indice QUADRO 23

Anno 2035...col ritorno
(fantapolitica)
Rambouillet effetto "ovo-domino"

Italia unita !?
Repubblica Veneta
Liga Veneta
Nazion Friul
Unione Sudtirol
Unione Romagna
Liga Emilia
Fronte Giuliano
Lega Sud ecc. ecc.

"le prime frecce, i primi pungiglioni,  le prime scintille, le prime covate "

 

Documento Rambouillet

tutti ne parlano, ma sostanzialmente nessuno lo conosce
ma  in Veneto, Alto Adige, Emilia, Friuli, Romagna ecc. - hanno iniziato a farne la traduzione
Chiedono anche loro l'indipendenza con l'autodeterminazione del Popolo Veneto, Tirolese, Friulano ecc. 
(Come reagiranno gli italiani? Come i serbi?  )

Qualcuno già pensa: é passata la Slovenia, é passata la Croazia; se passa anche il Kosovo,  (tutte quante sono le famose e contestate  "linee Wilson") passerà anche il Veneto libero,  il Friuli Nazione,  la Romagna Libera, il Sudtirol Unito, l'Emilia Indipendente ecc. ecc.
(per la "Repubblica Veneta"  non c'è da preoccuparsi, i pochi nati non sono sufficienti per formare l'esercito di liberazione  UVK (Unione Veneti Kombattenti); sono già centinaia di migliaia gli stranieri ospiti.
E se come dice Comencini,  i nemici del Veneto sono ora in  Lombardia, come la mettiamo?
E se Roma si oppone chiederanno  alla Nato di bombardarla?.

(alcune dichiarazioni importune  in fondo a questa pagina, dopo la "cronaca fantapolitica)

 

FANTAPOLITICA

 

DATE, CORSI E... RICORSI 
(cronaca  fantapolitica - di un abitante "comunitario" del 2035)

 

dal Corriere della Repubblica Comunitaria . 25 aprile 2035

Per dovere di cronaca, e per far conoscere alle nuove generazioni che si affacciano ora, in questo  secondo quarto del  secolo XXI,  raccontiamo il cammino sofferto dell'Indipendenza della "nostra" Repubblica Comunitaria (un tempo chiamato Veneto). Uno Stato il nostro, nato su un territorio tuttora  agitato da  inutili manifestazioni di piazza organizzate da un manipolo di nostalgici,  non badando agli impegni assunti dall'OnEu per restituire una pace a questa terra sconvolta da  ataviche dispute, a quanto pare dure a morire nella coscienza malinconica di un popolo che, dispiace dirlo, non esiste più, e  non per cause esterne, non per destino crudele, ma per una loro fatale scelta: quella di non riprodursi e  sottrarsi al dovere biblico di formare   nuclei   familiari; una scelta autodistruttiva, fino al punto, che attualmente  é presente una popolazione quasi irrilevante, che in certi paesi supera di poco il dieci per cento; quello che accadde ai Serbi, molti, molti anni fa, in Kosovo.

Dopo tanti massacri da ambo le parti, i serbi  furono alla fine confinati in una "riserva", com'era accaduto un secolo prima agli indiani d'America quando arrivarono i  colonizzatori per creare il "nuovo ordine" tra i popoli. Invano affermarono gli indigeni che loro erano nati e vissuti sempre lì, e che quella era la terra dei loro padri.
La terra nella logica liberista moderna,  non appartiene a una etnia,  ma appartiene a chi se la prende e la rende operosa, come appunto accadde in America, in Africa e in Australia.

Nel lontano 1985, erano residenti 10.000 nostri compatrioti in questa, che é oggi la Nostra Terra, l'ex Veneto ;  nel 1990 con le sofferte fuoriuscite dall'Est, sommate alle pacifiche migrazioni dei popoli della costa africana e orientale alla ricerca di un lavoro e di un pezzo di pane anche loro (come i colonizzatori europei anni fa), se ne contavano già 60.000; nel 2000 con gli esodi biblici dei paesi Balcanici  circa 500.000. Poi, con duri sacrifici,  migliorate le nostre condizioni di vivibilità , volendo formarci anche una normale famiglia con attorno tanti figlioli, superammo di quattro volte la natalità dei locali;  questo  in un periodo in cui si registrava in questa regione una costante bassissima natalità. 

Così già  nel 2005 i nostri compatrioti,  fra nascite e nuovi arrivi, ammontavano a circa 1.000.000;  nel 2015 eravamo già pari ai locali, e nel 2030 avevamo raggiunta una maggioranza,  nominato il governo della Regione - ormai politicamente  tutto composto da nostri rappresentanti politici delle varie comunità etniche - fu chiesto  il distacco del Veneto dall'Italia, cioè chiedemmo allo Stato Italiano l'indipendenza col nome di Repubblica Comunitaria.
Primo Paese al mondo a concepire uno Stato formato non da un anacronistico ceppo etnico, ma da più etnie, legati da uno spirito universalistico. (come in America! E lì che i nostri impararono la logica del liberismo, pur mantenendo molti schiavi ancora legati alle catene). Siamo così anche noi dell'avviso  che le gerarchie sociali e le discriminazioni tra gli esseri umani sono ingiuste, e devono essere eliminate, in special modo quelle che traggono origine da consuetudini, tradizioni, pregiudizi, superstizioni e altri fattori irrazionali, come la razza, il colore, l'origine, la proprietà e la religione. Tutti retaggi arcaici.

