GRECIA - STORIA

ALESSANDRO MAGNO
LA GRANDE SPEDIZIONE IN ASIA (325-323 a.C.)

LA MARCIA NEL DESERTO (Settembre 325 - Primavera 324) - IL RIMPASTO NELLE SATRAPIE E NELLA CORTE - IL MATRIMONIO COLLETTIVO DI SUSA (primavera 324) - MALCONTENTO E RIVOLTE - IL RICHIAMO DEGLI ESULI E LA DIVINIZZAZIONE (estate 324 durante i giochi olimpici) - GLI ULTIMI MESI DI VITA (Autunno 324 - Giugno 323) - LA MORTE DI ALESSANDRO -
--------------------------------------------------------------------------------------------

LA MARCIA NEL DESERTO (Settembre 325 - Primavera 324)

La regione costiera che dall'Indo giunge fino al Golfo Persico è desertica. Una marcia a piedi attraverso di essa metterebbe a dura prova qualsiasi esercito, e anche il sovrano macedone era consapevole almeno in parte che rischiava grosso a volere prendere quel cammino. La via più logica da seguire era quella per la quale era stato inviato Cratero: raggiungere la valle dell'Helmand, già percorsa all'andata e da lì ritornare in Persia. Tuttavia una marcia nelle regioni interne avrebbe lasciato la flotta senza assistenza. Per quello che se ne sapeva, la costa, oltre ad essere desertica, era pure importuosa e popolata da gente ostile, quindi il rifornimento delle navi era impossibile senza il supporto di un esercito di terra. Alessandro voleva assolutamente fare arrivare la flotta sana e salva fino al Golfo persico per stabilire una rotta marittma tra la Mesopotamia e l'India, perciò decise di marciare lungo il deserto costiero parallelamente alla flotta, "liberare" la regione dalle popolazioni ostili e lasciare depositi di rifornimento lungo il percorso, di cui la flotta potesse disporre. Secondo Strabone, Alessandro lasciò Patala con l'esercito verso il Settembre del 325, quando si poteva sperare che le pur magre piogge monsoniche avrebbero riempito i torrenti ed i pozzi. La flotta, costituita da 120 navi e 10000 uomini al comando del cretese Nearco, aspettò fino al tramonto delle Pleiadi, che cade verso il mese di Ottobre, quando i venti diventano favorevoli alla navigazione, per fare vela verso il Golfo persico. L'esercito di supporto si imbattè dapprima nel popolo degli Arabiti, che vivono tra l'Indo e il fiume Habb, che fuggirono al suo passaggio. Attraversato l'Habb si imbattè nel popolo nomade degli Oriti che iniziò a tormentarlo con azioni di guerriglia a cui i Macedoni risposero con la consueta repressione. Giunto nel loro villaggio principale, Rambacia, Alessandro volle trasformarlo in una vera città e lasciò ad Efestione l'incarico di sovrintendere i lavori di costruzione di questa nuova Alessandria. Gli Oriti cercarono di resistere insieme ai Gedrosiani presso il passo di Kumbh, per il quale doveva transitare Alessandro, ma all'avanzata del nemico cercarono di venire a patti. Alessandro, peccando forse di ottimismo accettò affrettatamente la loro sottomissione e permise loro di ritornare in patria. Aveva lasciato come satrapo della regione Apollofane, all'inizio coadiuvato da Leonnato come comandante militare. L'esercito si lasciò alle spalle un'ultima fertile vallata, quella del fiume Purali, ed iniziò la parte più difficile del cammino. Le lande della Gedrosia o del Makran erano distese desertiche di rocce bianche e dune di sabbia, che si estendevano a perdita d'occhio. Dal momento che erano praticamente inattraversabili di giorno a causa della calura costante Alessandro fece quasi sempre smarciare le truppe di notte o alle prime luci dell'alba. Intanto le popolazioni degli Oriti alle spalle ripresero a sollevarsi tagliando i rifornimenti e uccidendo Apollofane (secondo altre fonti fu invece destituito da Alessandro per incompetenza). L'armata contava, detratti i contingenti di Leonnato, impegnati a sedare la rivolta degli Oriti e le truppe imbarcate con Nearco, circa 12000 uomini con donne e bambini. Abbandonando la pista segnata dalle carovane, che si addentrava all'interno della regione, Alessandro tentò di seguire la linea costiera, per poter approntare i depositi di rifornimento per le navi, ma questa deviazione comportava l'attraversamento di lande inesplorate e quindi senza precedenti segnalazioni di pozzi, per cui si fece ben presto sentire la penuria d'acqua. I carriaggi andarono ben presto perduti, le bestie da soma furono uccise dagli stenti e ancora di più ai soldati affamati che le ucidevano senza autorizzazione per cibarsi delle loro carni, dopo avere addotto la scusa che erano ormai morte. Ben presto i più deboli degli uomini, le donne e i bambini iniziarono a cadere per sfinimento e nessuno si attardò a prestare loro soccorso. Le rare piogge stagionali cadevano sui monti e gonfiavano i torrenti, che quasi senza preavviso si riversavano sull'esercito accampato nei loro pressi, travolgendo le tende e trascinando a valle uomini e animali, tanto che Alessandro dopo uno di questi incedenti ordinò all'esercito di accamparsi sempre ad una certa distanza dai fiumi. Cercò pure di regolare l'afflusso degli assetati verso in modo che non si ingozzassero troppo d'acqua col rischio di morirne o non inquinassero l'acqua agitando il fango sottostante. In qualche modo riuscì a mantenere la disciplina del suo ormai sbandato esercito col suo esempio.

