TRENTOTTESIMO CAPITOLO

CAPITOLO TRENTOTTESIMO

I Cacciatori delle Alpi. - Si scopron le tombe, si levano i morti. - Prime mosse di guerra. - Proclama del Re. - Sortita da Casale. - Difesa di Ponte Stura. - Impedimenti all' azione di Garibaldi. - Garibaldi alla tomba di Pietro Micca. - Simonetta e le sue guide. - Composizione del corpo dei Cacciatori delle Alpi. - Passaggio del Ticino. - Proclama di Garibaldi ai Lombardi. - Combattimento e presa di Varese. - Combattimento e presa di S. Fermo. - Morte di De Cristoforis. - Entrata di Garibaldi in Como. - Sorpresa non riuscita di Laveno. - La signorina Raimondi. - Combattimento di Seriate. - Entrata di Garibaldi in Brescia. - Combattimento di Tre Ponti. - Morte del capitano Narciso Bronzetti.
TUTTI I NOMI DEI CADUTI E DEI FERITI NEI CACCIATORI DELLE ALPI
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« Prendete un bel giovanotto dalle spalle quadre, dalle membra snelle, dal viso intelligente, insaccatelo nel cappottone turchino e nei pantaloni grigi del fantaccino regolare infilati entro le ghetto di cuoio; calcategli sull'orecchio un gramo berrettuccio blu colla croce sabauda proprio di fico; cingetegli sulla schiena uno zaino a pelo , e attorno ai fianchi un cinturone nero colla sua brava giberna; girategli a tracolla il sacco a pane, la borraccia e la gamella di munizione; infine buttategli sulle spalle un vecchio fucilaccio a percussione che diverrà ben presto nelle sue mani un catenaccio irriconoscibile, e, per chiudere, se amate i contrasti, mettetegli negli occhi l'allegria, nel cuore l'entusiasmo , nello stomaco l'appetito, e sulle labbra la perpetua canzone: Addio, mia bella, addio; e avrete il Cacciatore delle Alpi. »
(Garibaldi di GIUSEPPE GUERZONI. Cap. VII).

 

Un'altra canzone ora risuonava fra le file dei volontari ed era l'inno di Mercantini, composto dietro richiesta espressa di Garibaldi e spedito dall'autore, prima al Dott. Bertani che possiede l'originale tutto di pugno di Mercantini, il quale in casa sua lo corresse.
La storia della prima prova è raccontata con tanta vivacità dal sig. C. Giglioli (nella Rassegna del 12 giugno 1882) che non possiamo non riprodurla in queste pagine:

"Era sul finire di novembre 1858, Gabriele Camozzi, il patriota bergamasco che nel '49 aveva sollevato Val Camonica e Valtellina in soccorso di Brescia assediata e pericolante, l'amico, il fratello, a Genova, degli emigrati tutti, ma più specialmente dei più poveri, e più perseguitati, aveva avuto una lettera, che aveva messo in fermento i pochi cui era toccato il privilegio di leggerla.
La lettera era di Garibaldi; le parole non le rammento, ma annunziavano prossimo il
momento di riprendere le armi posate, nove anni prima, fra tanta rovina e tanto dolore, e concludevano così: tu, giovane veterano della libertà, sarai pronto all'appello!

"Pochi giorni dopo (19 dicembre 1858), lassù allo Zerbino - in quella casa ospitale che ci aveva raccolti tante volte in riunioni fraterne, nelle quali il rumoroso entusiasmo e di ardite speranze, o il grave raccoglimento di pericolose imprese in preparazione, o lo scoramento indicibile di falliti conati, si alternavano stringendoci in vincoli sempre più saldi e più sacri; in quella casa, dove molti tra noi, sbalzati fuori dal nido e lontani dai più cari, affaticati dal lavoro, spesso manuale, che dava pane al corpo ma non sosteneva la mente, ritrovavano la cara desiderata atmosfera di famiglia, in quella casa, entrando in crocchio una sera, trovammo Giuseppe Garibaldi.

"Io l'ho ancora oggi davanti, come mi apparve allora, ritto accanto al pianoforte, nell'ampia sala, con Camozzi da un lato e Bixio dall'altro; calmo, sereno, sorridente! Camozzi ci presentò; egli strinse la mano a ciascuno, poi, volgendo lo sguardo sul gruppo riunito, disse con quella voce penetrante, indimenticabile: "con alcuni ci conosciamo, e con gli altri ci conosceremo, non è vero?" E diede a quel futuro un'intonazione che ci fece gonfiare il cuore d'emozione indicibile.
I più vecchi gli si strinsero attorno discutendo gli avvenimenti che si preparavano ed egli stava combattendo le esitazioni dei più diffidenti, quando entrò Mercantini l'autore del "Tito Speri" e di tante altre poesie patriottiche, fra cui bellissima e nobilissima la "Spigolatrice di Sapri" in morte di Pisacane e dei suoi trecento.

"Garibaldi strinse la mano a lui ed alla signora, scambiò con loro poche parole, poi disse: - "Voi mi dovreste scrivere un inno per i miei volontari; lo canteremo andando alla carica e lo ricanteremo tornando vincitori.
"Mi proverò, Generale, rispose il poeta.
"E la signora Mercantini comporrà la musica - aggiunse sorridendo Camozzi, che conosceva il valore artistico della celebre pianista.
La sera del 31 dicembre eravamo di nuovo raccolti allo Zerbino più numerosi, più agitati, più impazienti che mai.

" Garibaldi non aveva dato altro segno di vita; l'imperatore Napoleone non aveva ancora detto le famose parole di capo d'anno all'ambasciatore d'Austria; Vittorio Emanuele non aveva ancor risposto al Grido di dolore; ma noi sentivamo nell'aria la crisi che veniva e ci stringevamo attorno a coloro che domani potevano divenir nostri capi. Camozzi era di questi e da lui passavamo molte di quelle sere febbrili; da lui intendevamo finire quell'anno e cominciare il 1859.
Aspettavamo con impazienza Mercantini: sapevamo che doveva portar l'inno e ardevamo dall'impazienza di udirlo. Perciò quando apparve colla sua signora gli fummo subito attorno.


" Eccolo, ecco il foglio":
Si fa circolo, si stabilisce il silenzio e la voce grave e armoniosa del poeta ci declama:

Si scopron le tombe, si levano i morti,
I martiri nostri son tutti risorti!
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome
La fiamma ed il nome d'Italia sul cor !
Veniamo! Veniamo! su, o giovani schiere,
Su al vento per tutto le nostre bandiere!
Su tutti col ferro, su tutti col foco,
Su tutti col foco d'Italia nel cor.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
Va fuori d'Italia, va fuori, o stranier.

La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi
Ritorni qual era la terra dell'armi!
Di cento catene le avvinser la mano,
Ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.
Bastone tedesco l'Italia non doma.
Non crescon al giogo le stirpi di Roma:
Più Italia non vuole stranieri e tiranni,
Già troppi son gli anni che dura il servir.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
Va fuori d'Italia, va fuori, o stranier.

Le case d'Italia, son fatte per noi,
E là sul Danubio la casa dei tuoi
Tu i campi ci guasti, tu il pane c'involi.
I nostri figliuoli per noi li vogliam.
Son l'Alpi e i due mari d'Italia i confini,
Col carro di fuoco rompiam gli Appennini:
Distrutto ogni segno di vecchia frontiera,
La nostra bandiera per tutto innalziam.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
Va fuori d'Italia, va fuori, o stranier.

Sian mute le lingue, sian pronte le braccia:
Soltanto al nemico volgiamo la faccia,
E tosto oltre i monti n'andrà lo straniero,
Se tutta un pensiero l'Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie,
Si chiudan ai ladri d'Italia le soglie:
Le genti d'Italia son tutte una sola,
Son tutte una sola le cento città.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
Va fuori d'Italia, va fuori, o stranier (*).

(*) L'inno in origine si fermava a questa strofa; e fu soltanto dopo la campagna vittoriosa di Sicilia che Mercantini vi aggiunse le due seguenti:

Se ancora dell'Alpi tentasser gli spaldi,
Il grido d'allarmi sarà Garibaldi.
E s'arma allo squillo, che vien da Caprera,
Dei mille la schiera che l'Etna assaltò.
E dietro alla rossa vanguardia dei bravi
Si muovon d'Italia le tende e le navi:
Già ratto sull'orma del fido guerriero
L'ardente destriero Vittorio spronò.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
Va fuori d'Italia, va fuori, o stranier.

Per sempre è caduto degli empi l'orgoglio,
A dir - vivi Italia - va il Re in Campidoglio:
La Senna e il Tamigi saluta ed onora
L'antica signora che torna a regnar.
Contenta del regno fra l'isole e i monti
Soltanto ai tiranni minaccia le fronti:
Dovunque le genti percuota un tiranno
Suoi figli usciranno per terra e per mar.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
Va fuori d'Italia, va fuori, o stranier.

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Vi lascio immaginare gli applausi che accolsero questi versi, detti con una emozione che faceva tremar la voce al poeta e battere il cuore a noi tutti.
Ad un tratto la signora Mercantini fece udire alcuni accordi sul pianoforte.

"La musica! la musica!" esclamammo affollandoci intorno a lei: "brava la signora Giuseppina! evviva, evviva"
Ma essa sorrideva preludiando, e ci spiegava che non era un inno marziale, opera di donna e che la musica era stata composta da Alessio Olivieri, capobanda della brigata Savoia, il cui nome dovrebbe esser meglio ricordato oggi che l'Inno ha acquistato tanto prestigio.
"Ma ecco gli accordi imitanti la tromba; zitti tutti: Mercantini canterà prima e noi poi lo seguiremo".
Mercantini aveva una voce forte, piena, intonata e ben presto da lui imparammo quelle note marziali.
" Ma - dice uno - non ci si cammina con questa musica!"
" - Sì - no - sì - sì - proviamo; ed ecco Camozzi che ci dispone tutti in fila per due accanto al piano e dà gli ordini per marciare...
Si scopron le tombe, si levano i morti...

"Ma no - ma sì - è troppo presto - è troppo adagio - va benissimo - è passo a ordinario - ma no, i Garibaldini marciano a passo di bersagliere".
"Silenzio!
- intima Camozzi con voce stentorea - Silenzio e da capo".
"Si scopron le tombe, si levano i morti..."
"Non c'è male, la prima e la seconda parte cominciano ad adattarsi al passo. Proviamo il ritornello"
"Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora..."

