CHURCHILL DISSE:
"QUEST'EUROPA S'HA DA FARE…"

di FERRUCCIO GATTUSO

L'Europa che usciva dal secondo conflitto mondiale doveva affrontare moltissimi problemi, primo dei quali una profonda ricostruzione materiale e morale. Gli errori del primo dopoguerra non andavano ripetuti, le divisioni tra stati andavano ridotte al minimo. Fu chiaro a tutti gli stati occidentali, ad esempio, che la Germania sconfitta andava al più presto reinserita nel consesso internazionale. 
Ovviamente, nuovi problemi andavano delineando lo scenario europeo e mondiale, non ultima la condizione di "guerra fredda" che stava dividendo il mondo in due blocchi contrapposti facenti capo agli Stati Uniti e all'Unione Sovietica. La necessità di una forma di unità europea si faceva imminente, ma diverse e articolate erano le strategie, anzi dovremmo dire le posizioni "filosofiche" su cosa gli Stati Uniti d'Europa dovessero essere. 

Abbiamo già accennato sul contrasto tra federalisti e confederalisti, o per meglio dire tra costituzionalisti e unionisti (i primi promotori di una nuova costituzione europea, i secondi più propensi ad una libera unione tra Stati): indubbiamente, non era possibile (e non è ancora oggi possibile) fare a meno dell'entità statale, del concetto di Stato nazionale. 
A maggior ragione alla fine degli anni quaranta, dopo uno scontro durissimo tra nazioni e nazionalismi, la prospettiva di una riduzione di potere statale era un'ipotesi avveniristica. Fondamentale per superare l'impasse creata da questo confronto tra unionisti e costituzionalisti sarà l'operato politico di personaggi come Monnet, De Gasperi, Schuman e Adenauer. A contrastare la concezione federalistica esaltata nel Manifesto di Ventotene vi erano forze tutt'altro che remissive e ininfluenti. 

Per opposte ragioni e strategie, infatti, le due forze di ostruzionismo maggiore erano per una certa destra democratica nazionalista - della quale il campione indiscusso può essere considerato il presidente francese Charles De Gaulle - e il movimento comunista internazionale. A proposito del secondo, anche alla luce delle rivelazioni degli ultimi anni sul rapporto strettissimo con l'Unione Sovietica, non si può fare a meno di considerare come una forte unione europea, chiaramente "occidentale", fosse vista come fumo negli occhi dal grande avversario moscovita. La "solidarietà" dei vari PC europei con la Chiesa russa non poteva che implicare una politica di ostruzionismo nei confronti di una unione europea alleata degli Stati Uniti. 

La GUERRA FREDDA condizionò inevitabilmente lo sviluppo del progetto europeo.
In questo scenario di drammatica contrapposizione tra blocchi, la carismatica figura di Winston Churchill si staglia come una delle principali personalità che cercarono di stimolare una forma di unità europea. 
Nell'agosto del 1946, il premier britannico aveva pronunciato il famoso discorso all'università di Fulton, in Missouri, nel quale prendeva atto che "da Stettino a Trieste era calata una cortina di ferro", e il blocco occidentale non poteva prescindere da questa nuova situazione. 
Poche settimane dopo, il 19 settembre, Churchill pronunciò un altro importante discorso all'università di Zurigo. Gli Stati Uniti d'Europa - questa la constatazione dello statista inglese - non erano un auspicio, ma una necessità storica. La prima tappa di questa "rivoluzione istituzionale" doveva essere la creazione di un Consiglio d'Europa. Churchill alludeva ad una unione tra Stati che desideravano aderire, sotto la guida della Francia e della Germania. Questa unione - vista come unica garanzia di pace e prosperità nel nuovo scenario internazionale - doveva però considerare l'esclusione della Gran Bretagna. 

