CHARLES DARWIN - ORIGINE DELL'UOMO

CAPITOLO XIX.
Caratteri sessuali secondari dell’Uomo.

Differenze fra l’uomo e la donna - Cause di queste differenze e di certi caratteri comuni ai due sessi - Legge di battaglia - Differenze nelle potenze mentali - e nella voce - Intorno all’azione della bellezza nel produrre i matrimoni del genere umano - Attenzione dei selvaggi agli ornamenti - Loro idee intorno alla bellezza della donna - Tendenza ad esagerare ogni particolarità naturale.

 

Nel genere umano le differenze fra i sessi sono più grandi che non nella maggior parte della specie dei Quadrumani, ma non tanto grandi come in alcune, per esempio nel mandrillo. In media l’uomo è notevolmente più alto, più pesante e più forte che non la donna, ha le spalle più quadrate ed i muscoli più pronunziati. In seguito al rapporto che esiste fra lo sviluppo dei muscoli e la sporgenza delle sopracciglia, la sporgenza sopraccigliare è in generale più fortemente marcata nell’uomo che non nella donna. Il suo corpo, e specialmente il volto, è più peloso, e la voce ha un tono differente e più forte. Dicesi che in certe tribù le donne, ma non so se questo sia vero, differiscono un tantino nella tinta dagli uomini; e negli Europei le donne sono forse più vivacemente colorite, come si può osservare allorchè i due sessi sono stati egualmente esposti all’azione dell’atmosfera.
L’uomo è più coraggioso, più bellicoso e più energico che non la donna, ed ha maggiore genio inventivo. Il suo cervello è assolutamente più grande, ma non è stato, io credo, pienamente riconosciuto che ciò sia relativamente alla mole del corpo in paragone con quello della donna. La donna ha il volto più rotondo; le mascelle e la base del cranio più piccole; i contorni del corpo sono in essa più rotondi, in certe parti più prominenti; e la pelvi è nella donna più larga che non nell’uomo: ma quest’ultimo carattere può forse essere considerato come un carattere primario anzichè secondario. Ha il suo pieno sviluppo in età più giovanile che non l’uomo.
Come in ogni classe di animali, così nell’uomo, i caratteri distintivi del sesso maschile non sono pienamente sviluppati finchè non è prossimo alla età adulta; e se è evirato non compaiono mai. Per esempio, la barba è un carattere sessuale secondario, ed i bambini non hanno barba, sebbene nella prima età abbiano moltissimi capelli. Probabilmente la comparsa in una età piuttosto tarda delle successive variazioni, mercè le quali l’uomo acquista i suoi caratteri mascolini, è la ragione per cui non sono trasmessi che al sesso mascolino solo. I bambini dei due sessi si rassomigliano moltissimo, come i giovani di tanti altri animali nei quali gli adulti dei due sessi differiscono; parimente rassomigliano molto più strettamente alla donna adulta che non all’uomo adulto. Tuttavia la donna finisce per assumere certi caratteri distintivi, e dicesi che nella formazione del cranio stia in mezzo fra il bambino e l’uomo. Parimente, siccome i giovani di specie intimamente affini ma distinte non differiscono tanto fra loro quanto gli adulti, così è pure il caso nei bambini delle differenti razze umane. Alcuni hanno anzi asserito che le differenze di razza non si possono scoprire nel cranio di un bambino. Rispetto al colore il neonato del nero è color rossiccio-bruno-noce, che in breve diviene grigio-lavagna; il color nero non si sviluppa pienamente al Sudan che entro l’anno; ma in Egitto ci vogliono tre anni. Gli occhi del nero sono dapprima azzurri, ed i capelli castano-chiaro piuttosto che non neri, e sono arricciati solo alle punte. I bambini degli Australiani appena nati sono color gialliccio-bruno, e divengono scuri in età più avanzata. Quelli dei Guarany del Paraguay sono bianco-gialliccio, ma nel corso di qualche settimana acquistano la tinta giallo-bruna dei loro genitori. Consimili osservazioni sono state fatte in altre parti d’America.
Ho specificato le sopra menzionate differenze familiari fra il maschio e la femmina del genere umano; perchè sono curiosamente le stesse come nei Quadrumani. In questi animali la femmina è adulta in una età più fresca che non il maschio; almeno questo è certamente il caso nel Cebus Azarae. Nella maggior parte delle specie, i maschi sono più grandi, più forti, che non le femmine; e di questo fatto il gorilla presenta una prova notissima. Anche in un carattere di poca importanza come la più grande prominenza dell’arco sopraccigliare, i maschi di certe scimmie differiscono dalle femmine, e per questo rispetto concordano col genere umano. Nel gorilla ed in certe altre scimmie il cranio del maschio adulto presenta una cresta sagittale pronunziatissima, che manca nella femmina; ed Ecker trovò una traccia di una differenza consimile tra i due sessi negli Australiani. Nelle scimmie quando vi ha differenza nella voce, quella del maschio è più forte. Abbiamo veduto che i maschi di certe scimmie hanno barba bene sviluppata, che nella femmina manca al tutto od è meno sviluppata. Non si conosce esempio che nella femmina di una scimmia la barba, le fedine ed i baffi siano più grandi che non nel maschio. Anche nel colore della barba vi ha un curioso parallelismo fra l’uomo e i quadrumani, perchè quando nell’uomo la barba differisce nel colore dai capelli, come spesso è il caso, essa è invariabilmente, credo, di una tinta più chiara, essendo spesso rossiccia. Osservai questo fatto in Inghilterra, ed il dottor Hooker, il quale si occupò di questa piccola particolarità per conto mio in Russia, non ha trovata eccezione a questa regola. A Calcutta il signor J. Scott, del Giardino Botanico, ebbe la bontà di osservare con cura le molte razze di uomini che potè vedere colà, come pure in altre parti dell’India, cioè, due razze di Sikhim, i Bhoteos, gli Indù, i Burmesi ed i Cinesi. Quantunque la maggior parte di queste razze abbiano pochissimo pelo sul volto, tuttavia trovò che quando v’era una differenza nel colore fra i capelli e la barba, quest’ultima era invariabilmente di una tinta più chiara. Ora nelle scimmie, come abbiamo già affermato, la barba differisce frequentemente in un modo spiccato nel colore dai peli del capo, ed in questi casi, è invariabilmente di una tinta più chiara, essendo spesso più puro, talora giallo o rossiccio.
Per ciò che riguarda la generale pelosità del corpo, le donne di tutte le razze sono meno pelose degli uomini, ed in alcuni pochi Quadrumani la parte posteriore del corpo della femmina è meno pelosa che non quella del maschio. Infine i maschi delle scimmie, come gli uomini, sono più ardimentosi e più fieri che non le femmine. Conducono il branco, e in caso di pericolo vengono all’avanguardia. Noi in questo vediamo quanto intimo sia il parallelismo fra le differenze sessuali dell’uomo e dei quadrumani. In alcune poche specie, come in certi babbuini, nel gorilla e nell’urango vi è una differenza notevolmente più grande fra i sessi, nella mole dei denti canini, nello sviluppo e nel colore del pelo, e specialmente nel colore delle parti nude della pelle, che non nel caso del genere umano.
I caratteri sessuali secondari dell’uomo sono tutti variabilissimi, anche nei limiti della stessa razza o sotto specie; e differiscono molto nelle varie razze. Queste due regole generalmente prevalgono in tutto il regno animale. Nelle eccellenti osservazioni fatte a bordo della Novara, si trovò che gli Australesi uomini eccedevano le femmine in altezza di soli 65 millimetri, mentre nei Giapponesi la media dell’eccesso era di 218 millimetri, cosicchè in quest’ultima razza la differenza nell’altezza fra i sessi è più di tre volte tanto grande quanto negli Australesi. Le numerose misure delle varie altre razze, rispetto alla statura, la circonferenza del collo ed il petto, e la lunghezza della spina dorsale e delle braccia, che furono fatte con cura, quasi tutte mostravano che i maschi differivano molto più fra loro che non le femmine. Questo fatto dimostra che, per quello che riguarda questi caratteri, è il maschio il quale è stato principalmente modificato dacchè le razze presero a divergere dalla loro primiera e comune sorgente.
