti modi: – L’azione diretta e definita del mutamento di condizioni, come è dimostrato da tutti o quasi tutti gli individui delle medesime specie che variano nello stesso modo, nelle stesse circostanze. Gli effetti del lungo e continuo esercizio di certe parti, o del difetto di esercizio di queste. La coesione di parti omologhe. La variabilità di parti multiple. Compenso di accrescimento; ma di questa legge non ha trovato esempi efficaci nel caso dell’uomo. Gli effetti della pressione meccanica di una parte sull’altra; come della pelvi sul cranio del feto nell’utero. Arresto di sviluppo, producente il rimpicciolimento o la soppressione delle parti. Il ritorno di caratteri da lungo tempo scomparsi mercè un regresso o reversione. E finalmente la variazione correlativa. – Tutte queste così dette leggi si applicano ugualmente all’uomo ed agli animali sottostanti; e la maggior parte di esse anche alle piante. Sarebbe superfluo discuterle qui tutte; ma parecchie hanno per noi tanta importanza, che debbono essere trattate alquanto distesamente.
Azione diretta e definita delle mutate condizioni. – Questo è un argomento molto incerto. Non si può negare che il mutamento di condizioni non produca qualche effetto, e certe volte anche un effetto notevole sopra ogni sorta di organismi; e a prima vista pare probabile che, dato un tempo sufficiente, questo effetto non possa a meno di seguire. Ma non ho potuto ottenere fatti abbastanza evidenti in favore di questa conclusione; e si possono trovare buone ragioni d’altra parte, almeno per quel che riguarda innumerevoli strutture, le quali sono adattate a fini speciali. Tuttavia, non vi può essere dubbio che il mutamento di condizioni non induca una somma quasi indefinita di variabilità fluttuante, per cui tutto il complesso dell’organizzazione diviene in certo modo plastico.
Negli Stati Uniti oltre 1,000,000 di soldati che servivano nell’ultima guerra vennero misurati e si notarono gli Stati ove erano nati e cresciuti. Quella sterminata raccolta di osservazioni dimostra che certe sorta di azioni locali operano direttamente sulla struttura; e sappiamo inoltre che “lo Stato ove si è compiuto più ampiamente l’accrescimento fisico, e lo Stato dove si ebbe il nascimento, che indica gli antenati, sembrano avere una evidente azione sulla statura”. Per esempio è riconosciuto “che la residenza negli Stati dell’ovest durante gli anni dell’accrescimento tende a produrre un aumento di statura”. D’altra parte è certo che nel caso dei naviganti, il loro modo di vivere ritarda l’accrescimento, come è dimostrato “dalla grande differenza fra la statura dei soldati e dei marinai all’età di 17 e 18 anni”. Il signor B. A. Gould ha cercato di riconoscere la natura delle azioni che operano in tal modo sulla statura; ma non ha potuto ottenere che risultati negativi, cioè che non hanno relazione nè col clima, nè coll’altezza dal livello del mare, nè col suolo, e neppure “in un grado riconoscibile”, coll’abbondanza o colla mancanza dei comodi della vita. Quest’ultima conclusione è al tutto opposta a quella ottenuta da Villermè colle statistiche della statura dei coscritti nelle differenti parti della Francia. Se poi paragoniamo le differenze della statura tra i capi della Polinesia e gli ordini inferiori del popolo delle stesse isole; le differenze fra gli abitanti delle isole fertili, vulcaniche, e quelli delle nude e basse isole coralline dello stesso Oceano; oppure anche le differenze fra gli abitatori della Terra del Fuoco; delle spiagge orientali ed occidentali dello stesso paese, ove i mezzi di sussistenza sono molto differenti, non si può non riconoscere, che il miglior nutrimento ed i maggiori comodi hanno azione sulla statura. Ma i fatti fermati sopra dimostrano quanto sia difficile giungere ad un preciso risultato. Il dottor Beddoe ha ultimamente dimostrato che per gli abitanti dell’Inghilterra, la residenza nelle città e certe occupazioni hanno un’azione deteriorante sulla statura; e ne deduce che quest’effetto è fino a un certo punto ereditato, come è pure nel caso degli Stati Uniti. Il dottor Beddoe crede inoltre che ogni luogo ove una “razza raggiunge il massimo del suo sviluppo fisico, aumenta di molto in energia e vigore morale”.
Non si conosce se le condizioni esterne producano qualche altro effetto diretto sull’uomo. Si sarebbe potuto credere che le differenze di clima fossero per avere un’azione ben distinta, perchè i polmoni ed i reni sono resi molto più attivi da una bassa temperatura, e il fegato e la pelle da una temperatura elevata. Si credeva dapprima che il colore della pelle ed il carattere dei capelli fosse determinato dalla luce e dal calore; e quantunque non si possa guari negare che un certo effetto venga da ciò prodotto, nondimeno quasi tutti gli osservatori sono d’accordo ora per dire che quest’effetto è stato ben piccolo anche da molti secoli. Ma discuteremo più ampiamente quest’argomento quando parleremo delle differenti razze umane. Per quello che riguarda i nostri animali domestici, vi è ogni ragione per credere che il freddo e l’umidità operino direttamente sull’accrescimento dei peli; ma non ho mai trovato intorno a ciò nessuna prova per quello che concerne l’uomo.
Effetti dell’aumentato esercizio delle parti, o del difetto di esercizio di esse. – È cosa notissima che l’esercizio accresce nell’individuo la robustezza dei muscoli, e l’assoluto difetto di esercizio, o la distruzione del nervo proprio, fa l’effetto opposto. Quando l’occhio è distrutto il nervo ottico si atrofizza. Quando un’arteria è tagliata, i vasi laterali crescono non solo in diametro, ma in spessezza e robustezza di pareti. Quando un rene cessa di funzionare per malattia, l’altro cresce di mole e fa doppio ufficio. Col portare grandi pesi le ossa crescono non solo in spessezza, ma anche in lunghezza. Le varie occupazioni abitualmente proseguite producono un mutamento nelle proporzioni delle differenti parti del corpo. Così venne riconosciuto con certezza dalla Commissione degli Stati Uniti che le gambe dei marinai che hanno servito nell’ultima guerra, erano più lunghe della 0,217 parte di un pollice (25 millimetri formano un pollice), che non quelle dei soldati, sebbene i marinai fossero misurati e trovati di statura più bassa; mentre le loro braccia erano più corte di 1,09 di un pollice e quindi sproporzionatamente più corte in confronto della loro minore statura. Questa maggior cortezza delle braccia deriva apparentemente dal maggior esercizio di esse, ed è un effetto impreveduto; ma i marinai adoperarono principalmente le braccia per spingere e non per portar pesi. La circonferenza del collo e l’altezza del collo del piede sono maggiori, mentre la circonferenza del petto, della cintura, e delle anche è minore nei marinai che non nei soldati.
Non sappiamo se le varie modificazioni sopraindicate diverrebbero ereditarie qualora lo stesso genere di vita fosse continuato per molte generazioni, ma ciò è probabile. Rengger attribuisce la sottigliezza delle gambe e la grossezza delle braccia degli Indiani Payaguas a ciò che successive generazioni hanno passato tutta la loro vita entro barche, tenendo quasi immobili le estremità inferiori. Altri scrittori sono venuti alla stessa conclusione in altri casi analoghi. Secondo Cranz, che ha vissuto molto presso gli Esquimali, “gli indigeni credono che l’ingegno e la destrezza necessari per impadronirsi delle foche (loro più grande arte e valore) siano ereditari; in ciò havvi realmente alcunchè di vero, perchè il figlio di un celebre pescatore di foche era divenuto abilissimo, sebbene avesse perduto il padre mentre era ancora bambino”. Ma in questo caso sembra essere l’attitudine mentale, tanto quanto la struttura corporale, quella che viene ereditata. Si asserisce che i contadini inglesi hanno, nascendo, le mani più grosse di quelle dei signori. Per la relazione che esiste, almeno in alcuni casi, fra lo sviluppo delle estremità e quello delle mascelle, è passibile che in quelle classi che non lavorano molto colle mani nè coi piedi la mole delle mascelle sia minore per questo motivo. È certo che in generale sono più piccole negli uomini più raffinati e civili che non negli uomini rotti al lavoro o selvaggi. Ma per ciò che riguarda i selvaggi, come ha fatto notare il signor Erberto Spencer, il maggior esercizio delle mascelle nel masticare cibo grossolano e crudo dovrebbe operare in modo diretto sui muscoli masticatori e sulle ossa alle quali essi s’inseriscono. Nei bambini prima di nascere la pelle della pianta del piede è più spessa che non in qualunque altra parte del corpo; e non si può dubitare che ciò non derivi dagli effetti ereditati della pressione per una lunga serie di generazioni.
È cosa familiare a tutti il fatto che gli orologiai e gli incisori sono soggetti ad aver la vista corta, mentre gli uomini che vivono molto all’aperto, e specialmente i selvaggi, sono in generale forniti di acutissima vista. Certamente la vista corta e la vista lunga tendono ad ereditarsi. L’inferiorità degli europei, in confronto dei selvaggi, nella vista ed in altri sensi, è senza dubbio l’effetto del minore esercizio accumulato e trasmesso per lo spazio di molte generazioni; perchè Rengger asserisce di aver ripetutamente osservato alcuni europei che erano cresciuti ed avevano passata tutta la loro vita fra gli indiani selvaggi, essere nondimeno inferiori a questi nella finezza dei sensi. Osserva lo stesso naturalista che quelle cavità nel cranio le quali accolgono parecchi organi dei sensi sono più larghe negl’indigeni d’America che non negli europei: e senza dubbio questo indica una corrispondente differenza nelle dimensioni degli organi stessi.