Il sasso nello stagno c'era comunque finito, e a lanciarlo era stato uno dei grandi "leoni" (anzi, il Leone) della vittoria nell'ultima guerra. Impossibile non tenerne conto. Tre anni dopo, il 17 marzo 1948, si raccoglievano i primi frutti: la "macchina europea" si metteva in moto con la firma del Trattato di Bruxelles. Gran Bretagna, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi si accordavano per una cooperazione politico-economica-militare. 
Tra le maggiori priorità vi era indubbiamente quella di organizzare la ricostruzione di uno stretto rapporto tra stati europei occidentali, nella cornice economica creata dal Piano Marshall americano. Ad aprile infatti lo stesso segretario di Stato americano George Marshall si fa promotore teorico della prima organizzazione europea del dopoguerra, l'OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), che nel 1961 avrebbe preso il nome di OCSE.

In maggio viene così organizzato un altro importante congresso all'AJA, la cui presidenza viene affidata a Winston Churchill. L'AJA (7-11 maggio 1948) - dove accorsero i principali uomini politici, industriali, dirigenti sindacali e intellettuali europei - fu una buona occasione per mettere ufficialmente a confronto le posizioni degli unionisti e dei costituzionalisti. 
Questa frattura "ideologica" però sarà alla base dell'inconcludenza del congresso, rivelatosi comunque utile poiché aveva avuto il merito di "dispiegare le forze in campo". 

In ogni caso, "figlio" di questo congresso sarà il CONSIGLIO D'EUROPA che nascerà il 5 maggio 1949. Un mese prima un'altra organizzazione, militare e strategica, aveva visto la luce: era la NATO (North Atlantic Treaty Organization) cui avevano aderito quasi tutti i paesi europei occidentali (Gran Bretagna, Francia, Benelux, Norvegia, Danimarca, Islanda, Portogallo, Italia) insieme agli Stati Uniti e al Canada. 
Il Consiglio d'Europa accetta anche gli Stati neutrali (Austria, Svizzera e Svezia) e si pone come principali obbiettivi una più stretta collaborazione per "salvaguardare e promuovere gli ideali e i princìpi che sono patrimonio comune e di favorire il loro progresso economico e sociale", l'impegno per una Convezione europea dei diritti dell'uomo e la realizzazione di un Centro europeo di cultura. Il 10 maggio l'Assemblea consultiva del Consiglio d'Europa terrà la prima seduta a Strasburgo.

Nell'evoluzione, apparentemente veloce, di questi fatti europei non si può non tenere conto di due venti "condizionanti" come il colpo di stato in Cecoslovacchia ad opera dei comunisti (appoggiato ovviamente da Mosca) e il Blocco di Berlino da parte dell'U.R.S.S. Il colosso sovietico faceva paura. Le emergenze della Guerra Fredda sicuramente non erano un buona base di sviluppo per le idee costituzionaliste e federaliste europee. La contrapposizione col blocco comunista presupponeva, certo, una forte collaborazione e unione tra Stati, ma allo stesso tempo l'entità statuale non poteva essere indebolita. Cominciò quindi a farsi strada una politica "minimalista", fatta cioè di piccoli e concreti passi, più che fortemente utopista. 

Il primo, fondamentale, passo viene mosso in Francia. All'opera instancabile di JEAN MONNET si deve infatti il progetto di una comunità del carbone e dell'acciaio. Una volta constatata l'opinione favorevole dell'alleato americano ad una piena ripresa della Germania (occidentale: dal Blocco di Berlino il paese era stato diviso in due, e al blocco orientale aveva aderito la DDR, ndr), l'ipotesi di un riarmo tedesco e di una piena riconciliazione tra Germania e Francia non poteva che passare da un accordo nel campo delle risorse energetiche (l'antico nodo della Ruhr e della Saar). 

La proposta di Monnet trovò un alleato nel ministro degli Esteri francese ROBERT SCHUMAN che nel maggio 1950, in una conferenza stampa, annuncia l'idea di porre la produzione franco-tedesca del carbone e dell'acciaio sotto un'Alta Autorità comune. Si tratta di un progetto tecnico che va sotto il nome di Dichiarazione Schuman e col quale, per usare le parole del suo realizzatore, "ogni guerra tra la Francia e la Germania diventa non solo impensabile ma materialmente impossibile". 