"Ah qui è davvero lo scoglio! Il tempo cambia e pare più lento assai; i più si imbrogliano, non riescono a mettere il passo d'accordo con la musica e si fermano; gli altri urlano per ricondurli sul retto sentiero e la confusione aumenta, mentre la signora Giuseppina con la sua pazienza ripete:
" Ma no - ma no - non siete in tempo, signori; ricominciate per carità"
E si ricominciava.

"Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora..."
"Oh finalmente l L'hanno capita tutti ! Via, via! si ricompongano le file e si ricanti l'inno da capo a fondo".

"Dio mio! Quando rivedo cogli occhi della mente quella schiera d' uomini, di signore, di giovinetti, di bambini che girava intorno nella grande sala, quanti spiriti eletti mi sfilavano davanti!
"Anch'io potrei ripetere: Si scopron le tombe, si levano i morti..."
Ecco Camozzi di cui Garibaldi disse più tardi che, come Baiardo, era "senza macchia a e senza paura". Camozzi, che nei fatti del 1848-49, oltre all'aver pagato di persona, diede per la patria la maggior parte dei suoi averi; che nel 1859 rifiutò il comando d'un reggimento offertogli da Garibaldi e volle soltanto il posto di sottotenente portabandiera; che nel 1866 difese eroicamente il Municipio di Palermo minacciato dalla furente reazione là scoppiata.
E dietro lui Pilade Bronzetti, la cui magnifica voce di baritono, che ora ci dava l'intonazione, aveva tante volte svegliato gli echi della città dormiente, quando dallo Zerbino tornava al Molo Nuovo di cui dirigeva i lavori; Pilade Bronzetti caduto combattendo da leone nel 1860 a S. Maria di Capua.

" E dopo Pilade, Narciso, l'altro Bronzetti, il martire tirolese cantato da Carducci nel Saluto Italico, detto da noi "Cannone" per il suo eterno ritornello sull'armamento nazionale che chiamavamo il suo Delenda Carthago.
Povero Narciso! meritava davvero il nome di Prode dei prodi datogli da Garibaldi sul suo letto di morte, egli che, ferito tre volte a Treponti, e non potendo più reggere la spada, alzava le braccia sanguinose e continuava ad incitare i compagni alla pugna gridando: avanti! avanti! finché cadde sfinito.
Dietro Narciso viene un gruppo di ufficiali dell'esercito tra i quali é il povero Fiastri allora sottotenente di linea, morto poi, maggiore dei granatieri, in quel doloroso episodio di Palermo nel 1866. Muoveva al soccorso di Carrozzi rinchiuso in Municipio, e già questi udiva la sua voce incoraggiare i soldati, quando scoppiò una scarica di moschetteria traditrice dalle finestre ed egli cadde fulminato.
Fiastri era giovane di animo eletto e di spirito colto. Dotato d'una vena comica inesauribile e di una memoria di ferro, era l'anima delle nostre riunioni. Cantava, suonava, dipingeva, verseggiava, organizzava parodie d'accademie in cui fra gli scherzi appariva pur sempre la sua coltura, inventava insomma giochi e trattenimenti d'ogni maniera; ma all'occasione sapeva mostrar seri propositi, forte carattere, ardente patriottismo.

" Quella figura alta magra e gentile è l'avvocato Migliavacca, morto d'una palla in fronte a Milazzo. Quel classico profilo greco, in cui contrasta la gioventù del volto col bianco dei capelli, é di Chiassi, il capitano di stato maggiore di Garibaldi, morto a Bezzecca; anima nobilissima che sapeva unire femminea soavità alla più che virile risoluzione e coraggio.
Ecco "Gorini" il quale, come Cadolini e come Sacchi, ferito a Roma e quasi privo dell'uso di un braccio, va e combatte ugualmente da prode. E poi altri e altri ancora, nobili e popolani, soldati e volontari, medici e professori, potrei notare qui a ricordo di quella sera memoranda.
Ma la signora Mercantini si era levata dal piano, le file si erano scomposte e Camozzi ci invitava alla cena tradizionale di fine d' anno; cena che Mercantini chiuse poi col seguente brindisi:

Chi vuol gli augurii del buon capo d'anno?
Io gli saprò ben dire dove stanno.
Stan su un augel che con due becchi pugne
Su una man che a tre dita, scettro e ugne.
Taglia i becchi e le dita e il colpo è fatto!
Chi non beve all'augurio o è birba, o è matto.

E davvero non c'erano birbe né matti in quella riunione, perché tutti bevvero e bevvero ripetutamente all'augurio, tra un frastuono di applausi indescrivibile! Al suono di quell' inno Garibaldi trasportò le sue genti per ferrovia a Chivasso il giorno 25 e di là emanò il seguente ordine del giorno:

"25 aprile 1859.
Siamo giunti al compimento del nostro desiderio, alla meta delle nostre speranze: noi
combattiamo gli oppressori della patria. Domani forse io vi presenterò agli Austriaci con le armi alla mano per chieder conto di ruberie e di oltraggi che mi ripugna ricordarvi.
Ai giovani io non raccomando valore, ma chiedo la più severa disciplina ed obbedienza completa ai veterani nostri ufficiali, resto delle battaglie passate. L'entusiasmo sublime con cui vi presentaste alla chiamata dell'illustre Sovrano che capitana i destini d'Italia, mi é garante del futuro vostro contegno. Fra poco i nostri concittadini parleranno di noi con orgoglio e ci terranno degni d'appartenere al valoroso nostro esercito.
G. GARIBALDI

Gli obbedivano all'incirca 3500 uomini, nobili e plebei, milionari e i soliti straccioni studenti e laureati e analfabeti. - Da Chivasso marciarono a piedi fino a Brusasco, essendo le istruzioni date a Garibaldi di vigilare i passi del Po a Cusantino, a Gabbiano e a Ponte Stura.
A Casale lessero il proclama del Re (*), e l'entusiasmo raddoppiò, udendo che la provincia di Massa e Carrara, rovesciando il governo estense, aveva proclamato il Re Vittorio Emanuele dittatore, e che a Firenze sventolava la bandiera tricolore, che vi si era istituito un governo provvisorio per la partenza del granduca e proclamata la dittatura di Vittorio Emanuele, tutte le città della Toscana, cominciando da Livorno, aderendo al nuovo governo.

(*) Proclama dal Re Vittorio Emanuele II al popolo Italiano.
"Popoli del Regno!
L'Austria ci assale col poderoso esercito che, simulando amor di pace, ha adunato a nostra offesa e nelle infelici province soggette alla sua dominazione.
Non potando sopportare l' esempio dai nostri ordini civili, né volendo sottomettersi al giudizio di un Congresso europeo sui mali e sui pericoli dai quali essa fu sola cagiona in Italia, l'Austria viola la promessa data alla Gran Bretagna, e fa caso di guerra d'una legge d'onore.
L'Austria osa domandare che siano diminuite le nostre truppe, e disarmata e data in sua balia e quell'animosa gioventù che da tutta le parti d'Italia é accorsa a difendere la sacra bandiera dall'indipendenza nazionale.
Geloso custode dall'avito patrimonio comune di gloria, io do lo Stato a reggere al mio amatissimo cugino il Principe Eugenio, e ripiglio la spada.
Con i miei soldati combatteranno la battaglia dalla libertà a dalla giustizia i prodi soldati dell'imperatore Napoleone, mio generoso alleato.
Popoli d'Italia!
L'Austria assale il Piemonte perché ho perorato la causa dalla comune patria nei Consigli d'Europa, perché non fui insensibile ai vostri gridi di dolore!
Così essa ruppe violentemente quei trattati cha non ha rispettato mai. Così oggi é intero il diritto della Nazione, ed io posso in piena coscienza sciogliere il voto fatto sulla tomba del mio Magnanimo Genitore ! Impugnando le armi per difendere il mio trono, la libertà dei miei popoli, l'onore del nome italiano, io combatto per il diritto di tutta la Nazione.
Confidiamo in Dio e nella nostra concordia, confidiamo nel valore dei soldati italiani, nell'alleanza della nobile Nazione Francese, confidiamo nella giustizia della pubblica opinione. Io non ho altra ambizione che quella di essere il primo soldato dell'Indipendenza italiana.
Viva l'Italia!
Torino, 29 aprile 1859.
VITTORIO EMANUELE.
C. CAVOUR.


Il 29 con il maresciallo Canrobert e il generale Niel il Re andò sulla Dora e in quel giorno gli Austriaci passarono il Ticino in più punti, occupando Mortara con 2000 uomini, proclamando a Piacenza lo stato d'assedio, occupando Vercelli e preparandosi a gettare un ponte sulla Sesia. Pensavano essi di piombare a Torino, attraverso le valli della Dora Baltea e della Stura, o su Genova per la valle della Scrivia. Potevano fare o l'una o l'altra cosa, giacché il Piemonte non avesse che 50.000 uomini contro i loro 200.000, la sua linea di difesa essendo concava, ciò che dava all'aggressore tutti i vantaggi di una posizione centrale, e poi bisognava proteggere le strade per cui doveva arrivare l'armata francese sopra il monte Cenisio e da Genova sopra gli Appennini. Il perché, l'armata sarda dovette fortificare la linea della Dora Baltea per Torino, occupare Novi sulla Scrivia e starsene sulla difensiva. Ma l'Austria "mai pronta" (le ragioni le abbiamo spiegate alla fine del precedente capitolo) non seppe approfittare dell'aura e intanto i battaglioni francesi si rovesciano in Piemonte per il monte Cenisio e il monte Mekan, mentre le fregate e i trasporti sbarcavano a Genova altri reggimenti, materiali e provviste, mentre dovunque echeggiavano le grida entusiastiche di: " Viva l'Italia! Viva la Francia ! "

Il l° maggio il generale Cialdini ordina a Garibaldi di condurre i suoi battaglioni da Chivasso ad Ivrea, Biella, Borgo Sesia e Arona, marciando lui stesso per Cavagnolo a Casale. Ma più tardi venne il contr'ordine di fermarsi a Ponte Stura, ciò che chiarì a Garibaldi essere suo compito assicurare il terreno davanti e di fianco della divisione Cialdini. Nella notte un falso allarme fece tirare inutili schioppettate dai volontari; perciò nella mattina il Generale emanò il seguente ordine del giorno:

