CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO

CAPITOLO XVII.
Caratteri sessuali secondari dei Mammiferi.

Legge di battaglia – Armi speciali limitate ai maschi – Cagione del difetto di armi nella femmina – Armi comuni ai due sessi, sebbene acquistate primieramente dal maschio – Altri usi di cosiffatte armi – Loro grande importanza – Mole più grande del maschio – Mezzi di difesa – Intorno alla preferenza dimostrata in ambo i sessi nell’accoppiarsi dei quadrupedi.

 

Nei mammiferi il maschio sembra conquistare la femmina molto più per la legge di battaglia, che non mercè la mostra delle sue attrattive. Gli animali più timidi, non provvisti di nessun’arme speciale per combattere, impegnano disperate lotte durante la stagione degli amori. Si sono veduti due lepri maschi combattere insieme finchè uno rimase ucciso; spesso le talpe combattono, e talora con esito fatale; gli scoiattoli maschi “impegnano frequenti lotte, e spesso si feriscono molto gravemente”, come fanno i castori maschi, cosicchè “di rado s’incontra una pelle senza cicatrici”. Io osservai lo stesso fatto nei guanacos della Patagonia; ed in una occasione parecchi di essi erano tanto assorti nel combattere che mi sbucarono vicino senza timore. Livingstone parla dei maschi di molti animali nell’Africa meridionale, che quasi invariabilmente mostrano le cicatrici di ferite ricevute in antiche lotte.
La legge di battaglia prevale nei mammiferi acquatici come nei terragnoli. È noto con quale violenza combattono fra loro le foche maschi, tanto coi denti quanto colle zanne, durante la stagione delle loro nozze, e le loro pelli sono spesso coperte di cicatrici. I capidogli maschi sono gelosissimi in questa stagione, e nelle loro battaglie “intrecciano fra loro le mascelle, e si rovesciano sul fianco e girano attorno”; per cui alcuni naturalisti credono che lo stato sovente deforme delle loro mascelle inferiori dipenda da queste lotte.
Si sa che tutti i maschi degli animali che sono muniti di armi speciali per combattere impegnano fiere lotte. Sono stati sovente descritti il coraggio e le disperate battaglie dei cervi, si sono trovati i loro scheletri in varie parti del mondo colle corna intricatamente annodate insieme, che dimostravano quanto miserevolmente il vincitore ed il vinto fossero periti. Nessun animale al mondo è tanto pericoloso quanto l'elefante allorchè è in calore. Lord Tankerville mi diede una descrizione grafica delle battaglie che seguono fra i buoi selvatici del Parco di Chillingham, discendenti degeneri in mole ma non in coraggio, del gigantesco Bos primigenius. Nel 1861 parecchi si contendevano pel primato; e fu osservato che due fra i più giovani buoi aggredirono concordi il vecchio duce della mandra, lo rovesciarono e lo resero inerte, per modo che i guardiani credettero che fosse mortalmente ferito in un bosco vicino. Ma alcuni giorni dopo uno dei giovani buoi si accostò solo a quel bosco; e allora il “monarca della caccia”, il quale era stato covando la propria vendetta, sbucò fuori, ed in breve tratto di tempo uccise il suo antagonista. Egli allora raggiunse tranquillamente il branco, e per lungo tempo conservò senza contrasto il dominio. L’ammiraglio B. J. Sulivan m’informa che quando dimorava nelle isole Falkland egli portò colà un giovane stallone inglese, il quale, con otto giumente, frequentava le colline presso Porto William. Su quelle colline v’erano due stalloni selvaggi, ognuno con un piccolo branco di cavalle; “ed è certo che questi stalloni non s’incontrano mai senza combattere. Ognuno di essi aveva cercato di battere da solo il cavallo inglese e scacciare le sue giumente, ma nessuno dei due era riuscito nell’intento. Un giorno vennero insieme e lo aggredirono. Questo fatto fu veduto dal capitano incaricato dei cavalli, che cavalcando verso quel luogo trovò uno dei due stalloni impegnato in lotta col cavallo inglese, mentre l’altro stava scacciando le cavalle e ne aveva già separate quattro dal resto. Il capitano aggiustò la faccenda conducendo seco tutto il branco nel recinto, perchè gli stalloni selvatici non vollero lasciare le cavalle”.
Gli animali già forniti, per gli usi ordinari della vita, di denti efficaci per tagliare o lacerare, come nei carnivori, insettivori e rosicanti, sono di rado muniti di armi specialmente acconce per combattere i loro rivali. Il caso è molto differente nei maschi di molti altri animali. Noi vediamo questo nelle corna dei cervi e di certe specie di antilopi in cui le femmine non hanno corna. In molti animali i denti canini della mascella superiore o inferiore, o di entrambe, sono molto più grossi nei maschi che non nelle femmine; o mancano in queste ultime, eccettuato talora un rudimento nascosto. Certe antilopi, il mosco, il camello, il cavallo, il cinghiale, varie scimmie, le foche ed il tricheco, presentano esempi di questi vari casi. Nelle femmine del tricheco le zanne sono talora totalmente mancanti. Nell’elefante maschio dell’India e nel dugongo maschio gli incisivi superiori formano armi difensive. Nel narvalo maschio uno solo dei denti superiori è sviluppato nel ben noto così detto corno ravvolto a spira, che talora è lungo da due metri e settanta centimetri, a tre metri. Si crede che i maschi adoperino questi corni per combattere fra loro; perchè “di rado se ne. incontra uno che non sia rotto, e talora se ne trova uno colla punta di un altro incastrata nel luogo della rottura”. Il dente sul lato opposto del capo del maschio è fatto di un rudimento lungo circa ventisei centimetri, che è incorporato nella mascella. Tuttavia non è rarissimo trovare narvali maschi con due corna nei quali i due denti sono bene sviluppati. Nelle femmine i due denti sono rudimentali. Il capodoglio maschio ha un capo più largo che non quello della femmina, e senza dubbio esso aiuta questi animali nelle loro lotte acquatiche. Infine il maschio adulto dell’ornitorinco è munito di un notevole apparato, cioè, uno sprone alle zampe posteriori, che rassomiglia strettamente al dente velenifero di un serpente velenoso; non se ne conosce l’uso, ma possiamo sospettare che serva come arma di offesa, nella femmina è rappresentato da un semplice rudimento.
