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Mamma Lucia
o della pietas per i vinti


di Orazio Ferrara

"Song' tutt' figl' 'e mamma" era la semplice, ma lapidaria risposta di quella donna umile e forte ad un tempo, a chi le diceva di lasciar perdere, che non valeva la pena di sprecare tempo e denaro, "per quelli", ma soprattutto di correre quei grossi rischi per via degli ordigni inesplosi, soltanto per dare una più degna sepoltura a dei soldati tedeschi morti in combattimento.
In fondo si trattava pur sempre di nemici, di soldati che avevano perso la guerra e, si sa, la gente non è mai tenera con i vinti.

Si narra, ma l'episodio non è mai stato accertato, che un noto antifascista del posto, a seguito pressioni dai vertici del suo partito, si sia recato un giorno, in casa della donna per farla smettere con quella "pietà" verso i tedeschi.
La cosa poteva essere fraintesa e creare così una vera e propria grana politica. Sembra che dal colloquio l'uomo sia uscito assai turbato, e che abbia poi confidato ad un suo stretto collaboratore: "Quella lì, è una santa!".
L'episodio è credibile, visto poi il resto. Si era nell'immediato dopoguerra, le passioni politiche infiammavano gli animi, e l'odio delle fazioni non si fermava nemmeno davanti alla morte.

Eppure LUCIA APICELLA, così si chiamava quella donna umile e forte ad un tempo, raccoglieva e ricomponeva anche i resti dei caduti anglo-americani, solo che questi erano in numero minore. Lei, non faceva differenza di divise o di bandiere, davanti alla morte.

Ma come era cominciata tutta quella storia? Lucia Apicella nasce e vive la sua giovinezza nell'ubertosa frazione di Sant'Arcangelo di Cava de' Tirreni. Nella città natia, da cui peraltro mai si è allontanata, apre una piccola bottega di vendita di frutta e di ortaggi e da tale modesta attività ricava il magro sostentamento per vivere. La sua vita di popolana trascorre senza scossoni, tra quel suo negoziuccio e la vicina chiesa, in cui si reca a pregare appena può, essendo religiosissima, quando la sua Cava
de' Tirreni si trova ad essere in prima linea. Anzi parte integrante, quale caposaldo, del fronte di guerra.

Sono i giorni tremendi del settembre 1943 e nel Salernitano è in pieno svolgimento l'Operazione Avalanche, con cui gli Alleati, sbarcati nella piana del Sele a sud di Salerno, puntano ad occupare rapidamente Napoli. Una delle strade obbligate per le colonne anglo-americane è la statale 18, che passa proprio per il centro del territorio cavese. Il luogo per la configurazione morfologica, la strada corre incassata tra rilievi montuosi, diventa subito un punto nevralgico nello schieramento difensivo dei tedeschi. Da una parte dunque gli Alleati decisi a passare ad ogni costo, dall'altra i tedeschi decisi a non mollare. La battaglia è quindi inevitabile. E sarà violenta e sanguinosa.

Il 23 settembre 1943 ha inizio l'assalto decisivo del X Corpo d'Armata anglo-americano contro i panzergranatieri tedeschi della divisione Herman Goering, comandati dal generale Konrath e attestati a difesa di Cava. Intanto aprono vuoti paurosi nelle fila delle truppe germaniche i micidiali attacchi dei velivoli del XII Comando Supporto Aereo del generale Edwin J. House, e il cannoneggiamento della flotta alleata, ancorata nella rada di Salerno.
Malgrado ciò la resistenza è tenace. Alla fine i Commandos inglesi forzano il Passo di Molina di Vietri, che porta su a Cava. Da lì irrompono le colonne corazzate e le fanterie. Adesso è la stessa Cava ad essere investita in pieno dai combattimenti.

La battaglia infuria con alterne vicende, poi i tedeschi iniziano a indietreggiare. La mattina i tedeschi iniziano il ripiegamento. La mattina del 28 settembre gli Alleati sono a Nocera. La battaglia per Cava si è definitivamente conclusa, con un altissimo tributo di sangue da parte di entrambi i contendenti.

