MAZZINI - DOVERI DELL'UOMO
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QUESTIONE ECONOMICA - CONCLUSIONE

Molti, troppi fra voi, sono poveri. Per i tre quarti almeno degli uomini che appartengono alla classe operaia, agricola o industriale, la vita è una lotta d'ogni giorno per conquistarsi i mezzi indispensabili all'esistenza. Essi lavorano con le loro braccia dieci, dodici, talvolta quattordici ore della giornata, e da questo assiduo, monotono, penoso lavoro, ritraggono appena il necessario alla vita fisica. Insegnare ad essi il dovere di progredire, parlar loro di vita intellettuale e morale, di diritti politici, di educazione, è, nell'ordine sociale attuale, una vera ironia. Essi non hanno tempo né mezzi per progredire. Spossati, affranti, pressoché istupiditi da una vita spesa in un cerchio di poche operazioni meccaniche, essi v' imparano un muto, impotente, spesso ingiusto rancore contro la classe degli uomini, che li impiegano; cercano l'oblio dei dolori presenti e dell' incertezza del domani negli stimoli delle forti bevande, e si coricano in luoghi ai quali è meglio adatto il nome di ovile che non quello di stanza, per ridestarsi allo stesso esercizio delle forze fisiche.
È tristissima condizione e bisogna mutarla.

Voi siete uomini, e come tali avete facoltà, non solamente fisiche, ma intellettuali e morali che è vostro dovere di sviluppare; dovete essere cittadini, e come tali, dovete esercitare, per il bene di tutti, diritti i quali richiedono un certo grado di educazione, una certa somma di tempo.

E' chiaro che voi dovete lavorar meno e guadagnare più che oggi non fate. Figli tutti di Dio e fratelli in Lui e tra noi, noi siamo chiamati a formare una sola grande famiglia. In questa famiglia possono esistere disuguaglianze generate dalle diverse attitudini, dalle diverse capacità, dal diverso desiderio di lavoro ; ma un principio deve signoreggiarla: “chiunque è disposto a dare, per il bene di tutti, ciò ch'egli può di lavoro, deve ottenerne compenso tale che lo renda capace di sviluppare, più o meno, la propria vita sotto tutti gli aspetti che la definiscono”.

E' questo l' “ideale” al quale dobbiamo tutti studiar modo d'avvicinarci più sempre di secolo in secolo. Ogni mutamento, ogni rivoluzione che non vi s'accosti di un passo, che non faccia corrispondere al progresso “politico” un progresso sociale, che non promuova di un grado il miglioramento materiale delle classi più povere, viola il disegno di Dio, si riduce a una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di una dominazione illegittima, è una menzogna ed un male.

Ma “fino a qual punto” possiamo raggiungere oggi lo scopo ? E “come”, per quali vie possiamo raggiungerlo ? Alcuni fra i vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella “moralità” dell'operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno detto agli operai: “recate qui il vostro soldo; economizzate; astenetevi da ogni eccesso nelle bevande o in altro; emancipatevi dalla miseria con le privazioni”.

E sono ottimi consigli perché mirano alla moralizzazione dell'operaio, senza la quale tutte le riforme riescono inutili. Ma né sciolgono la questione di miseria intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno del dovere “sociale”. Pochissimi tra voi “possono” economizzare quel soldo. E quei pochissimi possono, accumulando lentamente, provvedere in parte agli anni della vecchiaia, mentre la questione economica deve mirare a provvedere agli anni virili, allo sviluppo, all'espansione possibile della vita quando è attiva e potente e può giovare efficacemente al progresso della Patria e dell'Umanità. Per ciò che riguarda i beni materiali, la questione sta nel come “accrescere” la ricchezza, la produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la Società che vive del lavoro e chiede, ogniqualvolta è minacciata, tributo di sangue ai figli del popolo, ha debiti sacri verso di loro.

Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere degli uomini del lavoro, paurosi d'ogni innovazione potente, e legati a una scuola detta degli “economisti” che combattè con merito e con vantaggio in tutte le battaglie della libertà dell'industria, ma senza por mente alla necessità di “progresso” e di “associazione” inseparabili anch'esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i “filantropi” dei quali or ora parlai, che ciascuno può, anche nella condizione di cose attuale, edificare colla propria attività la propria indipendenza; che ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e che la formula “ciascuno per sé, libertà per tutti” è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo di agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffichi interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto, secondo gli “economisti”, può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là, per essi, sorgente di male.

Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio tolga, o fratelli miei, che io possa mai gettare, convinto, come risposta ai vostri patimenti e alle vostre aspirazioni, questa risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito per voi un migliore avvenire che non è quello contenuto nei rimedi degli economisti.

Quei rimedi non mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per un certo tempo la “produzione” della ricchezza, non a farne più equa la “distribuzione”. Mentre i “filantropi” contemplano unicamente l'”uomo” e si affannano a renderlo più morale senza farsi carico di accrescere, per dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli “economisti” non guardano che a fecondare le sorgenti della “produzione” senza occuparsi dell'”uomo”. Sotto il regime esclusivo di libertà ch'essi predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento d'attività produttrice e di capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la concorrenza, è menzogna, com'è menzogna la libertà politica per chi mancando di educazione, d'istruzione, di mezzi e di tempo, non può esercitarne i diritti.

L'accrescimento delle facilità dei traffici, i progressi nei modi di comunicazione emanciperebbero a poco a poco il lavoro dalla tirannide del commercio, dalla classe intermedia fra la produzione e i consumatori; ma non giovano a emanciparlo dalla tirannide del capitale, non danno i mezzi del lavoro a chi non li ha. E per difetto di un'equa distribuzione della ricchezza, d' un più giusto riparto dei prodotti, d'un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d'oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita, o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.

Oggi il “capitale” - e questa è la piaga della Società economica attuale - è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano, economicamente, la Società – “capitalisti”, cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre fattorie, numerario, materie prime - imprenditori, capi-lavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l'intelletto - e operai che rappresentano il lavoro manuale - la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare, dirigere verso certi fini di lavoro. E la sua parte negli utili del lavoro, nel valore della produzione, è comparativamente determinata : la locazione degli strumenti del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell'assoluto bisogno. La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d'eventi non calcolabili, dei capitali.

La parte degli ultimi, degli “operai”, è il “salario”, determinato “anteriormente” al lavoro e senza riguardo agli utili maggiori o minori che usciranno dall' impresa; e i limiti fra i quali il salario s'i aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la “popolazione” degli operai ed il “capitale». Ora la prima tendendo all'aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l'aumento del secondo, il salario tende, dove altre cause non si interpongano, a scendere. E il tempo non è nelle mani dell'operaio: le crisi finanziarie o politiche, la subìta applicazione di nuove macchine ai rami diversi dell'attività industriale, le irregolarità nella produzione e il suo frequente soverchio accumularsi in un'unica direzione inseparabile da una poco illuminata concorrenza, il riparto ineguale del popolo dei lavoranti su certi punti o su certi rami d'attività, e dieci altre cause interrompendo il lavoro, non lasciano all'operaio la libera scelta delle sue condizioni. Da un lato sta per lui l'assoluta miseria, dall'altro l'accettazione d'ogni patto che gli venga proposto.

Condizione siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé di una piaga che bisogna curare. I rimedi preposti dagli economisti sono inefficaci per questo.
E nondimeno, vi è progresso nella condizione della classe alla quale voi appartenete : progresso storico, continuo, che ha superato ben altre difficoltà. Voi foste schiavi, voi foste servi, voi siete in oggi “assalariati”. Vi emancipaste dalla schiavitù, dal servaggio; perché non vi emancipereste dal giogo del salario per diventare produttori liberi, padroni della totalità del valore della produzione ch'esce da voi?

Perchè tra l'opera vostra e l'opera della Società che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si compirebbe pacificamente la più grande, la più bella rivoluzione che possa idearsi, quella che, dando come base economica al consorzio umano, il lavoro, come base alla proprietà i frutti del lavoro, raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione e il consumo, senza distinzione di classi, senza predominio tirannico d'uno degli elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli della stessa madre, la PATRIA?

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Il senso del dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al quale ho accennato finora, andava, grazie soprattutto la predicazione repubblicana, crescendo negli animi e assicurando l'avvenire popolare delle rivoluzioni, quando sorsero negli ultimi trent'anni, in Francia segnatamente, alcune scuole di uomini buoni generalmente e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da vanità individuale, che sotto nome di SOCIALISMO proposero dottrine esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già conquistata dall'altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordine ed ordine di cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in due il campo repubblicano.