Secondo Arriano infatti "Lo stesso Alessandro era tormentato dalla sete, tuttavia proseguiva a piedi, per cui anche tutti glialtri soldati, come avviene in siffatte circostanze, sopportavano più agevolmente le fatiche nella comune sofferenza." Alessandro fece anche il gesto di rifiutare di bere, nonostante la sete, una piccola scorta d'acqua che dei devoti soldati gli avevano procurato, e diede così animo al suo esercito. In ogni caso il percorso lungo la via costiera si rivelò impraticabile, pertanto Alessandro dovette finalmente far fare al suo malridotto esercito una deviazione verso l'interno, dove le guide riuscirono a trovare cibo e acqua per i soldati superstiti. Dopo altri 300 chilometri di stenti, le truppe sfinite raggiunsero la Carmania, dove si ricongiunsero col corpo di spedizione di Cratero. Nel complesso le perdite umane ammontarono ai quattro quinti del contingente guidato dal Re, mentre le truppe di Cratero soffrirono assai meno per essere passate per territori più ospitali. Più tardi giunse anche il contingente di Leonnato che era rimasto in retroguardia per far fronte alla ribellione degli Oriti e infine, con grande gioia di Alessandro, anche la flotta di Nearco. Anche dopo che ebbe perso i contatti con l'esercito e sofferto ogni sorta di privazioni, era riuscita ad entrare nel Golfo persico con la perdita di sole quattro navi, dando al Re la prova che era possibile aprire una rotta marina con l'India. Le feste per il ricongiungimento inclusero sacrifici agli dei, banchetti e gare atletiche, mentre secondo alcuni storici pettegoli lo stesso Alessandro guidò un corteo bacchico vestito come Dioniso. L'esercito e la flotta procedettero parallelamente verso Pasargade e poi Susa, che fu raggiunta nella Primavera del 324.