Lo sviluppo della barba e la pelosità del corpo differiscono notevolmente negli uomini che appartengono a razze distinte, ed anche a differenti famiglie della stessa razza. Noi Europei vediamo questo in noi medesimi. Nell’isola di S. Kilda, secondo Martin, gli uomini non hanno barba, che è molto rada, fino all’età di trenta e più anni. Nel continente Europeo Asiatico la barba prevale finchè andiamo oltre le Indie, sebbene nei nativi di Ceylan manchi frequentemente, come fu notato in tempi antichi da Diodoro. Al di là dell’India la barba scompare, come nei Siamesi, nei Malesi, nei Calmucchi, nei Cinesi e nei Giapponesi; nondimeno gli Ainos, che abitano isole più settentrionali dell’arcipelago Giapponese, sono gli uomini più pelosi del mondo. Nei neri la barba è scarsa o mancante, e non hanno fedine; nei due sessi il corpo è in generale quasi mancante di caluggine. D’altra parte i Papuani dell’Arcipelago malese, che sono quasi tanto neri quanto i neri, posseggono barba bene sviluppata. Nell’Oceano Pacifico gli abitanti dell’arcipelago Fiji hanno grandi barbe ispide, mentre quelli degli arcipelaghi non molto distanti di Tonga e di Samoa sono senza barba; ma questi uomini appartengono a razze distinte. Nel gruppo delle Ellici tutti gli abitanti appartengono alla medesima razza; tuttavia in una sola isola, cioè a Nullemaga “gli uomini hanno bellissime barbe”; mentre nelle altre isole “hanno di regola una dozzina di rari peli per barba”.
In tutto il grande continente americano si dice che gli uomini sono senza barba; ma in quasi tutte le tribù alcuni pochi peli corti sogliono apparire sulla faccia, specialmente durante la vecchiezza. Nelle tribù dell’America settentrionale, Catlin calcola che diciotto uomini su venti sono per natura al tutto mancanti di barba; ma talora si può vedere un uomo, che ha trascurato di strapparsi i peli alla pubertà, con una morbida barba; lunga due o quattro centimetri. I Guarany del Paraguay differiscono da tutte le circostanti tribù per avere la barba corta, ed anche per avere un po’ di pelo sul corpo, ma non fedine. Venni assicurato dal dottor Forbes, che particolarmente si occupava di questo argomento, che gli Aymaras ed i Quichuas delle Cordigliere sono notevolmente senza peli; tuttavia nella vecchiezza si veggono loro talvolta sul mento alcuni rari peli. Gli uomini di queste due tribù hanno pochissimi peli sulle varie parti del corpo ove il pelo cresce abbondantemente negli europei, e le donne non ne hanno affatto nelle parti corrispondenti. Tuttavia i capelli divengono di una straordinaria lunghezza nei due sessi, giungendo fino a terra; e questo è pure il caso in alcune tribù del Nord America. Nella quantità dei capelli, e nella forma generale del corpo, i sessi degli indigeni americani non differiscono tanto fra loro quanto nella maggior parte delle altre razze umane. Questo fatto è analogo a quello che si osserva in certe scimmie affini; così i sessi dello scimpanzè non differiscono tanto quanto quelli del gorilla o dell’urango.
Nei capitoli precedenti abbiamo veduto che nei mammiferi, negli uccelli, nei pesci, negli insetti, ecc., molti caratteri, che v’ha ogni ragione per credere furono primieramente acquistati per opera della scelta sessuale da un sesso solo, sono stati trasmessi ai due sessi. Siccome questa medesima forma di trasmissione ha, da quanto pare, prevalso grandemente nell’umanità, risparmieremo molte inutili ripetizioni considerando i caratteri particolari al sesso maschile unitamente con certi altri caratteri comuni ai due sessi.
Legge di battaglia. - Nelle nazioni barbare, per esempio fra gli Australiani, le donne sono causa costante di guerra tanto fra gli individui della stessa tribù, quanto tra tribù distinte. Così senza dubbio seguiva nei tempi antichi; “nam fuit ante Helenam mulier teterrima belli causa”. Fra gli Indiani del Nord America, la lotta è ridotta a sistema. Hearne, eccellente osservatore dice: - “È stato sempre costume presso questo popolo che gli uomini lottassero per ogni donna di cui fossero innamorati, e naturalmente la parte più forte vinceva il premio. Un uomo debole, a meno di essere un buon cacciatore, e molto amato, raramente ottiene il permesso di prendere una moglie che un uomo più forte consideri degna della sua attenzione. Questo uso prevale in tutte le tribù, e produce un grande spirito di emulazione fra i giovani, i quali in tutte le occasioni, fino dall’infanzia, fanno prova della loro forza e della loro abilità nella lotta”. Azara asserisce che pei Guanas dell’America meridionale raramente gli uomini si ammogliano prima di avere venti anni di età, perchè prima non possono vincere i loro rivali.
Altri fatti consimili si potrebbero riferire; ma anche se noi non abbiamo nessuna prova intorno a ciò, possiamo essere quasi certi, dalla analogia dei Quadrumani più elevati, che la legge di battaglia abbia prevalso nell’uomo durante i primi stadi del suo sviluppo. La comparsa occasionale al giorno d’oggi di denti canini che sporgono dagli altri, mostranti tracce di un diastema o spazio aperto per ricevere gli opposti canini, è probabilissimamente un caso di ritorno ad uno stato primiero, quando i progenitori dell’uomo erano forniti di quelle armi, come tanti maschi di quadrumani attuali. In un precedente capitolo abbiamo osservato che mentre l’uomo andava divenendo diritto, o adoperava di continuo le mani e le braccia per combattere con bastoni e con pietre, come per ogni altro uso della vita, egli andava adoperando sempre meno le mascelle ed i denti. Le mascelle coi loro muscoli andavano allora diminuendo pel minore esercizio, come segue nei denti pei principii di correlazione e di economia di accrescimento non ancora bene compresi; perchè vediamo ognora che le parti che non servono; diminuiscono di mole. Con questi stadi la disuguaglianza originaria fra le mascelle ed i denti nei due sessi del genere umano doveva alla fine scomparire al tutto. Il caso è quasi parallelo con quello di molti maschi di ruminanti, nei quali i denti canini non sono più che allo stato di rudimenti, o sono scomparsi, da quanto pare, in conseguenza dello sviluppo delle corna. Siccome la prodigiosa differenza fra il cranio dei due sessi nel gorilla e nell’urango sta in rapporto intimo collo sviluppo degli enormi denti canini nei maschi, possiamo dedurre che la diminuzione delle mascelle e dei denti nei primieri progenitori maschi dell’uomo produssero un mutamento notevole e favorevole al suo aspetto.
Non vi può essere guari dubbio che la mole e la forza più grande dell’uomo in paragone di quella della donna, come pure le spalle più larghe, i muscoli più sviluppati, il profilo del corpo più ruvido, il maggior coraggio e l’indole più bellicosa, siano tutti per la maggior parte dovuti all’eredità di qualche primiero progenitore maschio, il quale, come le scimmie antropoidi attuali, era cosiffattamente caratterizzato. Tuttavia questi caratteri sono stati conservati o anche accresciuti durante lunghe età mentre l’uomo era ancora in una condizione barbara, da ciò che gli uomini più forti e più arditi sono riusciti nella lotta generale per la vita come pure nell’impadronirsi delle mogli, lasciando così maggior numero di prole. Non è probabile che la maggior forza dell’uomo fosse primariamente acquistata mercè gli effetti ereditati dal lavoro più duro che non quello della donna per la propria sussistenza e quella della sua famiglia, perchè nelle nazioni barbare le donne sono costrette ad un lavoro tanto duro quanto quello dell’uomo. Nelle nazioni incivilite l’arbitrato della battaglia pel possesso delle donne è cessato da lungo tempo; d’altra parte, gli uomini, in regola generale, hanno un lavoro più duro che non quello delle donne pel loro vicendevole sostenimento; e così la loro forza più grande sarà stata conservata.
