.
L’opera di Ruini, i lavori preparatori

La struttura della Costituzione

Si è già detto del dibattuto problema del “preambolo” e della relativa discussione in Assemblea [104] .

La questione del preambolo riguardava, comunque, una più ampia discussione: quella concernente la struttura da dare alla nuova Carta Costituzionale.

Furono esaminate le Costituzioni straniere e il dibattito sulle varie opzioni (Costituzione breve o lunga, suddivisione in parti o titoli, preambolo, ecc.) fu molto acceso e non si spense nemmeno dopo il termine dei lavori dell’Assemblea [105] .

Ruini, in Assemblea, nel discorso di replica alle numerose critiche mosse da più parti al testo redatto dalla Commissione dei 75, illustrò la struttura che la Commissione stessa e il suo Presidente avevano voluto dare alla Carta Fondamentale: “Altre osservazioni riguardano l’architettonica, così cara alla nobilissima anima di La Pira. L’architettonica. Vi sono state alcune proposte dell’onorevole Della Seta; piuttosto tenui: mettere prima dei rapporti economici quelli politici; che noi abbiamo messo dopo a ragion veduta, perché vi sia, nei diritti, come una scala, e si passi, poi, all’organizzazione politica dello Stato.

Eccolo l’edificio che abbiamo costruito: la casa comune, come la chiama La Pira. Vi è un atrio, che è quasi un preambolo, con quattro colonne: le disposizioni generali sul carattere della Repubblica, sulla sua posizione internazionale, sui rapporti con la chiesa, sui grandi principi di libertà e di giustizia che animano la Costituzione. Questo è l’atrio. Poi comincia la Costituzione vera e propria, divisa in due parti; la prima, dei diritti e dei doveri, è ripartita anch’essa in quattro parti: rapporti civili, rapporti etico-sociali, rapporti economici, rapporti politici. Si passa poi alla parte più costituzionale della Costituzione, all’orientamento istituzionale. Ecco i grandi organi dello Stato: il Parlamento, il Capo dello Stato, il Governo, la Magistratura. Vengono in seguito gli organi dell’autonomia locale. Ed infine le garanzie costituzionali.

Non è certo un’architettonica da Michelangelo o da Bramante; è una cosa modesta. Ma io voglio rivolgere un invito cordiale ai valorosi colleghi della nostra Assemblea. Mi dicano una Costituzione straniera che abbia una struttura più logica, più quadrata, più semplice di questa che è nel testo che vi abbiamo presentato” [106] .

Nella relazione al progetto di Costituzione, Ruini dettò quelle che erano le idee sue e della Commissione riguardo la struttura della Carta Fondamentale: “La Costituzione deve essere, più che è possibile, breve, semplice e chiara; tale che tutto il popolo la possa comprendere. Sono le parole con le quali la Commissione si tracciò la via”.

La rigidità e la forma della Costituzione

“Il problema del preambolo e del rinvio delle norme implica quello della rigidità della Costituzione. Se ne è parlato quasi nulla nella Commissione e nell’Assemblea; ma è stato tacitamente ed unitamente risolto. Tutti suppongono e ritengono che la Costituzione deve essere rigida.

Nella vecchia Italia lo Statuto Albertino era elastico, e si sviluppò democraticamente; gli uomini politici della democrazia vantavano la possibilità di trasformare e modificare continuamente lo statuto.

Che cosa significa la possibilità di variare senz’altro, semplicemente ed inavvertitamente? Lo abbiamo visto durante il fascismo. Non si può dire che se ci fosse stata una Costituzione rigida, lo scempio si sarebbe evitato. La Costituzione rigida, evidentemente, non impedisce le grandi lacerazioni che la storia può produrre; ma può, per lo meno, frenare le violazioni minori. Rigidità non vuol dire che una Carta non possa essere modificata. Vuol dire che leggi ordinarie non possono deviare dai principi e dalle norme della Carta, e se ne deviano sono annullabili e prive d’efficacia. Vuol dire che, quando si voglia modificare la Costituzione, occorre una più cauta e meditata procedura, prescritta dalla stessa Costituzione. Sopra questo punto credo che non vi possano essere contrasti tra noi” [107] .