Gli europei quando sbarcarono in America mica rispettarono le proprietà degli Indios, li cacciarono nelle grandi riserve, poi si presero anche quelle. sterminandoli e confinandoli in piccoli fazzoletti di terra. Quanto alle religioni, imposero la propria dicendo che quella era unica.

Torniamo a noi.
I locali - oramai pateticamente in minoranza e quasi tutti anziani - si ribellarono. Lo scontro iniziato nel 2032, sfociò in una impari guerra civile, con i veneti che agivano con atti di sabotaggio o organizzando in alcuni paesi le ronde e le spedizioni punitive che durarono un paio d' anni. Insomma questa gente si  ribellava al nuovo corso della storia, alla multietnicità che invece procedeva in una forma ormai irreversibile, e non certo per colpa nostra.
Di fronte ad atti d'ostilità, sfociati poi in vera e propria guerriglia urbana, con gravi episodi nei quartieri più affollati e abitati dai nostri compatrioti, i nostri giovani si ribellarono con altrettante  operazioni di guerriglia per organizzare, se non altro, una legittima difesa.

A nostro danno perduravano ingiustificate accuse, molto pesanti, manipolate. Come, quella di affermare da più parti, che vi erano troppi clandestini, spesso superiori a quelli ufficialmente iscritti nelle anagrafi comunali.
Nulla di più falso; questo fu dovuto, solo al ricongiungimento  dei nostri connazionali alle rispettive famiglie. Costoro avevano lasciato nel loro Paese  moglie e figli, poi giunti nel Veneto a lavorare - spesso duramente - nonostante imploranti richieste, non si vedevano riconoscere un umano e  legittimo desiderio: che era poi quello di avere accanto i propri congiunti e  vivere serenamente una vita fatta non solo di lavoro ma anche di affetti.

Erano legittimi  desideri,  solo in minima parte soddisfatti. Quindi  aggirando le inumane leggi sull'immigrazione e le barriere burocratiche di ogni genere;  ricorrendo  cioè all'entrata clandestina  erano costretti i nostri progenitori a farsi raggiungere dalle mogli e dai figli con i mezzi più vari, poi a nasconderli, come dei ladri.  Un attività  questa,  che  alimentava lucrosi  affari di alcune  ditte cantieristiche italiane che producevano  i mezzi impiegati per il losco traffico, e spesse volte  gestivano loro stessi i viaggi di questi nostri poveri disperati, che giungevano con mille peripezie sulle coste italiane per riunirsi ai propri cari. Molti dei nostri non avendo denari si impegnavano a pagare agli scafisti che li portavano sulle coste, con anni e anni di lavoro per riscattare la corrispettiva somma; che non era poca cosa ma un vero e proprio strozzinaggio.
(il metodo era quello che si era inventato Cesar Arana in Sud America)

Purtroppo, in questa irregolare condizione, in caso di necessità, e con la burocrazia vigente, i nostri compatrioti non erano in grado di far  godere ai propri familiari i più elementari diritti alla salute, all'istruzione, all'assistenza. Vivevano come le talpe in oscure e invivibili tane.

Molti giovani sono così cresciuti nella clandestinità per anni; e pur volendo conformarsi  al servizio militare come gli altri concittadini italiani, si sono visti rifiutare ogni riconoscimento. Anche quando sposavano un' italiana.

Ma non si arresero, si organizzarono e costituirono un esercito ombra; poi quando si verificarono i gravi  disordini, e non ci fu una equivalente forza pubblica dello Stato per respingere gli attacchi  incivili degli estremisti, esso fu pronto a uscire dalla clandestinità e scendere in campo per difendere la propria gente dalle persecuzioni e da quel folle obiettivo - più volte espresso, impunemente, dai palchi dei comizi da alcuni politici, e perfino da alcuni sindaci - di fare una pulizia etnica.
Erano insomma  i nostri giovani, disposti e decisi a lottare per l'indipendenza di una terra che proprio  i loro genitori avevano reso prospera, con il   loro lavoro e i tanti sacrifici.

I progetti di secessione dei veneti, anche con clamorose dimostrazioni  (famosa quella dell'occupazione del campanile di San Marco a Venezia)  furono fortemente contrastate  dall'opinione pubblica delle altre regioni, dai politici dello stato centralista a vocazione assistenziale, e duramente anche represse con arresti,  processi e condanne dei  promotori. Si toccarono anche momenti di tensione. Basti ricordare che un seguace di queste formazioni indipendentistiche, per fare strada al suo leader, spianò la pistola a un malcapitato automobilista che non dava strada al suo "dio".

Molti italiani, dopo simili intemperanze, proclami, marce, e folcloristici comizi nelle piazze, insultando anche la bandiera italiana, credettero veramente che la popolazione veneta prima o dopo avrebbe ottenuto quello che voleva.

Del resto - affermavano i veneti - c'era riuscita pochi anni prima la Slovenia, poi la Croazia, il Kosovo, perchè non dobbiamo riuscirci noi?

Ma ignoravano la realtà demografica occulta della regione;  ignoravano questa forte presenza sul territorio dei nostri connazionali, ormai partecipi in un modo determinante, alla vita civile ed economica della regione.