Blumenbach ha pure osservato la grande dimensione delle cavità nasali nei cranii degl’indigeni Americani, e fa coincidere questo fatto colla notevolissima acutezza del loro odorato. I Mongoli della pianura dell’Asia settentrionale hanno, secondo Pallas, sensi meravigliosamente perfetti; e Prichard crede che la maggior larghezza che si osserva nei loro crani fra gli zigomi provenga dallo straordinario sviluppo degli organi dei sensi.
Gli indiani Guechua abitano gli altipiani elevati del Perù, e Alcide d’Orbigny asserisce che per cagione della necessità di respirare un’atmosfera rarefattissima essi hanno acquistato petto e polmoni di straordinarie dimensioni. Anche le cellule dei polmoni sono più larghe e più numerose che non negli europei. Si sono messe in dubbio queste osservazioni; ma il dottor D. Forbes ha accuratamente misurato molti Aymari, razza affine, che vive all’altezza di dieci a quindici mila piedi (da 3000 a 4500 metri) sul livello del mare; ed egli mi ha detto che essi differiscono grandemente nella circonferenza e nella lunghezza del loro corpo dagli uomini di tutte le razze da lui vedute. Nella sua tavola delle misure la statura di ogni uomo è presa a 1000 e le altre misure sono ridotte a questo termine. Da esse si vede che le braccia distese degli Aymari sono più corte di quelle degli europei, e molto più corte di quelle dei neri. Anche le gambe sono più corte e presentano qualche notevole particolarità che in ogni Aymara misurato il femore è attualmente più corto della tibia. A calcolo fatto la lunghezza del femore sta alla tibia come 211 a 252; mentre in due europei misurati nello stesso tempo i femori stavano alle tibie come 244 a 230; e in tre neri come 258 a 241. Anche l’omero è relativamente più corto dell’antibraccio. Questo scorciarsi della parte dell’estremità che è più vicina al corpo mi sembra di compenso in relazione alla lunghezza tanto accresciuta del tronco. Gli Aymari presentano alcune altre particolari singolarità di struttura, per es., la piccolissima sporgenza del calcagno.
Quegli uomini si sono tanto bene acclimati alla loro fredda ed alta dimora, che quando vennero dapprima portati dagli Spagnuoli nelle basse pianure orientali, e quando poi vi tornarono spontaneamente attirati dai forti salari pei lavori della produzione dell’oro, ebbero da soffrire una mortalità ben grave. Nondimeno il signor Forbes ne trovò alcune poche famiglie che sole erano sopravvissute per due generazioni; ed egli osservò che conservavano ancora ereditariamente i loro particolari caratteri. Ma era ben evidente, anche senza misurare, che quei caratteri erano tutti andati scemando; e quando li ebbe misurati egli trovò che il loro corpo non era più tanto allungato quanto quello degli uomini dell’alto altipiano; mentre i femori erano divenuti in certo modo più lunghi come anche le tibie, ma in un grado minore. Si possono consultare nella memoria del signor Forbes le attuali misure. Dopo queste notevoli osservazioni non vi può essere più dubbio, credo che la dimora per lo spazio di molte generazioni a grandi altezze tende tanto direttamente che indirettamente a produrre modificazioni ereditarie nelle proporzioni del corpo.
Sebbene l’uomo possa non essersi modificato molto nell’ultimo periodo della sua esistenza mercè il maggiore esercizio o il difetto di esercizio delle parti, i fatti più sopra riferiti mostrano che per questo riguardo non ha perduto la sua suscettività; e sappiamo con certezza che la medesima legge vige ancora per gli animali sottostanti. In conseguenza possiamo da ciò dedurre, che quando in un’epoca remota i progenitori dell’uomo si trovavano in uno stato di transizione, e stavano mutandosi di quadrupedi in bipedi, è probabile che la scelta naturale sia stata grandemente aiutata dagli effetti trasmessi per l’eredità del maggiore esercizio o del difetto di esso nelle varie parti del corpo.
Arresti di sviluppo. – L’arresto dello sviluppo è cosa diversa dallo arrestarsi dell’accrescimento, perchè le parti nel primo caso continuano a crescere mentre conservano ancora la loro primiera condizione. Varie mostruosità si presentano per questo caso, e si sa che alcune di esse provengono da una casuale eredità, come il palato fesso. Pel nostro argomento basterà riferire l’arresto di sviluppo del cervello negli idioti microcefali, come è descritto nella grande memoria di Vogt. Il loro cranio è più piccolo, e le circonvoluzioni del cervello sono meno complesse che non nell’uomo normale. La sinuosità frontale, o la sporgenza sopra le ciglia, è molto sviluppata, e le mascelle sono prognate in un grado effrayant; cosicchè questi idioti rassomigliano in certo modo ai tipi più bassi dell’umanità. La loro intelligenza e le loro facoltà mentali sono debolissime. Non possono acquistare la facoltà di parlare e sono al tutto inetti ad una prolungata attenzione, ma sono più propensi allo imitare. Sono forti e notevolmente attivi, saltano e sgambettano di continuo tutto intorno facendo smorfie. Salgono spesso le scale a quattro gambe, ed hanno un gusto particolare per arrampicarsi sui mobili o sugli alberi. Questo ci fa tornare alla mente il piacere che quasi tutti i fanciulli mostrano dello arrampicarsi sugli alberi; e ciò di nuovo ci ricorda quanto piacere provano gli agnelli ed i capretti, in origine animali alpini, a salterellare sopra ogni eminenza per piccola che sia.
Reversione o Regresso. – Molti dei casi che stiamo ora per riferire avrebbero potuto esser messi nell’ultima intestazione. Ogniqualvolta una struttura viene arrestata nel suo sviluppo, ma continua a crescere finchè rassomiglia ad una corrispondente struttura di qualche membro più basso ed adulto dello stesso gruppo, possiamo considerare questo fatto in un certo senso come un caso di reversione o regresso. I membri più bassi di un gruppo ci danno una qualche idea del modo in cui era probabilmente costrutto il progenitore comune del gruppo stesso; e non si può quasi supporre che una parte arrestata in una primitiva fase di sviluppo embrionale avrebbe potuto continuare a crescere tanto da compiere in fine la sua propria funzione, a meno di avere acquistato questo potere di continuo accrescimento durante un qualche primiero stato di esistenza, quando la struttura attualmente eccezionale od arrestata era normale. Il cervello semplice di un idiota microcefalo, per ciò che rassomiglia a quello di una scimmia, può essere, in questo senso, chiamato un caso di regresso. Sonovi altri casi che molto più strettamente possono considerarsi come casi di regresso. Certe strutture, che compaiono regolarmente nei membri più bassi dello scompartimento cui l’uomo appartiene, si mostrano occasionalmente in lui, sebbene non si trovino nell’embrione umano normale; oppure se appaiono nell’embrione umano normale si sviluppano in modo anormale, quantunque questo modo di sviluppo sia proprio ai membri più bassi dello stesso gruppo. Queste osservazioni si comprenderanno più chiaramente coi seguenti esempi.
In vari mammiferi l’utero va gradatamente trasformandosi da un organo doppio munito di due distinti orifizi e due passaggi, come nei marsupiali, in un organo unico, che non dà segno di essere doppio tranne che per una lieve ripiegatura interna come nel caso delle scimmie più elevate e dell’uomo. I rosicanti presentano una serie perfetta di graduazioni fra questi due stati estremi. In tutti i mammiferi l’utero è sviluppato da due semplici tubi primitivi, le parti inferiori dei quali formano le corna; e per ripetere le parole del dott. Farre, “si è per la coalescenza delle due corna nelle loro estremità inferiori che si forma nell’uomo il corpo dell’utero, mentre in quegli animali ove non esiste la parte mezzana o corpo, le corna rimangono disunite. Mentre procede lo sviluppo dell’utero, le due corna vanno divenendo gradatamente più corte; finchè alla fine si perdono, o, per così dire, vengono assorbite nel corpo dell’utero. Gli angoli dell’utero si allungano ancora in corna in animali elevati nella serie, come sono le scimmie più basse ed i loro affini i lemuri.
Ora non sono tanto rari nelle donne casi di anomalie, nelle quali l’utero perfettamente sviluppato è fornito di corna, oppure è parzialmente diviso in due organi; e cosiffatti casi, secondo Owen, ripetono un grado di sviluppo concentrativo, raggiunto da certi rosicanti. Forse qui abbiamo un caso di semplice arresto di sviluppo embrionale con susseguente accrescimento e sviluppo perfetto funzionale, perchè ogni lato dell’utero parzialmente doppio è atto a compiere il proprio ufficio di gestazione. In altri casi piu', rari si formano due cavità uterine distinte, ognuna delle quali ha il suo proprio orificio e passaggio. Durante lo sviluppo ordinario dell’embrione non si attraversa mai un cosiffatto stadio, ed è difficile, sebbene forse non impossibile supporre, che i due tubi primitivi, semplici, minuti, possano sapere in qual modo (se si può adoperare questa maniera di dire) crescere in due distinti uteri, ognuno del quali fornito di un orifizio e passaggio bene costrutto di numerosi muscoli, di nervi, di ghiandole e di vene, se non avessero primieramente attraversato un simile corso di sviluppo, come nel caso dei marsupiali che esistono oggi. Nessuno pretenderà che una struttura tanto perfetta come l’utero doppio anormale della donna sia l’effetto del semplice caso. Ma il principio di regresso, mercè il quale strutture da lungo tempo sopite sono richiamate a nuova vita, può servir di guida pel pieno sviluppo dell’organo, anche dopo un grandissimo intervallo di tempo.
