RIVOLUZIONE FRANCESE

1797

UN PIEMONTE QUASI DEMOCRATICO ?
CARLO EMANUELE IV DI SAVOIA ABDICA
 


L'occupazione dei Francesi a Torino il 7 dicembre 1798 - Nel riquadro Carlo Emanuele IV

quante cose accaddero per essere democratici
alla francese ...

CONGIURE E SOLLEVAZIONI IN PIEMONTE - RIFORME DI CARLO EMANUELE IV - IL GINGUENÈ AMBASCIATORE A TORINO - SUA OPERA IN FAVORE DEI NOVATORI - LE " BANDE INFERNALI" - LA BANDA DEL SERAS SCONFITTA AD ORNAVASSO - ESECUZIONI DI RIVOLUZIONARI A DOMODOSSOLA E A CASALE - OPERAZIONI PIEMONTESI CONTRO LA BANDA DI CAROSIO - GUERRA TRA IL REGNO SARDO E LA REPUBBLICA LIGURE - CONVENZIONE TRA CARLO EMANUELE IV E LA FRANCIA - I FRANCESI NELLA CITTADELLA DI TORINO - ALTRE SOMMOSSE E REPRESSIONI IN PIEMONTE - CONTEGNO DEI FRANCESI A TORINO - L' EYMAR E IL MÉNARD A TORINO - IL DIRETTORIO FRANCESE DICHIARA LA GUERRA AL RE DI SARDEGNA - ABDICAZIONE DI CARLO EMANUELE IV - SUA PARTENZA DA TORINO E SUO SOGGIORNO A PARMA E A FIRENZE - I SARDI SI DICHIARANO FEDELI ALLA MONARCHIA SABAUDA - CARLO EMANUELE IN SARDEGNA - SUA PROTESTA CONTRO LA FRANCIA - SPOLIAZIONI DEI FRANCESI IN PIEMONTE - II PIEMONTE IN REGIME DEMOCRATICO - VOTI PER L'ANNESSIONE ALLA FRANCIA - TUMULTI ANTIFRANCESI

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CONGIURE, SOLLEVAZIONI E RIFORME IN PIEMONTE
L'AMBASCIATORE GINGUENÉ - LE "BANDE INFERNALI"
GUERRA TRA IL REGNO SARDO E LA REPUBBLICA LIGURE
I FRANCESI NELLA CITTADELLA DI TORINO


Per quanto fedeli erano i sudditi piemontesi alla Casa Sabauda, la vicinanza di tre repubbliche, le clamorose vittorie del Bonaparte, i maneggi della Francia e l'intensa propaganda che veniva fatta dai novatori (gli aspiranti democratici alla francese) non potevano non turbare la quiete del Piemonte Sabaudo. E se vi erano filo-francesi contro i filo-monarchici, questi ultimi erano contro i francesi e gli stessi piemontesi filo-francesi.

Una congiura fu concertata a Pallanza nell'autunno del 1796, ma fu scoperta e uno dei cospiratori, tale GIUSEPPE ANTONIO AZARI, fu condannato alla pena capitale; un'altra trama ordita contro la vita di CARLO EMANUELE IV fu sventata nei primi giorni del 1797 e costò la vita al medico BOYER e al sottufficiale BERTEU; nel maggio del medesimo anno parte del Monferrato si sollevò per le angherie del capitano francese HIBERT.
Mentre da Milano si recava a Pieve d'Albenga con duecento soldati di ventura, si tentò di catturare il Re sulla strada per Rivoli, ma, il tentativo fallì e due cospiratori furono mandati sulla forca; nel luglio infine, ci verificarono sommosse a Moncalieri, a Racconigi, a Novara, a Biella, ad Asti e a Torino, ma furono facilmente represse dall'esercito sabaudo, ed in alcuni luoghi, come a Chieri, furono gli stessi cittadini, fedeli ai sabaudi, che reagirono ed uccisero non pochi fomentatori di ribellione.
Questi moti furono seguiti da processi e condanne capitali: una sessantina di novatori furono giustiziati e fra questi merita di essere ricordato lo storico TINIVELLI che fu fucilato a Moncalieri il 12 agosto 1797.

Queste insurrezioni non potevano non preoccupare i ministri del regno, cui Carlo Emanuele IV aveva lasciato le redini dello Stato (ricordiamoci che era da poco salito sul trono).
I ministri, per evitare che il numero dei novatori crescendo di numero mettessero in serio pericolo la monarchia, con un po' di buona volontà, seguendo la tendenza (che premeva), cominciarono a riformare (alla francese) gli ordini medievali, mutarono in allodiali i beni feudali, restrinsero i fidecommessi, permisero di affrancare le prestazioni in natura e abolirono alcuni diritti feudali; inoltre, per rimettere in sesto l'erario, fu messa una tassa sulle vendite, fu imposto un tributo di cinquanta milioni sul clero e di mezzo milione sugli ebrei, infine fu tolto un sesto del patrimonio ecclesiastico a parziale estinzione del debito pubblico.