Differenza nei poteri mentali dei due sessi. - Rispetto alle differenze di questa sorta fra l’uomo e la donna, è probabile che la scelta sessuale abbia avuto una parte importantissima. Mi sono accorto che alcuni scrittori mettono in dubbio che vi sia una qualche inerente differenza; ma questo è almeno probabile dall’analogia degli animali inferiori che presentano altri caratteri sessuali secondari. Nessuno negherà che il toro differisca nella disposizione dalla vacca, il cinghiale dalla sua femmina, lo stallone dalla giumenta, e, come conoscono bene i custodi delle collezioni di animali vivi, i maschi delle scimmie più grandi dalle loro femmine. La donna sembra differire dall’uomo nella disposizione mentale, principalmente per la maggiore tenerezza d’indole e minore egoismo; e questo avviene anche nei selvaggi, come si vede da un notissimo brano dei viaggi di Mungo Park, e dai rapporti di molti altri viaggiatori. La donna, pei suoi istinti materni, spiega in grado eminente queste qualità verso i suoi figli; perciò è verosimile che le estenda sovente ai suoi simili. L’uomo è rivale di altri uomini; è lieto della lotta; e questa conduce all’ambizione che si muta troppo agevolmente in egoismo. Queste ultime qualità sembrano essere il suo naturale ed infelice retaggio. Si ammette generalmente che nella donna le forze d’intuizione, di rapida comprensione, e forse d’imitazione, sono più fortemente spiccate che non nell’uomo; ma alcune almeno di queste facoltà sono caratteristicamente delle razze più basse, e perciò di uno stato inferiore e remoto di incivilimento.
La principale distinzione nelle forze intellettuali fra i due sessi è dimostrata in ciò che l’uomo giunge ad una più alta eminenza, qualunque cosa egli imprenda, cui non può giungere la donna - sia che richiegga profondo pensiero, ragione, od immaginazione, o semplicemente l’uso dei sensi e delle mani. Se si facessero due liste degli uomini e delle donne più eminenti in poesia, pittura, scultura, musica - compreso la composizione e l’azione, la storia, la scienza e la filosofia, con una mezza dozzina di nomi per ogni argomento, le liste non avrebbero paragone. Noi possiamo pure dedurre, dalla legge di deviazione nei calcoli, tanto ben dimostrata dal signor Galton nella sua opera intorno allo Hereditary Genius, che se gli uomini sono evidentemente superiori alle donne per molti riguardi, il livello medio della potenza mentale dell’uomo deve essere superiore a quello della donna.
I progenitori maschi semi-umani dell’uomo, e gli uomini allo stato selvaggio, hanno combattuto fra loro durante molte generazioni pel possesso delle donne. Ma la semplice forza del corpo e la mole non avrebbero avuto gran parte nella vittoria, a meno che non vi fossero associati il coraggio, la perseveranza e la determinata energia. Negli animali sociali i maschi giovani hanno da attraversare molte lotte prima di ottenere una femmina, ed i maschi più vecchi hanno da conservare le loro femmine mercè ripetute battaglie. Hanno pure, nel caso dell’uomo, da difendere le loro femmine ed i loro giovani da ogni sorta di nemici, e cacciare pel loro sostenimento. Ma per scansare nemici, od aggredirli con successo per far prigionieri animali selvatici, ed inventare e foggiare armi, ci vuole l’aiuto di facoltà mentali più alte, cioè osservazione, ragione, invenzione o immaginazione. Queste varie facoltà sono state così continuamente messe in prova e scelte durante la virilità; inoltre sono state rese più forti dall’esercizio durante questo stesso periodo di vita. In conseguenza, secondo il principio che abbiamo sovente citato, possiamo aspettarci a ciò che siano state trasmesse principalmente alla prole maschile al periodo corrispondente della virilità.
Ora, quando due uomini sono messi in lotta, o un uomo con una donna, che hanno ogni qualità mentale nella stessa perfezione, tranne che uno abbia maggior energia, perseveranza e coraggio, questo diverrà in generale più eminente, qualunque possa essere lo scopo, ed otterrà la vittoria. Si può dire che quello che possiede il genio - perchè il genio è stato dichiarato da una grande autorità essere la pazienza; e la pazienza, in questo senso, vuol dire inflessibile, indomabile perseveranza. Ma questo modo di considerare il genio è forse deficiente; perchè senza le potenze più elevate dell’immaginazione e della ragione, non si può ottenere nessun eminente successo in molte cose. Quest’ultime come le precedenti qualità saranno state sviluppate nell’uomo in parte per opera della scelta sessuale, - cioè per la lotta fra i maschi rivali; ed in parte per opera della scelta naturale, - vale a dire dalla riuscita nella lotta generale per la vita; e siccome nei due casi la lotta deve aver avuto luogo durante lo stato adulto, i caratteri acquistati così saranno stati trasmessi più compiutamente alla prole maschile che non alla femminile. Questo è concorde coll’opinione che alcuna delle nostre facoltà mentali sono state, modificate e rinforzate mercè la scelta sessuale, che, prima di tutto, esse sopportano, come è ammesso generalmente, un notevole mutamento alla pubertà, ed in secondo luogo, che gli eunuchi rimangono per tutta la vita inferiori in queste stesse qualità. Così l’uomo è infine divenuto superiore alla donna. È stata invero una fortuna che la legge di eguale trasmissione dei caratteri ai due sessi abbia comunemente prevalso fra tutta la classe dei mammiferi; altrimenti è probabile che l’uomo sarebbe divenuto in doti mentali tanto superiore alla donna, quanto è superiore il pavone nell’ornamento del piumaggio alla pavonessa.
Bisogna tener a mente che la tendenza dei caratteri acquistati in un periodo tardo della vita da ogni sesso ad essere trasmessi allo stesso sesso alla medesima età, e dei caratteri acquistati in un’età giovanile ad essere trasmessi ai due sessi, sono regole che, sebbene generali, non sempre prevalgono. Se esse prevalessero sempre, non potremmo conchiudere (ma qui vado oltrepassando i miei limiti) che gli effetti ereditati della primiera educazione dei fanciulli e delle fanciulle sarebbero trasmessi ugualmente ai due sessi; cosicchè l’attuale disuguaglianza della forza mentale fra i due sessi non potrebbe essere distrutta da un consimile andamento di educazione giornaliera; nè potrebbe essere cagionata dalla loro dissimile educazione. Onde la donna potesse giungere allo stesso livello dell’uomo; dovrebbe, quando è adulta, essere educata all’energia e alla perseveranza, ed esercitare la sua ragione e la sua immaginazione al più alto punto, ed allora probabilmente trasmetterebbe queste qualità alle sue figlie adulte. Tuttavia non si potrebbero allevare in tal modo tutte le donne, a meno che durante molte generazioni le donne che fossero eminenti nelle suddette virtù si maritassero, e producessero un numero maggiore di figli che non le altre donne. Quantunque gli uomini, come abbiamo osservato per la forza del corpo, non combattano ora pel possesso delle mogli, e che questa forma di scelta sia scomparsa, tuttavia essi generalmente sono sottoposti durante la virilità ad una grave lotta onde mantenersi e mantenere la propria famiglia; e questo tenderà a mantenere ed anche ad accrescere le loro forze mentali, e, come conseguenza l’attuale disuguaglianza fra i sessi.
Voce e poteri musicali. - In alcune specie di quadrumani v’ha una grande differenza fra i sessi adulti nella potenza della voce e nello sviluppo degli organi vocali; e l’uomo sembra aver ereditato questa differenza dai suoi primieri progenitori. Le sue corde vocali sono circa un terzo più lunghe che non quelle della donna o dei fanciulli, e la evirazione produce in esso lo stesso effetto come sopra gli animali più bassi, perchè “arresta quel prominente accrescimento della tiroide, ecc., che accompagna l’allungamento delle corde”. Rispetto alla causa di questa differenza fra i sessi non ho nulla da aggiungere alle osservazioni fatte nell’ultimo Capitolo sugli effetti probabili del lungo e continuato esercizio degli organi vocali del maschio per l’eccitamento dell’amore, della collera e della gelosia. Secondo Sir Duncan Gibb, la voce differisce nelle varie razze umane, e negli indigeni della Tartaria, della Cina, ecc., la voce del maschio dicesi non differisce tanto da quella della femmina come nella maggior parte delle altre razze.