IL RIMPASTO NELLE SATRAPIE E NELLA CORTE

Esauriti i festeggiamenti, Alessandro fece sentire la collera verso i satrapi dell'impero. Durante la sua assenza aveva lasciato a notabili locali, posti di governo nelle satrapie e truppe mercenarie al loro seguito, purchè gli prestassero cieca obbedienza e il necessario aiuto qualora ne avesse avuto bisogno. Durante la marcia nel deserto aveva scritto ai satrapi di Gedrosia e Carmania di portargli dei rifornimenti, ma essi avevano disatteso le sue istruzioni. Costoro furono i primi a perdere il posto e furono rimpiazzati da Sibirzio e Tlepolemo. Ben presto Alessandro venne a sapere che in sua assenza quasi tutti i governatori si erano resi responsabili di abusi verso i sudditi, malversazioni, arruolamento illegale di truppe o vere e proprie ribellioni. A Pasargada constatò con i suoi occhi il saccheggio della tomba di Ciro, ed ebbe un accesso di collera quando fu informato che alcuni suoi ufficiali, Cleandro, Sitalce, e Agatone si erano resi responsabili di stupri e assassinii nella regione della Media. Essi furono subito giustiziati, così come Orsine satrapo di Persia e Abulite, satrapo di Susiana. Divenne poi necessario rimpiazzare anche il satrapo dell'India Filippo, morto in una sommossa di mercenari. Quest'ultima provincia fu affidata all'amministrazione congiunta di Eudamo e Taxila, mentre la Persia e la Susiana furono accorpate sotto il governo di Peuceste, che, per rendersi gradito tanto al suo sovrano che ai suoi nuovi amministrati, prese a vestire con foggia Persiana. Rimasero confermati nelle loro satrapie, Atropate in media, Farasmane, succeduto al padre Frataferne in Partia, e Stasanore in Aria, che avevano tempestivamente inviato rifornimenti all'esercito. Nonostante queste purghe la situazione generale era piuttosto insoddisfacente per il sovrano macedone, che vedeva rischi di insubordinazione in tutti i suoi governatori, e, inevitabilmente, diede ordine ai satrapi di congedare le truppe mercenarie al loro servizio.

Altri dispiaceri dovevano venirgli da persone in cui aveva riposto la massima fiducia. Il suo amico d'infanzia Arpalo, a cui era stata affidata l'amministrazione del tesoro di Babilonia e delle rendite reali, nonché la satrapia di Mesopotamia, ricambiò la fiducia dilapidando il patrimonio reale per i suoi piaceri personali e per il mantenimento delle truppe mercenarie. Alla notizia dell'arrivo di Alessandro, fuggì precipitosamente da Babilonia con alcune migliaia di soldati, e 5000 talenti d'oro, con i quali raggiunse Atene, dove cercò di sobillare il popolo Ateniese a muovere guerra al suo ex amico e signore. Il suo tentativo ebbe invero scarso successo, per le resistenze che incontrò in molti ambienti pacifisti, - e nello stesso Demostene- e per le pressioni dello stratego d'Asia Minore Filosseno, che, per conto di Alessandro, ne chiese l'estradizione. Il risultato fu che Arpalo fu gettato in prigione, da cui riuscì però a fuggire e a raggiungere i suoi mercenari, dai quali fu ingloriosamente accoppato qualche mese dopo. In ogni modo Alessandro non riuscì a recuperare né il denaro né i mercenari di Arpalo, che rimasero in Grecia come fonte di turbativa, arruolabili dai suoi avversari politici, soprattutto in Atene. Per il momento gli Ateniesi non sfruttarono il tesoro di cui si erano trovati almeno in parte a disporre, dato che Arpalo aveva distribuito talenti a quasi tutti gli uomini politici ateniesi più in vista per ottenere il loro appoggio. Volarono anzi accuse di corruzione che finirono per coinvolgere lo stesso Demostene, che pure aveva ordinato l'arresto del fuggiasco. I capi del partito radicale Ateniese, guidati da Iperide gli intentarono un processo di corruzione, che finì con la condanna ad una multa di 50 talenti dell'oratore Ateniese che, non potento pagarli, dovette fuggire in esilio.

IL MATRIMONIO COLLETTIVO DI SUSA (primavera 324)

Il periodo di terrore a Susa seguito al ritorno del Re, fu concluso da una grande feste conclusiva, che aveva lo scopo di celebrare la conquista dll'impero e di assimilare i vecchi sudditi ai nuovi, nel culto del comune sovrano. Durante questa festa, quasi a sottolineare la continuità con la vecchia dinastia Achemenide, Alessandro prese in sposa Statira, la figlia di Dario e Parisatide la figlia di Oco, che divennero la sua seconda e terza moglie ufficiale (aveva già sposato Rossane figlia di Oxiatre e convissuto per qualche tempo con Barsine figlia di Artabazo, l'unica ad avergli finora dato un figlio illegittimo). Tutte le altre appartenenti alla famiglia reale persiana ricevettero come mariti degli ufficiali macedoni. Efestione che era asceso ormai al posto di vicerè, ricevette in sposa Dripetide, figlia minore di Dario; Cratero sposò Amastri, figlia di Ossiatre, mentre l'altro favorito reale, Perdicca, si dovette accontentare della figlia di Atropate, satrapo di Media. A Tolemeo figlio di Lago e al segretario reale Eumene assegnò Artacama e Artonide, altre figlie di Artabazo; Nearco ricevette in sposa la figlia di Barsine e del suo primo marito Mentore, mentre Seleuco, il capo degli argiraspidi, sposò Apama, la figlia del battriano Spitamene. Altri ottanta eteri di Alessandro ricevettero come spose delle fanciulle della nobiltà persiana e iranica, che sposarono secondo il cerimoniale Persiano. Con questo gesto, più che assimilare i Persiani ai Macedoni, sperava di legare i nobili delle due etnie a sé, mediante i legami di parentela.