Ma né questi provvedimenti né il trattato d'alleanza tra la Francia e il Regno sardo stipulato il 5 aprile e ratificato il 25 ottobre del 1797, potevano salvare il Piemonte dalla bufera che lo minacciava. A tenere lontana la quale, per la verità, il Bonaparte non poco si era dato da fare concludendo con il re una convenzione per impedire la diserzione dei soldati, facendo processare il capitano Hibert (per le angherie nel monferrato) e chiudere nel castello di Milano il RANZA ed altri fuorusciti piemontesi; ma il generalissimo sapeva che non sarebbe mai riuscito a far cambiare i propositi del Direttorio francese, il quale desiderava la totale distruzione della monarchia sarda, e fu per evitare di dare delle assicurazioni a Carlo Emanuele che, passando da Torino nel novembre del 1797, Napoleone non volle nemmeno recarsi a corte.

Partito il Bonaparte dall'Italia, i fuorusciti piemontesi che si trovavano a Milano e a Genova ripresero l'attività rivoluzionaria interrotta dalla volontà del generalissimo, e intanto il Direttorio francese mandava come ambasciatore a Torino un repubblicano ardente ed arrogante, il GINGUENÉ, il quale pretese che la propria moglie fosse ammessa a Corte senza il costume di cerimonia e, il 4 aprile del 1798, presentando al Re le credenziali, pronunziò un discorso scorretto e insolente, in cui si scagliava contro i gabinetti delle corti corrotte e corruttrici che con la loro politica machiavellica turbavano la quiete d'Europa.

Sul Ginguené si appuntavano le speranze dei novatori piemontesi, ed egli prometteva l'aiuto della sua nazione, ma voleva che le idee rivoluzionarie avessero maggior numero di sostenitori e che questi agissero con serietà ed energia, come ne fanno fede le parole che lo stesso Ginguené rivolgeva all'ambasciatore ligure:
"…La Francia appoggerà una rivoluzione in Piemonte appena i Patrioti si mostreranno numerosi, saggi nella loro condotta e soprattutto potenti, da non aver bisogno di soccorsi dalla Francia, da potersi dire che veramente la parte più sana della Nazione desidera un cambiamento di governo; altrimenti la Francia li considererà come una accozzaglia di ribelli e li abbandonerà al loro destino..".

Purtroppo i novatori piemontesi speravano proprio nell'azione della Francia, dei Liguri e dei Cisalpini e non nelle proprie forze, anche perché dall'esterno arrivava molta propaganda a base di scritti contro il governo sardo, inviti a sollevarsi, e promesse ai sudditi piemontesi di libertà e democrazia. Ma promesse di chi? Erano fogli e basta! Se la Francia voleva il Piemonte era più che sufficiente il suo esercito, ora nemmeno più impegnato. Tuttavia intendeva usare altri mezzi meno compromettenti.

Ma pur essendo un'attività clandestina inconsistente e dalle vaghe forze, o autonoma dei novatori (o segretamente connivente con la Francia), l'azione repressiva sabauda tenne dietro con i suoi armati ad alcune bande di novatori fuoriusciti che si andavano formando nei pressi del confine.
Che cosa volesse fare Carlo Emanuele non si sa. L'impressione era che voleva mettere il piede in tre scarpe. Non voleva i Francesi di Parigi; non voleva i suoi sudditi filo-francesi che ammiravano Napoleone e le sue Repubbliche come la Cisalpina, ma non si esponeva, perchè non voleva scendere dal critico piedistallo della sua Monarchia, che era in mezzo a tre fuochi: la Cisalpina, la Ligure e la stessa Francia.

Infatti, tre bande di novatori, dette "infernali", furono costituite: la prima da Abriez (Francia) doveva scendere verso Pinerolo; la seconda comandata dal patrizio genovese SPINOLA, doveva muovere da Carrosio, terra piemontese chiusa fra i domini della Repubblica Ligure; la terza comandata dal SERAS, ufficiale addetto allo stato maggiore del generale Brune e forte di oltre milleduecento uomini (fra cui c'erano molti francesi) doveva muovere da Pallanza ed operare nel Novarese confinante con il Piemonte. (I francesi dunque dentro questi novatori c'erano- Messi da chi?)