La conseguenza immediata di questo progetto è prettamente "filosofica": d'ora in poi, quando una questione particolare divide alcuni stati europei, la sua soluzione deve avvenire non da accordi bilaterali, ma dalla creazione di istituzioni comuni con fini di interesse generale. Non più accordi inter-governativi, quindi, bensì "comunitari". Il primo seme della Comunità Europea era stato piantato. Altro aspetto fondamentale (perfetto esempio della politica dei "piccoli passi") fu la modalità di accesso a questo progetto: la CECA sarebbe nata non da un accordo unanime di tutti i paesi occidentali, ma avrebbe accettato gradualmente tutti coloro che nel tempo avrebbero voluto integrarsi. Un approccio pragmatico, quello di Schuman, che avrebbe oltrepassato le continue polemiche tra unionisti e costituzionalisti. 
Contemporaneamente, il 24 ottobre il Primo ministro francese RENE' PLEVEN si fa promotore di un'iniziativa nel campo della difesa: è la CED (Comunità Europea di Difesa). Il progetto - che prevede il riarmo della Germania e il suo coinvolgimento attivo - è destinato al fallimento nonostante i pareri favorevoli dell'Assemblea consultiva del Consiglio d'Europa (25 novembre) e del Consiglio Atlantico (febbraio 1952).

Il 30 agosto del 1954 sarà, paradossalmente, proprio l'Assemblea nazionale francese, riflettendo lo scetticismo delle forze politiche francesi, a boicottarne la ratifica. Nel fallimento della CED non si può fare a meno di considerare l'importanza di una nuova situazione politica internazionale e nazionale francese. Nel 1953 la morte di STALIN sembrava portare ad un miglioramento dei rapporti tra Est ed Ovest. A questo si aggiunse l'instabilità politica della IV Repubblica francese, condizionata dall'atteggiamento del Primo ministro PIERRE MENDÈS FRANCE , decisamente tiepido nel dibattito europeo e poco combattivo nei confronti della dura opposizione di gollisti e comunisti al progetto difensivo sovranazionale. Il 18 aprile 1951, comunque, a Parigi viene firmato il trattato fondatore della CECA.

L'istituzione sarà presieduta, come detto, Da un Alta Autorità sovranazionale, da un Consiglio dei Ministri composto da rappresentanti governativi di tutti gli Stati coinvolti e da un'Assemblea parlamentare ("designata" ma eleggibile in prospettiva a suffragio universale, ndr). Il rapporto tra Alta Autorità (elemento sovranazionale) e Consiglio dei Ministri viene si rivela un eccellente compromesso tra le due visioni federalista e confederata. Dalla CECA nascerà l'Europa dei Sei (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania Ovest).

Gli anni Cinquanta saranno un periodo proficuo per il progresso dell'idea europeista, molto più che il decennio seguente. Dopo il successo della CECA, l'Europa si avviava verso la creazione di altre istituzioni organizzate bilanciate sui due diversi princìpi europeisti.
Il "memorandum Spaak" (dal nome del politico belga PAUL-HENRI SPAAK, ndr) del 1955 diventa la base per un nuovo progetto d'Europa, e auspica la creazione di due Comunità: la prima è il Mercato Unico, da ottenere mediante l'abolizione di tariffe doganali, l'adozione di politiche commerciali comuni e la "libera circolazione dei lavoratori, delle merci e dei capitali"; la seconda, più circoscritta, attiene allo sviluppo dell'energia atomica ad uso pacifico. Questa proposta divenne base di discussione nel biennio seguente. 