Il concetto che guidò la Commissione nella formulazione della norma fu quello di rendere il procedimento di formazione delle leggi costituzionali più complicato di quello previsto per le leggi ordinarie, senza tuttavia arrivare a stabilire un procedimento che renda estremamente difficile la revisione della Costituzione o l’emanazione di nuove leggi costituzionali; si volle, praticamente, corrispondere all’esigenza di una più ponderata riflessione nel procedere ad atti così importanti: da ciò l’adozione del sistema delle due letture, a distanza di tre mesi una dall’altra.

Nel senso più elevato ed applicato all’ordinamento giuridico fondamentale dello Stato e cioè alla Costituzione, questa garanzia si intende come procedura ed istituti per assicurare il rispetto della Costituzione. Il testo adottato fu quello di Perassi, per il quale l’iniziativa delle leggi costituzionali sarebbe dovuta appartenere al Governo ed alle Camere; le revisioni avrebbero dovuto essere approvate da ciascuna Camera con doppia lettura a distanza di sei mesi e con maggioranza assoluta in seconda lettura; il referendum sarebbe poi dovuto intervenire dietro la richiesta di cinquecentomila elettori, salvo che la revisione non fosse stata approvata da due terzi dei membri delle Camere, nel qual caso si sarebbe preclusa la via all’intervento del popolo.

Alla Costituente la discussione fu rapidissima e senza effettivi contrasti; fu lo stesso Perassi a modificare il proprio testo togliendo, senza dirne le ragioni, il primo comma, che prevedeva l’iniziativa del Governo o delle Camere, e precisando che, oltre che di revisione della Costituzione, si sarebbe dovuto parlare anche di revisione delle leggi costituzionali [108] .

Ruini, alla presentazione del progetto, portò in Assemblea le sue idee riguardanti la necessità di una Costituzione rigida [109] , non solo per tutelare “la vita del paese dall’arbitrio di improvvise modificazioni” ma anche per sottolineare che “esistono istanze ed esigenze di libertà e di giustizia che neppure una Costituzione può violare; ed altre ne esistono, nell’edificio costituzionale, che non debbono essere violate dalle leggi, ma possono essere modificate soltanto da un’espressione particolare di volontà, mediante un processo costituzionale di revisione”.

Lo stesso Ruini, in seguito, riconobbe: “Dobbiamo stare attenti nel considerare e valutare la nostra Costituzione. Non possiamo dimenticare, noi che l’abbiamo fatta, come rispondeva ad esigenze imprescindibili di vita. Dopo un secolo di non sicura interpretazione e svolgimento dello Statuto Albertino, che era stato negli ultimi vent’anni dilaniato dai fasci, dovevamo fare una Costituzione nostra: salda come un argine contro le violazioni; e complessa e minuta e rigida di norme. A ripensarci oggi ci convinciamo che la dovevamo fare così allora e, ritornando a quei tempi, la dovremmo rifare così” [110] .

Problema strettamente connesso a quello della rigidità e implicitamente superato dai Costituenti fu quello della forma: fu subito evidente, difatti, che la nuova Italia repubblicana si sarebbe data una Costituzione scritta: “La Costituzione, che è complesso di norme giuridiche regolanti vari rapporti di vita sociale, ha poi per conto suo una forma che merita attenzione, quando è tipicamente espressa come Costituzione scritta; non risulta cioè soltanto da norme in atto come consuetudine, costume, nella prassi, nella convivenza umana, ma non «scritte». Una espressione più tipica di Costituzione è di essere «scritta»; ed ancor più tipicamente – Costituzione come suona in modo più alto e più conciso – di essere scritta non in leggi , disposizioni multiple e varie; ma in un testo e documento unico, che è la Costituzione nella sua essenza; legge delle leggi; legge organica e fondamentale dello Stato” [111]

Il primo articolo della Costituzione

Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

“La nostra Costituzione ricorre, come molte altre, al concetto di democrazia; e potrebbe sembrare inutile perché democrazia e repubblica, in senso pieno, sono sinonimo l’una dell’altra”. [112]

Nel suo lavoro di Costituente Ruini mirava ad inserire quale presupposto e concezione dominante della redigenda Carta Fondamentale un “piano di democrazia integrale”: “una Costituzione deve essere Costituzione; non perdersi nelle nuvole della filosofia; non dimenticare mai che la sua struttura è essenzialmente giuridica; ma deve ispirarsi ad un complesso di esigenze etico-politiche ed etico-sociali; senza le quali sarebbe costruzione sterile e vana. Sono esigenze di tre ordini: tener conto delle libertà individuali (e cioè informarsi allo spirito liberale); degli ordinamenti basati sulla sovranità popolare (ed è il concetto di democrazia in senso più proprio e ristretto); delle aspirazioni e delle riforme sociali”. [113]