L’attitudine e l’amore pel canto o per la musica, sebbene non sia un carattere sessuale dell’uomo, non deve passare inosservato. Quantunque i suoni emessi dagli animali di tutte le sorta servano per molti scopi, si può ricavare un notevole caso, che gli organi vocali furono primariamente adoperati e perfezionati in rapporto alla propagazione delle specie. Gli insetti ed alcuni pochi ragni sono gli animali più bassi che volontariamente producano un qualche suono; e questo è generalmente compiuto mercè l’aiuto di organi stridulanti bene costrutti, che spesso vengono limitati ai soli maschi. I suoni prodotti in tal modo consistono, credo in tutti i casi, della medesima nota, ripetuta ritmicamente; e ciò talvolta diletta anche l’orecchio dell’uomo. Il loro uso principale, ed in alcuni casi esclusivo, sembra essere quello di chiamare o di allettare l’altro sesso.
I suoni prodotti dai pesci dicesi siano mandati in alcuni casi solo dai maschi durante la stagione delle nozze. Tutti i vertebrati che respirano aria posseggono necessariamente un apparato per aspirare ed espellere l’aria, con un tubo capace di essere chiuso da un capo. Quindi allorchè i membri primieri di questa classe erano fortemente eccitati ed i loro muscoli venivano violentemente contratti, è quasi certo che si saranno prodotti suoni senza scopo; e questi, qualora fossero sembrati in qualche modo utili, potevano prontamente venire modificati o farsi più intensi dalla conservazione delle variazioni propriamente adatte. Gli anfibi sono i vertebrati più bassi che respirano aria; e molti di questi ammali, cioè le rane ed i rospi, posseggono organi vocali, che adoperano incessantemente nella stagione delle nozze, e che sono sovente molto più sviluppati nel maschio che non nella femmina. Il maschio solo della tartaruga emette un suono, e questo dura soltanto nella stagione degli amori. Gli alligatori maschi gracchiano o muggono durante la suddetta stagione. Ognuno sa quanto gli uccelli facciano uso della loro voce come mezzo di corteggiamento; ed alcune specie pure compiono ciò che si può chiamare musica strumentale.
Nella classe dei mammiferi, di cui ci occupiamo ora più specialmente, i maschi di quasi tutte le specie adoperano le loro voci durante la stagione degli amori molto più che non in qualsiasi altro tempo; ed alcuni sono al tutto muti, tranne in quella stagione. I due sessi di altre specie, o le femmine sole, adoperano la loro voce come richiamo amoroso. Considerando questi fatti, e che gli organi vocali di alcuni quadrupedi sono molto più grandemente sviluppati nel maschio che non nella femmina, sia permanentemente, sia temporaneamente durante la stagione delle nozze; e considerando che nella maggior parte delle classi più basse i suoni prodotti dai maschi servono non solo dì richiamo, ma per eccitare o allettare la femmina, è un fatto sorprendente che finora non abbiamo nessuna buona prova che questi organi siano adoperati dai maschi dei mammiferi per allettare le femmine. Il Mycetes caraya d’America forma forse un’eccezione come pure è probabile sia un’eccezione una di quelle scimmie più prossime all’uomo, cioè l’Hylobates agilis. Questo ilobate ha una voce estremamente forte, ma musicale. Il signor Waterhouse dice: “ Mi sembra che salendo e scendendo la scala musicale gli intervalli siano esattamente come i mezzi toni; e sono sicuro che la nota più alta era l’ottava esatta della nota più bassa. La qualità delle note è molto musicale; e non dubito che un buon violinista potrebbe dare un’idea giusta della composizione dell’ilobate, tranne per quello che riguarda la sua forza”. Il signor Waterhouse riferisce poi le note. Il professore Owen, il quale conosce del pari la musica, conferma il sopramenzionato fatto, ed osserva che questo ilobate “è solo fra gli animali mammiferi che si possa dire che canti”. Sembra che sia molto eccitato dopo il suo canto. Per sfortuna i suoi costumi allo stato di natura non sono mai stati studiati da vicino, ma per l’analogia di quasi tutti gli altri animali, è molto probabile che emetta le sue note musicali specialmente durante la stagione del corteggiamento.
La percezione, se non il gusto, delle cadenze musicali e del ritmo è probabilmente comune a tutti gli animali, e senza dubbio dipende dalla natura fisiologica comune dei loro sistemi nervosi. Anche i crostacei, che non possono produrre nessun suono volontario, posseggono certi peli uditivi, che sono stati veduti vibrare allorchè si colpivano certe note particolari di musica. Si sa benissimo che alcuni cani abbaiano quando sentono note particolari. Le foche apprezzano da quanto pare la musica, e questo loro gusto era “notissimo agli antichi, e spesso i cacciatori dei nostri, tempi ne traggon partito”. In tutti questi animali, cioè negli insetti, negli anfibi e negli uccelli, di cui i maschi producono incessantemente, durante tutta la stagione del corteggiamento, note musicali o suoni puramente ritmici, dobbiamo credere che le femmine possano apprezzarli e venire da quelli eccitate o allettate; altrimenti gli sforzi incessanti dei maschi e le strutture complesse di cui spesso sono esclusivamente forniti sarebbero inutili.
È in generale ammesso che nell’uomo il canto sia la base e l’origine della musica strumentale. Siccome nè il piacere nè l’attitudine a produrre note musicali non sono facoltà che abbiano il menomo utile diretto per l’uomo per ciò che riguarda gli abiti ordinari della vita, esse debbono essere collocate fra le più misteriose di cui l’uomo vada dotato. Sono presenti, sebbene in una condizione molto rozza e come sembra quasi latente, negli uomini, di tutte le razze, anche le più selvagge; ma il gusto è così differente nelle differenti razze, che la nostra musica non procura alcun piacere ai selvaggi, e la loro è per noi orribile e incomprensibile. Il dottor Seemann, in alcune interessanti osservazioni a questo riguardo, “dubita se anche fra le nazioni dell’Europa occidentale, per quanto intimamente connesse esse siano e sia frequente il loro commercio, la musica dell’una venga interpretata nello stesso senso dall’altra. Viaggiando verso Oriente troviamo che la musica ha certamente un linguaggio differente. I canti di gioia ed i ballabili non son più, come presso di noi, in tono maggiore, ma sempre in minore”. Sia che i progenitori semiumani dell’uomo possedessero o no, come il sopramenzionato ilobate, la facoltà di produrre, e senza dubbio di apprezzare le note musicali, abbiamo ogni ragione di credere che l’uomo ubbia posseduto queste facoltà in un periodo remotissimo, perchè il canto e il suono sono arti estremamente antiche. La poesia, che si può, considerare come la figlia del canto, è parimente tanto antica che molte persone provano meraviglia pensando che abbia avuto origine durante le epoche più antiche di cui abbiamo memorie.
Le facoltà musicali, che non sono al tutto mancanti in nessuna razza possono acquistare un pronto ed elevato sviluppo, siccome vediamo negli Ottentoti e nei Neri, che divengono in breve eccellenti suonatori, quantunque nei loro paesi nativi non sogliono far nulla che a noi sembri musica. Ma non v’ha nulla di anomalo in questa circostanza: alcune specie di uccelli che naturalmente non cantano mai; possono, senza molta difficoltà, imparare a cantare; così la passera comune ha imparato il canto di un fanello. Siccome queste due specie sono strettamente affini, ed appartengono all’ordine degli Insessores, che comprende quasi tutte le specie di cantatori del mondo, è al tutto possibile o almeno probabile che un progenitore della passera possa esser stato un cantatore. È un fatto molto più notevole che i pappagalli, i quali appartengono ad un gruppo distinto dagli Insessores, ed hanno quindi gli organi vocali costrutti a modo differente, possano imparare, non solo a parlare, ma a zufolare e cantarellare canzoni inventate dall’uomo, cosicchè debbono avere qualche facoltà musicale. Nondimeno sarebbe soverchia arditezza asserire che i pappagalli discendono da qualche antico progenitore che fosse un cantatore. Si potrebbero riferire molti casi analoghi di organi e di istinti adatti in origine per uno scopo, che sono stati adoperati per qualche altro scopo al tutto distinto. Quindi la facoltà di uno sviluppo musicale elevato, che posseggono le razze umane selvagge, può essere dovuta o a ciò che i nostri progenitori semi-umani avevano praticata una qualche barbara forma di musica, o semplicemente a ciò che essi ebbero acquistato per qualche fine distinto i loro organi vocali. Ma in quest’ultimo caso dobbiamo asserire che essi già possedessero, come nel caso sopra menzionato dei pappagalli, e come si osserva in molti animali, un qualche senso di melodia.