Nella primavera del 1956 il Consiglio dei Ministri della CECA approvava il rapporto della Commissione Spaak e iniziavano così a Bruxelles i negoziati per la costituzione della CEE e dell'EURATOM. In questo frangente storico vanno considerati alcuni eventi che indubbiamente contribuirono al cambiamento di clima dallo stallo seguito al fallimento della CED a causa della Francia: innanzitutto l'evoluzione del partito socialdemocratico tedesco, guidato dal segretario Ollenhauer, verso posizioni europeiste, fattore che slegherà le mani alla politica del premier ADENAUER; in seguito, la sconfitta dei gollisti (strenui oppositori dell'Europa) alle elezioni del gennaio 1956, che portarono alla nascita di un governo francese più propenso alla discussione europeista.

 La crisi del canale di Suez in Egitto e l'intervento armato sovietico in Ungheria nello stesso anno furono poi le spinte decisive a buttarsi nel progetto europeo. Suez aveva messo francesi e inglesi (e in un certo senso tutti gli europei) di fronte alla cruda realtà: gli equilibri degli opposti blocchi tra le Superpotenze imponevano una pax Russo-Americana.
La crisi energetica successiva ai fatti di Suez e le pressioni sovietiche e americane per obbligare i paracadutisti anglo-francesi a recedere dal progetto di intervenire contro l'Egitto avevano indotto gli stati europei a pensare come possibile, almeno a lungo termine, la possibilità di un sistema difensivo comune. Che diveniva addirittura indispensabile pensando ai fatti di Budapest: l'imperialismo sovietico era una minaccia costante. 

Il 25 marzo 1957,a Roma, i governi dei Sei firmano i due nuovi trattati europei che danno vita alla CEE e all'EURATOM, che entreranno in vigore dal 1 gennaio 1958. Sette anni più tardi, nell'aprile 1965, un "trattato di fusione" (in vigore dal gennaio 1967) sancirà l'unificazione di CEE, CECA e EURATOM. 
Nel marzo del 1958, invece, si riunirà per la prima volta l'Assemblea Parlamentare europea, composta da 142 delegati provenienti dai rispettivi Parlamenti nazionali e presieduta da Robert Schuman. Il consolidamento della Comunità Europea avverrà nei trent'anni che seguiranno, e cioè fino ai giorni nostri, sempre per piccoli passi. Innanzitutto si registrerà l'allargamento a tutti i paesi dell'Europa occidentale: nel 1973 si unirà la Gran Bretagna, poi Irlanda e Danimarca, nel 1981 sarà la volta della Greci, nel 1986 aderiranno Spagna e Portogallo (dopo l'esaurimento delle rispettive dittature), nel 1995 (è storia di ieri) faranno parte del gruppo comunitario anche la Finlandia, la Svezia e l'Austria. 

Inizialmente la nascente Comunità Europea dovette affrontare le diffidenze della Gran Bretagna, da sempre culturalmente restia a rapporti troppo stretti con il continente. Gli Stai Uniti, invece, so dimostrarono da subito accesi sostenitori di un rafforzamento dell'Europa in funzione anti-sovietica. Gli anni Cinquanta si chiudono con l'iniziativa di alcuni Stati europei a formare una zona di libero scambio "regionale", l'organizzazione che ne sarà a capo sarà denominata EFTA. 

Gli anni Sessanta promettono di essere anni di continui slanci e rallentamenti nella costruzione del castello europeo. Qualche anno prima, infatti, nel 1958, CHARLES DE GAULLE era tornato al potere in Francia; sebbene ormai propenso ad un'evoluzione in senso europeo, il carismatico generale seguì un percorso di "avvicinamento" all'Europa sempre molto prudente.
Le diffidenze di De Gaulle, uomo legato per formazione culturale e generazionale ai vecchi equilibri geo-strategici di un mondo ormai al tramonto, andavano verso il rivale di sempre, la Gran Bretagna. Naturalmente, l'influenza politica di Londra sul continente non era ben vista da Parigi. 
Dal 1961 il governo conservatore inglese guidato da HAROLD MAC-MILLAN dimostra un inaspettato slancio verso la Comunità Europea. I rapporti preferenziali di Londra con i Paesi del Commonwealth però condizionano la discussione, poiché Londra vorrebbe avere in Europa un trattamento analogo (e quindi preferenziale).