Come sempre i tedeschi si sono battuti bene. Le centinaia di caduti, tra le forre e i dirupi delle montagne cavesi, testimoniano del loro coraggio. Dalla sua bottega Lucia Apicella li ha visti passare nella loro divisa terribile. Sono molto giovani, ancora dei ragazzini, sono i ricambi della Goering, sempre dissanguata in tante battaglie e sempre ricostituita. Hanno forse vent'anni e nel volto già il pallore della morte. Vanno a prendere posizione contro il nemico che avanza, ma molti di essi restano lì, uccisi, non torneranno mai più nelle loro case.

Poi Lucia Apicella vede passare altri giovani, altre divise. Anche essi hanno disseminato di morti le pendici dei monti di Cava. Sono i vincitori, inglesi, americani, e hanno il tempo di raccogliere gran parte dei loro caduti.

Per i tedeschi no, non c'è stato tempo. Sono dovuti ripiegare sotto una valanga di ferro e fuoco. Hanno lasciato i loro morti dove sono caduti o alcuni li hanno seppelliti, di fretta, con le armi ancora in pugno sotto poche palate di terra.
E' stata orrenda la guerra negli occhi di Lucia Apicella, semplice donna del popolo che non mastica di ideologia. Per lei non contano le divise, le bandiere, le fanfare, le parole retoriche. Per lei quei giovani, andati al macello, sono tutti "figli di mamma".

Comunque la guerra è ormai lontana da Cava e tutti cercano di rimuovere il ricordo di quei giorni apocalittici. Ognuno vuole dimenticare, vuole vivere.
Per Lucia Apicella riprende la vita di sempre: attendere alle quotidiane necessità della bottega e, quando può, andare in chiesa a pregare. Non sa ancora che il destino ha in serbo per lei qualcosa di speciale. Un giorno assiste, con raccapriccio, ad una scena che le gela il sangue. Alcuni ragazzi, sotto lo sguardo indifferente dei passanti, giocano prendendo a calci un teschio di un soldato tedesco caduto in combattimento.

Per giorni e notti quella triste scena le ripassa negli occhi. Lucia non sa darsi pace di tanta innocente crudeltà. Le ripassano negli occhi i tristi giorni di quel tragico settembre del '43. Rivede quei giovani che marciano e che nel volto hanno già il pallore della morte. Finché una notte ha una visione. Vede in sogno una radura, nella radura otto croci divelte. Poi le appaiono otto soldati tedeschi, che, in un italiano stentato, la supplicano di restituire i loro resti mortali alle proprie madri in Germania. Questa visione cambia radicalmente la vita di Lucia Apicella. L'umile, timida e incolta popolana diventa allora una donna forte e volitiva. E comincia la sua missione. Dura, terribile, da togliere il respiro e, se non fosse per la sua profonda fede, anche il senno.

Comincia a percorrere, senza concedersi tregua, le forre e i dirupi delle montagne cavesi. I primi resti li scopre in una grotta del vicino Monte Castello. Ben tredici corpi accatastati alla rinfusa. E lei a ricomporre quei corpi in disfacimento. A conservare piastrine, foto, documenti e quant'altro potesse servire, un domani ad identificare le famiglie d'origine di quei poveri giovani.

Chiunque altro di fronte a tale primo tremendo impatto, si sarebbe arreso. Lucia Apicella no, continua. In località Arcara, altri 25 morti. Nuovamente le sue mani ricompongono, lavano quei corpi martoriati. Poi ancora avanti a chiedere, ad interrogare. Sono passati solo un paio d'anni dai giorni dei combattimenti e molti ricordano ancora con precisione ed indicano a quella donna, che ormai si è vestita di nera, i corpi dei soldati caduti e il luogo. Però sorridono sarcastici, quella donna deve essere pazza.