Il professore Canestrini, dopo aver discorso il caso su riferito ed altri analoghi, viene alla stessa conclusione data qui sopra. Come altro esempio, egli cita l’osso malare, il quale in alcuni quadrumani ed altri mammiferi normalmente è fatto di due parti. Questa è la sua condizione nel feto umano di due mesi di età; e talora rimane anche così per arresto di sviluppo nell’uomo adulto, e più particolarmente nelle razze propugnate più basse. Quindi Canestrini deduce da ciò che qualche antico progenitore dell’uomo deve avere avuto normalmente quest’osso diviso in due parti, che in seguito si fusero insieme. L’osso frontale è nell’uomo fatto di un pezzo solo, ma nell’embrione e nel bambino, e in quasi tutti i mammiferi inferiori, è fatto di due pezzi, separati da una distinta sutura. Questa sutura persiste accidentalmente più o meno distinta anche nell’uomo adulto, e più frequentemente nei crani antichi che non nei recenti, in particolare, come ha osservato Canestrini, in quelli scavati nella terramara di Gorzano e che appartengono al tipo brachicefalo. Egli qui trae la stessa conseguenza come nel caso analogo delle ossa malari. In questo come in altri esempi dati testè, sembra che la cagione per cui le razze antiche si avvicinano più di frequente agli animali sottostanti che non le razze moderne venga da che queste ultime sono a qualche maggior distanza mercè una lunga serie di generazioni dai loro primieri semi-umani progenitori.
Varie altre anomalie nell’uomo, più o meno analoghe alle precedenti, sono state riferite da differenti autori, come casi di regresso; ma questi non presentano ombra di dubbio, perchè dobbiamo scendere molto basso nella serie dei mammiferi prima di trovare cosiffatte strutture normalmente presenti.
I denti canini sono nell’uomo strumenti perfettamente efficaci per la masticazione. Ma il loro vero carattere canino, come osserva Owen “è indicato dalla forma conica della corona, che terminando in una punta ottusa è convessa di fuori e piatta e semi-concava internamente, ed alla base della quale v’ha una lieve sporgenza. La forma conica è più evidente nelle razze melaniche, soprattutto le australiane. I canini sono più profondamente piantati ed hanno una radice più forte che non gli incisivi”. Nondimeno questo dente non serve più all’uomo come arma speciale per dilaniare i nemici o la preda, quindi può essere, per ciò che riguarda la sua propria funzione, considerato come rudimentale. In ogni ricca collezione di crani umani se ne possono trovare alcuni, come osserva Häckel, coi denti canini che sporgono notevolmente oltre gli altri nel modo stesso, ma in minor grado, di quelli che vediamo nelle scimmie antropomorfe. In questi casi si osservano spazi vuoti fra i denti di una mascella per ricevere i denti canini della mascella opposta. Uno spazio di questa sorta, in un cranio di Kaffir disegnato da Wagner, è sorprendentemente largo. Considerando quanto pochi siano i crani antichi esaminati in confronto dei crani recenti, è un fatto interessante che almeno in tre casi i denti canini sporgono grandemente; e nella mascella di Naulette si dice che siano enormi.
I maschi soli delle scimmie antropomorfe hanno i denti canini molto sviluppati; ma nella femmina del gorilla, ed in grado minore in quella dell’urango, questi denti sporgono notevolmente oltre gli altri; perciò il fatto che certe donne hanno talora, come mi fu assicurato, i denti canini molto sporgenti, non è una grave obiezione alla opinione che l’occasionale loro grande sviluppo nell’uomo sia un caso di regresso verso un progenitore semi-scimmia. Colui che respinge con disprezzo l’opinione che la forma dei suoi denti canini, e l’accidentale loro grande sviluppo in altri uomini, provenga dacchè i nostri primi progenitori siano stati forniti di quelle armi formidabili, svelerà forse con quel suo sogghigno la linea d’onde scende. Perchè sebbene egli non abbia più la volontà nè il potere di adoperare quei denti come armi, senza saperlo “farà contrarre i suoi muscoli ringhianti” (così chiamati da sir C. Bell) mostrandoli pronti all’azione, come un cane che si prepara per la battaglia.
Molti muscoli sono sviluppati accidentalmente nell’uomo, che sono propri dei quadrumani o di altri mammiferi. Il professore Vlacovich esaminò quaranta soggetti maschi, e trovò in diciannove un muscolo, chiamato da lui ischiopubico; in altri tre quel muscolo era rappresentato da un legamento; e negli altri diciotto non ve n’era traccia. Sopra trenta soggetti femmine, soltanto in due quel muscolo era sviluppato d’ambo i lati, ma in altri tre il legamento rudimentale era presente. Quindi sembra che questo muscolo sia molto più comune nel sesso maschile che non nel femminile; e col principio dell’origine dell’uomo da qualche forma inferiore si può comprendere la sua presenza; perchè è stato ritrovato in parecchi animali inferiori, ed in tutti questi serve esclusivamente ad aiutare il maschio nell’atto della riproduzione.
Il signor J. Wood, nella pregevole serie dei suoi scritti, ha descritto minutamente un gran numero di variazioni muscolari nell’uomo che rassomigliano alle strutture normali degli animali sottostanti: guardando solo ai muscoli che rassomigliano strettamente a quelli che sono regolarmente presenti, negli animali a noi più affini, i quadrumani, esse sono troppo numerose per essere anche soltanto specificate. In un solo individuo maschio, fornito di forte impalcatura corporea e di un cranio ben conformato, si osservarono non meno di sette variazioni muscolari, le quali tutte rappresentavano chiaramente muscoli propri a varie specie di scimmie. Per esempio, quell’uomo aveva ai due lati del collo un forte e vero levator claviculae, come s’incontra in ogni sorta di scimmie, e che vien detto incontrarsi in ogni sessanta soggetti umani. Inoltre quell’uomo aveva un adduttore speciale dell’osso metatarseo del quinto dito, uguale, come hanno dimostrato il professor Huxley ed il signor Flower, “a quello che esiste uniformemente nelle scimmie più elevate e nelle più basse”. Le mani e le braccia dell’uomo hanno conformazione eminentemente caratteristica, ma i loro muscoli van soggetti a moltissime variazioni, tanto da rassomigliare ai muscoli corrispondenti dei sottostanti animali. Cosiffatte rassomiglianze sono talora compiute e perfette, oppure imperfette; tuttavia in quest’ultimo caso sono evidentemente di natura transitoria. Certe variazioni son più comuni nell’uomo, e certe altre nella donna, senza che se ne possa dare la ragione. Il signor Wood, dopo aver descritto un gran numero di casi, fa la seguente grave osservazione: “Alcune notevoli deviazioni dal tipo ordinario delle strutture muscolari corrono per certi solchi o direzioni che possono essere considerate come indicanti un qualche ignoto fattore di molta importanza per un comprensivo conoscimento dell’anatomia generale e scientifica”.
Si può ammettere come probabilissimo che questo ignoto fattore sia il ritorno o regresso ad un primiero stato di esistenza. È al tutto incredibile che un uomo pel fatto del semplice caso possa rassomigliare in non meno di sette muscoli a certe scimmie, se non vi fosse stata qualche connessione genetica fra loro. D’altra parte se l’uomo è disceso da qualche creatura somigliante alle scimmie, non vi può essere nessuna buona ragione perchè certi muscoli non ricompaiano ad un tratto dopo un intervallo di molte migliaia di generazioni, nello stesso modo come si veggono nei cavalli, negli asini e nei muli ricomparire ad un tratto le strisce di colore oscuro sulle gambe e sulle spalle, dopo un intervallo di centinaia o più probabilmente migliaia di generazioni.
Questi vari casi di regresso hanno tanta relazione con quelli degli organi rudimentali riferiti nel primo capitolo, che molti di essi avrebbero potuto essere stati introdotti indifferentemente in quello od in questo. Così un utero umano fornito di corna si può dire che rappresenti, in istato rudimentale, lo stesso organo nel suo stato normale in certi mammiferi. Alcune parti che sono nell’uomo rudimentali, come l’osso coccige in ambo i sessi e le mammelle nel sesso mascolino, sono sempre presenti; mentre altre, come il forame sopracondiloideo, appaiono solo occasionalmente, e perciò possono essere messe sul conto del regresso. Queste varie strutture di regresso, come pure quelle puramente rudimentali, dimostrano in modo indiscutibile essere l’uomo originato da una qualche forma inferiore.
Variazione correlativa. – Molte strutture hanno, nell’uomo come negli animali sottostanti, tanto intima correlazione, che quando varia una parte così segue nell’altra, senza che noi possiamo, in molti casi, darne una ragione. Non possiam dire se una parte governi l’altra, o se entrambe siano governate da qualche parte primitivamente sviluppata. Varie mostruosità, come asserisce ripetutamente J. Geoffroy, sono per tal modo intimamente connesse. Le strutture analoghe van soggette particolarmente a mutare insieme, come vediamo nei lati opposti del corpo, e nelle estremità superiori ed inferiori. Da molto tempo Mekel faceva notare che quando i muscoli del braccio si discostano dal loro proprio tipo, quasi sempre imitano quelli della gamba, e così all’incontro segue nei muscoli delle gambe. Gli organi della vista e dell’udito, i denti e i capelli, il colore della pelle e dei capelli, il colorito e la costituzione, hanno più o meno relazione fra loro. Il professor Schaaffausen fermò pel primo l’attenzione sulla relazione che apparentemente esiste fra una forma muscolare e le prominenze sopraorbitali fortemente pronunciate, che sono caratteristiche delle razze umane inferiori.