1 maggio 1859.
ORDINE DEL GIORNO.
"Questa notte i Cacciatori delle Alpi hanno mostrato che sono coscritti o che hanno paura. Tale é stata la dimostrazione dei tiri alternati agli allarmi che si sono sentiti sui a vari punti della linea. Il vero milite patriota non spara il suo fucile invano, particolarmente nelle presenti circostanze. Io raccomando quindi la più rigorosa disciplina a questo riguardo e farò punire chiunque si trovi colpevole di tali falli. Oggi noi marceremo sulla stradale e c'incontreremo probabilmente con Corpi dell'esercito nostro. Io mi riprometto in conseguenza che la condotta dei militi che ho l' onore di comandare sia degna della causa che propugniamo.
Dopo aver ricevuto le munizioni e riuniti i posti avanzati, il 2.° Reggimento marcerà per Cavagnolo ove riunirà tutti i suoi distaccamenti per aspettare ordini.
Il l° Reggimento e la Cavalleria avranno l'ordine verbale di marcia dal Quartier Generale.
Il magg. Generale G. GARIBALDI "

Giunto a Ponte Stura, Garibaldi corre sul Po per attingere notizie; che facilmente ottenne dai contadini dei dintorni. Giunta la brigata, egli collocava da sé gli avamposti e nella mattina occupò Coniolo sull'altura e mandò Marocchetti a Brusaschetto e Rocca delle Donne. Il 2-3 maggio, Cialdini col suo stato maggiore pernottò a Ponte Stura, a valle della quale si sentì un forte cannoneggiamento e la mattina del 4 Garibaldi ebbe il seguente avviso:
"Gli Austriaci avanzano per la sinistra del Po, dopo avere passato la Sesia a Caresana; giungeranno presto davanti alla mia testa di ponte; non intendo di dare ordini, ma sarei lieto se la vedessi giungere con la sua colonna dei Cacciatori delle Alpi; la consiglio a sbrigarsi, perché il nemico persiste nel voler gettare un ponte a Frassineto, e allora sarebbe quasi impossibile entrare in Casale ".

Pioveva dirottamente, ma con tutta la sua gente Garibaldi volava da Ozzano a Casale. Per i suoi vecchi commilitoni quella marcia é memorabile, perché fu il primo giorno che egli indossò la divisa di generale piemontese, sacrificio non lieve per lui abituato alla sola camicia rossa, poncho e cappello alla calabrese. Fra le altre cose narra il Carrano, come egli sentisse per via stringersi troppo alla tempia il nuovo berretto che era tutto cinto di ricami d'argento. Marciò per buon tratto non senza tirarsi cento volte sulla fronte il tormentoso copricapo; da ultimo, non potendone più, lo cacciò dentro a una ftasca della sella e si ricoprì del suo solito cappello a larghe falde. Soltanto nell'entrare in Casale, alla testa dei suoi battaglioni, si rimise in capo il berretto ricamato.(*)

(*)Questa storica divisa, che, dopo il 1859, Garibaldi mise una sola volta, cioè quando discese a Talamone, il 6 maggio 1860, per ottenere armi e munizioni, esiste tuttora in possesso del colonnello Chambers in Inghilterra.
Ecco come la ebbe. Uscendo il Generale una mattina d'inverno dalla casa bianca a Caprera, trovava un certo Luca, pastore che faceva anche qualche servizio di casa, semigelato per la tramontana. Mosso da pietà ritorna in casa, fruga e rifruga, ma non trova che la livrea gallonata, che egli regalò subito. Il povero uomo senza metterci alcuna malizia s' imbacuccava giocondamente nel finissimo panno e conduceva le pecore, spazzava la casa e lavava i piatti sempre in divisa piemontese. - Giunta in Caprera la signora Chambers e saputo il caso, inorridì del sacrilegio, dà a Luca 50 lire per comperarsi altri panni e come sacra reliquia porta in Inghilterra la divisa di generale. Questo Luca non era del tutto indegno della pietà di Garibaldi perché morì al suo fianco combattendo a Monte Suello nel 1866.

Giunto a Casale, Garibaldi trovava la divisione del Cialdini e un battaglione di fanteria con una compagnia di zappatori del genio francese.
Sempre oltre la Sesia avanzavano le truppe nemiche, contro le quali venne ordinata ed eseguita da Cialdini una sortita da Casale su tre colonne, capitanando Garibaldi quella di sinistra, cioè undici compagnie dei suoi Cacciatori, un battaglione del diciassettesimo di linea, una sezione della prima batteria di battaglia e sedici cacciatori a cavallo.
Il giorno fu
impiegato nel raccogliere avena e paglia, che scarseggiavano, e verificatasi la presenza del nemico in numero di 12.000 uomini a Vercelli, Garibaldi salì il campanile di Balzola ed ebbe dal parroco don Mandrino delle notizie utilissime. Mentre, secondo le istruzioni avute, lui, spediti indietro i carri, ordinava la ritirata, seppe che il nemico avanzava da Costanzona, e tenendo sotto le armi la colonna mise in avanti in una imboscata 20 carabinieri genovesi, proibendo a chicchessia di sparare finquando i nemici fossero caduti nell'imboscata.
Quand'ecco giungere due ussari in perlustrazione, che sarebbero stati indubbiamente catturati se una fucilata partita mal proposito non li avesse messi in guardia e fatti fuggire. Garibaldi, imprecando alla maledetta paura, ritornò indispettito a Casale da dove l' indomani emanava l'ordine del giorno seguente
" Ieri i nostri militi dovevano vedere per la prima volta il nemico, e si marciò con la probabilità d'incontrarlo. Il loro volonteroso contegno fu ammirabile, e prova il potente desiderio di misurarsi col nemico. Ma ciò non basta; si mancò di sangue freddo nei frivoli allarmi succeduti nel corso della giornata; gli ufficiali tutti devono fare i maggiori sforzi per inculcare questa verità. Il valore italiano è constatato, ma si manca generalmente di quel maschio, pacato coraggio, che caratterizzava gl'Italiani degli altri tempi. Io non dubito che l'esperienza della lotta provvederà al difetto; però la riflessione e qualche parola degli agguerriti nostri ufficiali potranno supplire alle lungaggini della pratica. Alla prima occasione io spero di vedere i Cacciatori delle Alpi degni della causa che propugniamo".

E infatti il giorno 8, Garibaldi, chiamato dal Re al suo quartier generale, lasciò ordine al Cosenz di condurre la brigata a Ponte Stura e immediatamente la testa di ponte fu dagli Austriaci attaccata. Due sole compagnie, la terza comandata dal capitano Carlo De Cristoforis, la quarta dal sottotenente Crescini, erano agli avamposti. Venne poi Medici con altre tre, - De Cristoforis ebbe la fortuna di condurre i suoi al primo battesimo di fuoco. Vennero poi i bersaglieri piemontesi del quinto battaglione e due volte alla baionetta ricacciarono gli Austriaci, catturando le munizioni degli avantreni.
Feriti erano i due cacciatori Guglielmo Caprara alla guancia, ed Enea Perazzi studente di medicina all'università, di Pavia, e il De Cristoforis nel suo rapporto dice che specialmente si distinsero il furiere Guerzoni ed il soldato De Angelis.
L'indomani la brigata giunta a Ponte Stura trovò Garibaldi, reduce dal quartier generale, da dove fece vedere agli amici la seguente lettera tutta scritta di pugno del Re:

"S. Salvatore, 8 maggio 1859.
Il signor generale Garibaldi partirà nella doppia meta di cercare d'impedire al nemico di marciare sopra Torino, e di recarsi a Biella per Ivrea onde agire sulla destra austriaca al Lago Maggiore nel modo che meglio crederà. - Io ordino pertanto a tutte le autorità civili e militari, a tutte le amministrazioni comunali di prestare ogni sorta di facilitazioni al predetto signor generale Garibaldi, onde egli possa fare sussistere la sua truppa e ripararla dalle intemperie. - Il generale Garibaldi é autorizzato a riunire sotto i suoi ordini tutti i volontari che già siano riuniti a Savigliano, Acqui ed altrove, come ad arruolare volontari ovunque si presenteranno a lui, sempre quando egli creda poterli accettare"

(Cacciatori delle Alpi, per F. CARRANO. Cap. V.).

Non è permesso il dubbio che il Re non desse queste istruzioni in buona fede e che Cavour non facesse di tutto perché venissero eseguite, ma tanti e tali furono gli ostacoli intromessi dai gelosi e invidiosi di Garibaldi, come da coloro che avevano in disprezzo e diffidenza l'elemento dei volontari, che l'ordine del Re non ebbe il minimo effetto. - Garibaldi poi diede istruzione al Bollino comandante dei Cacciatori degli Appennini di marciare col suo reggimento a Chivasso; lui rispose che senz'ordine dei suoi superiori non si sarebbe mosso. - I superiori risposero si fermasse in Acqui!

Il 9 maggio Garibaldi si recò di persona a Torino chiamatovi da Cavour da cui ebbe lodi e promesse. Ritornato a Chivasso, fece da Cosenz prestare il giuramento al secondo mezzo reggimento. - Ricevuto in quei giorni lo stipendio di maggior generale, ad un ufficiale, che entrato nella sua cameretta lo trovò pensoso, - sorridendo disse: "Ne volete? È la mia paga!... quanta roba!... non so che farne... pesano troppo" .

Il giorno 11 ricevette da Cavour la lettera seguente:
"Signor Generale
- La invito ad avviare la sua colonna verso S. Germano ed a mettersi a disposizione del generale Sonnaz per le operazioni dirette a cacciare i tedeschi da Vercelii. - Liberata quella città potrà progredire a seconda delle istruzioni ricevute a da S. M. - Sonnaz é a S. Germano. "

Senza mettere tempo di mezzo, Garibaldi obbedì, ma in quei giorni, venuto l'imperatore francese con i suoi a rinforzare gli Italiani sulla destra del Po, fu ritenuto passato il pericolo per Torino, e Garibaldi venne lasciato in libertà di adempire alla speciale sua missione, cioè di sollevare le popolazioni lombarde alle spalle del nemico e molestarlo ovunque per costringerlo a sparpagliare le proprie forze.
Giunti a Biella, ove i volontari furono collocati con tutte le precauzioni, Garibaldi, in nome del generale Sonnaz, li ringraziava per la loro disciplina e l'intrepidezza dimostrata in presenza del nemico e raccomandava a tutti gli individui di non caricarsi di superfluo bagaglio. - "Una camicia indosso e una nel fosso" basta per tutti ! E dando al solito l'esempio non volle con se che un po' di biancheria riavvolta in una tela cerata. - Volle avere la sua brigata libera da ogni impedimento per il sognato passaggio del Ticino e quando sentì i suoi ufficiali lamentarsi di non avere né artiglieria, né genio, né intendenza, rideva dicendo: " tanto meglio, saremo più leggeri, più indipendenti".