La politica gollista, inoltre, avverserà sempre con decisione qualsiasi ipotesi "sovranazionale". La concezione del governo francese si baserà sulla cooperazione privilegiata, ma è estremamente diffidente verso la creazione di istituzioni europee tout court. Il Piano Fouchet, promosso dalla Francia, non è che il riflesso di questa visione politica, punta cioè ad una cooperazione su base inter-governativa. Il piano, e le strategie francesi, non sono gradite a Washington dove il presidente KENNEDY  si esprime chiaramente in favore di un'unità europea senza esitazioni a formare un "partenariato egualitario" tra Europa e Stati Uniti, un pilastro ulteriore dell'Alleanza Atlantica. De Gaulle vede in queste mosse americane, e nel rapporto preferenziale tra Washington e Londra, autentiche minacce all'indipendenza europea e, di conseguenza, francese. 
De Gaulle si opporrà sempre, quindi, all'entrata della Gran Bretagna a pieno titolo nella Comunità Europea. Il Generale, nei primi anni Sessanta, sarà il responsabile di una politica di avvicinamento alla Germania per ribadire l'importanza dei rapporti inter-governativi, ma la risoluzione del Bundestag a conferma della fedeltà alla NATO e alla CEE (quello che De Gaulle definirà un "orribile orpello") sancirà la fine di questa politica fondata solo sugli Stati. 

Gli ultimi atti di orgoglio di Parigi saranno l'abbandono del comando integrato della NATO, nel maggio 1966 e la "politica della sedia vuota" al Consiglio dei Ministri europeo in seguito alle decisioni del Compromesso di Lussemburgo del gennaio 1966. Questo compromesso stabiliva che, di fronte ai contrasti internazionali, si doveva cercare comunque un consenso comune, il meno doloroso possibile per gli Stati. La Francia rivendicava invece il perseguimento degli interessi nazionali. De Gaulle lascerà il potere nel 1969 . La fine degli anni Sessanta videro un'improvvisa accelerazione delle edificazione comunitaria.

La nuova presidenza francese retta da GEORGES POMPIDOU si rivela diametralmente opposta a quella di De Gaulle. La prima proposta di Parigi è infatti quella di convocare immediatamente un vertice europeo. Il 1 e 2 dicembre 1969, all'Aja, si svolge così un summit che sancisce alcuni obbiettivi fondamentali: l'allargamento della CEE, la definizione di una unione monetaria ed economica (UEM) e il rilancio dell'ipotesi di unificazione politica. In pratica, la strategia che porterà verso l'esito finale di Maastricht. 

Nel 1973, come detto, il Regno Unito entra definitivamente nella Comunità Europea: il referendum organizzato dal nuovo premier laburista HAROLD WILSON sancisce la vittoria dei sì all'adesione del 67,2% (oltre due terzi) degli elettori. La CEE può ora puntare all'allargamento verso Sud. La strada verso Maastricht viene spianata dal Rapporto Werner (dal nome del ministro degli Esteri lussemburghese PIERRE WERNER, ndr): promulgato nell'ottobre 1970, esso mette in risalto l'importanza di un Mercato comune europeo che abbia come fondamentale base l'unione monetaria. 

L'introduzione di una moneta unica implica la creazione di un organo centrale sovranazionale di decisione e omologazione delle politiche economiche e di bilancio dei vari Stati. Il Piano fissa anche un calendario che sancisce la realizzazione dell'UEM entro il 1980, La crisi economica ed energetica del 1973 ritarderà questo progetto.

Negli anni successivi (1973-74) Francia e Germania premono per la creazione di un sistema monetario europeo (SME), che dovrà basarsi su una moneta di riferimento chiamata ECU (Unità di conto europea). Il Consiglio di Bruxelles del dicembre 1978 sancirà la vittoria di questo punto di vista. Nel marzo 1979 viene così istituito lo SME. Il 7 e 10 giugno dello stesso anno si svolgono le prime elezioni dirette a suffragio universale per il Parlamento europeo, che si sarebbe riunito a Strasburgo nel luglio seguente. 