Furono proprio per queste  motivazioni che i nostri connazionali verso il 2030,  presero coscienza della loro forza; iniziarono  ad avanzare quelle stesse legittime pretese che i veneti accampavano negli anni Novanta. Ragionarono con la loro stessa logica, affermando:  "Se buona parte del lavoro è svolto oggi da noi, é anche giusto che dobbiamo noi avere in mano   le strutture e le istituzioni della vita pubblica della regione; a noi deve essere permesso di fare una nostra politica sociale".

Iniziarono dunque ad avanzare queste legittime richieste; ma subito ebbero inizio le prime animosità verbali; si passò  alle vie di fatto con alcuni gruppi e si innescò un clima di violenza, con rivolte, spedizioni punitive, barricate; insomma si arrivò allo scontro fisico del singolo e poi dei gruppi. Scoppiò la guerra civile!

Le altre nazioni   in un primo momento evitarono  di intervenire, essendo un problema interno di uno Stato sovrano. Poi l'esodo degli stranieri cacciati divenne così massiccio e così preoccupante per le nazioni vicine, che alla fine decisero di usare la propria influenza per far smettere questa fanatica "pulizia etnica" di una popolazione che -  balzata alla ribalta in questa dolorosa circostanza -i demografi e gli analisti internazionali fecero i conti - risultava essere non solo la maggioranza del Paese ma quella che aveva contribuito a trasformare   l'intera regione in  una potenza economica, o almeno a mantenerla tale per anni per merito proprio nostro.

(Fin dal 1990 - gli annuari dell'epoca parlano chiaro - la crescita annua della popolazione locale  era dello 0,1 %, contro il 2,4 del Marocco,  2,7 dell'Algeria, 2,1 Turchia, 2,9 dei Paesi africani. Un fenomeno in atto già da anni; infatti, sempre negli anni Novanta, la popolazione nel Veneto  inferiore ai 15 anni era già un misero 13 %, contro il 39% dell'Albania, il 33,7 della Turchia, il 44,5 delle coste africane. Insomma le cifre, anche agli occhi del più sprovveduto,  dimostravano che in pochi anni  nella regione sarebbe venuto a mancare il ricambio generazionale.

Eppure c'erano dei capipopolo, che nella loro esaltata e disperata scommessa di condottieri del nazionalismo veneto e insieme ideologi del determinismo razziale, lottavano  contro la  troppo prolifica multietnicità degli stranieri che secondo loro si moltiplicavano   smoderatamente,  invadevano, occupavano  la regione,  le città del Veneto e  i posti di lavoro  (come se fosse un delitto aver messo noi al mondo   5-6 figli, e non un dono di Allah )

Pesco una di queste ostili frasi  su un giornale del 1999,"" Esodi: giorno dopo giorno vengono da noi, s'istallano, la fanno da padroni, e domani ci chiederanno pure la loro autonomia. Cosa faremo in questo caso?" (Roberto M. Giornale di Vicenza, 3 aprile, 1999, pag 39). Lanciava indubbiamente i primi segnali!.

Infatti subito dopo il conflitto iugoslavo, già alle elezioni Europee del 1999, erano nate liste autonomiste del Veneto, del Sudtirolo, della Romagna, dell'Emilia, del Friuli, del Trentino, che  non erano di certo espressioni di una Unità, ma solo manifestazioni individualistiche; e non a carattere culturale, ma economiche.  E se si lamentavano loro, figuriamoci noi cosa avremmo dovuto fare che vivevamo come degli emarginati; e  pur pagando le stesse tasse, eravamo guardati sempre come ladri,  eravamo una presenza scomoda,  senza diritto di voto, sia locale che nazionale.

Fallita con  la dissoluzione del federalismo italiano tanto auspicato, fallito anche il tentativo di un irascibile politico con la dottrina  della "Grande Padania", dopo  una clamorosa rottura politica all'interno di questo partito,  era emerso   un altro "condottiero", questa volta però, solo per proclamare il Veneto Unito, in una Nuova Repubblica Veneta, di antica memoria, rivolgendo il suo  fanatismo alla "disinfestazione demografica" (esteso anche ai lombardi) al culto quasi mitologico del Veneto, come culla di quella nazione  che in tempi remoti dominava il mare Adriatico.

Procedendo con questa logica del "passato",  i Romani dovrebbero allora reclamare l'intera Europa.

Sul giornale dell'epoca (29-4-99) quando il fondatore costituì questo gruppo, il titolo era abbastanza inquietante "il Leone sbrana tutti", gli fece poi eco con un proclama churchilliano il segretario: "se per ottenere l'indipendenza  dobbiamo allearci con diavolo, ci alleeremo col diavolo".

Ma è ricorrente nella storia, il fenomeno dell'ossessivo "nazionalismo delle piccole patrie"   acquisito da personalità di regioni come questa; personaggi spesso giunti al potere, incitando le influenzabili masse a scendere in piazza con la demagogia, ignorando le leggi democratiche, e rimettendo in discussione  quell'Unità nazionale sorta nell'Ottocento. Accusavano costoro,  quel  gruppo di 85 Prìncipi, che per non perdere i privilegi ottenuti nel medioevo,  si riciclarono sotto una bandiera e  concordarono di mettere insieme (entrando nel primo governo che chiamarono liberale e democratico) i loro feudi, per creare una nuova  nazione pur con   popolazioni diverse, molto distanti fra di loro, perfino sconosciute dai nuovi governanti, e in molti casi nemmeno interpellate con un voto, ma solo usate per i loro fini.