MALCONTENTO E RIVOLTE

Alessandro pagò un premio anche a tutti i suoi soldati che avevano preso donne indigene. Tuttavia questi provvedimenti non aumentarono affatto la sua popolarità nell'esercito. Gran parte dei suoi uomini, logorati da anni di campagne, volevano solo ritornare in patria, e non erano attratti dalla possibilità di mettere su famiglia in Asia. Molti di loro avevano sperperato le paghe, i premi e il bottino e si erano messi a contrarre debiti. Alessandro decise di saldare di persona le pendenze dei suoi soldati, e invitò tutti coloro che avevano bisogno di denaro a mettere in lista i loro nomi. Tuttavia nessuno si presentò, temendo che si trattasse di un trucco per verificare chi aveva speso più del dovuto o chi aveva avuto una paga sueriore a quella che realmente gli spettava. Soltanto quando Alessandro promise di pagare i debitori senza nemmeno pretendere che comunicassero le loro generalità, ottenne la loro collaborazione. Ma le frizioni e il malcontento aumentarono per un'altra causa. A partire della Primavera del 324 iniziarono a recarsi a Susa, mandati dai governatori provinciali, dei giovani della nobiltà iranica e persiana, che Alessandro chiamava Epigoni, cioè successori. Poiché erano destinati a colmare i vuoti che la morte o la partenza dei veterani macedoni avrebbero lasciato nell'esercito, essi portavano l'armamento macedone, ed erano in tutto e per tutto inquadrati e addestrati alla greca. I loro ufficiali erano pure Persiani e formavano corpi separati rispetto alla falange macedone, quasi come un doppione asiatico dell'esercito originale. Quando il loro addestramento sembrò sufficiente, Alessandro fece la mossa più delicata. Affidò a Cratero il comando di un corpo di veterani ormai inabili al combattimento per riportarli in Europa. Per rendere manifesta la decisione, convocò l'esercito a Opi sul Tigri. Ma qui il malanimo dei soldati esplose in tutta la sua violenza, sia tra quelli congedati, sia tra quelli che sarebbero dovuti rimanere. Entrambi pensarono di essere messi da parte per far posto agli Iraniani e agli Asiatici, che avrebbero avuto denaro e onori al loro posto, e, tumultuando, dissero ad Alessandro di volere essere tutti congedati e lo schernirono dicendogli di fare la guerra con l'aiuto di suo padre (il dio Ammone). L'assemblea dei macedoni aveva una certa libertà di parola nei confronti del Re, che in Macedonia era non più di un capo militare, i cui ordini in materia politica potevano essere dibattuti e contestati. Fece quindi una grave impressione la reazione di Alessandro che diede immediatamente ordine di arrestare e uccidere senza processo tredici dei più accesi contestatori. In un breve e violento discorso Alessandro accusò di ingratitudine i soldati e per due giorni non si fece vedere da nessuno, mentre il terzo prese a ricevere e onorare come parenti i Persiani. Il braccio di ferro con i soldati terminò quando una delegazione di veterani chiese il permesso di vederlo chiedendogli di deporre la usa ira e di avere pietà di loro. Era quello che voleva Alessandro, che finalmente si riappacificò con i suoi soldati e fece allestire un grande banchetto di riconciliazione. 9000 uomini furono invitati, sia macedoni che Persiani, ma solo ai primi consentì di sedersi accanto a lui, mentre gli asiatici furono fatti sedere più indietro, a significare che il loro status non era pari a quello macedone.