Quando i maschi son forniti di armi che mancano nelle femmine, non vi può essere guari dubbio che non siano adoperate per combattere con altri maschi, e che non siano state acquistate per opera della scelta sessuale. Non è probabile, almeno nel maggior numero dei casi, che le femmine siano state attualmente impedite dallo acquistare quelle armi perchè sarebbero state inutili e superflue, o in certo modo dannose. Al contrarlo, siccome sovente sono adoperate dai maschi di molti animali per vari scopi, e più specialmente come una difesa contro i loro nemici, è un fatto sorprendente che siano così poco sviluppate o al tutto mancanti delle femmine. Senza dubbio nella femmina del cervo lo sviluppo ad ogni stagione di grandi corna ramose, e nella femmina dell’elefante lo sviluppo delle immense difese, sarebbe stato un grande sciupìo di forza vitale, ammettendo che nella femmina non servisse a nulla. In conseguenza le variazioni nella mole di questi organi, fino a produrre la soppressione, sarebbero venute sotto l’azione della scelta naturale, e se fossero state limitate nella loro trasmissione alla prole femmina non avrebbero impedito il loro sviluppo nei maschi per opera della scelta sessuale. Ma con questo modo di vedere, come possiamo noi spiegare la presenza delle corna nelle femmine di certe antilopi, e le zampe nelle femmine di molti animali, che sono soltanto un po’ più piccole di quelle dei maschi? Io credo che in quasi tutti i casi la spiegazione vada cercata nelle leggi di trasmissione.
Siccome la renna è l’unica specie di tutta la famiglia dei cervi in cui la femmina è munita di corna, sebbene siano un tantino più piccole, più sottili, e meno ramose che non quelle del maschio, si potrebbe naturalmente pensare che debbono avere un uso speciale per la femmina. Tuttavia v’ha qualche prova contraria a questo modo di vedere. La femmina conserva le sue corna dal tempo in cui si sono sviluppate pienamente, cioè in settembre, per tutto l’inverno, fino a maggio quando partorisce il piccolo; mentre il maschio depone le sue corna più presto, verso la fine di novembre. Siccome i due sessi hanno le stesse esigenze e seguono il medesimo modo di vita, e siccome il maschio depone le sue corna durante l’inverno è molto improbabile che possano avere una qualche utilità speciale per la femmina in questa stagione, che comprende la maggior parte del tempo in cui essa porta corna. E non è neppure probabile che possa avere ereditato le corna da qualche antico progenitore di tutta la famiglia dei cervi; perchè, dal fatto che i maschi soli di tante specie in tutte le parti del globo posseggono corna, noi possiamo conchiudere che questo fu il carattere primordiale del gruppo. Quindi sembra che le corna debbano essere state trasmesse dal maschio alla femmina in un periodo susseguente alla divergenza delle varie specie da uno stipite comune; ma questo non ebbe luogo per darle un qualche speciale vantaggio.
Sappiamo che le corna nella renna si sviluppano in una età insolitamente giovanile; ma non si conosce quale possa essere stata la causa di questo. Tuttavia l’effetto è stato da quanto pare la trasmissione delle corna ai due sessi. Colla ipotesi della pangenesi riesce intelligibile, che un lievissimo mutamento nella costituzione del maschio, sia nei tessuti della fronte o nelle gemmule delle corna, possa condurre al loro sviluppo giovanile; e siccome i giovani dei due sessi hanno quasi la stessa costituzione prima del periodo della riproduzione, le corna, se si sviluppano nel maschio di buon’ora, tenderanno a svilupparsi nello stesso modo nei due sessi. In appoggio a questa vista, noi dobbiamo tenere a mente che le corna sono sempre trasmesse per mezzo della femmina, e che essa ha una capacità latente pel loro sviluppo, come vediamo in femmine vecchie o ammalate. Inoltre le femmine di alcune altre specie di cervi, sia normalmente od occasionalmente, mostrano rudimenti di corna; così la femmina del Cervolus moschatus ha “ciuffi setolosi, che finiscono in un rigonfiamento, invece che non in un corno”, e “ nella maggior parte degli esemplari del Wapiti (Cervus canadensis) vi è una protuberanza acuta ossea invece del corno”. Da queste varie considerazioni noi possiamo concludere che l’avere la femmina della renna corna benissimo sviluppate è dovuto a ciò che i maschi le acquistarono dapprima come armi per combattere altri maschi; e secondariamente al loro essersi sviluppate, per qualche ignota cagione, in una età insolitamente giovanile nei maschi, e la loro conseguente trasmissione ai due sessi.
Veniamo ora ai ruminanti cavicorni: nelle antilopi si può trovare una serie graduata, che comincia colle specie in cui le femmine mancano al tutto di corna – passando a quelle che hanno corna tanto piccole che sono quasi rudimentali, come nell’Antilocapra Americana – a quelle che hanno corna benissimo sviluppate, ma evidentemente più piccole e più sottili che non nel maschio, e talora di una forma differente e che termina con quelle in cui i due sessi hanno corna di pari mole. Come nella renna, così nelle antilopi esiste una relazione fra il periodo dello sviluppo delle corna e la loro trasmissione ad un sesso o ad entrambi; è quindi probabile che la loro presenza o la loro mancanza nelle femmine di alcune specie, e la loro condizione più o meno perfetta nelle femmine di altre specie, dipendono non dall’essere esse di uno qualche uso speciale, ma semplicemente dalla forma di eredità che ha prevalso. Concorda con questo modo dl vedere il fatto che anche nello stesso ristretto genere i due sessi di alcune specie, ed i maschi soli di altre specie, sono stati in tal modo forniti. È un fatto notevole che, quantunque le femmine dell’Antilope bezoartica siano normalmente mancanti di corna, il signor Blyth ha veduto non meno di tre femmine così fornite; e non v’ha ragione per credere che fossero vecchie o ammalate. I maschi di questa specie hanno lunghe corna a spira, quasi parallele fra loro, e che si dirigono all’indietro. Quelle della femmina, quando ci sono, hanno una forma molto differente, perchè non sono a spira, e si stendono largamente piegandosi in rotondo, cosicchè le loro punte si dirigono allo innanzi. È un fatto ancor più notevole che nel maschio castrato, come mi ha comunicato il signor Blyth, le corna hanno la stessa forma particolare che la femmina, ma sono più lunghe e più spesse. In tutti i casi le differenze fra le corna dei maschi e quelle delle femmine, e dei maschi castrati ed interi, dipendono probabilmente da varie cause – dalla maggiore o minore compiuta trasmissione dei caratteri maschili alle femmine, – dallo stato primiero dei progenitori della specie, – ed in parte forse da ciò che le corna essendo differentemente nudrite, quasi nello stesso modo come gli sproni del gallo domestico quando sono inseriti nella cresta o in altra parti del corpo, assumono varie forme anormali per essere differentemente nutrite.