Compiuta la "Grande truffa", la chiamarono nazione democratica, ma solo allo 0,9 per cento fu concesso di esprimersi con un voto per costituire una  nazione con una effimera coscienza nazionale. Lo si vide poi - questa coscienza - con le varie autonomie regionali (quella dell'Alto Adige fu concessa dopo anni di terrorismo, e   quella Siciliana sorvoliamo i mezzi che si usarono); mentre altre,  appena raggiunto un po' di benessere, egoisticamente furono subito pronte a dissociarsi dalle altre regioni meno fortunate e con meno protettori politici, con manifestazioni indipendentiste, autonomiste, secessioniste. (le abbiamo già ricordate sopra: incivili e folcloristiche, spesso inquietanti: uno di questi capopopolo minacciò di far scendere dalle valli 300.000 uomini con il fucile in mano; un suo compare disse che voleva prenderci le impronte dei piedi).

Queste regioni   hanno sempre alimentato al loro interno un forte desiderio di separatismo, soprattutto quando alcune, come il Veneto, dimenticato il secolare periodo di estrema povertà (ricchi e "operosi" erano solo un manipolo di nobili della Serenissima), all'inizio degli anni Settanta, emerse la Regione  con una  forte economia, e si attivò con alcune gruppi  politici per ottenere una  propria autonomia,  minacciando  una secessione dal resto del Paese.

Sostenevano i secessionisti, che in gran parte le risorse economiche della propria regione erano impiegate  per fare assistenzialismo ad altre  regioni del Paese, i cui abitanti non contribuivano con lavoro e tasse nella stessa misura dei veneti; attribuendo l'operosità  a un esclusivo patrimonio genetico.  Ma non dimentichiamo che questa operosità (e concorrenzialità nella produzione)  era procurata soprattutto da un forte apporto di manodopera dei nostri connazionali. Basti pensare che solo nel vicentino, nell'anno 1999, operavano 40.000 nostri "comunitari", un numero pari agli abitanti in età lavoro presenti in una città come Vicenza; oltre a un numero consistente di lavoratori clandestini - ogni tanto  scoperti  nei laboratori fantasma,  sottopagati e alloggiati (da qualche locale, a 1 milione al mese) miseramente in case fatiscenti.

Una popolazione quella veneta  così giunta negli anni 2020-2030 a un numero cosi basso,  che agli effetti dell'economia locale, ormai da anni non aveva più  nessuna sostanziale influenza. I primi segnali c'erano già stati in alcuni paesi della provincia a forte concentrazione industriale nel 1999. Poi si accentuò negli anni seguenti quando la popolazione locale inefficiente era inferiore a quella efficiente dei nostri connazionali; eppure questi ultimi non avevano diritto al voto dentro le comunità pur pagando all'erario   italiano oneri contributivi, che  paradossalmente andavano solo a beneficio di una popolazione vecchia, che viveva ormai con i sussidi degli stranieri - cioè noi - presenti  in netta maggioranza e partecipi nelle attività  in tutti i settori della collettività.

Comunque nonostante questi atteggiamenti ostili, le leghe con i loro progetti, fallirono tutte. Né poteva essere diversamente; la popolazione  era costantemente in calo; e quella superstite a parte quella molto anziana, evitava i lavori umili, che in una società moderna sono invece interdipendenti; si pensi ai servizi chiamati del "sottosuolo" - le fogne, le stalle, le concerie, i macelli, le fonderie, i raccolti, i rifiuti. Rarissimi gli ultimi veneti in età lavoro  addetti a queste plebee attività, erano solo i nostri fratelli a svolgere questi lavori.

Le leghe in questo stato di cose avevano fatto la loro comparsa con la demagogia e la retorica, ma si estinsero da sole a causa della bassa demografia. Ridotti così a uno sparuto gruppo, si  ricompattarono però nell'ultima spiaggia: nel nazionalismo, quando il "pericolo" - dissero tutti insieme - eravamo solo più noi: gli stranieri.
Decisamente molto più avvertito questo fenomeno nel Veneto, dove ormai  i nostri connazionali nel 2030,  erano  molto più numerosi dei locali. Che però non vollero arrendersi all'evidenza, né vollero i notabili cedere le "poltrone" e le "stanze dei bottoni".  
Ancora potenti, iniziarono a difendersi con ogni mezzo.  Ad offrire un energico appoggio a questa minoranza intervennero molti politici, con una propaganda nazionalistica massiccia usando tutti i media. Espressioni come "la terra dei nostri avi é nostra ed é sacra" si sprecavano. Un concetto falso e ipocrita;  dimenticavano che i nostri avi,   gli europei, li avevano strappati dalla loro terra non solo per venderli  come schiavi  ma gli portarono via  proprio la terra. Gli europei, sbarcarono, misero i loro paletti e dissero "qui è tutto nostro"; territorio, raccolti, animali e  materie prime, compresi gli uomini da vendere al mercato assieme alle bestie.