Il governo sardo, appena avuta notizia delle mosse delle bande infernali, allarmato scrisse al suo rappresentante a Parigi che era il conte BALBO, di chiedere al Direttorio quali fossero le intenzioni della Francia nei riguardi del Piemonte; nello stesso tempo pubblicò un manifesto esortando i suoi sudditi ad armarsi per la difesa dell'ordine e costituì tre colonne mobili, sotto il comando dei brigadieri POLICARPO d'Osasco, DEL CARRETTO di Millesimo e AVOGADRO di Ronco, per contrapporle alle tre bande.

Queste avevano iniziato le ostilità nei primi dell'aprile del 1798. Quella proveniente da Abriez fu respinta dal presidio di Pinerolo, e ritornata oltre i confini, si sciolse; quella del Seras, che si era impadronita del castello d'Ossola, fu affrontata tra Gravellona e Ornavasso dalla colonna del Del Carretto il 20 aprile e, sconfitta, lasciò nelle mani dei Piemontesi monarchici quattrocento prigionieri, sessantaquattro dei quali furono subito fucilati nel forte di Domodossola.

Un mese dopo questo grave fatto, giungeva a Torino la risposta del Direttorio francese, trasmessa per mezzo del GINGUENÉ, con la quale si prometteva di far sì che le repubbliche Ligure e Cisalpina si tenessero quiete nei loro confini e si chiedeva al governo sardo di amnistiare i ribelli anche se sorpresi con le armi in pugno (!!)
Pur di non rompere le relazioni con la Francia, Carlo Emanuele IV, la sera del 25, spedì un corriere a Casale, ordinando a quel Consiglio di guerra di sospendere l'esecuzione della sentenza capitale pronunciata contro trentadue prigionieri catturati ad Ornavasso, fra i quali si trovavano due francesi, il LÉAUTEAUD e il LIONS; ma l'ordine giunse quando l'esecuzione era già avvenuta (26 maggio).

La terza delle bande infernali il 27 aprile si era impadronita di Pozzuolo e il 2 maggio di Rocca Grimalda; ma, avanzando con le sue truppe il POLICARPO D'OSASCO, era stata costretta ad abbandonare quest'ultima località per salvarsi e trincerarsi, il 15, nel forte di Serravalle.

Il governo sardo, deciso a snidare i ribelli da Carrosio, (ricordiamo: terra piemontese chiusa fra i domini della Repubblica Ligure) chiese al Direttorio ligure che concedesse alle truppe piemontesi libertà di passaggio affinché potessero recarsi in quella terra; ma il Direttorio oppose un rifiuto (29 maggio).
Allora il ministro sardo PRIOCCA ordinò a Policarpo d'Osasco di marciare su Carrosio e nello stesso tempo (3 giugno) fece sapere al MASSUCCONE, rappresentante della Repubblica Ligure presso la Corte Sabauda, che non si trattava di un'invasione ostile. Ma era il pretesto che i liguri e i francesi cercavano. Infatti, tre giorni dopo, il Massuccone, ottenuto il passaporto, abbandonava Torino. Il gesto era inequivocabile.

La guerra era stata, infatti, dichiarata proprio il 6 giugno. Quel giorno il Direttorio ligure, composto da Paolo Costa, presidente, Luigi Corvetto, Niccolò Litardi, Agostino Maglione e Giorgio Ambrogio Molfino, annunziò alle due assemblee che l'esercito sardo aveva violato il territorio della Repubblica; i Giuniori, riunitisi la sera, votarono la spesa di cinquecentomila lire e, fatto sapere al Governo, che il Consiglio reclamava "che si doveva far rispettare l'integrità territoriale dello Stato"; si sciolsero al grido di "Guerra al Re di Sardegna !"; e le stesse deliberazioni furono prese poco dopo dai Seniori.

Il 7 giugno PAOLO COSTA pubblicò un manifesto in cui, esposta la situazione, dichiarava che era necessario respingere con ogni sforzo le ingiuste ostilità delle truppe sarde ed esortava il popolo a mostrare il proprio patriottismo accorrendo sotto le armi. Dato l'odio che i Genovesi nutrivano contro la monarchia sabauda, queste esortazioni erano in verità quasi superflue; i volontari difatti affluirono numerosi ed ogni giorno si vedevano passare drappelli d'armati, che, fra gli applausi della popolazione, cantavano canzoni contro la Casa Sabauda e inneggiavano alla Repubblica.

Le ostilità iniziarono con alcuni successi delle armi liguri: Serravalle cadde nelle mani del capo-battaglione genovese SIRI, unito con i fuorusciti piemontesi e coi volontari guidati dal FALCO; il colonnello RUFFINO e il capitano MARIOTTI costrinsero alla resa il presidio di Loano e convinsero gli abitanti a aderire alla repubblica e a mandare deputati a Genova; Oneglia fu assediata, e intanto la Cisalpina ordinava al generale francese LAHOZ in Lombardia di spingersi contro il Piemonte dalla parte del Ticino.