Oltre alle variazioni che possono venire collocate con maggiore o minore probabilità nelle intestazioni precedenti, vi è una grandissima classe di variazioni che provvisoriamente possono essere chiamate spontanee, perchè appaiono, per colpa della nostra ignoranza, venire senza una qualche cagione. Tuttavia si può dimostrare che tali variazioni, sia che consistano soltanto di lievi differenze individuali, o di repentine e fortemente spiccate deviazioni di struttura, dipendono molto più dalla costituzione dell’organismo che non dalla natura delle condizioni cui è stato sottoposto.
Proporzione dell’accrescimento. – È stato riconosciuto che i popoli civili quando sono in condizioni favorevoli, come negli Stati Uniti, raddoppiano il loro numero in venticinque anni; e secondo un calcolo di Euler questo può seguire anche in poco più di dodici anni. Col primo calcolo la popolazione presente degli Stati Uniti, cioè trenta milioni, in 657 anni coprirebbe tutto il globo terracqueo così fittamente che sopra ogni metro quadrato dovrebbero stare ritti quattro uomini. L’ostacolo principale o fondamentale del continuo aumento dell’uomo è la difficoltà di guadagnarsi la sussistenza e di vivere un po’ comodamente. Che questa ne sia la ragione lo possiamo dedurre da ciò che vediamo, per esempio, negli Stati Uniti, ove la sussistenza è facile e lo spazio è grande. Se in Inghilterra questi mezzi fossero raddoppiati, il numero degli abitanti raddoppierebbe in poco tempo. Presso i popoli civili l’impedimento principale sopra menzionato opera soprattutto diminuendo i matrimoni. Il numero più grande dei bambini che muoiono nelle classi povere è pure importantissimo; come anche il maggior numero delle morti ad ogni età, e per varie malattie, negli abitatori di case ristrette e miserabili. Gli effetti delle gravi epidemie e delle guerre sono, nelle nazioni in favorevole condizioni, ben presto compensati e più che compensati. Anche l’emigrazione produce un temporaneo arresto, ma nelle classi poverissime questo arresto non è mai molto importante.
Vi è qualche ragione per supporre, come ha osservato Malthus, che la facoltà riproduttrice è ora minore nelle classi barbare che non nelle incivilite. Intorno a ciò non sappiamo nulla di bene esatto, perchè non è mai stato fatto un censimento dei selvaggi; ma dalla testimonianza concorde dei missionari e di altri che hanno dimorato lungamente presso quei popoli, sembra che le loro famiglie siano poco numerose, e rare quelle che hanno molti figli. Questo fatto può essere in parte attribuito a ciò che le donne allattano i loro piccoli per lungo tempo; ma è anche molto probabile che i selvaggi, i quali spesso menano una vita dura e non si nutrono tanto bene quanto gli uomini inciviliti, siano ora meno prolifici. In un precedente lavoro ho dimostrato che tutti i nostri quadrupedi ed uccelli domestici, e tutte le nostre piante coltivate, superano in fecondità le specie corrispondenti allo stato di natura. Non è una valida obiezione contro questo asserto quella che gli animali che sono stati ad un tratto troppo copiosamente nutriti o si sono molto impinguati, e la maggior parte delle piante che vengono repentinamente trapiantate da un terreno magro in uno ben concimato, divengono più o meno sterili. Perciò possiamo aspettarci che gli uomini civili, che in un senso sono grandemente addomesticati, saranno più prolifici degli uomini selvaggi. È anche probabile che la maggior fecondità delle nazioni civili sia divenuta, come nel caso dei nostri animali domestici, un carattere ereditario: almeno si sa che havvi in certe famiglie umane una tendenza a produrre gemelli.
Tuttavia, malgrado che i selvaggi sembrino essere meno prolifici dei popoli inciviliti, essi crescerebbero senza dubbio rapidamente se non fossero in qualche modo tenuti strettamente indietro. I Santali, tribù dei paesi montuosi dell’India, hanno recentemente dato un buon esempio di questo fatto; perchè, come dimostra il signor Hunter, il loro numero si è straordinariamente accresciuto dacchè è stato introdotto il vaccino, dacchè si sono mitigate altre pestilenze, e la guerra è stata repressa. Tuttavia questo accrescimento non sarebbe stato possibile se quel popolo rozzo non si fosse esteso nel paese vicino e non avesse lavorato per mercede. I selvaggi si sposano quasi sempre; tuttavia havvi a ciò un certo limite prudenziale, perchè, comunemente, non si sposano mai molto presto. Sovente i giovani debbono dimostrare che possono mantenere una moglie, e per lo più hanno da guadagnarsi prima il prezzo che ci vuole per comperare la sposa dai suoi genitori. La difficoltà che hanno i selvaggi di procurarsi la sussistenza pone accidentalmente un argine al loro accrescimento maggiore di quello che può accadere nei popoli civili, perchè tutte le tribù vanno periodicamente soggette a grandi carestie. Allora i selvaggi sono obbligati a nutrirsi male, e ciò non può a meno di cagionar danno alla loro salute. Sono stati pubblicati molti ragguagli intorno allo sporgere del loro stomaco ed alla emaciazione delle loro membra dopo e durante le carestie. Inoltre sono anche obbligati ad andare molto vagando qua e là, e un gran numero dei loro bambini, come mi fu assicurato in Australia, periscono in quei casi. Siccome le carestie sono periodiche, perchè dipendono principalmente dalle stagioni estreme, tutte quelle tribù devono oscillare nel loro numero. Non possono crescere continuamente e con regolarità, non essendovi aumento artificiale nella provvista del nutrimento. Quando i selvaggi sono un po’ allo stretto invadono reciprocamente i loro territori, e allora ne viene la guerra; ma invero essi sono quasi sempre in guerra coi loro vicini. Van soggetti a vari accidenti in terra e sull’acqua quando sono in cerca di cibo; ed in alcuni paesi soffrono molto dalle maggiori belve. Anche nell’India, intere contrade sono state spopolate dalle tigri.
Malthus ha discusso queste varie cause di arresto nell’aumento delle popolazioni, ma non ha dato molta importanza a quella che è forse la più grave di tutte, l’infanticidio, specialmente delle femmine, e l’uso di procurare gli aborti. Queste pratiche vengono seguite oggi in molte parti del mondo, e il signor M’Lennan ha dimostrato che vi è ogni ragione di credere che l’infanticidio sia stato nei tempi passati praticato anche più estesamente. Sembra che l’origine di queste pratiche sia derivata nei selvaggi dalla difficoltà, o meglio l’impossibilità, che trovavano nel mantenere tutti i bambini che nascevano. Alle sopraddette cause di arresto si può anche aggiungere la licenziosità; ma questa non è dovuta per la mancanza dei mezzi di sussistenza; sebbene vi sia ragione per credere che in alcuni casi (come al Giappone) sia stata incoraggiata a bella posta come un mezzo per frenare l’aumento della popolazione. Se guardiamo indietro ad un’epoca remotissima, prima che l’uomo avesse acquistata la dignità umana, egli deve essere stato guidato molto più dall’istinto e molto meno dalla ragione che non i selvaggi dei nostri tempi. I nostri primieri progenitori semiumani non avranno praticato l’infanticidio, perchè gl’istinti degli animali sottostanti non sono mai tanto pervertiti da indurli a distruggere regolarmente la loro prole. Non vi sarà stato freno prudenziale al matrimonio, e i sessi si saranno liberamente uniti in età giovanile. Quindi i progenitori dell’uomo avranno avuto molta tendenza a moltiplicarsi rapidamente, ma ostacoli di qualche sorta o periodici o costanti debbono averne limitato il numero anche molto di più che non sia per gli attuali selvaggi. Non possiamo dire quale sia stata la precisa natura di questi ostacoli, non più di quello che possiamo fare per molti altri animali. Sappiamo che i cavalli e le bovine, che non sono animali soverchiamente prolifici, quando furono dapprima lasciati liberi nel Sud America, si moltiplicarono enormemente. Il produttore più lento di tutti gli animali conosciuti, l’elefante, potrebbe in poche migliaia d’anni ricoprire tutta la terra. La moltiplicazione soverchia di ogni specie di scimmie deve essere impedita da qualche ostacolo, ma non già, come osserva Brehm, dalle aggressioni degli animali da preda. Nessuno vorrà affermare che l’attuale potenza riproduttiva dei cavalli selvatici e delle bovine selvatiche dell’America fosse dapprima maggiore in grado sensibile; o che, quando ogni distretto fu al tutto popolato, quella stessa potenza sia diminuita. Senza dubbio, in questo e in tutti gli altri casi concorrono molte cause di arresto, e differenti cause secondo le differenti circostanze; è molto probabile che la scarsità periodica di nutrimento, per causa delle stagioni sfavorevoli, sia la più importante di tutte. Così sarà stato anche per ciò che riguarda i primieri progenitori dell’uomo.
Scelta naturale. – Abbiamo testè veduto che l’uomo è variabile tanto nel corpo come nella mente; e che le sue variazioni sono prodotte, direttamente o indirettamente, dalle stesse leggi generali, come degli animali sottostanti. L’uomo si è sparso ampiamente sulla faccia della terra, e durante le sue continue migrazioni, deve essere stato esposto alle condizioni più svariate. Gli abitanti della Terra del Fuoco, del Capo di Buona Speranza e della Tasmania in un emisfero, e quelli delle regioni Artiche nell’altro, debbono avere attraversato molti climi e mutato molte volte il loro genere di vita, prima di giungere alla loro presente dimora. I primi progenitori dell’uomo debbono, come tutti gli altri animali, avere avuto una forte tendenza a moltiplicarsi molto al di là dei loro mezzi di sussistenza, perciò debbono essere stati occasionalmente esposti alla lotta per l’esistenza, e quindi a seguire la rigida legge della scelta naturale. In tal guisa si devono essere conservate le variazioni benefiche di tutte le sorta, sia abitualmente come occasionalmente, e devono essere state eliminate quelle nocevoli. Non voglio parlare delle grandi e spiccate deviazioni di forma, che seguono solo a lunghi intervalli di tempo, ma di semplici differenze individuali. Sappiamo, per esempio, che i muscoli delle nostre mani e dei nostri piedi che promuovono i nostri movimenti, van soggetti, come quelli degli animali sottostanti, ad incessanti variazioni. Quindi se i progenitori dell’uomo somiglianti alle scimmie che abitavano una data contrada, e specialmente una che portasse qualche mutamento nelle loro condizioni, si fossero divisi in due parti uguali, una delle quali avesse racchiuso in sè tutti gl’individui meglio acconci, per le loro facoltà di movimento, a guadagnarsi la sussistenza e a meglio difendersi, quella parte a conti fatti avrebbe conservato maggior numero d’individui e avrebbe procreato maggior prole che non l’altra parte meno bene dotata.