Ambiva però avere delle buone carabine e mandò dei suoi fidi a cercarne in Svizzera. Ma non perdonò mai chi gliene privò ben 2000 speditegli da Cavour e che poi andarono a finire alla guardia civica.
A Biella fu assediato da ragazzi, o quali lo supplicavano di arruolarli; ed egli promise che avrebbero avuto presto un moschetto, dicendo ai suoi che nessuno a Roma fu più prode contro i francesi, di quei ragazzi armati di soli sassi.

Visitò la culla di Pietro Micca in Sagliano sopra Andorno, e vista la lapidetta di marmo ove sta inciso il nome dell'eroe piemontese, pregò un ciabattino di nome Micca di trovargli una scaletta su cui salì per appendere una ghirlanda di fiori sul marmo.
La popolazione informata dal sindaco patriota chi era a quell' eroe venuto a visitarne un altro, prorompendo in evviva lo coprì di fiori e di benedizioni. Tornato in Biella, seppe da Sebastiano Tecchio, quel venerando patriota vicentino allora regio commissario straordinario per le province d'Ivrea, Vercelli e Novara, che gli austriaci avevano sgomberato Vercelli, facendo saltare due archi del ponte sulla Sesia e che si erano ritirati sulla riva sinistra.

Garibaldi il 20 mise in marcia la brigata per Gattinara, ben sapendo di offrire così e non senza pericolo il fianco destro al nemico, che sempre mandava i suoi distaccamenti dentro il triangolo formato dal torrente Cervo, la Sesia e Gattinara (*).
(*) Ecco in quel giorno la posizione degli eserciti in mezzo dei quali si trovava Garibaldi. L'austriaco occupava l'angolo interno formato dalle rive sinistre della Sesia e del Po, da Borgo Vercelli al Gravel!one, e teneva Pavia molto rafforzata con nuove opere, e bene poteva dalla foce della Staffora giù giù per Mezzano e Vaccarizza a Piacenza manovrare su ambo le rive del Po: il suo quartiere generale stava a Mortara. L'esercito alleato di contro teneva le rive destre del Po e della Sesia da Voghera per Casale a Vercelli; il quartiere generale del Re era posto a Occimiano e quello dell'Imperatore francese in Alessandria, !e colonne francesi erano tutte indirizzate verso Alessandria.
(FRANCESCO CARRANO, op. cit. p. 227.)

Per salvarsi dalle sorprese Garibaldi si affidava, e con ragione, a quella perla di cavaliere che era il Simonetta, il quale con le sue cinquanta guide volava, indagava, ascoltava, calcolava, e aiutato dagli amici, dai parenti e dalle genti a lui devote, poté sempre portare o spedire al Generale notizie precise e rapide.
Egli stesso, vestito da borghese, mentre Garibaldi era tutto intento alla costruzione di un ponte di barche sulla Sesia a Romagnano e al disfacimento di esso, dopo il passaggio dei suoi battaglioni, fissati gli alloggi a Borgomanero si recò a casa propria in Varallo sul Ticino, poi ad Intra sul lago Maggiore, e mentre seppe, che gli Austriaci avevano sequestrato tutte le barche, riuscì a scoprirne una ventina nascoste in una roggia presso la Maddalena. Qui lo raggiunse a trovarlo un amico, Viganotti, deputato politico di Sesto Calende, che promise altre barche e diede importanti notizie sulle mosse degli Austriaci. Quindi si portò a Laveno, poi tornò a Borgomanero per convincere Garibaldi a decidersi al passaggio per Sesto Calende.

Garibaldi, intanto, tutto aveva preparato e per passare e per combattere all'occorrenza. Ad ogni cosa provvedeva di persona; armi, cartucce sufficienti, che fece custodire in tasche appositamente fatte nei cappotti dei soldati in luogo dei zainetti da lasciarsi nei magazzini. Anche gli ufficiali dovettero lasciare in Borgomanero le cassette di campagna. Persino all' ambulanza fu proibito tirarsi dietro qualsiasi carro, così per i feriti Bertani dovette accontentarsi di cacolets, ossia lettighe; per la roba, sacconi e ceste portati dagli animali.

Alle due dopo mezzogiorno del 21, sotto una pioggia dirotta la brigata Garibaldi, col suo stato maggiore in testa, uscendo da Borgomanero, marciò per Oleggio Castello, avendo Simonetta per ingannare il nemico ordinato razioni ad Arona e Meina per 3500 uomini. Da Arona il generale telegrafò a Torino il suo arrivo e senza fermarsi fu in marcia per Castelleto dove con la metà della brigata entrò lasciando l'altra metà a guardia di fuori col Cosenz. Erano tremila duecento; "non un cannone - scrive il Carrano - non un soldato del genio, né attrezzi, né strumenti e né carabine da bersaglieri".

Due terzi della brigata erano lombardi, esuli chi da 10 anni chi da pochi giorni. Simonetta collocava due battaglioni nella casa Visconti sulla destra del fiume dove due file di otto battelli ciascuno, uniti con corde per i fianchi, furono distesi verticalmente alla riva. Silenzio assoluto! pochi alla volta i militi entrarono nelle barche e, favorite dalla corrente, a forza di remi le due colonne in forma di attacco si slanciarono sul suolo lombardo. - Riordinate in un attimo le compagnie per la grande strada che viene da Gallarate e per sentieri paralleli, in tre piccole colonne, marciarono per Sesto Calende, sorpresero una casetta, fecero prigionieri i finanzieri e poi compatti e silenziosi avanzarono su Sesto Calende, Garibaldi sempre in testa, indicando con i cenni come prendere le posizioni intorno a Sesto. -
Ed ecco quel fulmine di Simonetta con il De Cristoforis e 20 soldati attaccare la caserma e fare prigionieri una cinquantina di gendarmi e di soldati austriaci. Si immagini la contentezza dei militi, e la sorpresa degli abitanti.
Intanto il ponte volante ritornò a Castelletto e sopra di esso ancora il Generale che sembrava dire a quei militi che anelavano il passaggio.
"Venite, vostro é il suolo lombardo".


E ci volle tutta l'autorità severamente amorevole di Cosenz per trattenere l'impeto di quei giovani e farli entrare in barche, ordinati come i primi, compagnia per compagnia, e dopo di essi i cavalli. Sicché in sei ore fu eseguito il passaggio del Ticino dell'intero corpo dei Cacciatori delle Alpi.

Ardita impresa, come altra mai, giacché il Lago Maggiore fosse in pieno potere degli austriaci, che qui contavano un grande numero di vapori e tutte le barche delle vicinanze, e difatti un legno venne fino a Sesto Calende, ma vista la situazione presto se ne tornò indietro.

"Varese sarà la prima città ad insorgere - decretò il Generale - e questo perché è vicina il lago di Como, alla Valtellina e anche alla Svizzera, dove ad ogni mala parata il corpo dei Cacciatori avrebbe potuto rifugiarsi. - Per giungervi le vie più corte sono Laveno d'Ispra ed Angera".

Lanciò intanto il seguente proclama:
"Lombardi, voi siete chiamati a nuova vita, e dovete rispondere alla chiamata come risposero i padri vostri in Pontida e in Legnano. Il nemico é lo stesso, atroce, assassino, predatore. I fratelli vostri di ogni provincia hanno giurato di vincere o morire con voi.
Le ingiurie, gli oltraggi, le servitù di venti passate generazioni noi dobbiamo vendicare, e lasciare ai nostri figli un patrimonio non contaminato dal puzzo del dominatore soldato straniero.
Vittorio Emanuele, che la volontà nazionale ha eletto a nostro duce supremo, mi spinge tra di voi per ordinarvi nelle patrie battaglie. Io sono commosso della sacra missione affidatami, e superbo di comandarvi.
All'armi dunque! Il servaggio deve cessare; e chi é capace d'impugnare un'arma e non l' impugni, é un traditore. L'Italia con i suoi figli, uniti e purgati dalla dominazione straniera, ripiglierà il posto che la provvidenza le assegnò tra le nazioni".

E il deputato di Varese scrisse in risposta alla sua domanda:
"Che dobbiamo fare?"
"Qualunque cosa facciate contro il nemico comune a pro della santa causa italiana sarà da me approvata e vi sosterrò validamente"

Lasciando il capitano De Cristoforis a sorvegliare il passo del Ticino, Garibaldi mandò Bixio con un battaglione dei terzo reggimento per Angera, con l'ordine di sorprendere il vapore qui ancorato, se possibile, prendere ad Ispra notizie esatte sul presidio di Laveno, poi accamparsi a Sant'Andrea, villaggio sulla strada Laveno-Varese.

Spinse poi una pattuglia a Gallarate e quindi per Corgegno, Bodio, Capolago marciò alla volta di Varese, dove giunto, il popolo esce fuori, a notte alta, con fiaccole per festeggiare colui che nel 1848 tenne testa per tutto un giorno alle truppe austriache guidate dal D'Aspre.
In un istante furono disseppellite le vecchie bandiere, nascoste proprio n quella memorabile notte. Garibaldi tutto in pensieri dell'andare avanti con rapidi passi concordava con Cirrino il proclama che diceva: "succedere al decaduto dominio austriaco il governo italiano del re Vittorio Emanuele".


La gioia dei milanesi nel saper Garibaldi al di qua del Ticino, é pari al furore di Giulay generalissimo austriaco, che dà la sua parola di punire con il fuoco e colla spada tutti gli abitanti i quali partecipassero alla rivoluzione.
E la rivoluzione era appunto lo scopo di Garibaldi, e in ciò lo confortava il Conte di Cavour. All'annunzio del suo arrivo in Varese, questi telegrafò:
" insurrezione generale e immediata".

Giulay spicca contro il temerario il maresciallo Urban alla testa della sua divisione. Il grottesco maresciallo, capitano di seimila uomini con 13 cannoni , giurò di circondare, pigliare ed impiccare Garibaldi ed i suoi briganti.

I duemila fucili inviati a Garibaldi da Cavour, per armare i volontari lombardi, non gli giunsero: attaccato dagli austriaci in Varese, egli seppe così bene distribuire le sue forze, da attirarsi vicino il nemico e dargli a credere che l'animo gli vacillasse sull'ora del cimento.
Tant'é vero che al vedere i soldati di Medici obbedienti all'ordine di non colpire se non a tiro di pistola, gli ufficiali austriaci gridavano: "fuori Garibalda, ah! ah! Garibalda, Garibalda !"
Ma quando furono abbastanza vicini, il "Garibalda" ed i suoi li castigarono per bene, e Medici e Cosenz e Sacchi e Gorini alla testa dei loro militi caricarono gli austriaci alla baionetta con tale impeto, che questi fuggirono tutti lungo la strada tra Belforte e Biumo.

