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I RAPPORTI CONFLITTUALI TRA I PRIMI CRISTIANI E GLI EBREI


Dopo la morte di Gesù, i suoi discepoli si ritrovarono e avviarono in Gerusalemme una vita comunitaria, principalmente finalizzata a convincere gli ebrei che il Messia, da loro atteso, era già arrivato. Tuttavia, tale Messia si era presentato in maniera molto diversa dall’imperatore (che era) un conquistatore militare e non quello di messia, che gli ebrei aspettavano.
Dobbiamo dire che i discepoli di Gesù, al momento dell’arresto, erano spariti in vari luoghi. Ora però si proponevano di convincere gli altri ebrei che era giunto il momento di continuare la missione di Gesù.
Presto essi dovettero confrontarsi con il gruppo degli ellenisti, gli ebrei di lingua greca. Gli ellenisti, che facevano parte dei discepoli di Gesù, non condividevano la prudenza degli altri: cominciarono a predicare contro chi gestiva il potere, provocando così una reazione degli ebrei ortodossi che causò la morte per lapidazione di uno dei loro capi, Stefano. Egli da quel momento venne considerato un protomartire.

La lapidazione di Stefano può essere vista come l’epilogo di quella sete di martirio propria degli ellenisti, che troviamo come espressione in alcuni capitoli del Vangelo di Marco. Gli ellenisti pensavano che chi non accettava di soffrire per Gesù non fosse un degno discepolo. Tale idea non era condivisa dalla maggioranza dei seguaci di Gesù che si trovavano a Gerusalemme.

Di conseguenza, gli ellenisti entrarono in conflitto con la comunità di Gerusalemme. Sia gli ellenisti sia i membri della comunità cristiana di Gerusalemme si caratterizzarono per un atteggiamento missionario, che diede luogo in Palestina alla fondazione di molte altre comunità.
Gli ellenisti, comunque, riscossero un ampio successo nell’attività missionaria, tanto da fondare comunità caratterizzate da una forte ispirazione profetica. Furono proprio loro a imporre una svolta decisiva al cristianesimo: cominciarono infatti a predicare il Vangelo anche ai pagani.

A partire dal 40 d.C. si cominciò ad avvertire un importante problema, ovvero quello della convivenza di ebrei e non ebrei all’interno di quella che era la primitiva comunità cristiana. Tale difficile questione fu risolta, non senza fatica, mediante l’abbandono del rispetto letterale della Torah.

Pian piano, alla fede nella Scrittura rappresentata dall’Antico Testamento si aggiunse la FEDE. e
questo avrebbe costituito il Nuovo Testamento.

Paolo e la frattura tra ebrei e cristiani
Tuttavia, gradualmente si ebbe il rifiuto del ritualismo ebraico, cosa che non avvenne facilmente ma richiese di opporsi a numerose resistenze e comportò una certa gradualità.
L’azione missionaria di Paolo e dei suoi discepoli non si limitava ai soli pagani, ma puntava a convincere gli stessi ebrei che "il Messia era arrivato" e che il suo messaggio non riguardava solo il popolo eletto, bensì l’intero genere umano.

Dobbiamo dire che quella di Paolo fu una vera e propria rivoluzione religiosa, che diede ai seguaci di Gesù la possibilità di acquisire la consapevolezza che la loro non era una posizione speciale all’interno dell’ebraismo, bensì una nuova religione. Questa, tuttavia, manteneva nei confronti del monoteismo del popolo ebreo un carattere di continuità.

Tale carattere di continuità rivestiva grande importanza per i cristiani, che si consideravano “un nuovo Israele”, ma che veniva negato dagli ebrei.
Paolo era consapevole che la Chiesa di Gerusalemme non dimostrava entusiasmo per le sue tesi. Per questo, verso il 51, organizzò un viaggio verso la città santa, accompagnato dai rappresentanti delle comunità che avevano accettato il suo messaggio rivoluzionario.

Dopo il viaggio di Paolo a Gerusalemme, anche la Chiesa della città santa accettò il principio di non richiedere più la circoncisione ai pagani che si fossero convertiti al cristianesimo. Inoltre, si giunse alla conclusione di rinunciare anche all’osservanza di alcune regole alimentari tipiche dell’ebraismo.

Senza dubbio, questi due provvedimenti resero più facili le conversioni alla nuova religione, ma ebbero anche la conseguenza di allontanare ancora di più gli ebrei ortodossi dal cristianesimo, che, sebbene fosse nato nel mondo ebraico, accettava ormai di accogliere al suo interno i pagani e di rinunciare all’osservanza integrale della legge di Mosè.
A quel punto, gli ebrei di Gerusalemme, che consideravano Paolo un apostata, approfittarono di un suo ulteriore viaggio nella città per suscitare una sommossa che indusse l’autorità romana ad arrestarlo.
Egli, detenuto per due anni a Cesarea, venne poi spedito, essendo cittadino romano, al tribunale imperiale. Di conseguenza, risiedette per altri due anni a Roma, in attesa che i suoi accusatori si presentassero con accuse precise.
Sempre secondo la stessa tradizione secolare, morì lo stesso anno e lo stesso giorno di Pietro apostolo che invece, non essendo cittadino romano, venne fatto crocifiggere durante le persecuzioni dell'imperatore Nerone.

Entrambi sono venerati come martiri: secondo le norme e la consuetudine della Chiesa cattolica e della Chiesa Ortodossa, nel giorno in cui la tradizione ha datato la morte dei due santi.


Comunque sia, la frattura tra ebrei e cristiani era ormai diventata irreversibile. Pertanto, il sommo sacerdote Anania, forse approfittando di una temporanea assenza del procuratore romano, fece convocare dal sinedrio e giustiziare l’apostolo Giacomo.
Gli storici pensano che la setta degli zeloti abbia avuto un ruolo importante nella condanna a morte di Giacomo.

La definitiva frattura tra cristiani ed ebrei

A seguito di tale episodio, la comunità cristiana di Gerusalemme non si riprese più da quel duro colpo. Pertanto, quando nel 70 d.C. Gerusalemme fu profanata e saccheggiata dalle truppe di Tito e dopo la rivolta degli ebrei, essa già non esisteva più.
Inoltre, era ormai chiaro che i cristiani — coloro che ritenevano che il Messia fosse già venuto nel mondo — non potevano più essere considerati ebrei, anche se quelli di stirpe ebraica continuavano a definirsi tali. Di conseguenza, i cristiani non avevano più, di fronte alla legge romana, diritto a quella serie di misure eccezionali e protettive che permettevano agli ebrei di essere esentati dagli atti formali in cui esisteva un qualunque elemento di adorazione delle divinità pagane.

Dobbiamo dire che tra le comunità ebraiche sparse nell’impero e i cristiani i conflitti e gli scontri erano senza dubbio frequenti. Quando, nel 64 d.C., l’imperatore Nerone cercò di attribuire ai cristiani la responsabilità dell’incendio di Roma, la distinzione tra essi e gli ebrei divenne ancora più chiara agli occhi dei membri delle due comunità, ormai affini ma nemiche.
Tuttavia, dobbiamo mettere in evidenza che la distinzione tra cristiani ed ebrei era ancora probabilmente poco chiara ed evidente alle autorità imperiali e anche alla gente comune. Ma era ormai inevitabile che, col trascorrere del tempo, tale stato di conflitto tra cristiani ed ebrei fosse destinato ad aumentare e non certo a diminuire.
Prof. Giovanni Pellegrino

 

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