La vittoria del federalismo europeo sembra scontata, ma agli inizi degli anni Ottanta nuovi ostacoli si pareranno all'orizzonte. L'UEM, una maggiore rappresentatività delle istituzioni europee, una maggiore sensibilizzazione ai problemi comunitari dell'opinione pubblica dei vari Stati europei, l'affermazione di una chiara identità europea in politica estera sono solo alcune delle problematiche sul tavolo europeo. JACQUES DELORS, presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995 e MARGARET THATCHER, la "lady di ferro" del governo britannico, illustre "euroscettica", rappresentano i due punti di vista contrastanti del nuovo sviluppo europeo. Il rallentamento della "marcia verso l'Europa" termina con la crisi degli euromissili, una delle più gravi dai tempi del Blocco di Berlino. 

Nel 1979 i sovietici avevano invaso l'Afghanistan, cacciandosi nel loro personale Vietnam, e ora puntavano i loro SS-20 sulle capitali occidentali. In Polonia, il generale Jaruzelski attuava un colpo di stato. Il raffreddamento Est-Ovest in atto portò come conseguenza, nonostante grandi manifestazioni pacifiste a senso unico (oggettivamente funzionali alla strategia sovietica) una nuova solidarietà occidentale. I governi che saliranno al potere un po' ovunque in Europa saranno tutti, ad eccezione di quello britannico, apertamente europeisti (MITTERAND in Francia, KOHL in Germania, GONZALES in Spagna). 

In sede di parlamento europeo importante si rivelerà l'attività di Altiero Spinelli, federalista italiano della prima ora, che spingerà per la redazione di un progetto di trattato che istituisca l'Unione europea. In quest'ottica, il Parlamento europeo assume nuova importanza. 

Nel febbraio del 1986 viene firmato l'ATTO UNICO (in vigore dal 1 gennaio 1987), frutto dell'operato di una Conferenza inter-governativa negli anni precedenti. L'Atto Unico è in pratica una riforma del Trattato di Roma del 1957: con esso si cerca di rendere il processo decisionale più agile all'interno della CEE. L'Atto Unico prevede, entro la fine del 1992, la realizzazione dell'abbattimento delle frontiere commerciali e professionali all'interno della Comunità Europea. 
L'Atto Unico, sebbene sia un importante momento storico della processo di unificazione europea, non è stato risparmiato da critiche, soprattutto da parte di accesi federalisti come Spinelli stesso ("la montagna ha partorito un topolino"). L'Atto Unico non avrebbe cioè una decisa spinta riformistica e si impegnerebbe unicamente sul fronte monetario ed economico, e non politico. Le forze conservatrici dei vari Paesi imputano a questo progetto europeo un eccessiva burocratizzazione: alla fine degli anni Ottanta sembra non sono pochi gli euroscettici, i quali temono che l'Europa sovranazionale possa diventare un mostro burocratico lontano dagli interessi "locali". Le forze cosiddette "progressiste" invece, da parte loro, vedono nell'Europa che nasce un teatro di operazioni meramente liberiste che rischiano di portare ad una "deregulation" generalizzata dei servizi pubblici e sociali.

Intanto l'allargamento del progetto europeo coinvolge altri Stati. Il 15 febbraio 1991 Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria firmano un accordo di cooperazione che costituisce la prima integrazione regionale dal crollo dei regimi comunisti dell'Est. Il 21 febbraio la Cecoslovacchia diventa il venticinquesimo membro del Consiglio d'Europa. Il 19 giugno l'Albania partecipa alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE). 