IL RICHIAMO DEGLI ESULI E LA DIVINIZZAZIONE (estate 324 durante i giochi olimpici)

Durante i giochi Olimpici del 324 Nicanore di Stagira, inviato di Alessandro, annunciò che tutti gli esuli degli stati Greci sarebbero stati richiamati, eccetto gli omicidi, i sacrilegi e i Tebani. Alessandro aveva inteso eliminare alla radice il problema costituito degli esiliati politici, pronti a servire chiunque come mercenari, e a mettere fine alle lotte tra fazioni all'interno delle città elleniche. In un certo senso era anche un atto magnanimo dato che la stragrande maggioranza degli esuli appartenevano alle fazioni antimacedoni. Tuttavia in molti casi le loro proprietà e case erano state occupate dalla fazione vincente o da altri concittadini, niente affatto disposti a restituirlgliele. In altri casi, erano intere popolazioni ad essere state sradicate dalla propria città. I Tebani -quelli di loro che erano sopravvissuti alla morte e alla schiavitù-, non erano stati inclusi nel provvedimento, ma i cittadini Acarnani di Eniade, che erano stati scacciati dagli Etoli, e soprattutto quelli di Samo, allontanati dall'isola dagli Ateniesi nel 365 potevano in grazia dell'annuncio di Alessandro, sperare di rientrare nelle loro sedi. In tal modo Ateniesi ed Etoli, furono direttamente danneggiati dal provvedimento, e la corrente antimacedone si rafforzò pericolosamente in entrambi gli stati. Formalmente Alessandro aveva violato la clausola dell'autonomia delle città greche iscritte nella lega ellenica, con un provvedimento che era un'indebita ingerenza negli affari interni degli stati membri. Il consiglio della Lega non era nemmeno stato formalmente convocato: l'annuncio fu fatto senza consultare gli alleati, il che dimostrava in che conto Alessandro tenesse la Lega ellenica quando c'erano in ballo decisioni politiche di ampio respiro. Alessandro pretese con un'altra circolare che gli venissero tributati onori divini in quanto figlio di Ammone e per aver compiuto imprese eroiche . Gli Ateniesi, sia pure disturbati per l'affare degli esiliati, decisero tramite delibera dell'assemblea di dedicargli un culto, associandolo ai dodici principali dei, e di mandare un'ambasciata in Persia a complimentarsi con lui. Altre città elleniche sia ffrettarono a rendere al signore del mondo analoghi omaggi, e in un anno si sarebbero recate alla corte regale ambascerie provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo per onorare il conquistatore del mondo, dio invincibile.

GLI ULTIMI MESI DI VITA (Autunno 324 - Giugno 323)

Nel Novembre del 324 Efestione, l'amico più fidato di Alessandro, e forse uno dei pochi che l'avesse veramente capito e approvato anche nei momenti in cui si era trovato a prendere decisioni impopolari, morì dopo una breve malattia dovuta forse a intemperanze alimentari. Il dolore del sovrano fu davvero oltre misura, e per parecchie settimane non si dedicò ad altro che a preparare un sontuoso funerale all'amico perduto, che venne pure onorato con un culto eroico previo parere favorevole del dio Ammone. Nei mesi a cavallo tra il 324 e il 323 Alessandro intraprese la sua ultima campagna militare, contro i Cossei del Luristan, negli Zagros. Questa popolazione montanara manteneva una fiera indipendenza dai tempi dei Persiani e pretendeva il pedaggio da chiunque transitasse per il loro paese. La campagna intrapresa contro di loro si trasformò in una vera e propria caccia all'uomo che si fermò soltanto quando i Cossei accettarono di sottomettersi e rinunciarono al loro fastidioso costume. La spedizione, che secondo Plutarco non fu altro che una "distrazione" per riprendersi dal dolore causato dalla morte di Efestione, fu seguita da un periodo di intense opere civili. Nei progetti del Re, c'era sempre la rotta commerciale tra India e Babilonia. Per crearla aveva bisogno di costruire porti, tanto nell'area della bassa Mesopotamia che sulle sponde orientali del Golfo Persico; pertanto vennero portati nuovi progetti per la fondazione di colonie di cui almeno uno fu realizzato con la costruzione della futura Charax-Mesene. Ma il progetto della valorizzazione economica del Golfo era solo parte di un programma molto più ampio, che mirava a collegare via mare l'Egitto all'India, le due estremità dell'impero. Si iniziò così a preparare una flotta di 1000 navi per la circumnavigazione dell'Arabia. Da questa idea nacque forse la leggenda che Alessandro volesse conquistare anche il mondo Occidentale. Durante la primavera del 323 Alessandro si dedicò ad altre importanti opere civili, tra le quali il miglioramento del sistema di irrigazione in Assiria. Già l'anno precedente aveva fatto abbattere tutti gli sbarramenti costruiti dai Persiani sul fiume Tigri per renderlo navigabile da Opi, in Mesopotamia, fino alla foce. Nella Primavera del 323 supervisionò il fiume Eufrate e il canale ad esso parallelo del Pallacopa, costruito per accoglier le acque in eccesso del fiume durante le piene. Il lavoro di apertura e chiusura del canale richiedeva troppo tempo e troppa manodopera, di modo che solo imperfettamente riusciva a svolgere la sua funzione di sfiatatoio. Dopo un'accurata supervisione il Re trovò un punto in cui l'apertura e la chiusura del canale fosse possibile in un tempo più breve e con l'impiego di un minor numero di addetti. In tal modo si facilitava l'irrigazione delle terre coltivate, liberando al contempo per altri lavori un'abbondante manodopera. Alessandro ebbe solo il tempo di iniziare il suo programma di lavori pubblici, che sicuramente gli avrebbe procurato una fama di edificatore, almeno pari a quella che si era guadagnata come condottiero che si ammalò mortalmente a Babilonia e spirò prima dell'Estate del 323, il 28 del mese macedone di Desio, in genere identificato col 10 Giugno del nostro calendario.