Udendo dai contadini che truppe nemiche si erano viste sui colli di Cazzone, Simonetta con 5 guide (Carissimi, Missori, Zasio, Curo e Tirelli) precede il battaglione. Bixio raggiunge la retroguardia nemica, postata al ponte dell'Olona, e la investe. Una sentinella fugge; Carissimi passa il torrente a guado e agguanta la sentinella; le cinque guide giungono a Malnate; gli austriaci accampati in piazza, atterriti credendolo un arrivo di Garibaldi, cercano scampo a S. Salvatore, stupenda posizione per la difesa, a cavallo della strada di Varese - Como, con le colline a destra e a sinistra e il torrente Quatronna davanti.

Primi ad avvicinarli furono 29 carabinieri genovesi, dei quali caddero subito 7 feriti e uno morto. Garibaldi avendo collocato Medici al poggio di Rovera e vedendo in grave pericolo la sua ala destra e il centro per la forte posizione offensiva degli austriaci, accorse lui stesso con Menotti, Besana, Sacchi e Gorini, Simonetta e le sue guide. Sguainata la spada, questi conducono l'ala sinistra, tentennante, all'attacco. Messi in fuga gli austriaci, Garibaldi li insegue fino a Quatronna. Ordina che si tenga fermo a Malnate e di persona guida i battaglioni di Medici e di Sacchi a Monte Morone sulla sinistra di Malnate. Aspetta che l'ambulanza, ottimamente organizzata dal dottor Bertani, abbia portato via tutti i feriti, poi fa ritirare tutta la colonna a Varese. Ebbe purtroppo 3 morti, 60 feriti; ma il nemico più di 200, oltre 30 prigionieri.

Fra i tre morti in questo combattimento fu Ernesto Cairoli, uno dei cinque fratelli; quattro dei quali allora militavano con Garibaldi e uno nell'esercito piemontese, Impossibile qui nominare quanti si distinsero specialmente in questo combattimento.
Bisogna però ricordare gli elogi prodigati da Garibaldi a Medici, a Sacchi, a Migliavacca, a Bronzetti e a Simonetta, e a tutto il corpo medico: ambulanza composta di medici che si battevano, e che, come il loro capo, sulle barricate di Milano o sulle crollanti mura di S. Pietro in Montorio, curavano i feriti con la stessa pacatezza e disinvoltura con cui li curavano nell'ospedale civico o nelle ambulanze erette lontani dal campo.

Le popolazioni, festeggiando sempre quei prodi, si impensierivano un tantino della lontananza degli alleati, tuttavia sulla riva destra della Sesia, che occupavano fra Vercelli e Casale, e sulla destra del Po fino a Casteggio, mentre gli austriaci si mantenevano sempre in posizione fra il Ticino e la Sesia, signori di Pavia, di Milano e del Quadrilatero e di altre fortezze piene di soldati e di munizioni.
Provvedutosi di vettovaglie per tre giorni a Santa Maria del Monte, santuario a nordovest di Varese, Garibaldi si diresse a Como col proponimento di impadronirsi di S. Fermo, alto monte dominatore del lago già in possesso dei comaschi.
Contro di lui si slancia Urban con due forti distaccamenti, speditigli uno da Garlasco, l'altro da Milano.
Appena Garibaldi occupò Varese, quegli ricevette a Camerlata altri due battaglioni, 6 cannoni e uno squadrone di cavalli.
Occupa Rebbio e Lucino, sulla strada che da Camerlata conduce a Varese, poi tutta la strada fra Rebbio e S. Fermo, ove si accampano gli ungheresi.
"Ho bisogno di S. Fermo" disse Garibaldi a Medici; il quale subito spedì la compagnia del capitano De Cristoforis ordinandogli di attaccarlo di fronte, ed egli mosse con i suoi dalla banda dell'oratorio. Allo stesso tempo Garibaldi stacca un mezzo reggimento e 50 carabinieri genovesi sotto Chiassi, mentre per altri sentieri Medici spinge altre compagnie per minacciare la ritirata al nemico da S. Fermo a Camerlata. Comincia il fuoco alla sinistra. De-Cristoforis, che avanza fra una tempesta di palle, cade ferito mortalmente con una palla in fronte mentre con la sciabola in alto gridava:
Viva l'Italia! e precedeva di molti passi i suoi uomini. (*).
(*) Quasi tutti gli storici della campagna del 1859, mentre lodano il coraggio del capitano De-Cristoforis, lo biasimano per inconsulta audacia. Il Guerzoni invece nella sua splendidissima narrazione Da Varese alla Cattolica mette la nota seguente:
"Non però a causa sua. Lui doveva attaccare quando sentisse iniziato il fuoco alla sua sinistra, e siccome una squadra della compagnia Susini sparò senz'ordine e prima del tempo, così anche il De Cristoforis fu tratto in inganno da quella fucilata. Del resto, gli ordini da lui ricevuti non gli per mettevano di perdersi in indugi. Fu il generale Garibaldi in persona che, passando davanti alla fronte della compagnia pronta all'attacco dietro la Villa Amato, disse al De Cristoforis: "Capitano, appena udite la fucilata e passato questo muro, caricate alla vostra maniera." - Testuali parole udite da me stesso, e che sono ben lieto di scrivere qui a maggior giustificazione di quel valente ufficiale e mio dilettissimo amico, ingiustamente accusato di avere troppo precipitata-l'azione in quella giornata."

Pur caduto il De Cristoforis la compagnia non indietreggia, né l'altra comandata dal capitano Susini Millelire, né quella a destra guidata dal capitano Migliavacca. Medici, Sacchi, Gorini accorrono da ogni parte per animare i combattenti, né respirano fin tanto che non abbiano preso l'oratorio e messo in fuga i nemici, i quali non poterono nemmeno trasportare il maggiore ungherese, loro comandante ferito.
- Altri battaglioni salgono a presidio dei fuggitivi. Medici si avventa contro di essi, i suoi soldati li incalzano con la baionetta; poi occupata una buona posizione, trova Bixio a Santa Maria, Cosenz a Grandola, e il generale Garibaldi che, coi carabinieri genovesi ed altri combattenti, tiene a bada il nemico, che cercava di circondare i cacciatori già in possesso di S. Fermo.

Ma tra i cacciatori della sinistra stesa da S. Fermo a monte Olimpino, c'era il Chiassi, il quale con una mezza dozzina di soldati tratteneva la colonna nemica, finch'è Cosenz con tre compagnie e Medici con due sopraggiunsero, e i nemici furono dappertutto respinti.
Cosenz, solo, alla testa dei suoi, si trova fra due cacciatori austriaci, e a colpi di sciabola li fa diroccare giù nella vallata. Il Generale, che correva ora al centro ora alla sinistra, visto dall'alto che la vittoria gli arrideva su tutta la linea, disse a Medici:
"Raccogli i tuoi soldati, faremo ancora qualche altra cosa" . Ordina in colonna i suoi, e così pure quelli di Cosenz, quelli di Ardoino e col capitano Cenni dello stato maggiore, gridando: "a Como a Como!" correva lungo la colonna.

Bronzetti fu lasciato a S. Fermo. Garibaldi alla testa della colonna, appena calata la notte, scendeva a Borgovico, comandava a Simonetta di scegliersi alcune guide e di scendere a Como a spiarvi le mosse del nemico. Simonetta va in persona con Carissimi e Picozzi, che giunti alle prime case trovano le strade deserte e la popolazione ritirata. Si mettono a suonare a stormo; giunge Medici, e cominciano a gridare: "Viva l'Italia! viva Vittorio Emanuele! viva Garibaldi!"
Si spalancano di dentro porte e finestre: donne in cuffie, uomini in berretta da notte si affacciano ondeggianti fra la speranza e la paura; si accendono candele e lucerne, e poi torce e in men che non si dica ecco Garibaldi montato sopra un piccolo cavallo morello col suo stato maggiore, e le strade illuminate a giorno risuonano delle grida di viva Garibaldi, viva l'Italia!

Simonetta, che conosceva i suoi polli, va e arresta i noti austriacanti, telegrafisti, commissari, ecc. Intanto Garibaldi chiama i suoi da S. Fermo, manda Medici ad occupare Camerlata, fa che Visconti Venosta, regio commissario, proclami re, Vittorio Emanuele, mentre Gabriele Camozzi prende possesso in nome del re dei quattro battelli tolti agli austriaci.
Questo é il lato allegro della battaglia. A Cavallasca e in Villa Amato, Bertani ed i suoi verificano i morti e medicano i feriti. Cartellieri, già uno dei leoni del Vascello, baciò ripetutamente la propria spada, e alla domanda "Dov'é Garibaldi"? sentendosi rispondere. "A Como" lui muore mormorando "evviva Garibaldi."

Fra tutti i medici che si distinsero quella sera, ricordo Malachia De-Cristoforis, straziato dalla morte del fratello adorato, che appena giunto all' ambulanza spirò fra le sue braccia. "Concessi però - soggiunge nel suo rapporto Bertani - brevi istanti al supremo dolore, mi é caro debito il dire come il dottor De Cristoforis, avvisato che altri feriti sopraggiunti richiamavano l'opera sua, singhiozzando, si pose al mio fianco, e fu il più diligente, il più attivo, il più delicato soccorritore degli altri".

Carlo De Cristoforis combatté in Lombardia e in Roma, e il 6 febbraio 1853 in Milano, e fu luogotenente nella legione anglo-italiana in Crimea. A Casale, a Sesto Calende, a Varese fu l'anima della propria compagnia. La morte sua assicurò la vittoria di S. Fermo.
Si proponeva il generale Garibaldi una sorpresa notturna contro il presidio di Laveno sul Lago Maggiore: lui e i suoi più scelti muoverebbero per terra, Bixio con barche costeggerebbe il lago. Ma a causa della buia notte, e delle guide perfide o ignoranti, fu smarrita la strada dal Bronzetti, su cui il generale contava. Il capitano Laudi salì l'altura, giunse al coperto, andò avanti quando fu accolto con vivo fuoco dalla guardia avanzata. Messa in fuga in un baleno, riunì la prima, la seconda e la quarta squadra e giunse all'entrata del forte, dove c'era un cancello fiancheggiato da muro merlato. Qui si svolse una lotta accanita.
I difensori tirarono a bruciapelo; quasi tutti gli assalitori, feriti gravemente e fra essi il capitano Landi ed il sottotenente Sprovieri (dei trenta assalitori, sei morti, diciotto feriti, fra i quali due capitani e due sottotenenti), dovettero retrocedere fulminati dai moschetti e dai razzi.