La musica agisce sopra ogni emozione, ma per se stessa non eccita in noi le più terribili emozioni di orrore, di rabbia, ecc. Sveglia i più gentili sensi di amorevolezza e di amore, che prontamente passano al sacrifizio. Sprona pure in noi il senso del trionfo e dell’ardore di gloria e di guerra. Questi sensi potenti e misti possono bene dar nascimento al senso del sublime. Noi possiamo concentrare, come osserva il dottor Seemann, una grande intensità di sentimento in una nota musicale che non in pagine di scritto. Quasi le stesse emozioni, ma molto più deboli e meno complesse, sono probabilmente provate dagli uccelli quando il maschio espande tutto il suo canto, per rivalità con altri maschi, onde cattivare la femmina. L’amore è pure il tema più comune dei nostri canti. La musica, come osserva Herbert Spencer, “sveglia sensi assopiti cui non credevamo possibile, e di cui non conosciamo il significato; oppure, come dice Richter, ci narra cose che non abbiamo veduto e non vedremo”. Reciprocamente, quando vive emozioni sono provate ed espresse dall’oratore o anche nel discorso comune, si adoperano istintivamente cadenze, e ritmi musicali. Anche le scimmie esprimono forti sentimenti in differenti toni - la collera e l’impazienza con note basse, il timore ed il dolore con note alte. Le sensazioni e le idee che sveglia in noi la musica, o le cadenze di un appassionato oratore, sembrano essere per loro indole indefinita, sebbene profonda, come ritorni della mente alle emozioni ed ai pensieri di un’epoca da lungo tempo trascorsa.
Tutti questi fatti rispetto alla musica divengono fino ad un certo punto intelligibili se passiamo asserire che i suoni musicali ed il ritmo fossero adoperati dai progenitori semi-umani dell’uomo, durante la stagione del corteggiamento, quando gli animali di ogni sorta sono eccitati dalle più forti passioni. In questo caso, secondo principio potentissimo delle associazioni ereditate, i suoni musicali ecciterebbero parimente in noi; in un modo incerto e indefinito, le forti emozioni di un’epoca da lungo tempo passata. Tenendo a mente che i maschi di alcuni animali quadrumani hanno gli organi vocali molto più sviluppati che non le femmine, e che una specie antropomorfa emette un’intera ottava di note musicali e può dirsi che canta, non sembra improbabile il sospetto che i progenitori dell’uomo, siano maschi o femmine, o dei due sessi, prima che avessero acquistato la facoltà di esprimere il loro vicendevole amore col linguaggio articolato, cercassero di allettarsi l’un l’altro con note o ritmo musicale. Le nostre cognizioni intorno all’uso della voce dei quadrumani durante la stagione delle nozze sono così limitate, che non abbiamo guari alcun mezzo per giudicare se l’abito del canto venisse acquistato primamente dal progenitore maschio o dal progenitore femmina del genere umano. In generale si crede che le donne abbiano voce più dolce di quella degli uomini, e per quanto ciò possa servirci di guida possiamo dedurre che esse acquistarono primamente le facoltà sessuali per attrarre l’altro sesso. Ma se questo fu il caso, ciò deve essere seguito in un tempo ben remoto, prima che i progenitori dell’uomo fossero divenuti abbastanza umani per trattare e stimare le donne come semplici schiave, L’oratore appassionato, il bardo, o il musicante, quando colle loro note e le loro svariate cadenze eccitano le più forti emozioni nei loro uditori, non sospettano invero che adoperano gli stessi mezzi coi quali, in periodo sommamente remoto, i loro antenati semi-umani svegliavano reciprocamente le loro ardenti passioni, durante il loro mutuo corteggiamento e la loro rivalità.
Dell’azione della bellezza nel produrre i matrimoni del genere umano. - Nella vita civile l’uomo è grandemente propenso, sebbene non affatto in modo esclusivo, a lasciarsi guidare nella scelta di una moglie dall’aspetto esterno; ma noi ci occupiamo principalmente dei tempi primitivi, e il nostro solo mezzo per formarci un giudizio intorno a ciò è quello di studiare gli abiti delle nazioni selvagge e semi-incivilite attuali. Se si può dimostrare che gli uomini delle differenti razze preferiscono le donne che hanno certi caratteri, o reciprocamente che le donne preferiscono certi uomini, avremo allora da ricercare se questa scelta, continuata per molte generazioni, avrebbe prodotto un qualche sensibile effetto sulla razza, sia sopra un sesso o sopra i due sessi; quest’ultima circostanza dipenderà dalla forma di eredità che avrà prevalso.
Sarà bene prima di tutto dimostrare con qualche particolare che i selvaggi pongono la più grande attenzione al loro aspetto personale. È noto a tutti che hanno una passione per gli ornamenti; ed un filosofo inglese va tanto in là da asserire che i vestiti furono fatti primamente per scopo di ornamento e non per tener caldo. Come osserva il professore Waitz, “per quanto povero e miserabile sia l’uomo, egli trova piacere ad adornare la sua persona”. La stravaganza degli Indiani nudi del Sud America nell’adornarsi è dimostrata da ciò che “un uomo di grande statura guadagna con difficoltà, col lavoro di due settimane quello che ci vuole per procurarsi in cambio la chica necessaria per dipingersi di rosso”. Gli antichi popoli barbari di Europa, durante il periodo della Renna, portavano nelle loro caverne ogni sorta di oggetti brillanti o singolari che venisse loro fatto di trovare. I selvaggi dei nostri giorni si adornano per ogni verso di piume, di collane, di smaniglie, di orecchini, ecc. Si dipingono il corpo nelle più svariate fogge. “Se le nazioni dipinte, come osserva Humboldt, fossero state studiate tanto attentamente quanto le nazioni coperte di vestiti si sarebbe veduto che la più fertile immaginazione ed il più mutevole capriccio hanno creato tanto le mode di pittura quanto quelle di vestiario”.
In una parte dell’Africa le ciglia sono tinte di nero; in un’altra le unghie sono colorite di giallo o di porpora. In molti luoghi si tingono i capelli con varie tinte. Nei differenti paesi i denti vengono macchiati di nero, di rosso, di azzurro, ecc., e nell’arcipelago Malese è una vergogna avere i denti bianchi come quelli di un cane. Non si può menzionare un grande paese, dalle regioni polari a settentrione fino alla Nuova Zelanda a mezzogiorno, in cui gli indigeni non sogliono screziarsi la pelle col cosidetto tatuaggio. Questa pratica era seguìta dagli Ebrei dell’antichità e dagli antichi Brettoni. In Africa alcuni fra gli indigeni si fanno il tatuaggio, ma è molto più comune farsi protuberanze sfregando con sale le incisioni fatte nelle varie parti del corpo; e queste sono considerate dagli abitanti del Cordofan e del Darfur “come grandi attrattive personali”. Nei paesi arabi non vi ha bellezza perfetta a meno che le guance “o le tempia non siano state tagliate”. Nell’America meridionale, come osserva Humboldt, “una madre sarebbe accusata di colpevole indifferenza verso i suoi figli, se non adoperasse mezzi artificiali per foggiare il polpaccio della gamba secondo la moda del paese”. Nel vecchio e nel nuovo continente la forma del cranio veniva anticamente modificata durante l’infanzia nel modo più straordinario, come è ancora il caso in molti luoghi, e cosiffatte deformità sono considerate come adornanti. Per esempio, i selvaggi della Colombia considerano una testa molto piatta “come un punto principale di bellezza”.