Indubbiamente il crollo dei regimi comunisti dell'Est europeo nel 1989 aveva portato un profondo cambiamento allo scenario internazionale. 
Il 9 novembre 1989, insieme al famigerato MURO DI BERLINO, crollano tutte le strategie europeiste che consideravano come "terreno di operazione" l'Europa occidentale e basta. La Germania si avvia verso quello che sarà il trionfo di Helmut Kohl: la riunificazione della Germania. Un progetto, questo, che in quel preciso momento incontrava più ostruzionismo e diffidenza tra gli alleati occidentali (immortale la battuta di GILUIO ANDREOTTI: "Amo così tanto la Germania che ne voglio due") che da parte della Mosca gorbacioviana. 80 milioni di tedeschi uniti facevano paura, la Germania si avviava a diventare la nazione più potente del continente, dal punto di vista demografico e, soprattutto, economico. 

Kohl si sforzò sempre di rassicurare gli alleati, in primo luogo la Francia. Nella marcia di avvicinamento a Maastricht ci sarà tempo, per Germania e Francia, di realizzare un progetto in materia di difesa: nell'ottobre 1991 Mitterand e Kohl, infatti, propongono agli alleati europei un rafforzamento dell'UEO come "parte integrante del processo dell'Unione europea", ovviamente senza compromettere i rapporti all'interno dell'Alleanza atlantica, che resta prioritaria. In questa occasione i due governanti francese e tedesco annunciano la creazione di unità franco-tedesche, "nucleo di un futuro corpo europeo".

Una nuova Germania riottiene così in poco tempo gli antichi diritti politici, territoriali e militari, e si lancia in una politica di allargamento comunitario ad Est. Il 1991 - anno storico, soprattutto per il crollo dell'Unione Sovietica -si chiude con il Consiglio europeo di Maastricht, in Olanda (9-10 dicembre). 

Il vertice tra tutti i Paesi della CEE si conclude con la firma del Trattato dell'Unione (ratificato ufficialmente il 7 febbraio del 1992). Questo accordo (300 articoli, 17 protocolli e 36 dichiarazioni), che dovrà essere ratificato dai Parlamenti dei dodici Paesi, prevede l'adozione di una moneta unica entro il 1999. Oltre a questo storico passo, Maastricht annuncia la creazione di una Banca centrale comunitaria, la piena istituzione di una cittadinanza europea e la realizzazione di una comune politica estera e di difesa. Importanti accordi verranno raggiunti anche in campo fiscale e commerciale. 

Dopo l'Atto Unico, e soprattutto dopo Maastricht, la strategia dei "piccoli passi" e del compromesso tra visione sovranazionale (costituzionalista) e nazionale (unionista) si esaurisce. Anzi, con l'adozione della moneta unica e di una strategia comune di difesa, Maastricht è già un decisivo passo nella visione sovranazionale. L'Europa passa quindi dalla condizione di Comunità a quella di Unione. Il processo decisionale secondo Maastricht prevede la collocazione in posizione dominante del Consiglio. Esso però può agire solo su proposta della Commissione, che è l'organo sovranazionale.

Il Parlamento, in origine meramente consultivo, ha assunto sempre maggiori poteri, soprattutto con l'Atto Unico e con il Trattato di Maastricht. La realizzazione dell'Unione monetaria (UEM) non si raggiunse comunque in modo indolore, ma si dovettero superare diverse diffidenze, come quelle della Gran Bretagna, della Danimarca e della stessa Germania che esitava (comprensibilmente) all'idea di abbandonare la moneta più potente d'Europa, il marco. 

Dopo Maastricht, però, la palla passa all'insindacabile giudizio dei popoli europei. Comincia così una maratona che arriverà al traguardo europeo solo passando da diversi "scossoni", basti pensare alle titubanze britanniche, ma soprattutto nel cosiddetto Nord scandinavo. In una cornice particolare di politica estera (guerra del Golfo e nella ex-Yugoslavia), il 2 giugno 1992 la Danimarca si esprime per via referendaria con un no risicato ma pericoloso: con appena 50.000 voti di scarto vince il no con il 50,7%. Indubbiamente, le inquietudini internazionali giocarono un peso fondamentale, il dopo-Guerra Fredda si rivelava tutt'altro che stabile e pacifico, la Pax americana non era poi così scontata, ai confini dell'Europa "civile", nei Balcani, si consumava una mattanza inaudita dai tempi della Seconda guerra mondiale. Il risultato danese seminò il panico, e acuì un divario culturale tra le elités intellettuali e dirigenziali dei vari Paesi, fortemente europeiste, e le rispettive popolazioni, naturalmente diffidenti. 