LA MORTE DI ALESSANDRO

La malattia la sua misteriosità autorizzò i maggiori sospetti di avvelenamento, tanto nell'antichità che in epoca moderna. Arriano e Plutarco parlano di un progressivo peggioramento delle condizioni del sovrano, fino alla morte, giunta il dodicesimo giorno successivo all'inizio dei sintomi. Il punto di partenza sarebbe stato un banchetto svoltosi presso Medio di Larissa in cui erano stati invitati quasi tutti i dignitari del Regno a in cui Alessandro si ubriacò completamente. Secondo Arriano e Plutarco Alessando, pur affetto dai primi sintomi, ebbe la forza di tornare a cenare da Medio anche nei giorni successivi (ubriacandosi ancora). Secondo Diodoro e Giustino, il Re fu colto da una fitta dolorosa già la prima notte, subito dopo avere vuotato un intera anfora di vino, detta Coppa di Eracle e si vide subito che le sue condizioni erano irrimediabilmente compromesse. Diodoro avanza anche l'ipotesi che il Re fosse stato avvelenato e che il mandante fosse Antipatro. La ragione che avrebbe spinto lo stratego d'Europa al gesto, sarebbe stato il timore di vedersi rimpiazzato da Cratero, una volta che questi avesse riportato in patria i Macedoni. Arriano racconta che Alessandro effettivamente aveva ordinato a Cratero di prendere il posto di Antipatro e a quest'ultimo di ragiungerlo a Babilonia con un corpo di nuove reclute. Antipatro era in pessimi rapporti con Olimpiade, madre di Alessandro e temeva che dietro la sua dissimulata rimozione dell'incarico ci fossero state le accuse sul suo conto che la regina madre aveva in continuazione mandato al figlio. Latore del veleno sarebbe stato uno dei figli di Antipatro, Iolla o Cassandro che l'avrebbe nascosto in uno zoccolo di mulo. Un veleno ad azione lenta che avrebbe lentamente ucciso il Re. Nel "Romanzo di Alessandro" dello Pseudo-Callistene vengono fatte accuse precise all'intero entourage del Re. Dei 20 eteri presenti alla cena di Medio, fra cui Meleagro, Pitone, Leonnato, Cassandro, Peuceste, Nearco, Eraclide, Stasanore, Perdicca, Tolemeo, Olcia, Lisimaco, Eumene e Asandro, soltanto gli ultimi sei non erano al coorente, e quindi partecipi del complotto. Iolla stesso fornì la coppa avvelenata al Re durante il banchetto. Quando Alessandro sentì le prime fitte di dolore, credendo che si trattasse di un'indigestione, cercò di rimettere il cibo, e il suo coppiere gli porse una piuma per questo scopo; ma anch'essa era intrisa di veleno, in modo da accellerarne e rendere irreversibili gli effetti. Questa truce storia risente molto della propaganda dell'epoca successiva alla morte di Alessandro, quando gli avversari politici di Cassandro lo incolparono di omicidio per alienargli le simpatie politiche in Macedonia. Certamente il figlio di Antipatro fu l'unico diadoco a non avere onorato la memoria di Alessandro, ribaltando in molti casi la sua politica, e proprio a lui si dovrà l'estinzione della dinastia degli Argeadi, con la soppressione del figlio di Alessandro nel 310. L'impero, appena fondato e consolidato, si veniva già a trovare senza guida. Apparentemente Alessandro non aveva designato successori e alla domanda rivoltagli dai suoi amici " a chi lasci il Regno?" si era limitato a rispondere "al migliore". Forse non si faceva illusioni sul fatto che tutti gli alti ufficiali della corte e dell'esercito si sarebbero contesi la sua eredità con una lotta spietata. Appena prima della sua morte, si tolse il suo anello e lo diede a Perdicca, forse l'amico più fidato presente a Babilonia, dopo la morte di Efestione e la partenza di Cratero. Non si trattava ovviamente di un vero e proprio passaggio di insegne regali (che poteva essere decisa solo dall'esercito macedone riunito in assemblea), ma del conferimento della reggenza, in attesa del risultato dell'elezione. Fu l'ultimo gesto del Re,nel tentativo di mantenere l'impero unito prima della morte.