I capelli sono accuditi specialmente in vari paesi; sono lasciati crescere nella piena lunghezza, tanto da giungere al terreno, o sono pettinati ed acconciati in “una compatta e crespa spazzola che è la gloria e l’orgoglio dei Papuani”. Nell’Africa settentrionale “un uomo richiede un periodo di otto o dieci anni onde perfezionare la sua acconciatura”. In altre nazioni il capo è raso, e nelle parti dell’America meridionale e nell’Africa anche le ciglia vengono sradicate. Gli indigeni del Nilo superiore si strappano i quattro denti incisivi, dicendo che non vogliono rassomigliare ai bruti. Più verso il mezzogiorno, i Batokas si strappano i due incisivi superiori, ciò che, come osserva Livingstone, dà alla faccia un aspetto schifoso per l’accrescimento della mascella inferiore, ma quelle genti trovano che la presenza degli incisivi è molto sgradevole, e quando vedono gli Europei esclamano: “Guarda che grossi denti!”. Il grande capo Sebituani cercò invano di modificare quella moda. In varie parti dell’Africa e nell’arcipelago Malese gli indigeni tagliano i denti incisivi in punte come quelle di una sega, o li forano con buchi, nei quali fanno entrare fuscellini.
Siccome in noi il volto è principalmente ammirato per la sua bellezza, così nei selvaggi è la sede principale della mutilazione. In tutte le parti del mondo, il setto, e più raramente le ali del naso sono forate, con anelli, verghette, penne ed altri ornamenti inseriti nei fori. In ogni luogo le orecchie sono forate e similmente adorne, e fra i Botucudos ed i Lenguas dell’America meridionale il foro viene graduatamente molto allargato che l’orlo inferiore tocca la spalla. Nell’America settentrionale e meridionale e nell’Africa il labbro superiore e l’inferiore sono forati; e fra i Botucudos il foro del labbro inferiore è tanto largo che un disco di legno del diametro di dieci centimetri vi si può inserire dentro. Mantegazza riferisce un curioso ragguaglio della vergogna che provò un indigeno dell’America del Sud, e delle beffe che gli vennero fatte quando vendette la sua tembeta - il grosso pezzo di legno colorito che attraversa il foro. Nell’Africa centrale le donne si forano il labbro inferiore e vi infilano un pezzo di cristallo il quale col muoversi della lingua, ha “un movimento rotatorio sommamente ridicolo durante la conversazione”. La moglie del capo di Latooka disse a sir S. Baker che “sua moglie sarebbe stata molto meglio se si fosse strappati i quattro denti davanti della mascella inferiore, e avesse portata la lunga verghetta lucida di cristallo nel suo labbro inferiore”. Sempre più verso mezzogiorno, nei Makalolo, il labbro superiore è perforato, ed un grande anello di metallo e bambù, chiamato pelelé, è infilato nel buco. Questo fa sì che il labbro in un caso sporge cinque centimetri oltre la punta del naso; e quando una signora sorride la contrazione dei muscoli lo alza fino agli occhi.
Perchè le donne portano quelle cose? venne domandato al venerabile capo Chinsurdi. Evidentemente sorpreso a quella sciocca domanda, rispose: “Per farsi belle! Sono le sole cose che hanno di bello le donne; gli uomini hanno la barba; le donne non l’hanno. Che sorta di figura farebbe una donna senza il pelelé? Non sarebbe affatto una donna con una bocca come quella dell’uomo, ma senza barba”.
Non v’ha quasi nessuna parte del corpo che sia rifuggita ad una non naturale modificazione. La somma di dolore cagionata in tal modo deve essere meravigliosamente grande, perchè molte di quelle operazioni richiedono parecchi anni per essere compiute, cosicchè l’idea della loro necessità deve essere ben imperiosa. I motivi sono vari; gli uomini si dipingono il corpo per sembrar terribili in battaglia; certe mutilazioni hanno relazione con riti religiosi; oppure segnano l’età adulta, o la condizione sociale dell’uomo, o servono a distinguere le tribù. Siccome presso i selvaggi le stesse mode prevalgono per lunghi periodi, le mutilazioni, qualunque ne fosse la prima causa, vennero in breve stimate come segni distintivi. Ma l’ornamento della persona, la vanità e l’ammirazione degli altri sembrano essere le cause più predominanti. Rispetto all’uso di farsi il tatuaggio, mi fu detto dai missionari della Nuova Zelanda che quando tentavano di persuadere qualche fanciulla ad abbandonare quell’uso, esse rispondevano: “Dobbiamo farci qualche linea sulle labbra, altrimenti quando diverremo vecchie saremo troppo brutte”. Negli uomini della Nuova Zelanda un giudice molto competente dice “avere il volto finamente screziato col tatuaggio era la grande ambizione dei giovani, tanto per rendersi accetti alle signore, quanto per sembrar vistosi in guerra”. Una stella di tal sorta stampata sulla fronte ed una macchia sul mento sono considerate dalle donne di una parte dell’Africa come attrattive irresistibili. Nella maggior parte, ma non in tutto il mondo, gli uomini sono molto più adorni che non le donne, e spesso in modo differente; talora, sebbene di rado, le donne non sono affatto adorne. Siccome le donne presso i selvaggi sono obbligate a compiere la maggior parte del lavoro, e non si danno loro le migliori sorta di cibo, così concorda col caratteristico egoismo dell’uomo, che esse non abbiano, nè possano far uso, degli ornamenti più belli. Infine è un fatto notevole, come abbiamo dimostrato nelle precedenti citazioni, che le medesime mode nel modificare la forma del capo, nell’ornarsi i capelli, nel dipingersi, nel farsi il tatuaggio, nel forarsi il naso, le labbra o le orecchie, nello strapparsi o riempirsi i denti, ecc., prevalgono ora ed hanno da lungo tempo prevalso nelle più lontane parti del mondo. È sommamente improbabile che queste pratiche che sono seguite da tante nazioni distinte siano dovute alla tradizione da qualche sorgente comune. Indicano piuttosto la somiglianza intima della mente dell’uomo, a qualunque razza appartenga, nello stesso modo come gli usi quasi universali del ballare, del travestimento e del fare rozze pitture.
Dopo avere esposto queste osservazioni preliminari intorno all’ammirazione provata dai selvaggi per vari ornamenti, e per le deformità che ai nostri occhi sono orribili, vediamo fino a qual punto gli uomini siano attirati dall’aspetto delle loro donne, e quali siano le loro idee intorno alla bellezza. Siccome ho udito asserire che i selvaggi sono al tutto indifferenti alla bellezza delle loro donne, considerandole unicamente come schiave, sarà bene osservare che questa conclusione non concorda affatto colla cura che le donne si prendono per ornarsi, o colla loro vanità. Burchell riferisce un divertente fatto di una donna Bush, che soleva adoperare tanto grasso, ocra rossa, e polvere risplendente “che avrebbe mandato in rovina il marito più ricco”. Faceva pompa del pari di “molta vanità ed una evidente consapevolezza della sua superiorità” Il signor Winwood Reade m’informa che i neri della costa occidentale discutono sovente la bellezza delle loro donne. Alcuni osservatori competenti hanno attribuito la pratica orribile sebbene comune dell’infanticidio in parte al desiderio che provano le donne di conservare il loro bell’aspetto. In parecchie regioni le donne portano amuleti e filtri amorosi per acquistare l’affetto degli uomini; e il signor Brown annovera quattro piante adoperate per questo scopo dalle donne dell’America nord-ovest.
Hearne, che visse molti anni fra gli indiani di America, e che era un eccellente osservatore, dice, parlando delle donne: “Domandate ad un indiano del Nord che cosa sia la bellezza, ed egli risponderà, una faccia larga, piatta, occhi piccoli, zigomi sporgenti, tre o quattro larghe linee nere sopra ogni guancia, fronte bassa, mento largo, quadro, naso grosso ad uncino, colorito affumicato, e le mammelle che pendono fino alla cintura”. Pallas, il quale visitò le parti settentrionali dell’impero Cinese, dice: “sono colà preferite quelle donne che hanno aspetto di Mandschu, vale a dire il volto largo, gli zigomi sporgenti, il naso larghissimo, e le orecchie enormi”; e Vogt osserva che l’ubiquità dell’occhio, che è propria dei Cinesi e dei Giapponesi, viene esagerata a bella posta nei loro dipinti, come “per mostrare, sembra, la loro bellezza, che fa contrasto cogli occhi dei barbari dai capelli rossi”. È una cosa notissima, come osserva ripetutamente Hue, che i Cinesi dell’interno considerano gli Europei orribili per la loro pelle bianca ed il naso prominente. Secondo il nostro modo di vedere, il naso è tutt’altro che prominente negli indigeni di Ceylan; tuttavia “i Cinesi nel settimo secolo, avvezzi alle fattezze piatte delle razze Mogul, furono sorpresi alla vista dei nasi prominenti dei Cingalesi; e Thsang li descrive siccome forniti di un becco d’uccello col corpo di un uomo”.