Landi volle dare di persona l' infausta notizia al Generale che si trovava con il secondo battaglione destinato all' attacco. Non l' avesse mai fatto!... Gli occhi di Garibaldi lampeggiarono d'ira quando udì il Landi non avere il Bronzetti attaccato. "Non é vero!" esclamò, "Bronzetti sarà già entrato nel forte, ci metto la testa che egli é padrone del castello m.... maledetta paura!"
"Generale, - rispose Landi, a cui quelle parole produssero i più atroci spasimi che non la palla, che gli aveva trapassati i lombi rasentando la spina dorsale - Sprovieri, Gastaldi, Spegazzini e molti soldati sono feriti" - "Non é vero!" - "Sono ferito anch'io, hanno tutti fatto prod
igi." - la risposta di Garibaldi "Andate!".
E il Generale girò il cavallo, e Landi cadde in convulsioni, che, trasportato all'ambulanza, gli durarono 15 giorni.
Nella sera il Generale passava con il suo stato maggiore accanto al carro che per via stretta e sassosa trasportava i feriti; vide Landi in convulsioni, Sprovieri col braccio rotto, e gli altri in acuti tormenti per gli urti del carro, e disse con gli occhi umidi a chi gli cavalcava al fianco: "Mi sono sbagliato questa mattina ".

Certo l'insuccesso di Laveno va addebitato alla notte buia o alla perfidia delle guide. II coraggio e lo slancio dei garibaldini furono invece insuperabili.
Il 31 maggio, gli zuavi e Cialdini vinsero a Palestro, ma Garibaldi lo seppe tre giorni dopo, e la sua brigata era allora circondata da 12.000 uomini che Urban capitanava. Questi aveva preso in ostaggio trenta varesini, e ogni giorno scagliava palle e granate dalle altezze sovrastanti sulla città.

Era il primo giugno, e Garibaldi dormiva profondamente sulla sua sella americana, coperto del poncho con la sciabola e carta topografica accanto; i raggi del sole che attraverso i rami di un noce gli inondavano il viso, le zanzare e le mosche che gli ronzavano intorno non avevano virtù di svegliarlo, quando comparve lungo la strada una carrozza e una bellissima giovane, la quale domandò di parlare in segreto col Generale, che destato la accompagnò dentro un'osteria.
Era la figlia del marchese Raimondi, che, seguita dal cappellano di Fino, era venuta per la Svizzera a pregare il Generale di accorrere in aiuto di Como, minacciata seriamente dagli austriaci. Garibaldi scrisse a Visconti Venosta, commissario regio di Como, le seguenti parole:

Signor Venusta, a Roberto, 1 giugno 1859.
"Io sono di fronte al nemico a Varese, penso di attaccarlo questa sera. Mandate i paurosi e le famiglie che temono fuori della città, ma la popolazione virile, sostenuta dal nostro Camozzi, le due compagnie, i volontari e le campane a stormo, procurino di fare ogni possibile resistenza. «
G. GARIBALDI.

E consegnando la lettera alla signora soggiunse: "Dica che stiano fermi e resistano fino a domani: occupino i monti e Camerata; io con i miei cacciatori sarò domani a Como".

E a Como entrò, camminando da S. Ambrogio a Induno e Casa Nuova, con stupore degli austriaci e con giubilo dei comaschi.
Di là volò a Lecco e a Bergamo, e per poco non fece prigioniero un convoglio di truppe provenienti da Verona, le quali, avvisate della presenza di Garibaldi, si arrestarono e occuparono Seriate.
Il Bronzetti, che non si dava mai pace per lo scacco di Laveno, condusse la sua compagnia da Bergamo a Seriate, e con Pagliano, che dall'ambulanza era passato al reggimento, e col tenente Mancini, si gettò sugli avamposti nemici che fortemente resistettero. Ma tale fu l'urto dei cacciatori che il nemico in ultimo dovette fuggire alla stazione, ove un'altra altra parte della loro compagnia si era già rifugiata.

Arrivarono poi il colonnello Tiirr e il colonnello Cosenz e assistettero alla fine del combattimento. Dieci feriti dei cacciatori, due morti; dei nemici 14 tra feriti e prigionieri.
Quasi nello stesso tempo il maggiore Camozzi agguantò una pattuglia, e armando i contadini di zappe e di badili sparse la voce a Corlago che i cacciatori dovevano sopraggiungere, prese la macchina e la condusse a Bergamo, che servì egregiamente per trasporti a Brescia, finché il ponte, che il nemico aveva rotto sull'Adda, fu ricostrutto.
Il giorno 8 gli alleati erano entrati in Milano, e il 9 il re chiamò qui Garibaldi e pare si fosse deciso di attaccare la divisione d'Urban.

Garibaldi intanto emise il seguente ordine del giorno:
"Il capitano Bronzetti alla testa della sua compagnia, terza del primo reggimento, ha compiuto uno di quei fatti che sono unici nei fasti militari delle prime nazioni del mondo. Con meno di cento uomini circa assalì un corpo nemico di circa mille uomini a Seriate, lo sbaragliò e fece dei prigionieri. Con uomini di tanta prodezza si può tentare ogni impresa e l'Italia deve ricordarli eternamente. S. M. mi ha incaricato di porgere in nome suo e dell'Italia i suoi encomi e le sue congratulazioni al corpo dei Cacciatori delle Alpi per l'impavido e valoroso contegno nelle fazioni in guerra da essi gloriosamente disimpegnate. Io commosso e superbo di comandare questi prodi, aggiungo soltanto una raccomandazione: più accurata disciplina. "

A Garibaldi accadde di catturare un ordine del giorno austriaco, che dimostrava l'intenzione del nemico di riprendere l'offensiva sull'Oglio e sull'Adda; e lo trasmise subito al re. Il giorno 11 distribuiva le croci e le medaglie dategli dal Re, e fece leggere il seguente ordine del giorno, sottoscritto per il Re dal capo dello stato maggiore generale Della Rocca:

ORDINE DEI. GIORNO
" Mentre l'esercito alleato si teneva ancora sulla difensiva, il generale Garibaldi alla testa dei Cacciatori delle Alpi, dalle sponde della Dora si spingeva arditamente sui fianco destro degli austriaci. Con una straordinaria velocità di mosse, in pochi giorni raggiungeva Sesto-Calende, d'onde, cacciato il nemico, penetrava sul territorio lombardo, e veniva a porre il campo a Varese. Qui assalito dal tenente-maresciallo Urban con tremila fanti, duecento cavalli e quattro cannoni, sosteneva, contro un reparto accanito, tutto l'assalto sprovvisto di artiglieria, ma tuttavia ne usciva vittorioso.
Con altri successivi combattimenti si apriva poi il passo verso Como, dove respingeva di nuovo nuovo gli austriaci e s' impadroniva dei loro magazzini e bagagli. Questi ragguardevoli fatti d'arme formano il più bell'elogio di questi giovani volontari, i quali, ordinati dal loro valoroso capo, mentre il nemico già radunava poderose schiere ai nostri confini, combatterono in questi ultimi giorni da vecchi soldati. Essi hanno bene meritato della patria, e S. M., nel compiacersi di attestar loro la sua più alta soddisfazione, ha ordinato che siano fatti conoscere all' esercito intero i nomi dei prodi cacciatori, che maggiormente si distinsero e le ricompense che loro accorda col presente ordine del giorno".

Deliberato d'inseguire la divisione Urban, Garibaldi fece occupare Brescia da trenta uomini, poi entrò con tutta la brigata, e sparsasi la voce per tutta la città che gli austriaci tornavano, con le debite precauzioni il giorno 14 si trovò a S. Eufemia, due miglia da Brescia.
Gli alleati seguivano il nemico dall'Oglio al Chiese, e nella notte del 15 Garibaldi ricevette le seguenti istruzioni sottoscritte dal generale Della Rocca, in data di Castegnato dietro il Mella:
"S. M. il Re desidera, che domattina ella porti la sua divisione su Lonato, dove sarà seguita dalla divisione di cavalleria comandata dal generale Sambuy, composta di quattro a reggimenti di cavalleria di linea con due batterie a cavallo ".

Garibaldi subito si mise in moto, si fermò a Rezzato per avere notizie della cavalleria pro
messa e mandò il Trecchi al Re con una lettera, avvisandolo che tutta la divisione Urban era al suo fianco destro con gli avamposti distesi fra Castenédolo e Buffalora: che però egli ubbidiva e andava avanti.
Stese pertanto i suoi sei battaglioni lungo la linea del Chiese, due sotto Cosenz dietro le case Carbone in Treponti, uno con i genovesi sotto Medici al punto dove la strada si biforca da Brescia a Lonato; gli altri li conduceva il Generale in persona al ponte di Bettoletto. Al primo colpo di moschetto mandò il colonnello Turr con due compagnie ad occupare lo sbocco di Treponti, ordinando a Medici e a Cosenz di difendere la strada che da Rezzato a Ciliverghe passa per Treponti e Bettola, mentre incitava i messi per affrettare l'arrivo della cavalleria promessa.
Una ricognizione nemica attacca ma è respinta; Cosenz decide di prendere l'offensiva, Turr corre a Rezzato per mandare su una compagnia, poi raggiunge Cosenz a Treponti, mentre questi con due compagnie assalendo il nemico di fianco e di faccia lo obbliga a ripiegare.
Procedendo, si prendono due cascine ai nemici, i quali rinforzano la propria linea con poderose riserve. Nondimeno Cosenz riattacca, occupa l'argine della via ferrata e il tanto contrastato ponticello sul Lupo, sgombrandosi così il terreno davanti Treponti e Rezzato. Non contento di ciò si avanza a sinistra e Turr a destra; e contro Turr la resistenza degli austriaci è ostinatissima. Egli però li caccia da Fenile Ospitale, e via sino al secondo ponte sul Lupo.