Ai primi scontri del 2032, quando molte  gravi realtà non erano ancora emerse,  poco note all'opinione pubblica europea, o se note, male informata, il governo italiano, seguito da un largo consenso di italiani, assunse un atteggiamento decisamente ostile verso di noi; prima aiutando ambiguamente  i Veneti con  mezzi e una logistica militare, poi prese una decisa posizione, schierando nei confini della Lombardia, in Emilia, Romagna e in Friuli,  "a fare manovre" - dissero-.  Invece era  pronto ad intervenire per reprimere ogni minima nostra manifestazione, ritenendole tutte sovversive, terroristiche, destabilizzanti.
Qualche attentato in effetti ci fu e anche tre stragi;   gli esecutori furono  in certi casi catturati, ma i mandanti non furono mai scoperti. La strategia della tensione fu sempre palpabile, e il pretesto per intervenire più duramente, anche questo lo trovavano sempre.

I pochi uomini veneti validi (ma con tanti mezzi messi a disposizione dallo Stato che non voleva partecipare ufficialmente)  si mobilitarono per mettere in atto  la tanto declamata "pulizia etnica" (lo dicevano apertamente nei comizi alcuni politici fin dal 1990).

Si organizzarono dunque,   bande armate con una milizia autonoma e illegale combattendo i nostri compatrioti di ogni razza e colore, e che purtroppo, dovettero rifugiarsi sulle colline, nei boschi, sulle montagne e vivere in clandestinità.

Lasciarono così  nella rovina e nella dissoluzione il Paese, abbandonando donne, bambini e anziani, indifesi; che per il terrore di non finire  trucidati da alcuni elementi fanatici, questi nostri cari fuggirono abbandonando case e paesi. Ci furono in questo periodo   grandi esodi di profughi verso l'Austria, la Croazia, la Slovenia; anche verso la Lombardia che nonostante una posizione ufficiale - cioè con lo Stato -  memori   di un passato ostile a Venezia  i milanesi  tollerarono questi pacifici esodi , giustificandoli come umanitari. Inoltre pragmatici come sono, la forte presenza anche nella capitale lombarda di tanti nostri utili connazionali mitigarono le ostilità;  approntarono perfino delle tendopoli   per accogliere i profughi. Qualche cinico milanese, molto pragmatico, affermò  che se il Veneto andava a rotoli, non era poi una gran disgrazia, anzi, era un concorrente in meno.

Che ci fossero delle oscure trame tra Veneto e Lombardia apparve già chiaro nella scissione nel lontano 1998-99 tra la Lega Nord e le Leghe Venete.   Alcune insinuazioni - che riportiamo a fondo pagina - venivano  proprio dal fondatore della Repubblica Veneta. Senza mezzi termini dichiarava che "i nemici del Veneto si annidano e bisogna cercarli nel nord-ovest dell'Italia, piuttosto che fra i terroni".

A parte la Lombardia, così disponibile,  il preoccupante esodo e le proteste dei Paesi confinanti, fece scattare  un piano umanitario delle altre nazioni - a favore dei nostri compatrioti perseguitati  - limitando così i gravi disagi  dei Paesi ospitali  in pieno collasso economico. L'esodo era soprattutto  composto da donne, bambini e anziani,   mentre tutti gli uomini validi erano rimasti orgogliosamente a combattere nella zona, contro la massiccia offensiva che l'Esercito italiano  - visto i scarsi risultati delle milizie autonome - aveva deciso di sferrare,  per difendere quello che, - evidenziando solo i confini  geografici e non quelli socio-economici - sosteneva essere parte indivisibile di una Nazione sorta con l'Unità d'Italia. Anche se  gli stessi Veneti, pochi anni prima (come abbiamo letto sopra) proprio loro avevano  messo in discussione questa unità, creando  le numerose leghe, con obiettivo la secessione, l'indipendenza, l'autonomia.

L'appoggio dell'opinione pubblica nei confronti dei veneti,  fu unanime, più  che altro per motivi sentimentali. Il ricorso a una massiccia propaganda del  patriottismo dell'Unità nazionale, diede un largo consenso all'intervento militare; deciso a salvaguardare un territorio ritenuto parte integrante di uno Stato sovrano, e proprio per questo  motivo, i politici e il governo, si credevano al riparo  da eventuali ingerenze di altre nazioni.

I media, rispolverarono il risorgimento,  le guerre d'indipendenza, la prima guerra mondiale con la riconquista di Trento e Trieste, le lotte sostenute con tanti sacrifici dai veneti contro gli austriaci, e qualcuno si spinse più indietro, alle lotte napoleoniche, all'eroica resistenza del leggendario Manin, o a quella del Cinquecento con Donati. A corollario di queste storie, dai teleschermi o dai giornali apparivano insistentemente  immagini di alcune barbarie a noi attribuite; spesso (e furono clamorosamente smentite)  erano fotomontaggi, o immagini di anni addietro; alcune anche di sette anni prima, fatte passare come attuali. I redazionali e i meeting erano abilmente confezionati da aziende del marketing,  sfruttando l'autosuggestione e  l'emotività di alcune scene drammatiche e impietose presentate tra uno spot pubblicitario e l'altro; insomma la solidarietà fu proposta come i formaggini; inoltre  l'offensiva militare italiana doveva sempre essere presentata come una operazione fatta "a fin di bene", umanitaria.