Finlayson, dopo aver minutamente descritto il popolo della Cocincina, dice che le loro teste e le loro facce rotonde sono i loro principali caratteri, ed aggiunge, “la rotondità di tutto il loro aspetto appare più spiccata nelle donne, le quali sono considerate tanto più belle quanto più presentano questa forma di faccia”. I Siamesi hanno piccolo naso con narici divergenti, una bocca larga con labbra alquanto grosse, il volto notevolmente largo, cogli zigomi sporgenti e grossi. Non v’ha quindi da stupirsi che “la bellezza, secondo il nostro modo di vedere, sia loro ignota. Tuttavia essi considerano le loro donne molto più belle che non quelle d’Europa”.
Tutti sanno che in molte donne Ottentote la parte posteriore del corpo sporge in modo singolare; esse sono steatopigie; e sir Andrea Smith è certo che questa particolarità è molto ammirata dagli uomini. Egli vide una volta una donna la quale era tenuta in conto di bellissima, che aveva la parte posteriore talmente sviluppata, che quando era seduta per terra non poteva alzarsi, e doveva trascinarsi finchè trovasse sul terreno qualche rialzo. Alcune donne nelle varie tribù nere sono caratterizzate nello stesso modo; e secondo Burton, gli uomini Somal “scelgono, da quanto dicesi, le loro mogli mettendole in fila e prendendo quella che sporge di più a tergo. Non v’ha nulla che dispiaccia più ad un nero quanto la forma opposta”.
Rispetto al colore, i neri si burlavano di Mungo Park per la bianchezza della sua pelle e pel suo naso sporgente, che consideravano entrambi come “conformazioni spiacevoli all’occhio e non naturali”. Egli in cambio lodava il nero lucente della loro pelle e la delicata depressione del loro naso; così egli era, come dicevano essi “una bocca di miele”, intanto gli davano da mangiare. Anche i Mauri Africani “facevano il cipiglio e parevano rabbrividire” per la bianchezza della sua pelle. Sulla costa orientale, i fanciulli quando videro Burton, sclamarono: “Guarda l’uomo bianco, non rassomiglia egli ad una scimmia bianca?”. Sulla costa occidentale, come mi comunica il signor Windwoad Reade, i neri ammirano una pelle nerissima molto più che non una tinta più chiara. Ma il loro orrore per la bianchezza può essere in parte attribuito, secondo lo stesso viaggiatore, alla credenza della maggior parte dei neri che i demoni e gli spiriti siano bianchi.
I Banyai della parte più meridionale del continente sono neri, “ma moltissimi sono di una tinta chiara caffè e latte, ed invero questo colore è considerato bello in tutto il continente”, così noi abbiamo qui un’altra sorta di gusto. Nei Cafiri, che differiscono molto dai neri, “la pelle, tranne nelle tribù presso il golfo Delagoa, non è per solito nera, mentre il colore dominante è un misto di nero e di rosso, ed il più comune è il color cioccolata. Il colorito oscuro essendo il più comune è naturalmente tenuto in maggior conto. Dire ad un Cafiro che ha la pelle chiara o simile ad un bianco, sarebbe fargli un ben meschino complimento. Ho udito parlare di un pover’uomo il quale era tanto chiaro di colore che nessuna fanciulla voleva sposarlo”. Uno dei titoli del re Zulu è “Tu che sei nero”. Il signor Galton, parlando dei nativi del Sud Africa, osservava che la loro idea intorno alla bellezza sembra differire molto dalla nostra; perchè in una tribù, due sorelle, sottili e graziose fanciulle, non erano ammirate dagli indigeni.
Veniamo ora alle altre parti del mondo; a Giava, una fanciulla gialla e non bianca è considerata, secondo la signora Pfeiffer, come una bellezza. Un uomo della Cocincina “parlava con disprezzo della moglie dell’ambasciatore inglese perchè aveva i denti bianchi come quelli di un cane, e la tinta rosea come quella del fiore della patata”. Abbiamo veduto che i Cinesi non amano la nostra pelle bianca, e che gli Americani del Nord ammirano “una tinta affumicata”. Nel Sud America, gli Yuracaras, che abitano i pendii boscheggianti ed umidi delle Cordigliere orientali, hanno un colore sommamente pallido, come esprime il loro nome nella loro lingua; nondimeno considerano le donne europee come molto inferiori alle loro proprie.
In varie tribù dell’America settentrionale i capelli divengono prodigiosamente lunghi, e Catlin riferisce una prova curiosa, del come sia ciò stimato, perchè il capo dei Crows fu eletto a quest’ufficio per avere i più lunghi capelli di qualunque uomo della tribù, cioè tre metri e quindici centimetri. Gli Aymaras ed i Quichaus del sud America, hanno pure capelli lunghissimi, e ciò, secondo quello che ho imparato dal signor Dottor Forbes, è tanto considerato come una grande bellezza, che tagliarli sarebbe il più gran castigo che si potrebbe infligger loro. Nelle due metà del continente gli indigeni talora aumentano l’apparente lunghezza dei loro capelli intrecciandoli con sostanze fibrose. Quantunque i capelli siano così apprezzati, i peli del volto sono considerati dagli Indiani del Nord America “come molto volgari” ed ogni pelo è strappato con cura. Questa pratica domina in tutto il continente americano dall’isola di Vancouver a settentrione fino alla terra del Fuoco al mezzogiorno. Quando York Minster, un indigeno della Terra del Fuoco che era a bordo della Beagle venne riportato al suo paese, gl’indigeni gli dissero che doveva sradicarsi i pochi e brevi peli della sua faccia. Essi minacciarono pure un giovane missionario, che era stato lasciato per un certo tempo con essi, di metterlo nudo per strappargli tutto il pelo dal volto e dal corpo, sebbene non fosse per nulla un uomo molto peloso. Questa moda è spinta tanto in là che gli Indiani del Paraguay sradicarono le loro ciglia e le sopracciglia, dicendo che non vogliono rassomigliare a cavalli.
È cosa notevole che in tutto il mondo le razze le quali sono quasi al tutto sprovviste di barba non amano i peli del volto e del corpo, ed hanno cura di sradicarli. I Calmucchi sono senza barba, e si sa molto bene, che, come gli Americani, si sradicano tutti i peli; e così fanno pure i Polinesi, alcuni Malesi ed i Siamesi. Il signor Veitch afferma che le signore Giapponesi “criticavano tutte le nostre fedine, considerandole come cosa molto brutta, e ci consigliavano di tagliarle, onde rassomigliare ai Giapponesi”. Gli abitanti della Nuova Zelanda sono senza barba; si sradicano con gran cura i peli del volto, ed hanno un motto che dice: “Non v’ha donna per uomo peloso”.
D’altra parte, le razze barbute ammirano e stimano grandemente le loro barbe; fra gli Anglo-Sassoni, ogni parte del corpo, secondo le loro leggi, aveva un valore riconosciuto, “la perdita della barba era stimata a venti scellini, mentre la rottura di una coscia era calcolata solo dodici”. In Oriente gli uomini giurano solennemente per la loro barba. Abbiamo veduto che Chinsurdi, il capo dei Makaloli in Africa, considerava evidentemente la barba come un grande ornamento. Nei Figiani del Pacifico, la barba è abbondante ed ispida, ed è il loro maggior orgoglio; mentre gli abitanti degli arcipelaghi adiacenti di Tonga e di Samoa sono “senza barba, e detestano un mento ruvido”. In una sola isola del gruppo delle Ellici “gli uomini hanno molta barba, e non ne vanno poco alteri”.