Ma quando entrarono in azione le truppe sarde comandate dal DELLERA e dai DES GENEYS, le sorti della guerra mutarono. Sbucati dal ponte di Nava, i Piemontesi occuparono Pieve e Porto Maurizio, liberarono Oneglia dall'assedio e ripresero Loano al nemico.

La guerra tra lo Stato sardo e la Repubblica Ligure sarebbe senza dubbio finito in peggio per quest'ultima se - a questo punto- non fosse intervenuta la Francia. La quale offriva sì i suoi buoni uffici, ma voleva trarre profitto dalle (casuali!) circostanze. Infatti, mentre le truppe sarde avanzavano vittoriose, il GINGUENÉ si mostrava irritatissimo per la fucilazione del LÉAUTEAUD (dai sabaudi fucilato troppo in fretta ad Ornabasso il 26 maggio) e chiedeva perentoriamente alla Corte di Torino la consegna della cittadella.

Il governo sardo, intimorito dalle minacce dell'ambasciatore, il 26 giugno, distese una convenzione, che fu sottoscritta dal ministro PRIOCCA e dal GINGUENÉ, con la quale consentiva che dal 3 luglio i Francesi mettessero per due mesi un loro presidio nella cittadella di Torino; in compenso la Francia garantiva la sicurezza dello Stato Sardo, s'impegnava di far cessare le ostilità con le Repubbliche Ligure e Cisalpina e prometteva di cooperare al mantenimento della tranquillità.

Il giorno dopo il PRIOCCA, informando il BALBO a Parigi della convenzione, gli scriveva: "..Noi siamo perduti ! A me è toccata la sventura di sottoscrivere la fatale sentenza. Oh fossi morto prima ! Benché io lo creda ormai impossibile, fate voi di tutto per salvare il Re, per salvare la patria..".

Ma era troppo tardi. Il 28 giugno, a Milano, la convenzione fu firmata dal marchese di S. MARZANO e dal generale BRUNE e l'indomani i Liguri e i Cisalpini ricevevano l'ordine di sospendere le ostilità. Per il Piemonte era la pace, ma questo voleva dire accettare anche tutto quello che recitava la convenzione. Soprattutto dare in mano ai francesi la Fortezza!

Il 29 giugno Carlo Emanuele IV emanò un generale indulto e il 3 di luglio consegnò la Cittadella della capitale al gen. COTTIN, che vi pose duemila e quattrocento soldati. Tre giorni dopo il generale BRUNE pubblicava un manifesto, in cui, fra le altre cose affermava che dovevano estinguersi i fuochi della guerra e coloro (quindi i monarchici) che non deponevano le armi dovevano esser considerati e puniti come partigiani degli inglesi, promotori, sostenitori e fiancheggiatori delle ribellioni contro la Francia.

Ma i Francesi non fecero nulla per mantenere la tranquillità pubblica nello Stato sardo, come prometteva il trattato del 28 giugno e il manifesto. Infatti, non si mossero quando, nella prima metà di luglio circa mille fuorusciti piemontesi, venuti da Carrosio con due cannoni, cercarono d'impadronirsi di Alessandria (il governatore della città Conte SOLARO, avvertito da una spia, li sorprese tra Spinetta e Marengo e li annientò: quattrocento furono uccisi e trecento fatti prigionieri), anzi accusarono il governo sardo di avere crudelmente stroncata l'impresa, che essi, se si deve credere ai Piemontesi, avevano sottomano favorita.

Né rispettarono quella clausola del trattato che fissava il termine della loro permanenza nella cittadella. I due mesi trascorsero e i Francesi rimasero, incitando segretamente i novatori e tenendo un contegno provocatore e villano, che diede luogo a lagnanze e a risse.
Fra l'altro, il presidio francese organizzò una mascherata, che il 16 settembre percorse le vie della città parodiando e ridicolizzando personaggi e i costumi di Corte. Ne nacque un tafferuglio, che avrebbe avuto gravi conseguenze se il generale MÉNARD, che si trovava per caso a Torino non fosse intervenuto per ristabilire l'ordine. Per questa mascherata alcuni ufficiali furono mandati in prigione a Briangon e la guarnigione fu cambiata.
Magro ed inefficace provvedimento in verità, perché se il presidio fu cambiato, rimaneva a Torino l'ambasciatore GINGUENÉ, il quale cercava in tutti i modi il pretesto per provocare il governo sardo e quindi render necessario un intervento francese a Torino, dove oramai la sovranità di Carlo Emanuele IV era più nominale che effettiva.
E quest'ombra di autorità aveva i giorni contati.