In tutte le specie selvatiche di capre e di pecore le corna sono più grandi nel maschio che non nella femmina e talora mancano in quest’ultima. In parecchie razze domestiche di pecore e di capre, i maschi soltanto hanno corna; ed è un fatto importante che in una razza domestica di pecore della costa, di Guinea le corna non si sviluppano, come mi ha riferito il signor Widwood Reade, nel maschio castrato; di modo che per questo rispetto segue qui come nelle corna dei cervi. In alcune razze, come in quella della Galles del nord, nella quale i due sessi sono propriamente cornuti, le femmine van molto soggette a non aver corna. In questa medesima pecora, siccome mi ha riferito una persona degna di fede che aveva ispezionato apposta una gregge durante il tempo del figliare, alla nascita le corna sono generalmente molto più sviluppate nel maschio che non nella femmina. Nel bue muschiato adulto (Ovibos moschatus) le corna del maschio sono più grandi che non quelle della femmina, e in quest’ultima le basi non si toccano. Rispetto al bestiame comune il signor Blyth osserva: “Nella maggior parte degli animali bovini selvatici le corna sono più lunghe e più spesse nel toro che non nella vacca, e nella vacca Banteng (Bos sondaicus) le corna sono notevolmente piccole e inclinate molto all’indietro. Nelle razze del bestiame domestico, tanto i tipi colla gobba come quelli senza, le corna sono piccole e grosse nel toro, sono più lunghe e più sottili nella vacca e nel bue; e nel bufalo indiano sono più corte e più spesse nel maschio, più lunghe e più sottili nella femmina. Nel selvatico B. gaurus le corna sono grandemente più lunghe e più sottili nel maschio che non nella femmina”. Quindi nella maggior parte dei ruminanti cavicorni le corna del maschio sono o più lunghe o più forti che non quelle della femmina. Nel Rhinoceros simus, siccome io posso aggiungere qui, le corna della femmina sono in generale più lunghe ma meno forti che non quelle del maschio; e si dice che in alcune altre specie di rinoceronti siano più corte nella femmina. Da questi vari fatti noi possiamo conchiudere che le corna di ogni sorta, anche quando sono egualmente sviluppate nei due sessi, furono primieramente acquistate dai maschi onde vincere altri maschi, e sono state trasmesse più o meno compiutamente alla femmina, in relazione colla forza della eguale forma di eredità.
Le difese dell’elefante, nelle differenti specie o razze, differiscono secondo il sesso, quasi nello stesso modo come le corna dei ruminanti. Nelle Indie ed a Malacca i maschi soli sono muniti di difese bene sviluppate. L’elefante di Ceylan è considerato dalla maggior parte dei naturalisti come una razza distinta, ma da alcuni come una specie distinta, e qui “non se ne trova uno su cento con le difese, i pochi che le posseggono sono esclusivamente maschi”. L’elefante africano è senza dubbio distinto, e la femmina ha difese grandi e bene sviluppate, sebbene non tanto grandi come quelle del maschio. Queste differenze nelle difese delle varie razze e specie di elefanti – la grande variabilità delle corna del cervo, specialmente delle renne selvatiche – la presenza occasionale delle corna nella Antilope bezoartica femmina – la presenza di due zanne in alcuni pochi narvali maschi – l’assoluta mancanza delle zanne in alcune femmine dei trichechi – sono tutti esempi della somma variabilità dei caratteri sessuali secondari, e della loro somma facilità a differire in forme strettamente affini.
Quantunque le zanne e le corna sembrino in tutti i casi essere state primamente sviluppate come armi sessuali, esse sovente servono per altri usi. L’elefante adopera le sue difese per aggredire la tigre; secondo Bruce, esso intacca i tronchi degli alberi finchè possano essere agevolmente gettati giù, ed estrae pure in tal modo l’interno farinaceo delle palme; nell’Africa esso adopera sovente una difesa, e questa è sempre la stessa, per tastare il terreno ed assicurarsi così se può sopportare il suo peso. Il toro comune difende la mandra colle corna; e, secondo Loyd, si sa che l’alce in Svezia stende morto un lupo con un solo colpo delle sue grandi corna. Si potrebbero riferire molti fatti consimili. Uno degli usi secondari più curiosi cui compiono talvolta le corna di qualunque animale, è quello osservato dal capitano Hutton nella capra selvatica (Capra ægagrus) dell’Imalaia, e, come si dice, nello stambecco, che cioè quando il maschio cade per accidente da un’altura egli piega in giù il capo, e, cadendo sulle sue corna massicce, smorza l’urto della caduta. La femmina non può adoperare in tal modo le sue corna, che sono più piccole, ma per la sua indole più tranquilla non ha molto bisogno di questo strano genere di scudo.
Ogni animale maschio adopera le sue armi nel suo modo particolare. L’ariete comune investe e colpisce con tal forza colla base delle sue corna, che ho veduto un uomo robusto rovesciato colla stessa facilità come se fosse stato un fanciullo. Le capre e certe specie di pecore, per esempio l’Ovis cycloceros dell'Afganistan, si alza sulle zampe posteriori, e allora non solo colpiscono, ma feriscono colla parte angolosa delle loro corna a mo’ di scimitarra, come con una sciabola. Quando l’O. cycloceros aggrediva un grosso ariete domestico, che era un famoso lottatore, lo vinceva per la semplice novità del suo modo di combattere, stringendosi sempre ad un tratto al suo avversario, e dandogli un colpo sulla faccia e sul naso colla sua acuta testa, e poi scostandosi prima che il colpo fosse reso. Nel maschio della capra del Pembrokeshire, si sa che il duce di una gregge che durante varie generazioni è divenuta selvatica ha ucciso parecchi altri maschi in duello; questa capra possiede corna enormi, che misurano un metro in una linea retta da un capo all’altro. Come tutti sanno, il toro comune ferisce e rovescia il suo avversario; ma si dice che il bufalo italiano non adopera mai le sue corna, dà un tremendo colpo colla sua fronte convessa, e allora si mette sotto le ginocchia il nemico caduto – istinto che il bue comune non possiede. Quindi un cane che addenta un bufalo al naso è immediatamente stritolato. Noi dobbiamo tuttavia ricordare che il bufalo italiano è stato da un pezzo addomesticato, e non è per nulla certo che la forma del genitore selvatico avesse corna in tal modo foggiate. Il signor Bartlett m’informa che quando una femmina del Bufalo del Capo (Bubalus caffer) venne chiusa in un. recinto con un maschio della stessa specie, essa lo aggredì, ed egli in ricambio la respinse fuori con grande violenza. Ma il signor Bartlett rimase persuaso che se il maschio non avesse mostrato una dignitosa tolleranza, egli avrebbe potuto agevolmente ucciderla con un solo colpo delle sue immense corna. La giraffa adopera le sue brevi corna coperte di peli che sono alquanto più lunghe nel maschio che non nella femmina, in un modo curioso perchè col suo lungo collo dondola il capo per ogni verso quasi dall’insù all’ingiù, con tal forza, che ho veduto una dura tavola profondamente intaccata da un semplice colpo.