L’uomo anche allo stato più rozzo in cui si trovi presentemente è l’animale più dominatore che sia mai comparso sulla terra. Egli si è sparso molto più estesamente di qualunque altra forma di elevata struttura; e, tutti gli altri hanno dovuto cedergli il campo. Evidentemente, egli va debitore di questa immensa superiorità alle sue facoltà intellettuali, ai suoi costumi socievoli che lo inducono ad aiutare e difendere i suoi compagni, ed alla struttura del suo corpo. L’importanza suprema di questi caratteri è stata dimostrata dall’arbitrato finale della lotta per la esistenza. Mercè le potenze del suo intelletto, si è sviluppato il linguaggio articolato, ed è stata soprattutto questa la causa principale del suo meraviglioso progresso. Egli ha inventato e sa adoperare varie armi, ordigni, trappole, ecc., con cui si difende, uccide e s’impadronisce della preda, o si procura altrimenti il nutrimento. Egli ha costrutto zattere o barchette sulle quali pesca o attraversa bracci di acqua per andare sopra le fertili isole vicine. Ha scoperto l’arte di far accendere il fuoco, per cui le dure e fibrose radici possono divenire digeribili, e le erbe e le radici velenose sono rese innocue. Quest’ultimo trovato, forse il più grande, dopo la parola, che l’uomo abbia mai fatto, data fino dal primo albore della storia. Queste varie invenzioni, per cui l’uomo nello stato più rozzo è divenuto così eminente, sono il diretto risultato dello sviluppo delle sue facoltà di osservazione, di memoria, di curiosità, di immaginazione e di ragione. Io non posso quindi comprendere come vada che il signor Wallace asserisca, che “la scelta naturale non avrebbe dato al selvaggio che un cervello poco superiore a quello di una scimmia”.
Quantunque le facoltà intellettuali ed i costumi socievoli abbiano per l’uomo una suprema importanza, non dobbiamo diminuire la importanza della sua struttura corporea, a cui dedicheremo il resto del presente capitolo. Nel seguente capitolo discuteremo lo sviluppo delle sue facoltà intellettuali, sociali e morali.
Non è agevole cosa adoperare a dovere anche solo il martello, e ciò riconoscerà chiunque abbia provato ad imparar l’arte del legnaiuolo. Scagliare un sasso con precisione come può fare un abitante della Terra del Fuoco per difendersi od uccidere un uccello, richiede la più consumata perfezione nell’azione concorde dei muscoli della mano, del braccio e della spalla, senza parlare di un finissimo senso del tatto. Un uomo, quando scaglia un sasso o scocca una freccia, o compie molte altre azioni, deve essere ben saldo in piedi, e ciò richiede pure un perfetto accordo fra i numerosi muscoli. Foggiare una selce a mo’ di rozzo utensile, o fare con un osso una freccia dentata o un gancio, richiede l’uso di una mano perfetta; perchè, come osserva il signor Schoolcraft, giudice competentissimo, i frammenti di pietra che hanno forma di coltelli, di lame, o di punte di frecce, mostrano “una abilità straordinaria ed una lunga pratica”. Abbiamo la prova di questo fatto in ciò che gli uomini primitivi solevano praticare la divisione del lavoro; ogni uomo non si fabbricava i propri utensili di selce o le proprie rozze stoviglie; ma sembra che certi individui siansi applicati a cosiffatti lavori, ricevendo senza dubbio in ricambio il prodotto della caccia. Gli archeologi sono convinti che deve essere passato un enorme intervallo di tempo prima che i nostri antenati abbiano pensato a foggiare utensili levigati colle schegge delle selci. Un animale somigliante all’uomo, fornito di una mano e di un braccio tanto perfetti da permettergli di scagliare un sasso con precisione o di foggiare con una selce un grossolano utensile, potrebbe fare, senza dubbio, con una pratica sufficiente, quasi ogni cosa, per quello che riguarda la abilità meccanica che può fare un uomo incivilito. La struttura della mano può essere per questo riguardo comparata a quella degli organi vocali, che nelle scimmie sono adoperati per mandar fuori varie grida di segnali, e, in una specie, cadenze musicali; ma nell’uomo organi vocali strettamente simili sono divenuti atti per via degli effetti dell’uso ereditario a far udire un linguaggio articolato.
Venendo ora ai più prossimi affini dell’uomo, e quindi ai migliori rappresentanti dei nostri primieri progenitori, troviamo che le mani dei quadrumani sono costrutte sullo stesso stampo generale come le nostre, ma sono molto meno perfettamente acconce pei vari uffici. Le loro mani non servono tanto bene come i piedi del cane per la locomozione; come si può vedere in quelle scimmie che camminano sui margini esterni della palma, o sulla parte inferiore delle loro dita ripiegate, come lo scimpanzè e l’urango. Tuttavia le loro mani sono meravigliosamente costrutte per arrampicarsi sugli alberi. Le scimmie afferrano rami sottili o corde, col pollice da un lato e le dita e la palma dall’altro lato, nel modo stesso come facciamo noi. Possono anche portarsi alla bocca oggetti più grossi, come il collo di una bottiglia. I babbuini rivoltano le pietre, e sradicano le radici colle mani. S’impadroniscono di noci, insetti, o di altri piccoli oggetti col pollice opposto alle altre dita, e senza dubbio estraggono dai nidi uova ed uccellini. Le scimmie americane battono gli aranci selvatici sopra i rami affinchè la scorza si spacchi, poi li sbucciano colle dita delle due mani. Colle dita si tolgono via le spine e gli stecchi, e si liberano reciprocamente dei parassiti. In stato di natura spaccano colle pietre le frutta molto dure. Fanno rotolare sassi sui propri nemici per difendersi; nondimeno, compiono tutte queste varie azioni goffamente, e sono al tutto incapaci, come ho veduto io stesso, di scagliare con precisione un sasso.
Mi sembra molto lungi dal vero quella obiezione che poichè le scimmie “afferrano goffamente gli oggetti, un organo di preensione molto meno speciale di quello che hanno ora avrebbe fatto ad esse lo stesso ufficio come le loro mani attuali”. Al contrario, non veggo ragione per dubitare che una mano più perfettamente costrutta sarebbe stata loro molto vantaggiosa, purchè, e ciò è molto importante da notare, le loro mani non fossero per divenire così meno atte all’arrampicarsi sugli alberi. Possiamo benissimo supporre che una mano od un piede perfetti sarebbero stati meno adatti all’arrampicare; perchè le scimmie più arboree del mondo, gli ateli dell’America e gli ilobati dell’Asia, hanno talora il pollice molto rimpicciolito ed anche rudimentale, e talora le dita parzialmente saldate, cosicchè le loro mani non sono più che ganci buoni per abbrancare.
Quando qualche antico membro della grande serie dei primati venne indotto, pel mutamento nel modo di procurarsi la sussistenza, o per le mutate condizioni del suo paese natio, a vivere un po’ meno sugli alberi e un po’ più sul terreno, deve essersi modificato il suo modo di camminare; e in questo caso deve esser divenuto molto più particolarmente quadrupede o bipede. I babbuini frequentano i luoghi montuosi e rocciosi, e solo per necessità si arrampicano sugli alberi ed essi hanno ora acquistato l’andatura quasi di un cane. L’uomo solo è divenuto bipede; e noi possiamo, credo, riconoscere in parte come sia giunto ad acquistare il suo portamento eretto, che è una delle più cospicue differenze che lo distinguono dai suoi più stretti affini. L’uomo non avrebbe mai potuto acquistare la sua attuale posizione di dominatore del mondo senza l’uso delle sue mani che sono così meravigliosamente acconce ad operare obbedendo alla sua volontà. Come asserisce con insistenza sir C. Bell, “la mano supplisce tutti gli strumenti, e colla sua corrispondenza, coll’intelletto gli dà il dominio universale”. Ma le mani e le braccia non possono guari essere divenute tanto perfette da costrurre armi, o da scagliare sassi e giavellotti ad una data mira, finchè furono adoperate abitualmente per uso di locomozione e per sopportare tutto il peso del corpo, o finchè erano specialmente acconce, come abbiamo osservato prima, all’arrampicarsi sugli alberi. Un modo di vivere così rozzo avrebbe anche spento il senso del tatto, dal quale dipende principalmente il loro uso delicato. Per queste sole ragioni doveva essere un vantaggio per l’uomo divenire bipede; ma per molte azioni è quasi necessario che le braccia e tutta la parte superiore del corpo siano liberi; e perciò egli deve star ritto sui piedi. Ad ottenere questo grande vantaggio, i piedi sono divenuti piatti, e il dito pollice si è particolarmente modificato, sebbene ciò abbia avuto per conseguenza la perdita della facoltà di preensione. Ciò concorda col principio della divisione del lavoro fisiologico, prevalente in tutto il regno animale, che mentre le mani divengono perfette per la presa, i piedi si perfezionano e divengono più acconci per sostenere il corpo e per camminare. Tuttavia, in certi selvaggi il piede non ha al tutto perduto la facoltà di preensione, come dimostrano il modo in cui si arrampicano sugli alberi e lo adoperano in altri vari usi.