 

Fosse o no dovuta ad un avvelenamento, la rapida fine di Alessandro contribuì alla fama postuma che si costruì intorno a lui. Gli si attribuirono progetti fantastici di conquista di Cartagine e della costa libica, dell'esplorazione del mondo al di là delle Colonne d'Ercole, di costruzioni di templi superiori alle piramidi, dello spostamento di popolazioni dall'Europa all'Asia e dall'Asia all'Europa per favorire l'integrazione dei popoli, che solo la morte gli aveva impedito di conseguire. Ma già quello che aveva fatto aveva lasciato il segno. Certamente con le sue conquiste e le sue esplorazioni aveva inaugurato una nuova era nella storia dell'uomo: quella dell'ellenismo. La cultura Ellenica, sull'onda delle armate Macedoni e dei coloni che si erano stabiliti nelle città da lui fondate, si sarebbe diffusa fino agli angoli più remoti del mondo conosciuto, mentre quella Persiana, travolta ma non cancellata, sarebbe entrata in un secolare letargo.

Alessandro non previde nulla degli sviluppi che avrebbero portato le sue imprese, né tanto meno delle polemiche che le sue azioni avrebbero scatenato nei contemporanei e nei posteri. Per alcuni fu un eroe, governante saggio, geniale condottiero, scopritore di nuovi mondi, propugnatore dell'integrazione dei popoli. Per altri fu un sognatore pazzo, imbevuto di idee di eroismo, prese dall'Iliade, il suo libro prediletto, che lo avrebbero spinto a inseguire la gloria per se stessa, in un sogno senza risvegli per tutta la sua vita. Altri lo considerarono poco più che un criminale saccheggiatore, estremamente fortunato nelle azioni militari, crudele, tranne rare eccezioni, verso i vinti, spietato con i suoi stessi amici e compagni d'arme a cui doveva il suo successo, intemperante nei confronti del vino e dei piaceri. Le controversie sulla sua reale "grandezza" non finiranno probabilmente mai, anche se nessuno può negare che, nel bene e nel male, occupa un posto nella storia che nessuno gli potrà sottrarre.

Tra i libri più interessanti scritti sul condottiero macedone, segnalo quello di Paul Faure. Non sto parlando del famoso "La Vita quotidiana degli eserciti di Alessandro", ma del meno conosciuto (almeno in Italia) "Alessandro Magno". Edizione italiana (Salerno editrice, Roma 1989), in cui la biografia del condottiero macedone viene vista secondo sette punti di vista diversi: storico, psicologico, agiografico, morale, teologico, sociologico e pragmatico che sarebbe appunto quello dell'autore.

 

DOPO LA MORTE DI ALESSANDRO > > >

INDICE TABELLA GRECIA


HOME PAGE STORIOLOGIA