Lasciato Bronzetti sulla via ferrata, le tre compagnie di Ciliverghe si congiunsero a Cosenz, il quale vedendo molte forze nemiche sull'altura di Castenedolo, fa suonare il segnale di fermata, non arrischiandosi con così scarse forze di assalire Urban; formidabile per la divisione raccolta sopra e intorno a quell'altezza: Cosenz aveva in tutto 900 combattenti e non un solo cannone; ma il Turr già giunto al terzo ponte sul Lupo, chiamato a sè il Bronzetti dalla via ferrata decise di assalire i nemici sul roccolo di Giacomo al nord di Castenedolo.

Giungendogli il segnale alla carica, Cosenz fece riunire i suoi uomini mentre Turr partiva nella carica. Allora anche Cosenz dovette suonare la carica, ma nell'opposto campo nemico le trombe squillarono la carica; così gli audaci cacciatori diedero di cozzo contro forze dieci volte superiori. Avanti sempre però, sotto la pioggia di palle che il nemico dal colle boscoso gettava impunemente. Cadde morto il tenente Gradenigo con una palla in gola, una palla trapassò il braccio sinistro di Turr sotto la scapola, ma egli impavido continuò a combattere gridando: "primo e quarto battaglione passo di carica". Bronzetti, con la sua compagnia si arrampica a sinistra, oltrepassa il roccolo, guadagna il riparo, ignaro che dietro la siepe un gran nerbo di austriaci stava in riserva.
Ferito, il Bronzetti continua a gridare: "Avanti ! avanti!" ; ferito una seconda volta grida: "Viva l'Italia!" e soccombe nelle braccia del sergente Gnocchi; ma la terza palla trapassa l'omero dello stesso Gnocchi e ancora una volta il braccio di Bronzetti. I superstiti indietreggiano fino al ponticello, il centro e la destra si ritirano anche. Cosenz raccoglie quanta più gente può, affretta un distaccamento sotto il tenente Mancini a destra, spinge il tenente Logarbo a sinistra, per vie nascoste, ingiungendo a tutti di non fare fuoco se non a tiro di pistola, nè di tornare indietro senza suo ordine.

Ma a quel punto giunge un comando formale di Garibaldi di suonare a raccolta e in 'ritirata; e quel manipolo di eroi che aveva per tre ore combattuto contro settemila austriaci anch'esso si ritirò.
Garibaldi, sempre a Bettoletto con 9 compagnie e 8 pezzi di artiglieria, non si immaginava che Turr e Cosenz si fossero spinti così avanti. A lui premeva di ricostruire il ponte, e frattanto un messo dei Re gli portava l'ordine di stare fermo nella posizione occupata.
"Quale? disse Garibaldi - a S. Eufemia, da dove scrisse S. M., o a Bettoletto dove mi trovo?"
Intanto scrisse al Re che la ricostruzione del ponte era quasi terminata. In quel momento venne il Camozzi con la notizia dell'attacco di Tre Ponti. Garibaldi lascia Ardoino in guardia del ponte, spinge Menotti a galoppo al quartier del Re, e con due soli ufficiali vola a Tre Ponti, ove arriva mentre ferve il combattimento presso Castenedolo.
II Re, saputo da Menotti che la cavalleria non era giunta, va in persona a Cialdini e lo fa muover subito in appoggio di Garibaldi. Intanto spedisce Trecchi al Generale con l'istruzione di concentrarsi a S. Eufemia.
- Garibaldi, arrivato a Ponte di S. Giacomo, incontra un convoglio di feriti, Bronzetti svenuto, il dott. Pietro Maestri medico del reggimento con la gamba sinistra rotta da una palla, e molti altri feriti che alla vista dell'amato duce gridano tutti: "Viva Garibaldi!" Anzi il Teruggia Ambrogio, pronuncia solamente "Viva Gari.... " e muore.
Egli non vi bada nemmeno, corre avanti come un fulmine, gridando a quelli sulla destra e sulla sinistra dei canale Lupo, di "comporsi in gruppi e in catena e testa per Dio! non disonorate le armi italiane" .

Ma i cannoni nemici allora in batteria sulla via ferrata tempestano di fronte e di fianco; per fortuna viene su Medici con tre compagnie, e ritorna il Cosenz in buon ordine con i suoi uomini.
Le stesse posizioni occupate il mattino, a Rezzato, Treponti e Ciliverghe, rimangono in mano loro la sera. Centoventi feriti e morti perdettero i cacciatori, fra essi quattro ufficiali morti, quattro feriti; Garibaldi rasserenato lodò tutti, specialmente Cosenz e Turr, lodò per nome il Maestri ferito e il capo medico Bertani, che con tutta l'ambulanza in mezzo alle palle medicarono e trasportarono i feriti da Castenedolo a Treponti.
Cosenz a sua volta fece i debiti elogi di Bronzetti e di Gradenigo e di molti altri ufficiali, e Bertani volle portati all'ordine del giorno i medici Sacchi e Gemelli e il sottotenente Sparano.
Il Bronzetti fu trasportato a Brescia. Bertani, disperando di salvarlo, ne fece prendere il ritratto sul letto colla spada al fianco, e con la medaglia d'argento guadagnatasi per il fatto di Seriate, mentre gli si dava la notizia che il Generale aveva domandato per lui la croce di cavaliere dell'ordine militare di Savoia, già nominandolo maggiore. Baciò egli piangendo la medaglia, e gli occhi del morente si velarono leggendo le seguenti parole che Garibaldi gli scrisse:

"Carissimo Bronzetti,
Voi siete certamente al disopra di qualunque elogio, ed avete meritato certamente il nome di prode dei prodi della nostra colonna. Il vostro coraggio superò la gravltà delle vostre ferite, e voi sarete reso ai vostri compagni d'armi.
Accogliete un fraterno abbraccio del vostro amico G. GARIBALDI

Morì il 17 giugno e fu seppellito nel cimitero di Brescia.
Intanto Cialdini, avanzando, impedì ad Urban di rinnovare le offese. Garibaldi lo incontrò a Rezzate e Lamarmora andò a trovare Garibaldi a Nuvolento, donde questi scrisse il seguente tremendo ordine del giorno:

Nuvolento, 16 giugno.
"Ieri il primo reggimento, non da me visto, pare si sia comportato con molta bravura, condotto dai prodi colonnelli Cosenz e Türr, perseguendo e fugando il nemico per molto spazio di terreno. Visto da me poi nella ritirata, il suo comportamento è stato tutt'altro. Acciò serva nell'avvenire, io accennerò ai Cacciatori delle Alpi i vari errori commessi nella ritirata.
- Il primo è quello di ritirarsi ammonticchiati, e non in catena, con molta minor probabilità di essere feriti.
- Il secondo, che i più lontani dal combattimento devono con il loro buon comportamento sostenere i più impegnati nella loro ritirata.
- Il terzo sta negl'immensi tiri sprecati, non solo troppo da lontano, ma anche senza vedere il nemico, e spesso contro i compagni stessi più avanzati, per cui si rimane subito senza cartucce, ciò che serve di pretesto ai codardi per ritirarsi.
- Il quarto si è il gran numero di militi che vanno via col pretesto di accompagnare i feriti. L'anzidetto non toglie che molti ufficiali e militi, di cui si farà menzione, abbiano mostrato quell'intrepido sangue freddo che io spero di ottenere dai nostri cacciatori tutti.
Si aspettano i rapporti dei comandanti di corpo."


Per Türr, la di cui temerità fu causa di tutto il disastro, non ebbe che parole di affettuose lodi, come difatti gliele prodigò sempre dopo, a discapito di molti italiani di senno maggiore, di uguale coraggio e che fecero molto meno scalpore per ben più gravi ferite.
Il giorno 17 Garibaldi passò il Chiese. Avendo il 18 ottenuto una batteria da 16, mandò a picco un vapore da guerra nemico sul golfo di Salò. Sentendo che un corpo austriaco minacciava gli alleati dal Tirolo, Garibaldi con Medici mosse verso Tirano, respinse il nemico fino allo Stelvio, e là come fulmine a ciel sereno lo percosse la notizia dell'armistizio di Villafranca.

(di cui parleremo nel prossimo capitolo) >

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NOTA

Diamo per la prima volta l'elenco dei feriti e morti nei vari combattimenti dei Cacciatori delle Alpi, durante la Campagna del 1859, raccolto e ordinato dal dottor Agostino Bertani:

COMBATTIMENTO DI CASALE, 8 MAGGIO 1859. - Feriti : Perazzi Enea. - Caprara Giacomo.

COMBATTIMENTO DI VARESE, 25 MAGGIO 1859. - Feriti: Boni Giovanni. - Capellini Alessandro. - Bianchi Vincenzo, caporale (morto . - Biraghi Guglielmo (morto). - Moretti Abele. - Giovannoni Gaetano. . - Colla Antonio (morto). - Rosi Giovanni. - Venturelli Giovanni. - Ottini, sergente (morto). - Rossi Carlo (morto). - Molinari Giovanni. - Perazzi Carlo. - Negri Francesco. - Rotta Carlo. - Maggi Ferdinando. - Consigli Luigi. - Fera Francesco. - Giannanali Matteo. - Meloni Raffaele. - Ponti Ferdinando (morto). - Rebustini Andrea. - Porro Romano. - Mascardotti Francesco. - Maciò Angelo, bersagliere. - Rustici Giovanni. - Liverani Silvio. - Bianchi Celestino - Caretti Giuseppe. - Donelli Luigi Domenico. - Fabiani Giovanni Battista. - Sericani Pasquale, bersagliere. - Pedrangeli Giovanni. - Viale Francesco. - Cobelli Saverio. - Roseliini Giuseppe. - Allegrini Faustino. - Mongiardini Luigi. - Casanova Domenico. - Comolli Romualdo. - Bernacchi Fortunato.. Gilardi Giuseppe Federico. - Nosetti Giovanni. - Rinalta Augusto, bersagliere. - Baratta Leonardo (morto) - Tessera Erminio. - Vigevano Antonio. - Ruggeri Tommaso. - Rechiedei Enrico, caporale. - Giustiniani Antonio. - Spreafico Antonio. - Cavallotti Francesco. - Merli Luigi. - Baglini Giacinto, bersagliere. - Dotti Rinaldo (amputato al braccio destro). - Baratti Giovanni. - Laugè Ambrogio. - Azzacchiari Giacinto, nuovo aggregato. - Cipolla Vittore. - Alfieri Cesare, capitano. - Massieri Amadeo. - Adami Battista, bersagliere. - Consonni Luigi, sottotenente. - Sforzini Luigi. - Rollero, bersagliere (morto). - Mai Francesco.
Morti sul campo: Brann Bruto. - Bignami Enea. - Panbianchi. - Martinelli Guerino. - Menchini Luigi. - Pavesi. - Magenta di Groppello. - N. N. (si suppone Crescini). - Mazzetti Giovanni. - Verati. - Grassi Pietro - Cairoli Ernesto. - Sartorio Felice. - Ciampellini Demetrio. - Valdis Pietro, caporale. - -Bassi Carlo (questi ultimi tre non verificati nel controllo, ricevuti in nota dal dottor Gemelli). - Marelli. - Baldi Pietro, caporale.
N.B. - Dei diciassette datimi come morti, io non trovai che dieci cadaveri; nove al Deposito mortuario di Biumo Inferiore, uno in quello del Civico Ospitale.
Per me è certa l'identità soltanto dei morti: Bignami, Magenta, Ciaroli; per gli altri ad arrivare al dieci, e tanto meno per i sette non ho dati positivi.
Osservo però che in Varese nè il Municipio, nè i Parroci, né i becchini trovarono più che dieci cadaveri.
Feriti austriaci: Alaufus Mattia. - Grifiach Giovanni. - Teina Pellavick. - Stridrik Simone. - Duhi. Nicolai. - Giuffia Giovanni. - Zoder Zerbusick. - Schuller Pietro. - Rodale Giovanni. - Vasi Barnaba. - Mince Zelemiruik. - Juer Sudrick.
Morti austriaci: Num. 15 cadaveri non controllati.