Se lo stare saldamente ritto sui piedi ed avere le mani e le braccia libere è un vantaggio per l’uomo, cosa di cui non si può affatto dubitare vedendo la sua splendida vittoria nella battaglia per la vita, non veggo ragione perchè non sarebbe stato utile pei progenitori dell’uomo di venire sempre più ad acquistare un portamento eretto, o divenire bipedi. In tal modo avrebbero potuto meglio riuscire a difendersi con sassi o clave, o ad aggredire la preda, in altre parole a procurarsi il nutrimento. Se il gorilla ed alcune poche forme affini si fossero spente, si sarebbe potuto sostenere con molti buoni argomenti e con una certa apparenza di verità che un animale non poteva convertirsi gradatamente da quadrupede in bipede; perchè tutti gli individui posti in condizione intermedia sarebbero stati molto poveramente fatti per l’incesso. Ma sappiamo (e ciò merita grandemente di essere notato) che parecchie sorta di scimmie si trovano ora in questa condizione intermedia; e nessuno mette in dubbio che non siano nel complesso bene adattate alle loro condizioni di vita. Così il gorilla va con andatura obliqua e goffa, ma per lo più cammina appoggiandosi sulle mani ripiegate. Le scimmie dalle lunghe braccia sogliono comunemente adoperar queste a mo’ di grucce, movendo il corpo in mezzo di esse, e certe specie di ilobati, senza che ciò sia stato loro mai insegnato, possono camminare e correre ritte con sufficiente sveltezza; tuttavia hanno un’andatura sgarbata, e molto meno sicura che non l’uomo. Infine, noi vediamo nelle scimmie oggi esistenti certe gradazioni fra un modo di incesso simili al tutto a quello di un quadrupede e a quello di un bipede od uomo.
Mentre i progenitori dell’uomo andavano man mano acquistando una posizione sempre più eretta, e le mani e le braccia loro si modificavano per modo da divenire acconci allo afferrare e ad altri usi, e i piedi e le gambe sopportavano nello stesso tempo i mutamenti necessari per essere più forti sostegni e migliori mezzi per l’incesso, si facevano necessari un numero infinito di altri mutamenti di forma. La pelvi doveva divenire più larga, la spina incurvarsi in special modo, ed il capo mettersi in altra posizione, e tutti questi mutamenti l’uomo li ha raggiunti. Il professore Schaaffhausen asserisce che, “i forti processi mastoidei del cranio umano sono l’effetto della posizione eretta”; e questi processi mancano nell’urango, nello scimpanzè, ecc., e nel gorilla sono più piccoli che non nell’uomo. Si potrebbero qui citare parecchie altre strutture che sembrano aver relazione colla posizione eretta dell’uomo. È difficilissimo decidere fino a qual punto queste relative modificazioni siano l’effetto della scelta naturale, oppure degli effetti ereditati pel maggiore esercizio di certe parti, o dell’azione di una parte sopra un’altra. Senza dubbio questi mezzi di mutamento agiscono e reagiscono fra loro, quindi quando certi muscoli, o le prominenze ossee cui s’inseriscono, divengono più grandi per ragione dell’esercizio usuale, ciò dimostra che certe azioni si compiono abitualmente e debbono essere utili. In conseguenza quegli individui che le compievano meglio dovevano essere in migliori condizioni e dovevano sopravvivere in numero maggiore.
L’uso libero delle mani e delle braccia, causa ed effetto della posizione eretta dell’uomo, sembrano aver dovuto produrre, indirettamente, altre modificazioni di struttura. È molto probabile che i primi progenitori maschi dell’uomo fossero forniti, come abbiamo detto più sopra, di grandi denti canini; ma per l’abito gradatamente acquistato di adoperare sassi, clave o altre armi per combattere i loro nemici, essi debbono aver sempre meno adoperato le mascelle ed i denti. In tal caso le mascelle e i denti si saranno diminuiti di volume, come ce ne danno certezza molti altri casi analoghi. Vedremo in un altro capitolo un caso strettamente consimile nella riduzione o assoluta scomparsa dei denti canini nei maschi dei ruminanti apparentemente in relazione collo sviluppo delle corna, e nei cavalli in relazione coll’uso che hanno di combattere coi denti incisivi e colle zampe.
Nei maschi adulti delle scimmie antropomorfe, come Rütimeyer ed altri asseriscono, è precisamente l’effetto che è stato prodotto sul cranio dall’enorme sviluppo dei muscoli mascellari, il quale è la causa che questo cranio differisce tanto per molti riguardi da quello dell’uomo, e dà loro “una fisonomia invero spaventevole”. Perciò mentre le mascelle e i denti dei progenitori dell’uomo sono andati man mano riducendosi in volume, il cranio dell’adulto deve avere presentato quasi gli stessi caratteri che offre quello delle scimmie antropomorfe giovani, e quindi esser venuto a rassomigliare sempre più a quello dell’uomo attuale. Una grande riduzione nella mole dei denti canini deve quasi certamente avere alterato, come vedremo in seguito, per via della eredità, anche i denti delle femmine.
Mentre le varie facoltà intellettuali si sono andate sviluppando a gradi a gradi, è quasi certo che il cervello deve esser divenuto più grande. Non credo che nessuno possa dubitare che la grande mole del cervello dell’uomo, relativamente al suo corpo, in confronto di quello del gorilla o dell’urango, non abbia una intima relazione colle sue più elevate potenze mentali. Noi vediamo fatti strettamente analoghi negli insetti, nei quali i gangli cerebrali sono di dimensioni straordinarie nelle formiche; questi gangli sono in tutti gli imenotteri parecchie volte più grandi che non negli ordini meno intelligenti, come gli scarafaggi. D’altra parte nessuno può supporre che l’intelletto di due dati animali o di due dati uomini possa venire misurato accuratamente dal contenuto cubico del loro cranio. È certo che può esservi una straordinaria attività mentale unita ad una piccolissima massa assoluta di materia nervosa: così, sono notissimi gl’istinti meravigliosamente vari, le potenze mentali, gli affetti delle formiche, e tuttavia i loro gangli cerebrali non sono grossi quanto il quarto della capocchia di una piccola spilla. Da questo punto di vista, il cervello della formica è uno fra i più meravigliosi atomi di materia del mondo, forse ancor più meraviglioso del cervello dell’uomo.
La credenza che esista nell’uomo una intima relazione fra il volume del cervello e lo sviluppo delle facoltà intellettuali si appoggia sul paragone dei crani delle razze selvagge e delle incivilite dei popoli antichi e dei moderni e sulla analogia di tutta la serie dei vertebrati. Il dottor J. Bernardo Davis ha dimostrato, dopo molte accurate misure, che la capacità interna media del cranio è negli Europei di 92,3 pollici cubi (22 centimetri 90 millimetri e 6 decimillimetri); negli Americani di 87,5 (21 cent. e 81 mill.); negli Asiatici di 87,1 (21 cent., 75 mill. e 2 decimill.); e negli Australiani di 81,9 pollici (20 cent., 26 mill. e 8 demill.). Il professor Broca ha trovato che i crani presi dalle sepolture di Parigi del secolo decimonono erano più grandi che non quelli presi nei sepolcri del secolo decimosecondo, nella proporzione dl 1484 a 1426; e Prichard è persuaso che gli abitanti presenti dell’Inghilterra hanno “la scatola del cranio molto più spaziosa” che non gli antichi abitanti. Nondimeno dobbiamo riconoscere che alcuni crani di remotissima antichità, come quello famoso di Neanderthal, sono ben sviluppati e spaziosi. Per ciò che riguarda gli animali sottostanti, il signor Lartet avendo comparato i crani dei mammiferi terziari coi recenti appartenenti agli stessi gruppi, è giunto a questa notevole conclusione, che il cervello è in generale molto più grande, e con circonvoluzioni più complicate in quelli di forma recente. D’altra parte io ho dimostrato che il cervello dei conigli domestici è diminuito notevolmente di volume in confronto di quello del coniglio selvatico e della lepre; e questo fatto può essere attribuito a ciò che essendo stati tenuti racchiusi per molte generazioni, hanno esercitato poco l’intelletto, gli istinti, i sensi ed i movimenti volontari.