L'AMBASCIATORE EYMAR E IL GENERALE MENARD A TORINO
CARLO EMANUELE IV COSTRETTO AD ABDICARE

Il conte BALBO, rappresentante del governo sardo a Parigi, fece di tutto per ottenere il richiamo da Torino del GINGUENÉ e del generale COLLIN, comandante della cittadella; e vi riuscì. Il 30 ottobre l'uno e l'altro furono richiamati e al posto del primo fu mandato l' EYMAR con l'espressa raccomandazione di mostrare spirito conciliativo; al posto del secondo fu messo il generale MÉNARD. Anche il Brune, che d'accordo ai primi due lavorava per abbattere in Piemonte la monarchia, fu sostituito dallo JOUBERT, nominato - come altrove si è detto - generalissimo delle forze francesi in Italia.

Ma le condizioni del Piemonte per l'avvenuto cambiamento, non migliorarono; gravi avvenimenti si presentivano in Europa; una coalizione contro la Francia era in via di formazione e il re di Napoli aveva rotto - come già detto - gli indugi. In queste circostanze premeva alla repubblica francese che il Piemonte passasse sotto un regime democratico.

Il 28 novembre il MÉNARD, accusato di troppa mitezza verso la Corte, fu sostituito nel comando della cittadella dal generale GROUCHY; quattro giorni dopo, l' EYMAR, sollecitato dallo JOUBERT, chiese al ministro PRIOCCA la consegna dell'arsenale di Torino, un corpo di novemila uomini, che dovevano essere impiegati nella guerra contro Napoli, e l' immediato approvvigionamento di tutte le piazzeforti.

Il governo sardo acconsentì alla richiesta dei soldati, ma rifiutò di cedere l'arsenale e mandò subito a Parigi un messo per informare il Direttorio per discutere circa la seconda richiesta dell' Eymar. Ma non era quello il momento delle discussioni. Gli avvenimenti precipitavano; preparativi di guerra venivano fatti dai francesi nella cittadella dove si asserragliavano il CICOGNARA, rappresentante della Cisalpina e l' EYMAR; mentre il GROUCHY tentava di corrompere il confessore di Corte affinché convincesse Carlo Emanuele IV ad abdicare.

Il 5 dicembre lo Joubert, da Milano, pubblicava un manifesto in cui si affermava che "..finalmente la corte di Torino aveva ricolmo il sacco; che da qualche tempo venivano commessi gravi delitti; che scorrevano torrenti di sangue repubblicani francesi e piemontesi per i folli comandi che impartiva alle milizie sabaude la perfida Corte sabauda. Che il governo francese, amante di pace, animato da molto senso conciliativo, aveva risolutamente desiderato di restituir la quiete al Piemonte; ma questo desiderio era stato vilmente tradito; infine ordinava al suo generale di vendicare l'onore della grande nazione, di non dar più credenza ad una Corte infedele ai trattati, e di assicurare al Piemonte pace e felicità".

Era in sostanza quello sopra un manifesto di guerra.
Il VICTOR e il DESSOLLES con le loro divisioni passavano il Ticino, occupavano di sorpresa Novara e Vercelli e marciavano su Torino; dalla cittadella della capitale una schiera di Francesi, dietro ordine del GROUCHY andava ad impadronirsi di Chivasso, e le truppe della Francia poste a presidio delle fortezze di Susa, di Cuneo e d'Alessandria, occupavano le città e facevano prigioniere le guarnigioni del Re.

Il 7 dicembre il ministro Priocca, avuta notizia del manifesto dello Joubert, protestò energicamente, addossando la responsabilità degli avvenimenti ai nemici della monarchia della cui slealtà avevano fatto sospettare i Francesi; ricordando le molte prove di condiscendenza date dal governo sardo alla Francia e gli sforzi da esso fatti per scongiurare una rottura, e concludendo: ".. S. M., conscio di non aver mai mancato ai sacri doveri di fedeltà verso gli amici francesi e di amore verso i suoi sudditi, vuole che sia nota la sua leale e sincera condotta; e al cospetto di tutti protesta di non avere mai dato motivo per le sventure accadute agli amati suoi sudditi..".

Inutile fu la protesta e vano il tentativo di parlare e trattare con il GROUCHY e con l' EYMAR. I due francesi rifiutavano ogni colloquio e volevano solo che il re abdicasse senza indugio.
E alla fine ottennero lo scopo: il sovrano, nonostante il proposito manifestato dal duca d'Aosta di resistere ad ogni costo, acconsentì ad abbandonare il regno, a sconfessare la protesta del Priocca ed a lasciare il vecchio ministro come ostaggio nella cittadella.