Anche se dopo, più tardi,  le stesse cose le dissero i media della forza internazionale quando intervennero, smentendo clamorosamente le prime.

Ciononostante - continuando  una politica cieca - ci furono subito appoggi palesi dello stato italiano nei confronti di questa popolazione di minoranza veneta  in rivolta.

Ben presto, dopo i   primi scontri, anche se i fatti che accadevano dalla propaganda italiana erano riportati dai giornali nazionali sempre in  negativo per noi, accusandoci di fantomatici delitti;  le realtà  oggettive subito emersero. I gravi fatti   - dopo le relazioni di un gruppo di osservatori dell'OnEu inviati nella regione - furono attentamente valutati da una commissione e da frenetici incontri diplomatici fra i Paesi europei, ed  alla fine votarono compatti un documento in cui si invitava il governo italiano a cessare ogni attività militare, a lasciare liberi i territori, a ritirare le unità dell'esercito  fatte affluire nella regione, a perseguire le illegali formazioni di ribelli locali, far rientrare i profughi, ed infine a riconoscere alla nostra popolazione multietnica - tutta unita sotto un'unica bandiera - l'indipendenza.

Il governo italiano si oppose facendo pervenire  una dura protesta diplomatica, nella quale si deplorava questa decisione ritenendola una grave ingerenza alla propria politica interna;  rammentando che l'Italia era uno stato sovrano  e  non avrebbe permesso a nessuno paese di oltrepassare i confini di una sua regione. Nello stesso tempo il ministro della difesa dislocava  altri  reparti militari sul territorio veneto, mentre  i generali  accelerarono le azioni  intensificando  l'opera di espulsione; dedicandosi soprattutto ai nuclei formati dal nostro esercito clandestino, in modo da dimostrare che la rivoluzione dei nostri connazionali era stata provocata da questi gruppi, bollati come terroristi e non da un vero "esercito di liberazione" stabilito dalla volontà dei cittadini stranieri regolarmente  recensiti.

Una manovra non riuscita, perché non servì altro che a far compattare i nostri compatrioti regolarmente registrati con quelli che fino allora erano vissuti nella clandestinità,  non per propria scelta, ma unicamente perchè non era riconosciuto  a loro nessun diritto a risiedere nel territorio, sebbene molti di loro  lavorassero in moltissime aziende venete; che di nascosto incentivavano questo tipo di manodopera sommersa a basso costo, per ovvi motivi.

La  forza multinazionale, quindi intervenne, cercando di isolare i gruppi più agguerriti di veneti   con missioni aeree mirate, cercando soprattutto di colpire i punti strategici delle forze nazionaliste più agguerrite e meglio organizzate; infine, perdurando le ostilità e accusato lo stato italiano di essere  connivente con i gruppi estremistici,  attaccò lo stesso esercito italiano, sceso in campo pronto a difendere la territorialità ad ogni costo sotto la spinta nazionalistica di tutto il Paese, deciso a non permettere la perdita di una regione come il Veneto.

Fu una sconfitta per i governanti italiani, e fu anche una sorpresa  l'intervento multinazionale  con un impiego così determinato e ostinato della  forza aerea. Alcuni generali italiani non vollero piegarsi alle prime bombe e proseguirono l'azione, sollecitati da alcuni politici nazionalisti fanatici.  Ma con l'intensificarsi delle incursioni aeree, e soprattutto quando iniziarono i bombardamenti su Venezia - dove si erano  barricati i veneti, convinti che non avrebbero mai bombardato la città lagunare -   dopo alcune devastatanti incursioni,  vedendo le bombe colpire il cuore della città si arresero. Le bombe riportarono alla memoria la   Grande Guerra, quando Venezia fu colpita da numerosi bombardamenti di aerei austriaci, con uno scempio di arte, di cultura e di vite umane; si andò ancora più indietro con la memoria, a  Manin nel 1848, che dopo un assedio di cinque mesi,  per evitare la distruzione totale della città si arrese per lo stesso motivo anche lui.

Terminate le ostilità l' OnEu, riconobbe - in forte contrasto con il governo italiano - i nostri legittimi diritti;   si schierò con noi appoggiando  l'autodeterminazione democratica della popolazione dei nostri connazionali, giustificandola e mettendo in risalto - finalmente -  che  il nostro lavoro concorreva a formare in ampia misura  il PIL della regione. La pace  si concluse  firmando un Patto (ricordato come il Patto di Venice him-Habdullà); in cui veniva concessa:  l'indipendenza alle popolazioni composta da più etnie; il diritto di avere una propria milizia civica, e in dotazione un adeguato esercito per difendersi da alcune fasce estremistiche che, nonostante la fine del conflitto, si ostinavano a turbare il ritorno alla normalità. Nonostante fosse presente un protettorato dell' OnEu.

Fra le altre cose ci fu anche una forte presa di posizione quando noi decidemmo di  trasformare San Marco in una nostra moschea, o almeno una parte di essa.

L'immediato insediamento, di un governo provvisorio - nell'attesa d'indire democratiche elezioni politiche con i nuovi rappresentanti delle varie etnie - mandò subito in vigore  il   "Decreto Abd al-Maluk". Documento in cui si deliberava innanzitutto lo scioglimento della  antiquata  "Regione Veneta";  si annullarono tutte le cariche dei funzionari nei pubblici uffici;  si provvide  nelle sedi  della giustizia, nell'esercito e negli enti pubblici e privati alla sostituzione con i nuovi rappresentanti nominati da una costituente. 