Nelle antilopi è talvolta difficile immaginare come possano adoperare Le loro corna curiosamente foggiate; così l’Antilope euchore ha corni piuttosto corti e diritti, con. punte acute rivolte all’indietro quasi ad angolo retto, tanto che stanno di faccia l’uno all’altro; il signor Bartlett non sa in qual modo se ne serva, ma suppone che debbano fare una grave ferita da ogni lato della faccia di un avversario. Le corna lievemente incurvate dell’Oryx leucoryx si dirigono all’indietro, e sono tanto lunghe che le loro punte vanno oltre la metà del dorso, sul quale stanno in una linea quasi parallela. Così foggiate sembrano essere singolarmente male acconce per combattere, ma il signor Bartlett m’informa che quando due di questi animali si preparano alla lotta, s’inginocchiano, col corpo fra le gambe anteriori, e in questa attitudine le corna stanno quasi parallele e vicine al terreno, colle punte dirette allo innanzi e un tantino all’insù. I combattenti allora si accostano gradatamente l’uno all’altro e cercano di introdurre le punte rivoltate sotto il corpo l’uno dell’altro; se l’animale riesce nel far questo, si alza repentinamente, rialzando il capo allo stesso tempo, e può così ferire e forse anche trafiggere il suo avversario. I due animali s’inginocchiano sempre per ripararsi quanto è possibile contro questo maneggio. È stato ricordato che uno di questi antilopi ha adoperato con buon esito le sue corna contro un leone; tuttavia, essendo obbligata di porre il suo corpo fra le zampe anteriori onde portare le punte delle corna allo innanzi, essa avrebbe in generale un grande svantaggio quando fosse aggredita da qualunque altro animale. Non è tuttavia probabile che le corna siano state modificate nella loro grande lunghezza attuale e particolare posizione, come una protezione contro gli animali da preda. Noi possiamo però vedere che appena un qualche antico progenitore maschio dell’Oryx ebbe acquistato corna moderatamente lunghe, dirette un tantino all’indietro, egli dovette essere obbligato nelle sue lotte coi suoi rivali maschi a piegare il capo un po’ più in giù come fanno ora certi cervi; e non è improbabile che egli possa aver acquistato l’abito dapprima occasionalmente e poi regolarmente di inginocchiarsi. In questo caso è quasi certo che i maschi i quali possedevano le corna più lunghe avrebbero dovuto avere un grande vantaggio sopra gli altri con corna più corte; e allora le corna sarebbero divenute sempre più lunghe, mercè la scelta sessuale, finchè avrebbero acquistato la loro straordinaria lunghezza e posizione attuale.
Nei cervi di molte sorta, il ramificarsi delle corna offre un caso curioso di difficoltà, perchè certamente una sola punta acuta diritta avrebbe fatto una ferita molto più grave che non parecchie punte divergenti. Nel museo di sir Filippo Egerton vi è un corno di cervo (Cervus elaphus) lungo settantotto centimetri “con non meno di quindici rami” e a Moritzburg si conserva ancora un paio di corni di un cervo ucciso nel 1699 da Federico I, ognuno dei quali porta il numero prodigioso di trentatre rami. Richardson ha disegnato un paio di corna della renna selvatica con ventinove punte. Dal modo in cui le corna si diramano, e più specialmente da ciò che si sa che i cervi combattono occasionalmente fra loro tirando calci colle gambe anteriori, il signor Bailly venne ora a conchiudere che le corna loro siano più nocevoli che non utili! Ma questo autore dimentica le battaglie campali fra i maschi rivali. Siccome io ero molto incerto intorno all’uso od all’utilità dei rami, mi rivolsi al signor Mc. Neill di Colinsay, il quale ha osservato lungamente e con molta cura i costumi del cervo, ed egli mi informò che non ha mai veduto nessuno dei rami venir messo in opera, ma che le corna della fronte, piegandosi in giù, sono una grande difesa per la fronte, e le loro punte sono del pari adoperate per aggredire. Sir Filippo Egerton, mi ha pure riferito, per quello che riguarda il cervo comune ed il daino, che quando combattono essi repentinamente si avventano insieme, e piantando le corna contro il corpo dell’avversario ne segue una lotta disperata. Quando uno è finalmente obbligato a cedere, il vincitore cerca di immergere le sue corna frontali nel vinto nemico. Da ciò sembra che i rami superiori sono principalmente od esclusivamente adoperati per urtare e per schermirsi. Nondimeno in alcune specie i rami superiori sono adoperati come armi offensive; quando un uomo venne aggredito da un Wapiti nel parco del giudice Caton nell’Ottawa, e parecchi uomini cercarono di liberarlo, il cervo non alzò mai il suo capo dal terreno; infatti tenne il suo muso quasi posato sulla terra col naso fra le zampe anteriori, tranne quando volse il capo da un lato onde prendere una nuova via per prepararsi a ferire. “In questa posizione le sue corna erano dirette contro i suoi avversari. Volgendo il capo dovette necessariamente sollevarlo un tantino, perchè le sue diramazioni erano tanto lunghe che non poteva volgere il capo senza alzarle da un lato, mentre dall’altro toccavano il terreno”. Il cervo con questo maneggio a poco a poco fece retrocedere la comitiva di salvatori alla distanza di 50 o 60 metri e l’uomo aggredito fu ucciso.
Quantunque le corna dei cervi siano armi efficaci, non vi può essere, credo, alcun dubbio, che una semplice punta sarebbe stata molto più pericolosa che non un corno ramificato, ed il Giudice Caton, il quale ha molta esperienza di questi animali, è pienamente di questa opinione. Parimente, le corna ramificate, sebbene di grandissima importanza come mezzi di difesa contro i cervi rivali, non sembrano essere bene acconce per questo scopo, siccome vanno soggette ad avviticchiarsi. Perciò mi è passato per la mente il sospetto che potessero servire in parte come ornamento. Nessuno può negare che le corna ramose dei cervi come pure le eleganti corna a lira di certi antilopi colla loro doppia curva così graziosa non siano ornamenti ai nostri occhi. Se dunque le corna, come gli splendidi abbigliamenti degli antichi cavalieri, accrescono bellezza al nobile aspetto dei cervi e delle antilopi, possono essere state in parte modificate per questo scopo, sebbene lo siano state principalmente pel servizio attuale in battaglia; ma non ho nessuna prova in favore di questa credenza.
Un caso interessante è stato ultimamente pubblicato, dal quale appare che le corna di un cervo in una provincia degli Stati Uniti vanno ora modificandosi per opera della scelta sessuale e della scelta naturale. Uno scrittore di un eccellente giornale americano dice che ha cacciato per questi ultimi ventun’anni nell’Adirondacks, ove abbonda il Cervus Virginianus. Circa quindici anni fa udì per la prima volta parlare di maschi dalle corna a punta. Di anno in anno questi divennero sempre più comuni; cinque anni or sono egli ne uccise uno, e poi un altro, ed ora se ne uccidono frequentemente altri. “Il corno a punta differisce molto dalle corna comuni del C. Virginianus. È fatto di un’unica punta, più sottile che non le punte delle corna comuni, ed è lungo appena la metà di quelle che sporgono all’infuori della fronte, e terminano in una punta acutissima. Questo corno dà un notevole vantaggio al suo possessore sul cervo comune. Inoltre rendendolo più acconcio a correre rapidamente in mezzo ai fitti boschi e alle boscaglie (ogni cacciatore sa che le femmine ed i maschi minori di un anno corrono molto più rapidamente dei grossi maschi armati delle loro corna che li impacciano) il corno a punta è un’arma più efficace che non le corna comuni. Con questo vantaggio i cervi dalle corna a punta vanno guadagnando terreno sui cervi comuni, e possono col tempo sostituirli interamente nell’Adirondacks. Senza dubbio il primo cervo dalle corna a punta non fu che un capriccio accidentale della natura. Ma le sue corna a punta gli davano un vantaggio, e lo resero atto a propagare quella sua particolarità. I suoi discendenti, avendo un vantaggio simile, hanno propagato quella particolarità in un grado costantemente maggiore, finchè essi vanno ora facendosi più numerosi e ricacciano fuori dalla regione che abitano i cervi dalle corna ramose”.