L’accrescimento graduato di peso del cervello e del cranio dell’uomo deve avere avuto una azione nello sviluppo della colonna vertebrale che gli serve di sostegno, e più specialmente mentre stava divenendo eretta. Mentre seguiva questo mutamento di posizione, la pressione interna del cervello avrà avuto anche una certa azione nella forma del cranio; perchè molti fatti dimostrano quanto agevolmente il cranio possa venire in tal modo modificato. Gli etnologi credono che esso si modifichi anche per la qualità della culla ove dormono i bambini. Certi spasmi abituali dei muscoli e una cicatrice venuta da una grave scottatura hanno modificato permanentemente le ossa facciali. In quelle persone giovani nelle quali il capo, in seguito ad una qualche malattia, è rimasto piegato lateralmente o all’indietro, uno degli occhi ha mutato posizione, e le ossa del cranio si sono modificate, e questo è derivato apparentemente da ciò che il cervello ha fatto pressione in una nuova direzione. Io ho dimostrato che nei conigli dalle lunghe orecchie basta una lieve cagione, come il taglio in avanti di un orecchio, per far sporgere da quel lato quasi tutte le ossa del cranio; per cui le ossa del lato opposto non corrispondono più per l’appunto. Infine, se un animale qualunque cresce o diminuisce molto nella mole generale senza che avvenga qualche mutamento nelle sue potenze mentali, o se le potenze mentali crescono o diminuiscono molto senza qualche grande mutamento nel volume del corpo, è quasi certo che la forma del cranio sarà alterata. Io deduco questo dalle mie osservazioni sui conigli domestici, alcune sorta dei quali sono venuti molto più grandi che non i selvatici, mentre altre sono rimaste a un dipresso della stessa grossezza, ma nei due casi il cervello si è molto rimpicciolito rispetto alla mole del corpo. Ora mi recò dapprima molta sorpresa vedere che in tutti questi conigli il cranio era divenuto più lungo, o dolicocefalo: per esempio, di due crani di quasi pari larghezza, uno di un coniglio selvatico e l’altro di una grossa specie domestica, il primo era lungo solo 3,15 pollici (78 millimetri); ed il secondo 4,3 pollici (1 cent. e 6 decimill.). Uno dei caratteri più spiccati che distinguono le varie razze umane è quello che in alcune il cranio è allungato, e in altre rotondo; e qui la spiegazione suggerita dal caso dei conigli può in parte essere applicata, perchè Welcher trova che gli uomini piccoli inclinano più a divenire brachicefali, e gli uomini alti a divenire dolicocefali; quindi gli uomini alti si possono comparare al conigli dal corpo più grande e più lungo, i quali tutti hanno il cranio allungato, e sono dolicocefali.
Da tutti questi fatti noi possiamo fino a un certo punto comprendere i modi mercè i quali l’uomo ha acquistato la maggior mole del suo cranio e la sua forma più o meno allungata; e questi sono caratteri che lo distinguono eminentemente in comparazione dei sottostanti animali. Un’altra molto spiccata differenza fra l’uomo e gli animali sottostanti è la nudità della pelle. Le balene e i delfini (Cetacea), i dugunghi (Sirenia) e l’ippopotamo sono nudi; e ciò può essere loro utile per guizzare nell’acqua; nè potrebbero per questo soffrire per la perdita del calore, perchè le specie, che abitano le regioni più fredde sono protette da un fitto strato di adipe, che serve allo stesso uso come il pelo delle foche e delle lontre. Gli elefanti ed i rinoceronti sono quasi senza pelo; e siccome certe specie estinte che vivevano anticamente in un clima artico erano coperte di lunga lana o pelo, sembrerebbe quasi che le specie dei due generi che esistono oggi abbiano perduto la loro pelle villosa per essere esposte al caldo. Questo sembra tanto più probabile dacchè gli elefanti dell’India che vivono nei paesi freschi ed elevati sono più pelosi che non quelli che vivono nelle pianure. Dobbiamo noi dedurre, da ciò, che l’uomo siasi spogliato dei peli per avere dimorato in origine in qualche terra tropicale? Il fatto che il sesso mascolino ha conservato principalmente sul petto e sul volto il pelo, ed ambo i sessi lo hanno conservato nel punto di giunzione dei quattro membri col tronco, appoggia questa deduzione, aggiungendosi che l’uomo perdette il suo pelo prima che avesse acquistato una posizione eretta perchè le parti che conservano ora la maggior copia di pelo erano allora molto protette contro il calore del sole. Tuttavia la parte superiore del corpo offre una curiosa eccezione, perchè in ogni tempo deve essere stata una delle parti più esposte, e ciononostante è fittamente ricoperta di capelli. Per questo rispetto l’uomo somiglia alla maggior parte dei quadrupedi, che in generale hanno la loro superficie superiore ed esposta molto più ricoperta che non la inferiore. Nondimeno, il fatto che altri membri dell’ordine dei Primati, a cui l’uomo appartiene, quantunque abitino varie regioni calde, sono bene rivestiti di peli, in generale più fitti alla superficie superiore, si oppone fortemente alla supposizione che l’uomo sia divenuto nudo merce l’azione del sole. Sono inclinato a credere, come vedremo nella scelta sessuale, che l’uomo, o meglio la donna primitiva, sia divenuta priva di pelo per motivo di ornamento; e secondo questa credenza non è sorprendente che l’uomo differisca tanto in fatto di pelosità da tutti i suoi più bassi congiunti, perchè spesso i caratteri acquistati mercè la scelta sessuale differiscono in un grado straordinario in forme intimamente congiunte.
Secondo il sentimento popolare, la mancanza di coda è un carattere eminentemente distintivo dell’uomo; ma siccome quelle scimmie che sono più affini all’uomo mancano di quest’organo, la sua assenza non ci concerne in modo speciale. Nondimeno può tornar utile riconoscere che, per quanto io sappia, non è stata data nessuna spiegazione intorno alla perdita della coda di certe scimmie e dell’uomo. Tuttavia questa perdita non sorprende, perchè talvolta in specie dello stesso genere la coda differisce notevolmente nella lunghezza: così in alcune specie di macachi la coda è più lunga di tutto il corpo, consiste di ventiquattro vertebre; in altre è un moncone appena visibile, fatto soltanto di tre o quattro vertebre. In alcune specie di babbuini ve ne sono venticinque, mentre nel mandrillo vi sono dieci piccolissime vertebre caudali, molto ridotte, o, secondo Cuvier, talvolta solo cinque. Questa grande diversità nella lunghezza e nella struttura della coda in animali che appartengono agli stessi generi, ed hanno quasi lo stesso modo di vivere, fa pensare che probabilmente la coda non è per essi di molta importanza; e se ciò è, potevamo aspettarci che sarebbe divenuta talora più o meno rudimentale, concordemente a ciò che vediamo di continuo in altre strutture. La coda quasi sempre termina in punta all’apice, sia essa lunga o corta; e, secondo me, questo dipende dalla atrofia che, pel difetto di esercizio, segue nei muscoli terminali e nelle loro arterie e nei nervi, che producono poi l’atrofia delle ossa terminali. Per ciò che riguarda l’osso coccige, che nell’uomo e nelle scimmie più elevate evidentemente è fatto dei pochi e appuntati segmenti basali di una coda ordinaria, ho inteso domandare come abbiano potuto quelle ossa al tutto incastrarsi nel corpo; ma in ciò non v’ha alcuna difficoltà, perchè in molte scimmie i segmenti basali della vera coda sono per tal modo incorporati. Per, esempio, il signor Murie mi ha informato che nello scheletro di un Macacus inornatus non pienamente adulto egli ha contato da nove a dieci vertebre caudali, che tutte insieme erano lunghe solo 1,8 pollice (26 mill.). Di queste, le tre che formavano la base, sembravano essere state solamente incorporate; il resto formava la parte libera della coda, che era lunga soltanto un pollice (25 mill.), ed aveva il diametro, di un mezzo pollice (12 mill. e mezzo). In questo caso dunque le tre vertebre caudali incorporate corrispondono chiaramente alle quattro vertebre saldate dell’osso coccige dell’uomo.
Io ho finora cercato di dimostrare come alcuno dei caratteri più spiccati dell’uomo siano stati secondo ogni probabilità acquistati, sia direttamente o più comunemente in via indiretta, mercè la scelta naturale. Noi dobbiamo porci in mente che le modificazioni della struttura o della costituzione, che non sono di nessuna utilità ad un organismo per renderlo adatto al suo modo di vivere, al nutrimento che consuma, o passivamente alle condizioni circostanti, non possono essere state in tal modo acquistate. Tuttavia, noi non dobbiamo con troppa sicurezza decidere quali modificazioni siano di maggior utilità ad ogni individuo; dobbiamo rammentarci quanto poco sappiamo intorno all’uso di molte parti, o quali mutamenti nel sangue o nei tessuti possono servire a rendere atto un organismo ad un nuovo clima o a qualche nuova sorta di cibo. Nè dobbiamo noi dimenticare il principio di correlazione, col quale, come ha dimostrato Isidoro Geoffroy nel caso dell’uomo, molte strane deviazioni di strutture sono collegate insieme. Indipendentemente dalla correlazione, un mutamento che segue in una parte produce per via dell’aumentato o scemato esercizio di altre parti altri mutamenti di natura al tutto inaspettata. Giova anche riflettere a quei tali fatti, come la meravigliosa crescenza delle galle sulle piante, cagionate dal veleno di un insetto, e sui notevoli mutamenti di colore che hanno luogo nelle piume dei pappagalli quando mangiano certi pesci, e loro s’inocula il veleno dei rospi, perchè possiamo da ciò scorgere che i fluidi del sistema, se vengono alterati per qualche speciale proposito, possono indurre altri strani mutamenti. Noi dobbiamo particolarmente metterci in capo essere cosa molto probabile che le modificazioni acquistate e continuamente adoperate durante i secoli trascorsi per qualche utile proposito siano divenute fermamente permanenti, e possano essere alla lunga ereditate.