Per i nuovi funzionari e impiegati negli uffici pubblici, l'assegnazione dei posti di lavoro era contenuta in una norma  che stabiliva il numero delle assunzioni  in rapporto alle etnie presenti sul territorio;  una norma che mutuava le esperienze in tal senso fatte già in Alto Adige fin dal 1969 (col Patto Gruber), tra gli italiani in minoranza e i sudtirolesi. E come quella altoatesina, era giustificata tale norma, per il fatto che la maggior parte dei rapporti della pubblica amministrazione  avvenivano con un pubblico multilingue e che multilingue dovevano essere gli impiegati addetti. A questa norma, pur non imposta, si adeguarono  le aziende private, anche se già  da molto tempo si erano orientate in tal senso perchè molte attività economiche erano esercitate in larghissima misura dai nostri connazionali, addirittura molte industrie erano ormai dei nostri fratelli e non più di cittadini veneti.

Tra le disposizioni del decreto Abd al-Maluk, c'erano anche quelle per la suddivisione di molte terre espropriate, che da anni erano tenute  incolte dai pochi  veneti,  pur essendoci fra di loro  una discreta fascia anagrafica in età lavoro. Furono così espropriati dei grandi fondi agricoli per il bene della nuova nazione.  Con spirito umanitario da parte del nostro governo, i  proprietari non furono cacciati, ma confinati in grandi "riserve" per far  godere in pace su un ampio territorio messo a disposizione, le loro tradizioni e, senza essere ostacolati, potevano esercitare le proprie attività culturali e religiose  nella loro lingua, senza impedimenti per conservare le proprie memorie.

L'anno dopo però, su varie sollecitazioni politiche ma anche popolari,  furono ritenute le riserve   troppo estese, e ai veneti  poco attivi perchè anziani,  si ridussero di due terzi i territori concessi a loro.
Contestazioni, animosità e qualche ribellione dei veneti, hanno fatto esclamare al nuovo ministro degli Interni  Abù Talib: "che le Riserve  erano state concesse per lavorarci,  e non come possedimenti improduttivi da contemplare, perciò in quanto tali, erano da considerarsi le terre, territorio pubblico, quindi espropriabili per le operose attività economiche dei  suoi nuovi  laboriosi abitanti; quindi era lecita la confisca e la revisione di certi stupidi, "assistenzialistici" trattati" .
(Queste cose del resto le dissero anche al Congresso degli Stati Uniti nel 1790, quando gli europei liberisti che vi sbarcarono confinarono nelle riserve gli indiani).

La stessa linea fu adottata per gli immobili; espropriazione di molte case da anni  sfitte  in mano a proprietari sempre irremovibili a  soddisfare le legittime richieste di nostri connazionali,  le cui necessità di avere una propria casa non furono mai percepite  nè prese in considerazione.
Rammentiamo le famose proteste che si svolsero nel 1999 e 2000, a Padova, quando i nostri padri, sfruttati da ditte senza scrupolo nel lavoro nero,  non essendo a loro riconosciuto il diritto alla casa, occuparono l'Università per sensibilizzare una classe politica sorda a certe necessità vitali; non solo del singolo ma anche essenziali per la composizione di normali famiglie che una società civile dovrebbe desiderare, soprattutto se ambisce a mantenere la pace sociale. I "cani sciolti" emarginati e randagi   hanno sempre la "rabbia" addosso;  e sono un pericolo costante dentro una   società  se questa non fa nulla per accoglierli.

Anche in questa occasione - con il nuovo decreto degli espropri degli immobili e pur applicando alla lettera le norme  che erano state concordate congiuntamente dai rappresentanti della minoranza veneta -  ci furono sommosse, rivolte e fastidiose ostilità nei confronti dei nostri compatrioti che subentravano nelle sfitte proprietà. In ogni caso operando severamente, queste rivolte furono subito stroncate sul nascere dalle forze dell'ordine di Abù Talib, il ministro degli interni, che piuttosto seccato   espresse così la sua opinione:

" Ridurremo questi veneti che turbano il territorio,  a semplici folcloristici mansueti pensionati, dipendenti dalla generosità della "nostra" gente: Se oggi percepiscono una pensione sappiano che a questa provvedono in un modo considerevole i contributi dei "nostri" lavoratori, che ormai da anni concorrono in modo sostanziale alla spesa pubblica dell'assistenza, sia sanitaria, sia pensionistica. Negli anni Novanta,  senza di noi -  gli unici a lavorare nelle fogne, nelle stalle,  nelle concerie, nelle fonderie, nei  macelli, o a fare gli  edili, i facchini e i servi,  spesso sottopagati o pagati  in nero, o a operare in insalubri  scantinati per confezionare montagne di beni di consumo per una civiltà opulenta a noi negata,  il Veneto - ripeto senza di noi -  si sarebbe economicamente estinto".

Rammento che ancora nel marzo del 1999, in una dichiarazione apparsa sul Giornale di Vicenza, Danielo Marini, della Fondazione Corazzin, dichiarava " il 52% degli imprenditori vicentini, ritiene gli immigrati una risorsa per le imprese - altrimenti destinate tutte a chiudere per mancanza di manodopera - e    questa percentuale sale addirittura al 70% nelle province di VI e TV". Lo dicevano loro, non noi!.