COMBATTIMENTO DI S. FERMO (COMO) IL 27 MAGGIO 1859. - Feriti: Colombo Giuseppe. - Guerzoni Giuseppe, sottotenente. - Petrocchi Antonio. - Carmagnola Giuseppe. - Ferrini Giovanni. - Chierici Vincenzo. - Mongrilli Luigi, bersagliere. - Daneo Carlo, tenente. - Ricci Platone. - Stecchini Francesco. - Giovanni Morandi. - Barasciutti Giovanni, caporale (amputato alla gamba destra). - Alberti Giuseppe. - Buglio Antonio (amputato al dito mignolo della sinistra) - Mandelli Antonio. - Fiorio Ferdinando. - Casiraghi Alessandro. - Donadoni Luigi (morto). - Lorenzi Emilio. - Malandri Francesco. - Marchetti Francesco (morto). - Mazzetti Gioacchino (Giovanni). - Bocchi Egisto. - Suni Cesare. - Luvini Giovanni, carabiniere.
Morti sul campo: De-Cristoforis Carlo, capitano. - Pedotti, sottotenente. - Cartelieri Ferdinando, sottotenente. - Battaglia, caporale. - N. N. incognito (forse Fattorini Eugenio di Como). - N. N. incognito milite. - N. N. incognito milite. - N. N. incognito (forse Giuseppe Fioravanti di Brescia).
Feriti austriaci: Cyotti Joseph, ungherese. - N. N. ignoto casato (mostre rosse). - N. N. ignoto (mostre color vino). - Vrochocgni Joseph. - N. N. ignoto (mostre color vino). - Lullo Andrea (mostre color vino). - Comenschy Joseph.
Morti austriaci : Num. 5 compreso un capitano.

COMBATTIMENTO DI LAVENO, IL 31 MAGGIO 1859. - Feriti: Galli Giuseppe. - Galeotti Noè. - Maspero Antonio. - Sproniero Francesco, sottotenente. - Lauoli Vincenzo, capitano. - Moderati Giuseppe. - Gesotti Luigi. - Golini Angelo. - Spegazzini Pietro - Lassati Giovanni. - Pierboni Raffaele. - Muzzetti Battista. - Pini Andrea di Mandello. - Conti Paolo. - Castadoli, sottotenente (fatto prigioniero dai tedeschi). - Fantuzzi Luigi. - Zambrelli Luigi. - Masselli Stanislao.

COMBATTIMENTO DI SERIATE (BERGAMO) L'8 GIUGNO 1859. - Feriti : Pagani Costantino. - Biasetti Anselmo. - Carminati Antonio. - Orna Giuseppe. - Meraviglia Pietro. - Daccò Francesco (morto). - Lanetta Torquato, caporale (morto). - Rebeshini Giovanni. - Gualdo Girolamo (sottoten.). - Albiati Giovanni.
Feriti austriaci: Selim Giovanni. - Toth Giuseppe (morto). - Verusy Paolo. - Molinary Giorgio. - Hasotz Francesco. - Veuz Giovanni. - Henalt Giorgio. - Euright Giuseppe.

COMBATTIMENTO DI COCCAGLIO IL 10 GIUGNO 1859. - Feriti: Terussi Francesco. - Morti: Arosio Luigi. A PALAZZOLO. - Piacenza Luigi (morto da colpo di palla per esplosione accidentale).

COMBATTIMENTO DI TREPONTI IL 15 GIUGNO 1859. - Feriti : Bonsignori Eugenio, caporale furiere. - Cella Girolamo. - Toffanelli Andrea. - Mairani Giuseppe. - Nicolazzi Domenico. - Pelosi Pietro. - Nera Luigi. , Savelli Alessandro. - Bedogni Domenico. - Balchini Giuseppe. - Arnisi Luigi. - Barmieri Giorgio. - Poltronini Luigi. - Benedini Gaetano. - Faniani Salvatore. - Maspero Pompeo. - Schenini Eligio, furiere dello stato maggiore. - Farini Santo. - Gialli Antonio. - Botti Pietro. - Decler Giuseppe, svizzero (morto). - Acquistapanni Antonio. - Vigliecca Giovanni, sorgente dello stato maggiore. - Ferla Aurelio. - Bianchi Luigi. - Valdastri Marco. - Gnocchi Ermogine, caporale furiere. - Tagliabue Pietro. - Storti`Delfino. - Pirloni Ermenegildo. - Moneta Giovanni. - Barbieri Francesco. - Chierichetti Giuseppe. - Segata Angelo. - Cesari Giuseppe, caporale. - Musso Lorenzo. - Veturelli Carlo. - Bertani Giuseppe. - Costa Enrico. - Marchi Santo. - Cavalli Pietro. - Paini Giovanni. - Vanetti Angelo. - Pedrali Battista. - Cesati Giuseppe. - Schenzani Davide. - Piccini Angelo. - Boni Enrico. - Pasi Enrico. - Bonigli Arone. - Rota Giuseppe, sergente furiere. - Demarioli Enrico. - Ceroni Enrico. - Rova Basilio. - Pier Leoni Raffaele. - Vitali Sigismondo. - Staccatici Cipriano. - Clerici Pietro. - Garzia Michele. - Marchesi Luigi. - Tomimietti Roberto. - Borgomaneri Sid. - Maiocchi Antonio. - Rossi Luciano. - Castellozzi Antonio. - Benvenuti Cesare, furiere. - Gavezzari Luigi. - Secondi Ferdinando, caporale. - Puricelli Fid. - Merighi Cesare. - Valli Giovanni, caporale. - Giulianelli Luigi. - Grassi Enrico. - Venturi Francesco. - De Marchi Pietro. - Carnerini Clemente. - Turatti Giulio. - Patuzzi Luigi. - Fermi Felice, caporale. - Magani Fid. - Agostinelli Fid - Dragoni Giuseppe, caporale. - Sentieri Gaetano. - Chiappari Pietro. - Pea Pietro, sottotenente. - Barbetta Achille. - Bronzetti Narciso, capitano. - Thürr N., ungherese. - Resta Carlo (morto). - Peninio Romeo. - Maestri Pietro. - Specchi Eliodoro. - Dasi Luciano. - Marzutti Giuseppe. - Reghi Luigi. - Omodei Giovanni. - Mulazzi Pietro. - Rossi Andrea. - Appesti Ettore, tenente. - Lucchesi Bartolommeo.
Prigionieri: Maggiorini Raffaele. - Pavesi Giuseppe. - Restelli Giovanni. - Camillo. - Masanto Gerolamo. - Del-Monte Felice. - Zanfranchi. - Visterini. - Brucati. - Pozzi.
Morti sul campo: Gradenigo, tenente. - Del-Corona, caporale. - Ferrari Natale. - Greselli D.° Parigi. - Gustavo Colletti. - Gervasoni Antonio, sergente. - Banfi. - Geminiani Giuseppe. - Terruggia Antonio. - Buschetti. Gragnola Girolamo (morto a Montechigli). - Pustali Luigi (morto a Montechigli). - Resca Carlo.
N.B. - A me non fu dato di raccogliere che dieci cadaveri , l' identità di cinque dei quali fu constatata, per gli altri ho i seguenti dati: sul cadavere di uno fu trovato un libretto di annotazioni , su cui sta scritto: mi arruolai il giorno 9 aprile nel 3.° reggimento, 2.a compagnia, i°plotone, 2.a squadra; unitamente a questo libretto stavano tre lettere indirizzate ad un Gustavo Renza senza che mai fosse indicato il casato. C'era però una annotazione d'indirizzo d'una signora Matilde Mazzocchi Giovanelli presso la famiglia Giani Corladi, Porta Tosa N.° 12 in Milano.
Un altro cadavere aveva una gamella col nome di Banfi; dato però incerto, poichè avviene spesso lo scambio delle gamelle.
L'8, 9, 10 compirebbero il numero dei cadaveri raccolti, dei quali però io non ho alcun dato. So che due feriti rimasti sul campo, raccolti dai Tedeschi, morirono; sono i due ultimi.
Dalle note fornitemi dal medico del 3.° reggimento, Dottor Gemelli, mi verrebbero indicati come morti i soldati Colletti Gaetano, Fich Bartolomeo, Oruter Giuseppe della 2,a compagnia; più Silva Gaetano, Mole Virginio della 3.a compagnia ; Pogliani Pietro, Pini Stefano, Bava Giovanni della 5.a compagnia; per i quali morti non ho possibilità di controllarla, non trovandosi questi nomi fra i feriti, nè essendosi trovati altri cadaveri, oltre i dieci suaccennati nelle ripetute e diligenti visite, fatte sul campo di battaglia.

Feriti di Valtellina:
A CEPINA PRESSO S. ANTONIO DI MORIGLIONE, IL 30 GIUGNO 1859. - Persenico Francesco. - Lenghini Antonio.
AL BOLADORE. - Ciocarelli Antonio.
A MONTE PEDENOLLO E STRADALE MILITARE, 8 LUGLIO 1859. - Gosio Andrea. - Baggi Giovanni (morto). - Guajnelli N., sergente tromba. - Mazza N. (morto annegato). - Selmoni Adriano (morto annegato.


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