I maschi dei quadrupedi che sono forniti di zanne le adoperano in vari modi come nel caso delle corna. Il cinghiale colpisce lateralmente ed all’insù, il mosco colpisce all’ingiù con grave effetto. Il tricheco, sebbene abbia un collo così corto ed un corpo così tozzo “può colpire tanto all’insù, quanto all’ingiù o lateralmente con eguale destrezza”. L’elefante indiano combatte; come mi disse il defunto dottor Falconer, in un modo differente secondo la posizione e l’incurvatura delle sue difese. Quando queste son rivolte all’innanzi ed all’insù egli può sbalzare una tigre a grande distanza – si dice anche a nove metri; quando sono corte e rivolte all’ingiù cerca di infilzare repentinamente la tigre sul terreno, e quindi è pericoloso per quello che gli sta sopra, che in tal modo può essere sbalzato dalla hoodah.
Pochissimi quadrupedi maschi posseggono due sorta distinte di armi specialmente acconce per combattere coi maschi rivali. Il cervo muntiac maschio (Cervulus) tuttavia presenta una eccezione, siccome fornito di corna e di denti canini sporgenti. Ma una forma di arma è stata spesso sostituita nel corso dei secoli ad un’altra forma, come possiamo dedurre da ciò che segue. Nei ruminanti lo sviluppo delle corna sta in generale in rapporto inverso con quello dei denti canini anche moderatamente bene sviluppati. Così i camelli, i guanacos, i cervuli ed i moschi sono senza corna, ed hanno validi denti canini; questi denti hanno sempre mole più piccola nelle femmine che non nei maschi. I Camelidi hanno nella mascella superiore, oltre ai veri canini, un paio di incisivi caniniformi. Il cervo e l’antilope maschio, d’altra parte, posseggono corna, e di rado hanno denti canini; e questi quando sono presenti hanno sempre piccola mole, cosicchè è dubbio se sian loro utili nei combattimenti. Nell’Antilope montana esistono solo come rudimenti nel maschio giovane, scompaiono quando diventa vecchio; e mancano nella femmina in tutte le età; ma si sa che le femmine di certe altre antilopi e cervi presentano occasionalmente rudimenti di questi denti. Gli stalloni hanno piccoli denti canini, che nella cavalla mancano affatto o sono rudimentali: ma non pare che vengano adoperati per combattere, perchè gli stalloni mordono cogli incisivi, e non spalancano la bocca come fanno i camelli ed i guanacos. Ogniqualvolta il maschio adulto ha denti canini ora in uno stato inefficace, mentre la femmina non ne ha alcuno od ha semplici rudimenti; noi possiamo conchiudere che il primitivo progenitore maschio della specie era provvisto di denti canini efficaci, che vennero poi parzialmente trasmessi alle femmine. Il rimpicciolimento di questi denti nei maschi sembra aver avuto luogo per qualche mutamento nel loro modo di combattere cagionato sovente (ma non nel caso del cavallo) dallo sviluppo di nuove armi.
Le zampe e le corna sono evidentemente di grandissima importanza per quelli che le posseggono, perchè il loro sviluppo consuma molta materia organizzata. Si sa che una semplice difesa dell’elefante asiatico – una delle specie lanose estinte – e dell’elefante africano, pesavano rispettivamente 70, 76 e 86 chilogrammi; ed alcuni scrittori hanno riferito pesi anche maggiori. Nel cervo in cui le corna si rinnovano periodicamente, il consumo nella costituzione deve essere maggiore, le corna per esempio di alcune alci pesano da ventiquattro a ventotto chilogrammi, e quelle dell’alce irlandese estinta da trenta a trentaquattro chilogrammi, mentre il cranio di quest’ultima pesa soltanto due chilogrammi circa. Nelle pecore, quantunque le corna non si rinnovino periodicamente, tuttavia il loro sviluppo, secondo l’opinione di molti agricoltori, trae con sè una perdita sensibile per gli allevatori. I cervi, inoltre, per sfuggire alle belve sono carichi di un maggior peso per correre, e sono molto ritardati per passare attraverso un paese boscoso. L’alce, per esempio, colle corna che si scostano 1 metro e 66 centimetri da una punta all’altra, per quanto abbia tanta destrezza nell’adoperarle che non tocca o non rompe un ramoscello secco quando cammina tranquillamente, non può liberarsi con tanta facilità da un branco di lupi. “Mentre procede avanti tiene il muso alto, tanto da tenere le corna orizzontali al dorso; ed in questa attitudine non può vedere il terreno distintamente”. Le punte delle corna della grande alce irlandese erano discosti attualmente due metri e quaranta centimetri! Mentre le corna sono coperte del cosidetto velluto, che dura nel cervo circa dodici settimane, esse sono sommamente sensibili ad un urto; cosicchè in Germania i cervi in questo tempo mutano i loro costumi fino ad un certo punto, ed evitano le foreste fitte, frequentando i boschi giovani e i bassi cespugli. Questi fatti ci ricordano che gli uccelli maschi hanno acquistato piume adornanti al costo di avere un ritardo nel volo, e altri ornamenti alle spese di una certa perdita di forza nelle loro battaglie coi maschi rivali.
Quando nei quadrupedi, come è sovente il caso, i sessi differiscono nella mole, i maschi sono, credo, sempre più grandi e più forti. Questa regola si mantiene, come mi ha informato il signor Gould, molto notevolmente nei marsupiali di Australia, i maschi dei quali sembra che continuino a crescere fino ad una età insolitamente tarda. Ma il caso più straordinario è quello di una foca (Callorhinus ursinus), in cui una femmina adulta pesa meno di un sesto di un maschio adulto. La maggior forza del maschio è invariabilmente spiegata, come osservò lungo tempo fa Hunter, in quelle parti del corpo che hanno parte nella lotta contro i maschi rivali, – per esempio, nel collo massiccio del maschio. I maschi dei quadrupedi sono pure molto più coraggiosi e battaglieri che non le femmine. Non vi può esser dubbio che questi caratteri sono stati acquistati in parte per opera della scelta sessuale, in seguito ad una lunga serie di vittorie dei maschi più forti e più coraggiosi sopra i più deboli, ed in parte per gli effetti ereditati dell’esercizio. È probabile che le successive variazioni, in forza, mole e coraggio, tanto se dovute alla cosidetta variabilità spontanea quanto agli effetti dell’esercizio, per l’accumulamento del quale i quadrupedi maschi hanno acquistato queste qualità caratteristiche, seguirono piuttosto tardi nella vita, e furono in conseguenza limitate in un grado esteso nella loro trasmissione al medesimo sesso.