Quindi, carissimi lettori, la previsione era giusta, le maestranze multietniche, sono oggi proprio il 70 per cento della forza produttiva del Veneto,  in alcune cittadine l' 85 per cento,   e buona parte dei nostri connazionali  sono anche titolari delle stesse imprese, che producono benessere a noi ma anche al resto di questa vecchia  popolazione veneta .

Speriamo che i nostalgici veneti, si siano messi il cuore in pace e che d'ora in avanti si possa vivere in perfetto   accordo, in comunanza dentro  quella che abbiamo chiamato non a caso Repubblica Comunitaria.
L'estinzione dei veneti, non l'abbiamo voluta noi, non è stata per volontà del destino, ma é stata una loro scelta.
Se si sono negati negli anni  2000 nel mettere al mondo  figli, non devono lamentarsi,  con noi,  se ora non hanno i nipoti.

 Repubblica Comunitaria -  25 aprile 2035

 

notizie del passato
dal diario scritto il ....

giorno 24  APRILE 1999 - "Comencini lancia "frecce" su Bossi" - "Non capisco Bossi, ora appoggia Milosevic e fino a ieri si é battuto per l'autodeterminazione dei popoli, quello che giustamente pretende il Kosovo. A me Bossi fa paura...non vorrei però che il capo dei lumbard concepisse la Padania come la grande Serbia: chi mi assicura che un domani il Bossi padano non porti avanti la pulizia etnica nei confronti di noi veneti, che non ha mai amato, un popolo che pretende proprio l'autonomia e l'autogoverno".
Con il nostro nuovo partito: la Liga Veneta Repubblica (falsa la diceria  messa in giro che riceve finanziamenti "occulti" da Berlusconi)  la nostra meta finale é un Veneto sovrano, indipendente, confederato col resto del Paese. Si tratta di un obiettivo concreto perchè quello veneto é un popolo, ha una sua storia millenaria ed ha avuto per oltre dieci secoli uno Stato sovrano: oggi poi é anche un popolo a sé stante. La sovranità pertanto é un obiettivo preciso e concreto. I nostri nemici non sono i terroni: No e poi no. I veri nemici dei veneti bisogna cercarli nell'area nord-ovest. Proprio  qui sono annidati coloro che tirano le file per tramare contro il popolo veneto, in quanto ne temono l'operosità e la capacità imprenditoriale. Sono loro a non volere che Roma apra la borsa per costruire strade. Siete mai stati a Milano? ci sono tangenziali da ogni parte e per ogni dove;   Vercelli, un paesotto che é collegato con arterie come una metropoli". (La Domenica di Vicenza, 24 Aprile,1999, pag.15) (il neretto, Ndr)

giorno 5 OTTOBRE 1998 - RINASCE LA "LIGA VENETA REPUBBLICA" - Nel segno del Leone di San Marco l'atto di fondazione in un Congresso lampo organizzato da  COMENCINI con 700 delegati per sancire la definitiva rottura con BOSSI, che ha definito l'assemblea "il congresso dei pagnottari". Lo slogan dei ribelli ora autonomi é "La Padania può attendere, a casa nostra vogliamo essere padroni noi, gestire la nostra economia". L'orgoglio che anima il congresso  è uno solo: di essere Veneti. In prima fila gli "eroi del campanile" che arringano la folla "Né schiavi di Roma, né servi dei Lunbard, W il Leon". - COMENCINI : "Non c'importa nulla di D'Alema, Berlusconi, Fini, Bertinotti e di Bossi" (e parafrasando Churchill alleato ai russi) "Se per l'indipendenza dobbiamo allearci al diavolo, noi ci alleeremo anche col diavolo". - Nazionalismo regionale indipendentistico, più forte di qualsiasi ideologia. I politici di Roma sono avvertiti. Gli italiani pure".

COMENCINI ricordiamo, prima di diventare presidente della Lega Nord in Veneto, era nell'area di destra, consigliere regionale del MSI, della corrente di PINO RAUTI.

giorno 23 APRILE 1998 - FEDERALISMO - Un passo avanti nella Bicamerale. E' approvato l'articolo 58 che cambierà profondamente poteri e competenze dello Stato centrale e delle Regioni. Il fatto singolare del giorno è che a votare contro - assieme a Rifondazione e UDR - sono stati i leghisti di Bossi, una volta irriducibili federalisti. A favore invece il Polo, anche se nel Veneto (sorpresa!) restano in trincea i vari GALAN presidente della Regione Veneta (Forza Italia) & C.: "Io non ricevo ordini da Roma, né dubito che voglia darmeli Berlusconi".  - I leghisti puntano sull'autodeterminazione e sembra che la cavalchino tutti. Un Veneto sovrano indipendente. Un popolo a sé stante dal resto dell'Italia.

giorno 3 APRILE 1998 - "" Esodo albanese: giorno dopo giorno vengono da noi, s'istallano, la fanno da padroni, e domani ci chiederanno pure la loro autonomia. Cosa faremo in questo caso? (Roberto Merigo, Giornale di Vicenza, 3 aprile, pag 39) - Prepararsi!

 

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