Noi vediamo quindi in quanti modi diversi le razze umane differiscano nel loro gusto del bello. In ogni nazione sufficientemente avanzata da avere fatto effige dei loro Dei o dei loro dominatori deificati, non v’ha dubbio che gli scultori hanno cercato di esprimere il loro più alto ideale di beltà e di grandezza. Con questo modo di vedere è bene paragonare nelle nostre menti le statue greche di Giove e di Apollo colle Egizie e le Assire; e queste cogli orridi bassorilievi delle costruzioni diroccate dell’America centrale.
Io ho incontrato pochissimi fatti che diano una smentita alla suddetta conclusione. Il signor Winwood Reade, tuttavia, che ha avuto ampie opportunità per fare osservazioni, non solo coi neri della costa occidentale, dell'Africa, ma con quelli dell’interno che non hanno mai avuto che fare con Europei, è convinto che le loro idee intorno alla bellezza sono in complesso simili alle nostre. Egli ha osservato ripetutamente che le sue concordavano con quelle dei neri intorno alla estimazione della bellezza delle fanciulle indigene; e che il loro apprezzamento della bellezza delle donne europee corrispondeva al nostro. Essi ammirano i capelli lunghi, ed adoperano mezzi artificiali per farli comparire abbondanti; ammirano anche la barba, sebbene essi ne siano scarsamente forniti. Il signor Reade non è ben certo qual sorta di naso essi apprezzino: egli ha udito una fanciulla dire: “Non voglio sposarlo perchè non ha naso”; e questo dimostra che un naso molto piatto non è oggetto di ammirazione. Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che il naso molto depresso e le mascelle molto sporgenti dei neri della costa occidentale sono tipi eccezionali negli abitanti dell’Africa. Malgrado i sovra citati fatti, il signor Reade non crede probabile che i neri preferirebbero mai le donne più belle di Europa, per ciò che riguarda semplicemente l’ammirazione fisica, ad una avvenente nera.
La verità del principio, sul quale insisteva molto tempo fa Humboldt, che l’uomo ammira e sovente cerca di esagerare qualsiasi carattere che la natura possa avergli dato, è dimostrata in vari modi. La pratica delle razze senza barba, che estirpano ogni traccia di barba, e generalmente tutti i peli del corpo, ne offre un esempio. Il cranio è stato molto modificato durante i tempi antichi e moderni da molte nazioni; e non vi può essere guari dubbio che questo sia stato praticato, specialmente nell’America settentrionale e meridionale, onde esagerare qualche particolarità naturale ed ammirata. Si sa che molti Indiani Americani ammirano una testa appiattita ad un grado così estremo tanto da parere a noi simile a quella di un idiota. Gli indigeni della costa nord-ovest si comprimono il capo in un cono aguzzo, ed è la loro pratica costante di raccogliersi i capelli in un ciuffo sull’apice del capo, allo scopo, come osserva il D. Wilson, “di accrescere l’apparente altezza della loro forma prediletta a cono”. Gli abitanti di Arakhan “ammirano una fronte larga, liscia, ed onde produrla, legano una piastra di piombo sul capo dei loro bambini appena nati”. D’altra parte, “un occipite largo, bene arrotondato viene considerato come una grande bellezza” dagli indigeni delle isole Fiji.
Come pel cranio, così pel naso; gli antichi Unni durante il secolo di Attila solevano appiattire il naso dei loro bambini con fasciature, “affine di esagerare una conformazione naturale”. Negli abitanti di Taiti, essere chiamato naso lungo viene considerato come un insulto, ed essi comprimono il naso e la fronte dei loro bambini per farli più belli. Così segue pure fra i Malesi di Sumatra, Ottentoti, certi Neri, e gl’indigeni del Brasile. I Cinesi hanno naturalmente piedi piccolissimi; e tutti sanno che le donne delle classi superiori si deformano i piedi per farli sempre più piccoli. Infine, Humboldt crede che gl’indigeni Americani preferiscono di colorire il loro corpo di rosso onde esagerare la loro tinta naturale; e fino a poco tempo fa le donne europee accrescevano il loro vivace colorito naturale con liscio bianco e rosso; ma dubito che molte nazioni barbare abbiano avuto una intenzione particolare nel dipingere il loro corpo.
Nelle mode dei nostri vestiti vediamo esattamente lo stesso principio e lo stesso desiderio di spingere ogni particolare all’estremo; noi mostriamo pure lo stesso spirito di emulazione. Ma le mode dei selvaggi sono molto più permanenti che non le nostre; ed ogniqualvolta i loro corpi sono modificati artificialmente questo è di necessità il caso. Le donne arabe del Nilo superiore impiegano circa tre giorni per acconciarsi i capelli; esse non imitano mai altre tribù, “ma semplicemente si contendono a vicenda la supremazia della loro propria foggia”. Il dottor Wilson, parlando dei cranii compressi di varie razze Americane, aggiunge, “questi usi sono fra i meno facili da sradicare, e sopravvivono lungamente all’urto dei rivolgimenti che mutano le dinastie, e cancellano particolarità nazionali più importanti.
Lo stesso principio viene largamente in giuoco nell’arte della scelta; e noi possiamo comprendere in tal modo, come ho già spiegato altrove, il meraviglioso sviluppo di tutte le razze di animali e di piante che si tengono soltanto per scopo di ornamento. I dilettanti desiderano sempre che un dato carattere venga in certo modo accresciuto; non ammirano un livello mezzano; certamente non vogliono nessun grande e repentino mutamento nel carattere delle loro razze; ammirano solo ciò che sono avvezzi a vedere, ma desiderano ardentemente di vedere ogni lineamento caratteristico un po’ più sviluppato.
Senza dubbio le forze di percezione dell’uomo e degli animali più bassi sono costituite per modo che i colori brillanti e certe forme, come pure i suoni armoniosi e ritmici, producono piacere e sono detti belli; ma la cagione di ciò non la conosciamo più di quello che conosciamo la cagione per cui certe sensazioni del corpo sono spiacevoli ed altre sono sgradevoli. Non è certo vero che siavi nella mente dell’uomo un qualche modello universale di bellezza rispetto al corpo umano. Tuttavia, è possibile che certi gusti possano nel corso del tempo divenire ereditari, sebbene io non abbia prove in favore di questa credenza; e se questo fosse vero, ogni razza avrebbe il suo innato modello ideale, della bellezza. È stato asserito che la bruttezza consiste nell’approssimarsi alla struttura di qualche animale più basso, e senza dubbio questo è vero per le nazioni più incivilite, nelle quali l’intelletto è più altamente apprezzato; ma un naso due volte più prominente, e gli occhi due volte più grandi del consueto, non si accosterebbero per nulla alla struttura di nessun animale più basso, e tuttavia sarebbero al tutto brutti ed orridi. Gli uomini di ogni razza preferiscono ciò che son soliti a vedere; non possono sopportare nessun grande mutamento; ma piace loro la varietà, ed ammirano ogni punto caratteristico portato ad un estremo moderato. Gli uomini avvezzi ad un volto quasi ovale, a fattezze diritte e regolari, ed a colori brillanti, ammirano, come sappiamo noi europei, questi particolari quando sono più fortemente sviluppati. D’altra parte gli uomini avvezzi ad una faccia larga, a zigomi sporgenti, a un naso depresso, ad una pelle nera, ammirano questi particolari allorchè sono fortemente sviluppati. Senza dubbio caratteri di ogni sorta possono agevolmente essere troppo sviluppati per essere belli. Quindi una bellezza perfetta, che comprende molti caratteri modificati in un modo particolare, sarà in ogni razza un prodigio. Come disse molto tempo fa il grande anatomico Bichat, se ognuno fosse stato sullo stesso modello, non vi sarebbe più la bellezza. Se tutte le nostre donne divenissero tanto belle quanto la Venere dei Medici, per un certo tempo questo ci piacerebbe, ma in breve desidereremmo variare; ed appena avremmo ottenuto la varietà, desidereremmo vedere certi caratteri nelle nostre donne un poco esagerati oltre il modello comune allora esistente.

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