Da questo punto di vista io ero ansioso di ottenere qualche informazione rispetto al cane da cervi scozzese, i sessi del quale differiscono più nella mole che non quelli di qualunque altra razza (sebbene i cani sanguinari differiscono notevolmente), o che non in qualunque specie canina selvatica che io conosca. In conseguenza, mi rivolsi al signor Cupples, allevatore conosciutissimo di questi cani, che aveva pesato e misurato molti dei suoi propri cani, e che, con grande bontà, raccolse per me da varie sorgenti i seguenti fatti. Cani maschi distinti, misurati alla spalla, vanno da settantadue centimetri, che è il meno, a ottantacinque o anche ottantasette centimetri di altezza; e nel peso da trentotto chilogrammi, che è il meno, a 58, o anche più. Le femmine sono in altezza da cinquantanove fino a settanta centimetri; ed in peso da venticinque a trentacinque od anche a quaranta chilogrammi. Il signor Cupples conchiude che da quarantasei a quarantotto chilogrammi pel maschio, e trentaquattro per la femmina, sarebbe la media giusta; ma vi è ragione per credere che anticamente i due sessi venissero ad un peso più grande. Il signor Cupples ha pesato cagnolini quando avevano due settimane di età; nei nati di un parto il peso medio dei quattro maschi superava quello di due femmine di 162 grammi, nei nati di un altro parto il peso verificato di quattro maschi superava quello di una femmina di meno di venticinque grammi: gli stessi maschi, quando ebbero tre settimane di età, superavano in peso la femmina di 187 grammi, ed all’età di sei settimane in quasi 350 grammi. Il signor Wright di Yeldersley House, in una lettera al signor Cupples dice: “Ho preso nota della mole e del peso di cagnolini di molti parti, e per quanto la mia esperienza mi ha dimostrato, i cagnolini maschi differiscono pochissimo in regola generale dalle femmine finchè non siano giunti all’età di cinque o sei mesi; ed allora i cani cominciano a crescere acquistando vantaggio sulle femmine tanto nella mole quanto nel peso. Alla nascita, e per qualche settimana dopo, una cagnolina sarà talora per avventura più grossa di ogni altro cagnolino, ma più tardi sarà invariabilmente superata da questi”. Il signor Mc. Neill di Colinsay, conchiude che i maschi non giungono al loro compiuto accrescimento fino passati i due anni, sebbene le femmine vi giungano più presto”. Secondo l’esperienza del signor Cupples, i cani maschi vanno crescendo in statura fino all’età di dodici a diciotto mesi, ed in peso fino all’età di diciotto a ventiquattro mesi; mentre le femmine cessano di crescere in statura all’età di nove a quattordici o quindici mesi, ed in peso dall’età di dodici a quindici mesi. Da questi vari esempi è chiaro che la piena differenza nella mole fra il cane da cervi scozzese maschio e la femmina non si ottiene fino ad un periodo piuttosto tardo nella vita. I maschi sono quasi esclusivamente adoperati per la corsa, perchè, da quanto mi ha detto il signor Mc. Neill, le femmine non hanno forze e peso sufficienti per abbattere un cervo adulto. Dai nomi adoperati nelle antiche leggende appare, da quanto ho udito dal signor Cupples, che in un periodo antichissimo i maschi erano più rinomati, le femmine venivano menzionate soltanto come madri di cani famosi. Quindi durante molte generazioni si fu il maschio il quale è stato riconosciuto principalmente avere forza, mole, sveltezza e coraggio, ed il migliore sarà stato tenuto per far razza. Siccome però i maschi non giungono ad ottenere le piene loro dimensioni se non in un periodo di vita piuttosto tardo, avranno avuto una tendenza, per quella legge sovente menzionata, a trasmettere i loro caratteri alla prole maschile sola; e in tal modo si può probabilmente, spiegare la grande disuguaglianza nella mole fra i sessi del cane da cervi scozzese.
I maschi di alcuni pochi quadrupedi posseggono organi o parti sviluppate soltanto come mezzi di difesa contro le aggressioni di altri maschi. Alcune specie di cervi adoperano, come abbiamo veduto, i rami superiori delle loro corna principalmente od esclusivamente per difendersi; e l’antilope Oryx, come mi ha informato il signor Bartlett, si schermisce molto destramente colle sue corna lunghe e dolcemente incurvate; ma queste pure sono adoperate come organi offensivi. I rinoceronti, come avverte lo stesso osservatore, si parano a vicenda i colpi colle loro corna, che si urtano rumorosamente fra loro, come segue per le zanne dei cinghiali. Quantunque i cinghiali selvatici combattano disperatamente fra loro, di rado, secondo Brehm, ricevono colpi fatali, perchè questi ricadono sempre sulle zanne di entrambi, o sullo strato di pelle dura che loro copre la spalla, che i cacciatori tedeschi chiamano scudo; e qui abbiamo una parte specialmente modificata per la difesa. Nei Cinghiali di prima gioventù le zanne della mascella inferiore sono adoperate per combattere, ma invecchiando divengono, come afferma Brehm, tanto ricurve all’indentro ed all’insù, sopra il grugno, che non possono più essere adoperate a quello scopo. Tuttavia possono ancora continuare a servire, ed anche in un modo più efficace, come mezzi di difesa. In compenso della perdita delle zanne inferiori come armi offensive, quelle della mascella superiore, che sporgono sempre, un po’ lateralmente, crescono tanto in lunghezza durante l’età adulta, e s’incurvano tanto all’insù, che possono venire adoperate come mezzi di aggressione. Nondimeno un vecchio cinghiale non è tanto pericoloso per l’uomo quanto un cinghiale in età di sei o sette anni.
Nel maschio adulto del babirussa delle Celebi, le zanne inferiori sono armi formidabili, come quelle del cinghiale europeo giovane, mentre le zanne superiori sono tanto lunghe ed hanno le loro punte così incurvate all’indentro, e talvolta anche toccanti la fronte, che come armi offensive sono al tutto inutili. Rassomigliano quasi più a corna che non a denti, e sono chiaramente inutili, come denti che dapprima si suppone che l’animale riposasse il suo capo agganciandole ad un ramo. Tuttavia la loro superficie convessa servirebbe, qualora il capo fosse tenuto un po’ lateralmente, come una eccellente difesa; quindi è forse per questo che nei vecchi animali sono rotte, come per combattimento”. Dunque noi abbiamo qui un caso curioso delle zanne superiori del babirussa che assumono regolarmente nella prima età una struttura che da quanto pare le rende atte solo alla difesa; mentre nel cinghiale europeo le zanne inferiori, ed opposte assumono in un grado minore e solo nella vecchiezza quasi la stessa forma, ed allora servono parimente soltanto come armi difensive.