Ma lei, noncurante, va avanti. A santa Maria a Tuoro, altri 18 corpi. In un campo, coltivato a patate, addirittura 50 caduti in una sola volta, allineati come per un'ultima parata. E ancora resti a Santa Croce, alla Badia di Cava, a Monte Pertyoso. E ancora, ancora a Monte San Liberatore, a Pineta La Serra, ai Monti del Demanio. Non si concede tregua Lucia Apicella, le sue mani puliscono e lavano tutte quelle povere ossa, riponendole poi amorevolmente in cassettine di zinco, che ella stessa compra con i pochi risparmi messi da parte.
Perfino del pane quotidiano si priverebbe, pur di portare avanti la sua missione. Spesso, troppo spesso le sue mani, nel ricomporre quei miseri resti, toccano, urtano, smuovono micidiali armi ancora efficienti con il colpo in canna, bombe a mano inesplose, mine pronte a dilaniare.

Ma lei niente, non ha paura. Confesserà in seguito di essersi consegnata, fin dall'inizio della sua missione, completamente nelle mani di Dio. E certamente il buon Dio avrà mandato un angelo a proteggere quella "pazza d'amore" affinché non le succedesse nulla.

Ormai la conoscono tutti. La sua figura ieratica, risaltata dalla veste nera, è inconfondibile. Si aggira per i posti più scoscesi e malagevoli, a qualunque ora del giorno e con qualunque tempo. Adesso nessuno più dice che è una pazza, qualcuno, quando la vede passare, piange. Sembra essersi caricata del dolore di tutte le madri del mondo, che hanno perso il figlio in guerra. Per tutti è ora Mamma Lucia, che liberamente ha scelto di essere la madre di tutti quei giovani caduti nel territorio cavese. Lei si schernisce, non vuole ammirazione, e tira avanti per la sua strada.

A volte la natura le dà una mano, con il dilavamento dei terreni a seguito delle piogge molti corpi riaffiorano dal terreno. Qui deve far presto, per evitare che i cani randagi ed altri animali facciano scempio. E' una fatica terribile.
Tanti corpi poi, dato il breve tempo trascorso, non sono completamente consumati, e quindi occorre seppellirli nuovamente a più profondità e in luoghi più degni, che lei accuratamente sceglie, per essere successivamente riesumati. Ha bisogno di aiuto. Allora chiede, bussa, supplica, tempesta.

In data 16 luglio 1946 l'Amministrazione Comunale di Cava le concede le necessarie autorizzazioni sanitarie e l'assistenza di due becchini. Ben presto quest'ultimi però non ne vogliono sapere di svolgere quel lavoro così rischioso in mezzo a tanti ordigni bellici inesplosi. Li pagano per fare i becchini, non gli eroi. E così Mamma Lucia è nuovamente sola. Chiede aiuto ad una sua amica, tale Carmela Passero, che coraggiosamente non si tira indietro.

Le cassettine di zinco, in cui depone con amore di madre le spoglie dei soldati, vengono trasportate dalla stessa Lucia nella Chiesa di Santa Maria della Pietà, e mai scelta poteva essere più appropriata, detta comunemente di San Giacomo. E' la chiesa più antica del Borgo Scacciaventi di Cava ed un più degno sacrario Mamma Lucia non poteva trovare per i suoi "figli".
Di questo sacrario ne diviene la degna guardiana, tra ceri e preghiere. Alla fine della sua missione ha raccolto le spoglie di oltre 700 caduti. Immensa anche la raccolta di piastrine di riconoscimento, documenti, foto, che permettono la traslazione di molti caduti ai luoghi di origine. Così tante famiglie hanno finalmente una tomba su cui piangere il proprio caro.

La straordinaria e meravigliosa storia di quella donna umile e forte ad un tempo, comincia così a travalicare gli angusti confini locali. Prima la stampa nazionale, poi quella internazionale s'interessano del caso. Adesso non solo la sua città natia l'ama e l'ammira. Ma tutta l'Italia, Tutta l'Europa, il mondo intero.

ucia Apicella, nella sua infinita bontà, era riuscita ad essere il simbolo vivente della Madre dolorosa, che piange il figlio perduto in guerra. E veramente ella si sentiva madre di tutti quei ragazzi, le cui ossa giacevano in quelle cassettine e su ognuna di esse aveva versato calde lacrime. Una madre che era riuscita ad andare oltre le divise, oltre le bandiere.