Ruini si prodigò affinché l’art. 1 della Costituzione accogliesse, al primo comma, il concetto di “democrazia del lavoro”, da lui propugnato sin dal 1906 e, nel secondo comma, il principio dello Stato di diritto, da lui già trattato nella tesi di laurea, per dar forma e porre i necessari limiti alla sovranità popolare. [114]

Grande rilevanza fu data dallo statista reggiano proprio al diritto al lavoro; nel corso del dibattito vi furono oscillazioni per trovare la formula da adottare: nessuno, all’interno della Commissione, giunse a proporre la dizione “stato socialista di operai e contadini”, propria della Costituzione sovietica, perché ritenuta troppo classista e comunista; la proposta che invece prevalse, peraltro con l’appoggio di Ruini, fu quella dell’onorevole Basso e di altri: “l’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori”. La Malfa, per sottolineare il distacco da strutture totalitarie di comunismo, tentò di completare l’articolo con “Repubblica democratica fondata sulla libertà e sul lavoro”, ma alla maggioranza sembrò che l’esigenza di libertà fosse già implicita nell’espressione “Repubblica democratica”.

Nessuno negò, in Commissione, che al lavoro spettasse un posto essenziale nello Stato moderno, anche perché considerato come la terza esigenza, della socialità, che si faceva avanti, come realtà storica, all’interno di tutte le più moderne Costituzioni; così, quando Ruini presentò all’Assemblea il progetto [115] , lo illustrò facendo riferimento soprattutto agli aspetti giuridici: “L’affermazione del diritto al lavoro, e cioè ad un’occupazione piena per tutti, ha dato luogo a dubbi da un punto di vista strettamente giuridico, in quanto non si tratta di un diritto già assicurato e provvisto di azione giudiziaria; ma la Commissione ha ritenuto, ed anche giuristi rigorosi hanno ammesso che, trattandosi di un diritto potenziale, la Costituzione può indicarlo, come avviene in altri casi, perché il legislatore ne promuova l’attuazione, secondo l’impegno che la Repubblica nella Costituzione stessa si assume.
Al diritto si accompagna il dovere di lavorare; come è nel grande motto di San Paolo, riprodotto anche nella Costituzione russa: «chi non lavora non mangia»“ [116] .

In Assemblea la formula Fanfani (“…fondata sul lavoro…”)...



... fu illustrata dallo stesso relatore il quale spiegò che la frase proposta costituiva “l’affermazione del dovere di ogni uomo di…[fornire] il massimo contributo alla prosperità comune”, fuggendo un’interpretazione di “pura esaltazione della fatica muscolare o del puro sforzo fisico”. Anche Ruini aderì alla proposta di inserimento di questo concetto (che gli era molto caro) nella formulazione offerta da Fanfani: “Lavoro di tutti, non solo manuale, ma in ogni sua forma di espressione umana” [117] .
Che la sovranità dovesse appartenere al popolo o allo Stato fu un argomento di discussione, basato soprattutto su ragioni storiche, dapprima all’interno della Commissione, e poi all’interno dell’Assemblea.

Chi, proprio  tra i “75”, chiarì al meglio come non ci fosse alcuna contraddizione all’interno della nostra Costituzione, fu l’onorevole Grassi: “lo Stato, che è depositario del potere di comando, lo esercita attraverso gli organi del suo ordinamento; ma questi organi sono azionati e ricevono autorità e forma dal popolo che, direttamente o indirettamente, dà ad essi tutta la capacità della sua manovra”. [118]
Ruini, piuttosto che al popolo, avrebbe invece fatto riferimento, sulle orme francesi, alla nazione che, in un momento in cui si sarebbe dovuto rivendicare l’integrità delle genti italiane e dei loro confini, avrebbe avuto maggior incisività ma l’idea non venne accolta dal Comitato di Redazione.