In questi termini, nella notte dal 7 all'8 dicembre del 1798, CARLO EMANUELE IV sottoscrisse una dichiarazione dettagliata e già preparata dall'aiutante generale francese CLAUZEL; il giorno dopo lo JOUBERT giunse a Torino, e il sovrano consegnatagli la dichiarazione firmata, ordinò ai sudditi di obbedire al governo che la Francia avrebbe istituito e ai suoi soldati di considerarsi (ormai) parte dell'esercito francese.

Al re fu dato il permesso di esiliarsi in Sardegna con la famiglia, al Principe di Carignano fu riservato il diritto di rimanere in Piemonte con il godimento dei propri benefici; si promise inoltre che si sarebbero rispettati, i beni, le persone e la religione.
Il CLAUZEL voleva trattenere il Duca D'AOSTA VITTORIO EMANUELE, erede della Corona, come ostaggio, ma poi non insistette su questa condizione (dopo che ebbe in dono dalla corte il famoso dipinto di Gerard Dron intitolato l'"Idropica", che ora si trova al Museo del Louvre).
Volle però che il duca sottoscrivesse l'atto per garantire che non si sarebbe opposto all'esecuzione di quella condizione. Così ebbe termine l'impresa iniziata dal GINGUENÉ e condotta a fino in fondo dal GROUCHY.

A tutti quelli che lo avevano fatto nascere, il governo provvisorio ("democratico") dovette poi dare generosi compensi: al GROUCHY trecentomila lire e un assegno personale di seimila lire; all'aiutante di campo MATERA centomila, all' EYMAR, una tabacchiera d'oro con ventimila lire, al SEMONVILLE trecentosettantamila, al CICOGNARA dodicimila. Il Piemonte assieme alla sua monarchia erano così liquidati.

CARLO EMANUELE IV LASCIA TORINO
SUO SOGGIORNO A PARMA E A FIRENZE
I SARDI SI DICHIARANO FEDELI ALLA MONARCHIA SABAUDA
CARLO EMANUELE IN SARDEGNA PROTESTA CONTRO LA FRANCIA
SPOGLIAZIONI FRANCESI IN PIEMONTE
IL PIEMONTE IN REGIME DEMOCRATICO
VOTI DI ANNESSIONE ALLA FRANCIA E TUMULTI ANTIFRANCESI

CARLO AMEDEO IV congedò le compagnie svizzere che erano al suo soldo e, sottoscritto l'atto di abdicazione, consegnò gli archivi statali e le casse dell'erario cui furono posti i suggelli, ma questi, pochi giorni dopo, furono tolti e furono asportati i gioielli della corona che il sovrano vi aveva lasciati. La sera del 9 dicembre il re e la sua famiglia lasciarono Torino. Trenta vetture formavano il convoglio reale che, al lume delle torce sorrette da servitori, aveva tutto l'aspetto di un convoglio funebre. La scorta era formata da ottanta dragoni piemontesi e da altrettanti cacciatori francesi a cavallo.

A Parma, dove partendo dalla capitale si era diretto, Carlo Emanuele IV soggiornò due giorni, fino all' 11 di gennaio del 1799; poi si recò a Firenze, dove il granduca gli fece liete accoglienze e lo volle ospite nel suo Palazzo di Poggio Imperiale. Il 19 gennaio, il re e il Granduca Ferdinando andarono al convento della Certosa per far visita al Pontefice Pio VI, cacciato anche lui dai Francesi da Roma.

Il 23 di quello stesso mese VITTORIO ALFIERI andò ad ossequiare il sovrano, e questa visita il poeta ci lasciò ricordo nei suoi scritti:
"..Fui ad inchinarlo come di doppio dover mio, essendo egli stato il mio re, ed essendo allora infelicissimo. Egli mi accolse assai bene; la di lui vista mi commosse non poco e provai allora quel che non avevo provato mai, una certa voglia di servirlo vedendolo così abbandonato, e così inetti i pochi che gli rimanevano; e me gli sarei profferto, se avessi creduto di potergli essere utile; ma la mia abilità era nulla in tal genere di cose, ed in ogni modo era tardi.."