Nel facocero (Phacochoerus ætiopicus), le zanne della mascella superiore del maschio s’incurvano all’insù durante la prima età, ed essendo a punta servono come armi formidabili. Le zanne della mascella inferiore sono più taglienti che non quelle della superiore, ma per essere tanto corte non par guari possibile che possano venire adoperate come armi aggressive. Tuttavia debbono accrescer forza a quelle della mascella superiore, perchè sono appoggiate in tal modo da aggiustarsi proprio vicino alla loro base. Non sembra che nè le zanne superiori nè le inferiori siano mal state modificate per servir di difesa, sebbene senza dubbio vengano adoperate fino a un certo punto per questo scopo. Ma il facocero non manca di altri speciali mezzi di protezione, perchè da ogni lato della faccia sotto gli occhi, possiede un cuscinetto oblungo, piuttosto duro, sebbene flessibile, cartilaginoso, che sporge in fuori circa sette centimetri, e parve al signor Bartlett ed a me, quando osservavano quell’animale vivo, che questi cuscinetti quando venivano colpiti di sotto dalle zanne di un avversario avrebbero dovuto ripiegarsi in su, e così avrebbero potuto proteggere in modo meraviglioso occhi alquanto sporgenti. Questi cinghiali, come posso soggiungere citando l’autorità del signor Bartlett, quando combattono fra loro, stanno direttamente faccia contro faccia.
Infine il potamochero d’Africa (Potamochærus penicillatus) ha una prominenza dura cartilaginosa da ogni lato della faccia sotto gli occhi, che risponde al cuscinetto flessibile del facocero; ha pure due prominenze ossee sulla mascella superiore sopra le narici. Un cinghiale di questa specie nel Giardino Zoologico di. Londra irruppe recentemente nella gabbia del facocero. Essi combatterono per tutta la notte, e l’indomani mattina furono trovati molto esausti di forze, ma senza gravi ferite. È un fatto significante, perchè dimostra lo scopo delle prominenze ed escrescenze sopra descritte; che queste erano coperte di sangue, ed erano ferite e graffiate in un modo straordinario.
La criniera del leone è una buona difesa contro l’unico pericolo cui egli può andare incontro, cioè le aggressioni di leoni rivali; perchè i maschi, secondo quello che mi disse sir A. Smidt, impegnano lotte terribili, ed un giovane leone non osa accostarsi ad un vecchio leone. Nel 1857 una tigre a Bramwich irruppe nella gabbia di un leone; e ne seguì una scena spaventosa; “la criniera del leone gli salvò il collo ed il capo da gravi ferite, ma la tigre riuscì a lacerargli l’umbellico, ed in pochi minuti lo rese morto”. Il largo collare che contorna la gola ed il mento della lince del Canadà (Felis Canadensis) è molto più lungo nel maschio che non nella femmina; ma non so se serva o no di difesa. È noto che i maschi delle foche combattono disperatamente insieme, ed i maschi di certe specie (Otaria jubata) hanno grandi criniere, mentre le femmine le hanno piccole o non ne hanno affatto. Il babbuino maschio del Capo di Buona Speranza (Cynocephalus porcarius) ha una criniera molto più lunga, e denti canini più grossi che non quelli della femmina; e la criniera serve probabilmente di protezione, perchè avendo chiesto ai guardiani del Giardino Zoologico, senza far loro capire il mio scopo, se qualche scimmia ne aggredisca altra pel pelo del collo, mi fu risposto che ciò non seguiva mai, tranne nel caso del suddetto babbuino. Nell’Amadriade Ehrenberg compara la criniera del maschio adulto a quella di un giovane leone, mentre nei giovani dei due sessi e nella femmina la criniera è quasi mancante.
Mi è parso probabile che l’immensa criniera lanosa del maschio del bisonte americano, che tocca quasi il terreno, ed è molto più sviluppata nei maschi che non nelle femmine, serva a proteggerli nelle loro fiere battaglie; ma un esperto cacciatore disse al Giudice Caton che non aveva mai osservato nulla che desse ragione a questa credenza.
Lo stallone ha una criniera più fitta e più copiosa della cavalla, ed io feci particolari ricerche presso due grandi allevatori, ed educatori che avevano avuto che fare con molti cavalli interi, e mi assicurarono che essi “invariabilmente cercavano di afferrarsi a vicenda pel collo”. Non si può tuttavia dedurre dai sopraddetti fatti che quando il pelo del collo serve come difesa sia stato in origine sviluppato per questo fine, sebbene ciò sia in alcuni casi probabile, come per esempio in quello del leone. Il sig. Mc. Neill mi ha riferito che i lunghi peli che sono sulla gola del cervo (Cervus elaphus) gli servono di grande protezione quando è cacciato, perchè in generale i cani cercano di afferrarlo alla gola, ma non è probabile che questi peli si siano specialmente sviluppati per questo scopo; altrimenti possiamo esser certi che i giovani e le femmine sarebbero stati ugualmente protetti.
Della preferenza o scelta nell’accoppiamento come viene dimostrata da ambo i sessi nei quadrupedi. – Prima di descrivere nel prossimo capitolo le differenze fra i sessi nella voce, nell’odore emesso, e negli ornamenti, sarà conveniente considerare qui se i sessi esercitano una qualche scelta nelle loro unioni. Preferisce la femmina un qualche maschio particolare prima o dopo che i maschi abbian combattuto fra loro per ottenere la supremazia; oppure il maschio, quando non è poligamo, sceglie una qualche femmina particolare? L’impressione generale fra gli allevatori sembra essere che il maschio accetta una femmina qualunque; e questo, in ragione del suo ardore, è probabilmente così nel maggior numero dei casi. È molto più dubbio che la femmina in regola generale accetti indifferentemente qualunque maschio. Nel capitolo decimoquarto, parlando degli uccelli, venne riferito un gran numero di prove dirette ed indirette che dimostravano come la femmina si scelga il suo compagno; e sarebbe una strana anomalia se le femmine dei quadrupedi, che sono più elevate di quelli nella scala dell’organizzazione ed hanno poteri mentali più alti, non esercitassero, se non generalmente, almeno spesso, una qualche scelta. La femmina può nella maggior parte dei casi sfuggire, allorchè è cercata da un maschio che non le piace o non la eccita; e quando è inseguita, come accade continuamente, da parecchi maschi, essa può avere sovente l’opportunità mentre combattono assieme, di sfuggir loro, o almeno di accoppiarsi temporaneamente con un qualche maschio. Quest’ultima. circostanza è stata spesso osservata in Scozia nella femmina del cervo come fui informato da sir Filippo Egerton.