Ruini commentò così la discussione che seguì e che riguardò principalmente i termini da utilizzare: “la sovranità risiede nel popolo, appartiene al popolo, emana dal popolo, è del popolo, sta nel popolo eccetera. Stanco del dibattito, io mi sono rimesso alla Costituente per la scelta del verbo. Non inopportunamente è stato scelto «appartiene» al popolo; mentre «emana dal popolo» poteva far dubitare che, una volta emanato, non risiedesse più nel popolo”. [119]

Riguardo all’ultima parte del secondo comma Ruini suggerì di aggiungere, dopo le parole “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, la locuzione “delle leggi”. Ciò conferma, ancora una volta, che i principi dello stato di diritto e di legalità erano i veri capisaldi del suo pensiero e dell’impronta che il Costituente voleva imprimere alla nuova Costituzione: “una democrazia integrale, per essere soddisfacimento dei diritti e delle libertà individuali che le stanno alla base, deve necessariamente assumere e percorrere le vie del diritto”. [120]

L’Assemblea tuttavia, su emendamento Fanfani, volle semplificare, ritenendo che il riferimento alla Costituzione fosse sufficiente a far intendere che le “ulteriori manifestazioni di sovranità” si sarebbero dovute produrre nelle forme di legge, secondo le direttive della Costituzione.

All’atto della presentazione in Assemblea del progetto costituzionale Ruini fu molto chiaro sull’idea di ordinamento della Repubblica che era emersa dai lavori della Commissione: “I problemi dell’ordinamento costituzionale sono così complessi, che non è dato risolverli con qualche formula breve. Deve bensì rimanere fermissimo il principio della sovranità popolare. Cadute le combinazioni ottocentesche, con la sovranità regia, la sovranità spetta tutta al popolo. Anche se non ha la continuità di funzionamento e la personalizzazione più concreta degli altri organi, è la forza viva cui si riconduce ogni loro potere; l’elemento decisivo che dice sempre la prima e l’ultima parola. Per la sua struttura universale e fluente, non può direttamente legiferare e governare… La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e del referendum”. [121]

[104] v. retro, cap. “Il Comitato di Redazione” a p. 27
[105] Su alcune critiche e proposte di modifica della Carta dopo la sua approvazione: Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo. Come si é formata la Costituzione, Milano, 1961; Ruini Meuccio, Postille: se e come si può e si deve ripensare e rivedere la nostra Costituzione, appunti, bozze, corrispondenza e materiale inedito conservato in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[106] Discorso tenuto da Ruini all’Assemblea Costituente nella seduta del 12 marzo 1947, in Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo. Come si é formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 121-122
[107] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo. Come si é formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 120
[108] Ruini Meuccio, Il referendum popolare e la revisione della Costituzione, Milano, 1953, pp. 47 ss.
[109] Discorso tenuto da Ruini all’Assemblea Costituente nella seduta del 12 marzo 1947, in Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo. Come si é formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 121-122
[110] Ruini Meuccio, Postille: se e come si può e si deve ripensare e rivedere la nostra Costituzione, appunti, bozze, corrispondenza e materiale inedito conservato in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[111] Ruini Meuccio, Postille: se e come si può e si deve ripensare e rivedere la nostra Costituzione, appunti, bozze, corrispondenza e materiale inedito conservato in Archivio Meuccio Ruini (c/o Biblioteca “Panizzi”-Reggio Emilia)
[112] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo: commenti e note alla nostra Costituzione, Milano, 1962, pp. 9-10
[113] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo: commenti e note alla nostra Costituzione, Milano, 1962, p. 12
[114] D’Angelo Lucio, Il Parlamento italiano. 1861-1988, Milano, 1989, vol. XIV
[115] Le parole che Ruini usò, riguardanti il diritto al lavoro, si riferivano sia all’art. 1 sia all’art. 4 della Costituzione.
[116] Atti Assemblea Costituente, seduta del 8-9 maggio 1947, in Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 31
[117] Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F., La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, p. 26
[118] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo: commenti e note alla nostra Costituzione, Milano, 1962, p. 20
[119] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo: commenti e note alla nostra Costituzione, Milano, 1962, p. 21
[120] Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo: commenti e note alla nostra Costituzione, Milano, 1962, p. 23
[121] Discorso tenuto da Ruini all’Assemblea Costituente nella seduta del 12 marzo 1947, in Ruini Meuccio, La nostra e le cento Costituzioni del mondo. Come si é formata la Costituzione, Milano, 1961, pp. 121 ss.

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