Fin dal 26 dicembre Carlo Emanuele IV aveva comunicato al VIVALDA, vicerè di Sardegna, la sua intenzione di trasferirsi in sull'isola. Qui la notizia dell'abdicazione era giunta il 23 e quel giorno stesso si erano riuniti gli "Stamenti", i quali avevano confermato la loro fedeltà al sovrano ed espresso il desiderio che si stabilisse in Sardegna, dove il popolo era sempre rimasto devoto alla monarchia sabauda e non avevano potuto attecchire le idee repubblicane. Una lettera era stata mandata a Firenze per far conoscere al re il voto delle Camere e il 31 dicembre erano partiti da Cagliari alla volta di Livorno, inviati dagli Stamenti, il marchese di S. Orsola, il cav. Guiso e il Pintor per portare al monarca l'omaggio dei sudditi sardi.

CARLO EMANUELE IV si mostrò commosso leggendo, alla presenza dei deputati, la lettera degli Stamenti e scrisse al Vivalda annunziandogli la prossima venuta sua e della famiglia. L'ammiraglio inglese NELSON gli offrì la scorta della sua flotta per proteggerlo da eventuali offese della squadra francese, ma il sovrano rifiutò l'offerta, e accettò solo che una nave britannica lo seguisse da lontano.
Il 24 febbraio del 1799 Carlo Emanuele partì da Livorno a bordo della "Rondinella" e il 3 marzo giunse nel porto di Cagliari. Prima di porre piede a terra, il sovrano stese una protesta contro l'atto di rinunzia al trono, giurando di avere lealmente osservato i patti concordati con la Francia e chiedendo alle potenze europee di essere reintegrato nei domini che aveva ereditato dagli avi.

INTANTO IN PIEMONTE

Intanto in Piemonte al regime monarchico era stato sostituito il repubblicano. Partito il re, era stato pubblicato un manifesto, che diceva: "..Le glorie di una Gran Nazione riflesse sopra di te, han ricoperto l'anima atroce del tuo tiranno; agghiacciato dai suoi rimorsi fugge dal teatro de' suoi delitti e depone la sua usurpata sovranità. O Popolo di Piemonte, quale orribile mostro cessa di disonorare la tua augusta presenza! ..""
Inoltre era stato innalzato l'albero della libertà e il 12 dicembre, per decreto del JOUBERT, era stato costituito un governo provvisorio.

Questo fu formato di quindici membri ai quali una settimana dopo ne furono aggiunti altri dieci, tra cui lo storico CARLO BOTTA; l'Eymar restò come commissario della Repubblica francese; l'esercito non subì mutamenti; solo alcuni ufficiali si dimisero ed andarono ad arruolarsi sotto le bandiere austriache, russe ed inglesi, altri si ritirarono a vita privata, altri ancora ottennero di passare sotto la bandiera di Francia; si ebbero qua e là ribellioni e diserzioni di interi reparti, ma i più si mantennero fedeli al nuovo governo. Le milizie volontarie (gli ex novatori) si mutarono in guardie nazionali repubblicane.

Come avevano fatto nelle altre regioni così i Francesi fecero in Piemonte, dove "prelevarono" quanto poterono: asportarono dall'arsenale milleottocento cannoni, centomila fucili e gran quantità di munizioni e suppellettili militari; si impadronirono dei beni mobili ed immobili della Real Casa; spogliarono dei mobili, delle gioie e degli oggetti artistici le dimore regie di Torino, di Stupinigi, di Moncalieri, della Venaria e del Chiablese; mandarono in Francia quadri, sculture, manoscritti e libri di pregio; asportarono o distrussero registri e carteggi; ai nobili requisirono i cavalli e ai più noti imposero taglie di tre milioni e confinarono a Grenoble i capi delle principali famiglie patrizie, quali i PRIOCCA, i D'OSASCO, i S. MARZANO, i DELLERA, i THAON DE REVEL. Di quest'ultima famiglia soltanto il conte di Sant'Andrea riuscì a fuggire.

Anche i fuorusciti francesi che in precedenza si erano rifugiati in Piemonte, accusati di essere traditori, furono o catturati, o perseguitati o cacciati; tornarono invece i novatori che si erano allontanati, fra i quali il famoso RANZA che reclamava i suoi beni confiscati oltre il risarcimento dei danni sofferti in esilio.
Intanto il Piemonte, già "prosciugato" dai Francesi, si mpoveriva ancora di più quando il governo provvisorio diminuiva di due terzi il valore della carta moneta, mentre l'aggio saliva al 40 per cento e crescevano i prezzi delle derrate.

Ben presto gli antichi ordinamenti furono sconvolti: si soppressero i tribunali dell'Inquisizione, si abolirono molti conventi e capitoli, si decretò l'alienazione dei beni ecclesiastici e di quelli degli Ordini di Malta, della SS. Annunziata e di S. Maurizio; furono annullati i titoli nobiliari e i fidecommessi, fu riaperta l'Università di Torino, chiusa dal passato governo, furono tolte le decime e le immunità ecclesiastiche, fu abolita la tortura, mitigate le pene, decretata la libertà di stampa e furono assegnate pensioni alle vedove e agli orfani dei Martiri della Libertà. Tutte cose belle, ma...