Così si può con una certa sicurezza dare una grandissima quantunque indefinita estensione ai risultati diretti ed indiretti della scelta naturale; ma ora riconosco, dopo aver letto il saggio di Nägeli sulle piante e le osservazioni di vari autori rispetto agli animali, e più specialmente quelle fatte di fresco dal prof. Broca, che, nelle prime edizioni della mia Origine delle specie, ho forse attribuita una troppo larga azione alla scelta naturale o alla sopravvivenza dei meglio provveduti. Ho corretto la quinta edizione dell’Origine, limitando le mie osservazioni ai mutamenti nella disposizione della struttura. Io non avevo dapprima considerato sufficientemente l’esistenza di molte strutture che non sembrano essere, per quanto possiamo giudicare, nè benefiche nè dannose; e questo io credo sia uno dei più grandi errori che io abbia finora trovato in quel mio lavoro. Mi sia permesso di addurre come scusa che io aveva due distinti oggetti in vista: primo, dimostrare che le specie non erano state create separatamente; secondo che la scelta naturale è stata il principale agente di mutamento, sebbene sia stata efficacemente aiutata dagli effetti ereditati dell’abitudine, e lievemente dall’azione diretta delle condizioni circostanti. Nondimeno non mi riuscì di abbattere l’azione della mia primiera credenza, allora molto prevalente, che ogni specie fosse stata creata a bella posta; e questo mi condusse tacitamente a ciò, che ogni particolarità della struttura, tranne i rudimenti, fosse di qualche speciale sebbene non riconosciuta utilità. Chiunque abbia ciò nella mente deve naturalmente estendere troppo l’azione della scelta naturale, sia nei tempi passati come nei presenti. Alcuni di quelli che ammettono il principio dell’evoluzione, ma respingono la scelta naturale, sembrano dimenticare, quando criticano il mio libro, che io avevo in vista i due oggetti sopra menzionati: quindi se ho sbagliato dando alla scelta naturale una soverchia importanza, che ora son lontano dall’ammettere, o se ne ho esagerata la potenza, ciò che è in se stesso probabile, almeno ho reso, spero, un buon servizio, cercando di rovesciare il dogma delle creazioni separate.
È probabile, per quanto oggi io posso scorgere, che si osservino in tutti gli esseri organici, compreso l’uomo, molte modificazioni nella struttura che non sono loro presentemente e non sono state in passato di qualche utilità. Noi non sappiamo che cosa sia quello che produce le innumerevoli piccole differenze tra individui della stessa specie, perchè il regresso non fa che portare il problema qualche passo indietro; ma ogni particolarità deve avere avuto la sua propria causa efficiente. Se queste cause, qualunque possano essere, venissero ad operare con maggiore uniformità ed energia durante un lungo periodo (e non si può dare una ragione perchè ciò non possa talvolta accadere), l’effetto non sarebbe probabilmente di semplici differenze individuali, ma di modificazioni costanti e bene evidenti. Quelle modificazioni che non sono per nulla benefiche non possono essere state mantenute uniformi dalla scelta naturale, sebbene tutte quelle che erano nocevoli debbano essere state così eliminate. Tuttavia dalla assunta uniformità delle cause eccitanti avrebbe dovuto venire naturalmente l’uniformità di caratteri, e ciò anche pel libero incrociamento di molti individui. Lo stesso organismo poteva in tal modo, durante i successivi periodi, acquistare successive modificazioni, e queste sarebbero state trasmesse in uno stato quasi uniforme, finchè le cause eccitanti fossero rimaste le stesse e vi fosse stato libero incrociamento. Per quello che riguarda le cause eccitanti possiamo solo dire, come quando si parla delle cosidette variazioni spontanee, che hanno una più stretta relazione colla costituzione dell’organismo variante, che non colla natura delle condizioni a cui esso è stato soggetto.
Conclusione. – Abbiamo in questo capitolo veduto che siccome l’uomo oggi è soggetto, come ogni altro animale, a moltiformi differenze individuali o leggere variazioni, così senza dubbio erano i primieri progenitori dell’uomo; essendo quelle variazioni allora come oggi prodotte dalle stesse cause generali, e governate dalle medesime leggi generali e complesse. Siccome tutti gli animali hanno una tendenza a moltiplicarsi al di là dei loro mezzi di sussistenza, così deve essere seguìto nel caso dei progenitori dell’uomo; e questo avrà inevitabilmente condotto ad una lotta per l’esistenza ed alla scelta naturale. Quest’ultima sarà stata grandemente aiutata dagli effetti ereditati del maggiore esercizio delle parti; mentre questi due processi reagiscono incessantemente l’uno sull’altro. Sembra anche, come vedremo in seguito, che diversi caratteri poco importanti siano stati acquistati dall’uomo mercè la scelta sessuale. Bisogna lasciare un residuo di mutamento inesplicato, e forse anche grande, all’assunta uniforme azione di quegli ignoti agenti che accidentalmente producono spiccate e repentine deviazioni di struttura nei nostri prodotti domestici.
Se giudichiamo dai costumi dei selvaggi e del maggior numero dei quadrupedi, l’uomo primitivo, ed anche i progenitori dell’uomo somiglianti alle scimmie, dovevano vivere in società. Negli animali strettamente socievoli la scelta naturale opera talora indirettamente sull’individuo, mercè la conservazione delle variazioni che sono benefiche soltanto alla comunità. Una comunità che racchiude un gran numero d’individui bene dotati cresce di numero, e vince le altre comunità meno bene dotate; quantunque ogni membro separato non possa vantaggiarsi sugli altri membri della stessa comunità. Negli insetti socievoli molte notevoli strutture, che sono poco o nulla utili all’individuo o alla sua prole, come l’apparato per raccogliere il polline e l’aculeo dell’ape operaia, e le grandi mascelle delle formiche soldati, sono state in quella guisa acquistate. Non mi sono mai accorto che negli animali socievoli più elevati siasi modificata una qualche struttura pel bene solo della comunità, sebbene alcune abbiano una qualche secondaria importanza per essa. Per esempio, sembra che le corna dei ruminanti e i grossi denti canini dei babbuini siano stati acquistati dai maschi come armi per la lotta sessuale, ma vengono adoperati per la difesa del branco o dello strupo. Il caso, tuttavia, è al tutto differente per ciò che riguarda certe facoltà mentali come vedremo nel seguente capitolo; perchè queste facoltà sono state principalmente, o anche esclusivamente, acquistate pel benefizio della comunità; mentre gli individui che la componevano venivano a trarne nel tempo stesso un indiretto benefizio.
Spesso si è mossa al modo di vedere sopra esposto questa obiezione, che l’uomo è una delle creature di questo mondo più inermi e senza difesa; che durante la sua primiera e meno sviluppata condizione egli doveva essere stato ancora più inerme. Per esempio, il duca di Argyll insiste su ciò che “la forma umana ha deviato dalla struttura dei bruti nella direzione di una maggiore fisica inettezza e debolezza. Vale a dire, è una divergenza che fra tutte le altre è quella che meno si possa attribuire alla pura scelta naturale”. Egli adduce lo stato del corpo nudo e senza protezione, la mancanza di grossi denti od artigli per difendersi, la poca forza dell’uomo, la poca sua abilità a correre, la scarsa facoltà dell’odorato onde scoprire il cibo o scansare il pericolo. A queste mancanze si potrebbe anche aggiungere la perdita molto più importante della facoltà di arrampicarsi speditamente sugli alberi, tanto da sfuggire ai nemici. Quando si scorge che gli indigeni nudi della Terra del Fuoco possono vivere in quel clima così crudo, non sembra che la perdita del pelo debba essere stata molto dannosa per l’uomo primitivo, se abitava un paese caldo. Quando noi compariamo l’uomo inerme colle scimmie, molte delle quali son provvedute di formidabili denti canini, dobbiamo ricordarci che i soli maschi li posseggono così pienamente sviluppati, e vengono principalmente adoperati da essi per battersi coi rivali; tuttavia le femmine che non ne sono fornite possono campare.
Per ciò che riguarda la mole o la forza corporea, non sappiamo se l’uomo discenda da qualche specie comparativamente piccola, come lo scimpanzè, o da una vigorosa come il gorilla; e perciò non possiamo dire se l’uomo sia divenuto più grande e più forte, o più piccolo e più debole in confronto dei suoi progenitori. Dobbiamo tuttavia tener presente alla mente che un animale dotato di grande mole, forza e ferocia, e che, come il gorilla, avesse potuto difendersi da tutti i suoi nemici, probabilmente, se non necessariamente, non sarebbe divenuto socievole; e questo sarebbe stato un grande impedimento per l’acquisto per parte dell’uomo delle sue più elevate qualità mentali, come la simpatia e l’amore dei suoi simili. Quindi potrebbe essere stato un immenso vantaggio per l’uomo l’avere origine da qualche essere comparativamente debole.
La scarsa forza corporale dell’uomo, la sua poca speditezza, la mancanza in lui di armi naturali, ecc., sono più che compensate, primo dalle sue potenze intellettuali, mercè le quali, mentre ancora si trovava in istato di barbarie, egli si fabbricava armi, utensili, ecc., secondo, dalle sue qualità socievoli che lo hanno indotto a prestare aiuto ai suoi simili ed a riceverne il ricambio. Nessun paese al mondo ha tanta copia di animali pericolosi come l’Africa meridionale; nessun, paese presenta più spaventose condizioni di clima delle regioni Artiche; tuttavia una delle più piccole razze, cioè i Bushmen, si mantengono nell’Africa meridionale, come gli Esquimali, uomini quasi nani, stanno nelle regioni Artiche. I primieri progenitori dell’uomo erano, non v’ha dubbio, inferiori nell’intelletto, e probabilmente nella disposizione sociale, ai selvaggi più bassi dei nostri giorni; ma si comprende benissimo che essi abbiano potuto esistere, o anche prosperare, se, mentre andavano gradatamente perdendo le loro potenze brutali, come l’arrampicarsi sugli alberi, ecc., essi nel tempo stesso progredivano in intelligenza. Ma, dato che i progenitori dell’uomo fossero ancora più inermi e privi di difesa che qualunque altro selvaggio esistente, se essi avessero abitato qualche continente caldo o qualche grande isola, come l’Australia o la Nuova Guinea, o Borneo (quest’ultima isola è ora abitata dall’urango), essi non sarebbero stati esposti a nessun pericolo speciale. In una area grande come una di quelle isole, le gare fra tribù e tribù avrebbero dovuto bastare, in condizioni favorevoli, a portar su l’uomo, mercè il sopravvivere dei più acconci, combinato cogli effetti ereditati dall’abitudine, alla sua presente elevata posizione nella scala organica.

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