Non è guari possibile che si possa conoscere gran cosa se le femmine dei quadrupedi allo stato di natura facciano una scelta nelle loro nozze. I seguenti curiosissimi particolari intorno al corteggiamento di una otaria (Callorhinus ursinus) sono riferiti secondo l’autorità del cap. Bryant, che ebbe ampie opportunità per osservare. Egli dice: “Molte femmine al loro arrivo nell’isola ove devono dar opera alla riproduzione sembrano desiderose di tornare verso un qualche maschio particolare, e frequentemente si arrampicano sulle rocce circostanti per osservare il contorno chiamando ed ascoltando qualche voce familiare. Poi andando da un luogo all’altro ripetono lo stesso maneggio... Appena una femmina giunge sulla riva il maschio più vicino le si muove incontro, facendo intanto un rumore simile al chiocciare della gallina ai suoi pulcini. Egli le fa inchini e l’accarezza finchè venga a collocarsi fra l’acqua e la nuova venuta, cosicchè questa non possa sfuggirgli. Allora muta stile, e con un fiero grugnito la conduce in un luogo del suo harem. Questo maneggio continua finchè la fila inferiore del suo harem sia quasi compiuta. Allora i maschi che stanno più in su scelgono il momento in cui i loro più fortunati vicini non fanno la guardia per rubare loro le mogli. Questo fanno prendendole colla bocca e facendole passare sul capo delle altre femmine, e collocandole con gran cura nel loro proprio harem, portandole in bocca come fa la gatta dei gattini. Quelli che stanno ancor più in su seguono lo stesso metodo finchè tutto lo spazio sia occupato. Spesso segue una lotta fra due maschi pel possesso di una medesima femmina, ed entrambi afferrandola ad un tempo la dividono in due o la dilaniano terribilmente coi denti. Quando lo spazio è tutto pieno il maschio vecchio passeggia intorno con compiacenza passando in rassegna la sua famiglia, dando un rabbuffo a quelli che si affollano o disturbano gli altri, e respingendo fieramente tutti gli intrusi. Questa sorveglianza lo tiene sempre attivamente occupato”.
Siccome si conosce tanto poco intorno al corteggiamento degli animali allo stato di natura, ho cercato di scoprire fino a che punto i nostri quadrupedi domestici operino una scelta nelle loro unioni. I cani presentano il miglior campo per osservare, siccome sono quelli cui si bada con maggior cura e che si comprendono meglio. Molti allevatori hanno espresso una energica opinione su questo particolare. Così il signor Mayhew osserva: “Le femmine possono donare il loro affetto; e le tenere ricordanze amorose hanno tanta forza sopra di esse, come si sa seguire in altri casi, quando si tratta degli animali più elevati. Le cagne non sono sempre prudenti nei loro amori, ma sono sempre pronte ad abbandonarsi ai cani di basso grado. Se sono allevate con un compagno dall’aspetto volgare, sorge sovente fra il paio un affetto che nessun tratto di tempo può in avvenire distruggere. La passione, perchè tale è infatti, diviene di una persistenza più che romantica”. Il signor Mayhew che accudiva specialmente le razze pìù piccole, è convinto che le femmine sono. fortunatamente attirate dai maschi di grande mole. Il notissimo veterinario Blaine afferma che una cagna pug si affezionò per modo ad un cane spagnolo, ed una femmina di un setter ad un cane degenerato, che in nessun caso vollero accoppiarsi con un cane della loro propria razza finchè non furono trascorse varie settimane. Due fatti, e degni di fede, mi sono stati riferiti rispetto alla femmina di un retriever e di uno spagnolo, le quali si sono innamorate di cani terrier.
Il signor Cupples m’informa che può garantire personalmente la verità del seguente notevole caso in cui una femmina di terrier, di prezzo e di meravigliosa intelligenza, amò un retriever, che apparteneva ad un vicino, per modo che dovette essere portata via colla forza da quello. Dopo la loro permanente separazione, quantunque mostrasse ripetutamente latte nelle sue mammelle, non volle accettare il corteggiamento di nessun altro cane, e, con dispiacere del suo padrone, non fece mai cagnolini. Il signor Cupples afferma pure che la femmina di un cane da cervi partorì allora (1868) nel suo canile per tre volte, ed in ogni occasione mostrò una distinta preferenza per uno dei più grossi e più belli, ma non dei più vivaci, dei quattro cani da cervi che vivevano con essa, tutti giovanissimi. Il signor Cupples ha osservato che la femmina generalmente accorda i suoi favori ad un cane col quale abbia confidenza e che conosce; la sua ritrosia e la sua timidezza la rendono dapprima contraria ad un cane estraneo. Il maschio, invece, sembra piuttosto propenso alle femmine estranee. Sembra raro che il maschio rifiuti una qualche femmina particolare, ma il signor Wright di Yeldersley House, grande allevatore di cani, mi ha riferito che egli conosce alcuni esempi di ciò; egli cita il caso di uno dei suoi cani da cervi, che non volle badare ad una certa femmina di mastino, per cui dovette adoperare un altro cane da cervi. Sarebbe superfluo riferire altri casi ed aggiungerò solo che il signor Barr, il quale ha allevato con molta cura molti cani sanguinari, assicura che in quasi ogni caso certi particolari individui dell’altro sesso mostrano una decisa preferenza l’uno per l’altro. Finalmente il signor Cupples, dopo aver tenuto dietro a questo argomento per un altro anno, mi ha scritto recentemente. “Ebbi una piena conferma della mia: prima osservazione, che i cani nella riproduzione sentono dichiarate preferenze gli uni per gli altri, e spesso sono a ciò guidati dalla mole, dal bel colore e dal carattere individuale, come pure dal grado della precedente familiarità”.
Rispetto ai cavalli, il signor Blenkiron, il più grande allevatore di cavalli da corsa del mondo, mi ha comunicato che gli stalloni sono tanto spesso capricciosi nella loro scelta, respingendo una cavalla e senza nessuna ragione apparente accettandone un’altra, che bisogna adoperare per solito vari artifizi. Per esempio, il famoso monarca, non volle mai, sapendolo, accostarsi alla madre di gladiateur, e si dovette ricorrere ad un sotterfugio. Noi possiamo in parte vedere la ragione per cui stalloni da corsa di grande prezzo, che sono tanto ricercati, sono tanto singolari nella loro scelta. Il signor Blenkiron non ha mai conosciuto una giumenta che abbia respinto un cavallo; ma questo ebbe luogo nella scuderia del signor Wright, cosicchè la giumenta dovette essere ingannata. Prospero Lucas cita vari esempi presi da autorità francesi, ed osserva: “On voit des étalons qui s’èprennent d’une jument, et nègligent toutes les autres”. Egli riferisce, sull’autorità di Baëlen, fatti consimili intorno ai tori. Hoffberg, descrivendo la renna addomesticata della Lapponia, dice: “Foeminae majores et fortiores mares prae caeteris admittunt, ad eos confugiunt, a jumeribus agitatae, qui hos in fugam conjiciunt”. Un ecclesiastico, il quale ha allevato molti maiali, mi assicura che le scrofe respingono sovente un maschio e ne accettano immediatamente un altro.
Secondo questi fatti non vi può essere alcun dubbio che nella maggior parte dei nostri quadrupedi domestici si osservano frequentemente forti antipatie e preferenze individuali, e molto più comunemente per parte della femmina che non del maschio. Essendo questo il caso, non è probabile che le unioni dei quadrupedi in stato di natura siano lasciate solamente al caso. È molto più probabile che le femmine siano attirate o eccitate da certi maschi particolari, i quali posseggono certi caratteri in un grado più elevato che non altri maschi; ma quali siano questi caratteri, non possiamo se non che raramente o non mai scoprire con certezza.

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