Molti, tanti hanno poi scritto cose bellissime su di lei. Citiamo per tutti lo scrittore e storico inglese Hugh Pond, che nel libro "Salerno" sull'Operazione Avalanche, edito in Italia per i tipi della Longanesi nel 1966, scrive:
" A 64 anni Mamma Lucia era ancora alta e diritta, nonostante tutta una vita di lavoro. I suoi occhi allora, come lo sono ancora oggi, erano neri e penetranti, e i suoi lineamenti si stagliavano aguzzi col naso imperioso sotto la fronte alta.. I capelli, appena toccati dal grigio, erano severamente tirati indietro. Le mani portavano i segni del lavoro consacrato, e nell'austero lungo vestito nero essa somigliava ad una suora, mentre la pace del suo volto ricorda una figura di Michelangelo".

L'umiltà non abbandonerà mai Lucia Apicella. Quando agli inizi degli anni Cinquanta viene invitata in Germania da quel governo per ricevere l'altissima onorificenza della Croce al Merito Germanico, resta sgomenta.
Si chiede cosa abbia fatto per meritare simile onore. Per i tedeschi ella è una figura popolarissima. Tutti la chiamano affettuosamente Mama Luzia. Tante madri tedesche hanno avuto una tomba su cui finalmente piangere, grazie a lei.
Più tardi lo stesso Stato italiano la ritiene meritevole di un alto riconoscimento e così il 2 giugno 1959, festa della repubblica, il presidente Giovanni Gronchi le conferisce l'onorificenza della Commenda al Merito della Repubblica. La città di Salerno la nomina cittadina onoraria. Infine la sua Cava, fiera di tanta figlia, le dona una pergamena in cui è proclamata pubblicamente l'ammirazione di tutta la comunità per la sua opera.

Ma Lucia Apicella non si monta la testa, continua a pregare e a vegliare su quei "suoi figli", che riposano nella chiesa di San Giacomo al Borgo Scacciaventi. Soltanto l'ottusa burocrazia riuscirà a sfrattarla, quando, a seguito del terremoto del 1980, la chiesa viene dichiarata inagibile. E' giocoforza, lasciare. Pregherà per "i suoi figli" da casa sua, vicino alla finestra. Così per i pochi anni che le restano, la gente che passa ne vede l'ombra dietro i vetri della finestra.

Quando muore l'intera città di Cava resta incredula e frastornata. E' un pezzo della sua storia che se ne va. I funerali, per volontà unanime del Consiglio comunale, sono pubblici e solenni, con la camera ardente allestita nel palazzo municipale.
Qui tutta la città si reca a rendere omaggio a Mamma Lucia, esposta in una bara di vetro. Ci vogliono due giorni interi per far defluire tutta quella fiumana di gente, composta da persone di ogni età e censo. Migliaia i telegrammi e i messaggi di cordoglio da ogni parte del mondo. Uno dei più toccanti quello del Presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini.

Sono ormai passati molti anni e Cava de' Tirreni non ha mai dimenticato la sua Mamma Lucia. Già un suo busto in bronzo è collocato nel cortile della scuola elementare "Don Bosco" di corso Mazzini. A perenne memoria delle future generazioni.
Recentemente si va coagulando un vasto movimento d'opinione per donare alla città un monumento per Mamma Lucia. Si stanno già raccogliendo i fondi. Offerte sono arrivate dalla Germania, dall'Inghilterra, dalla lontana Australia e perfino dalla Spagna. Sempre per finanziare tale opera è stata realizzata e messa in vendita una cartella di sei litografie "Un Monumento per Mamma Lucia", realizzate da alcuni dei più validi artisti del Salernitano.

Dunque Mamma Lucia, al secolo Lucia Apicella, non è stata dimenticata. E non poteva esserlo. La sua eroica umanità è già nella Storia e travalica nella leggenda. E quale miglior epitaffio per questa donna straordinaria e sublime se non la stupenda frase del citato storico inglese Pond:
" Le mani portavano i segni del lavoro consacrato".

A cura di Orazio Ferrara

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(*) L'immagine in apertura, è solo simbolica (ma profetica)
ed è quella di un manifesto dipinto da Boccasile
durante il periodo del conflitto.

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