Poi venne l'eccesso e l'esaltazione. L'intemperanza dei novatori non ebbe più limiti: si giunse persino a rinnegare la nazionalità italiana e a dichiarare che i Piemontesi appartenevano alla famiglia gallica; il 6 gennaio si decretò che la "Basilica di Superga" cambiasse nome in "Tempio della Riconoscenza" e custodisse solo le ceneri dei patrioti.

Il decreto, redatto dall'avv. GIUSEPPE CAVALLI, membro del governo provvisorio, così si chiudeva:
"…Non più tombe di Re; non più monumenti infausti al popolo, che gli rammentano la sua antica schiavitù. Si tolgano da quel luogo quegli impuri avanzi del rogo e quelle insegne che l'orgoglio vi ha poste, e potessero pur quelle fredde ceneri sentire il giusto effetto della popolare indignazione e ad eterno obbrobrio dei despoti, a sollievo del dolore degli infelici calpestati sinora da essi, a gloria infine, delle vittime sacrificate ad un oltraggioso potere, colà si rechino le ceneri e le insegne dei nostri fratelli spenti per la patria e per la causa dell'umanità..".

Belle parole, ma intanto il futuro destino del Piemonte era molto, ma molto incerto. Mancò poco di fare una peggiore fine del Veneto (svenduta all'Austria).
Infatti, alcuni volevano che facesse parte della Repubblica Elvetica, altri che fosse unito alla Cisalpina, altri ancora alla Repubblica Ligure. Ma il Direttorio Francese fece intendere che il Piemonte doveva essere annesso alla Francia e in tal senso, vinta l'opposizione di alcuni cittadini, deliberò nel febbraio del 1799 il governo provvisorio.

Contraria all'annessione era sì la gran maggioranza della popolazione piemontese, ma i più, per paura, si mostrarono favorevoli quando, scortati da drappelli francesi di cavalleria e fanteria, furono mandati i commissari (italiani -filo-francesi) a raccogliere i voti delle Municipalità e dei Corpi costituiti. Tutti riamasero zitti dalla paura.
Va però ricordato che l'Università di Torino si astenne dal votare e i comuni di Acqui ed Alessandria votarono contro.
Molte furono le proteste per il modo con cui erano stati strappati i voti, ma rimasero senza alcun effetto, e il governo provvisorio non esitò a dichiarare in un pubblico manifesto che i suffragi erano stati dati con la "… più estesa libertà che conciliar si potesse colla pubblica quiete …" e che "erano colmi dei più vivi sentimenti di fratellanza, di unione, di riconoscenza verso la nazione francese..".

L'esito della votazione fu portato a Parigi dall'avv. CARLO BOSSI, dal conte VINCENZO BOTTONE di Castellamonte e dal chimico GIUSEPPE SARTORIS.
L'annessione però non avvenne, per la guerra che la Francia dovette sostenere contro la coalizione europea; ma comunque fu in Piemonte istituito un nuovo governo, detto della "Centralità", composto di cinque membri sotto la direzione del MUSSET, il quale doveva dividere lo stato in quattro dipartimenti.

Quali veramente erano i veri sentimenti dei Piemontesi lo mostrarono i tumulti che qua e là scoppiarono. Si sollevava il Monferrato, e gli abitanti di Asti, di Castiglione, d' Illiano e d'Isola, presero le armi, muovendo contro i Francesi; a Rivalta, ad Acqui e a Strevi fu abbattuto l'albero della Libertà e furono trucidati dei Francesi e dei novatori; rumoreggiò Alessandria e lo stesso facevano altre località.
Ma erano moti incomposti, non organizzati e perciò destinati ad essere repressi facilmente dalle truppe francesi.

Però furono importanti, perché smentirono in pieno l'asserita spontaneità dei suffragi per l'annessione, ed erano la prova più evidente dello spirito antifrancese che animava il popolo del Piemonte....
.... "in regime democratico".


Bibliografia:
ADOLPH THIERS - Storia della Rivoluzione Francese - 10 Volumi
R.CIAMPINI, Napoleone, Utet, 1941
EMIL LUDWIG Napoleone, Mondadori, 1929
NAPOLEONE, Memoriale di Sant'Elena (prima edizione (originale) italiana 1844)
Storiologia ha realizzato un CD con l'intero MEMORIALE - vedi presentazione qui )
E un grazie al sig. Kolimo dalla Francia - http://www.alateus.it/rfind.html

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