Nel mese di settembre si registra una crisi in campo monetario: l'ascesa irresistibile del marco preoccupa i Paesi dell'unione, addirittura il 16 la sterlina esce dallo SME in seguito ai tentativi britannici di arginare la preponderanza di marco e dollaro. Il problema danese, nel frattempo, viene risolto con un compromesso: al Consiglio di Edimburgo (11 dicembre), su proposta britannica, vengono concesse alla Danimarca alcune deroghe al Trattato di Maastricht. La Danimarca sarebbe rimasta nell'Unione pur godendo dell'esenzione dalla moneta unica, dalla cittadinanza europea, dalla difesa comune, dalle competenze comunitarie in materia di giustizia. 

Il 18 maggio il secondo referendum danese si esprime quindi con un netto sì (56,8% dei voti). Due giorni dopo la Camera dei Comuni britannica approva il Trattato. 

Dal dicembre 1991 all'ottobre 1993 i referendum in tutte le nazioni europee ha tenuto la realizzazione dell'Unione europea in bilico. 

Il 1 gennaio 1994 a Bruxelles vede la luce lo Spazio economico Europeo, il più grande mercato comune del mondo, con 370 milioni di consumatori e un PIL annuo di 6.752 miliardi di dollari. L'accordo vede le firme dei Dodici dell'UE e i membri dell'EFTA (Austria, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda). 

Nonostante Maastricht sia indubbiamente un passo decisivo verso la dimensione sovranazionale dell'Unione europea, la piena realizzazione del progetto federalista - come l'avevano pensata uomini come Altiero Spinelli - è ancora di là da venire. Il Trattato di Amsterdam, firmato dai capi di stato e di governo dell'UE il 17 giugno 1997, vuole essere un consolidamento del progetto di Maastricht: piena realizzazione della Comunità europea, politica estera e di sicurezza comune, cooperazione nel settore giudiziario e degli affari interni. Con Amsterdam si sarebbe dovuto completare il progetto europeo di Maastricht: sviluppare, accanto ad una unione monetaria ed economica, una piena unione politica.

 Le decisioni fondamentali per realizzare pienamente gli Stati Uniti d'Europa sono ancora all'orizzonte. Le riforme istituzionali segnano il passo. Molte decisioni in campo ambientalistico, di sicurezza sociale, fiscalità, industria devono regolarmente essere prese dopo accettazione all'unanimità da parte di tutti i Paesi.

L'Unione europea appare quindi ancora troppo rigida nei suoi "movimenti" e nel fondamentale campo del meccanismo decisionale. Andrebbero approfonditi (in altra sede) alcuni problemi fondamentali, grandi scommesse e grandi prove per una piena realizzazione degli Stati Uniti d'Europa. Innanzitutto la realizzazione di una vera Difesa comune.

Il MILLENNIO  si chiude con inaspettati e cruenti conflitti ai confini dell'Europa. L'ultimo intervento armato contro Milosevic ha drammaticamente posto all'attenzione dell'opinione pubblica europea e mondiale le difficoltà di un'autonomia nel settore difensivo dell'UE. 

Il coordinamento NATO e la "regìa" degli Stati Uniti d'America appaiono ancora elementi dai quali è impossibile prescindere.

(FINE)

FERRUCCIO GATTUSO

 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
La costruzione dell'Europa, di F. Massoulié, G. Gantelet, D. Genton - Ed. Giunti Casterman (1997)
Il Manifesto di Ventotene, di Altiero Spinelli - Ed. Il Mulino (1991)
Diario Europeo, di Altiero Spinelli - Ed. Il Mulino (1992)

Si ringrazia per l'articolo  
FRANCO GIANOLA, 
direttore di 
STORIA IN NETWORK 

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