In Francia, il primo effetto di quella diffidenza e di quel terrore fu il più facile trionfo del colpo di Stato. Io non posso esaminare ora con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi, che furono chiamati San simonismo, Fourierismo, Comunismo, o con altro nome. Fondati quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le guastavano o le cancellavano con i mezzi di applicazione che proponevano falsi o tirannici. Ed è necessario ch' io v'accenni brevemente in che cosa peccavano, perché le promesse affacciate al popolo da quei sistemi sono così splendide che potrebbero facilmente sedurvi e voi correreste rischio, abbracciandole, di ritardare un avvenire d'emancipazione infallibile e non lontano. Vero è - e questo dovrebbe bastare a svegliare un dubbio potente nell'anime vostre - che quando le circostanze chiamarono al potere taluni fra quegli uomini, essi neppure tentarono l’applicazione pratica delle loro dottrine: giganti d'audacia nelle loro pagine, retrocessero davanti alla realtà delle cose.

Se esaminando un giorno attentamente quei sistemi, ricorderete le idee fondamentali ch' io sono andato finora indicandovi e i caratteri inseparabili dalla natura umana, voi troverete ch'essi violano tutti la Legge del Progresso, il modo con cui questo si compie nell'umanità, e o l'una o l'altra delle facoltà che costituiscono l’Uomo.

Il Progresso si compie per legge che nessuna potenza umana può rompere, grado a grado, con lo sviluppo, con la modificazione perpetua degli elementi che manifestano l'attività della vita. Gli uomini hanno spesso, in certe epoche, in certi paesi, e sotto l’influenza di certi pregiudizi e di certi errori, dato il nome di elementi, di condizioni della vita sociale, a cose che non hanno radice nella natura, ma solamente nelle abitudini convenzionali d'una società traviata, e che dopo quell'epoca o al di là dei limiti di quei paesi, spariscono.

Ma voi potete scoprire quali veramente siano gli elementi inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove vi dissi, gli istinti dell'anime vostre e verificando nella tradizione di tutti i tempi, di tutti i paesi, se quei vostri istinti siano stati sempre gli istinti dell' Umanità. E quelli che una voce congenita in voi (e la grande voce dell' Umanità) vi additano come elementi costitutivi della vita, devono essere modificati, sviluppati sempre d'epoca in epoca, ma non possono essere aboliti mai.

Tra questi elementi della vita umana, oltre la Religione, la Libertà, l'Associazione ed altri accennati nel corso di questo lavoro, è pure la Proprietà. Il principio, l'origine della Proprietà, sta nella natura umana e rappresenta la necessità della vita materiale dell' individuo ch'egli ha dovere di mantenere. Come, per mezzo della religione, della scienza, della libertà, l'individuo è chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo morale ed intellettuale, egli è pure chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il mondo fisico. E la proprietà è il segno, la rappresentazione del compimento di quella missione, della quantità di lavoro con il quale l' individuo, ha trasformato, sviluppato, accresciuto le forze produttrici della natura.

La proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi la trovate esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza dell' Umanità. Ma i modi coi quali la proprietà si governa sono mutabili, destinati a subire, come tutte l'altre manifestazioni della vita umana, la legge del Progresso. Quelli che, trovando la proprietà costituita in un certo modo, dichiarano quel modo inviolabile e combattono quanti intendono trasformarlo, negano dunque il Progresso: basta aprire due volumi di storia appartenente a due epoche diverse per trovarvi un cambiamento nella costituzione della Proprietà. E quelli che trovandola, in una certa epoca, mal costituita, dichiarano che bisogna abolirla, cancellarla dalla società, negano un elemento dell'umana natura, e se potessero mai riuscire, ritarderebbero il Progresso, mutilando la Vita: la proprietà riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e probabilmente sotto la forma che aveva al tempo della sua abolizione.

La proprietà è in oggi mal costituita, perché l'origine del riparto attuale sta generalmente nella conquista, nella violenza con la quale, in tempi lontani da noi, certi popoli e certe classi invadenti s'impossessarono delle terre e dei frutti di un lavoro non compiuto da essi.

La proprietà è mal costituita, perché le basi del riparto dei frutti d'un lavoro compiuto dal proprietario e dall'operaio, non sono fondate sopra una giusta eguaglianza proporzionata al lavoro stesso.

La proprietà è mal costituita, perché conferendo a chi l’ha diritti politici e legislativi che mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e inaccessibile ai più.

La proprietà è mal costituita, perché il sistema delle tasse è mal costituito, e tende a mantenere un privilegio di ricchezza nel proprietario, aggravando le classi povere e togliendo loro ogni possibilità di risparmio.

Ma se, invece di correggere vizi e modificare lentamente la costituzione della Proprietà, voi voleste abolirla, sopprimereste una sorgente di ricchezza, di emulazione, di attività, e somigliereste al selvaggio che per cogliere il frutto troncava l'albero.
Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di “pochi”; bisogna aprire la via perché i “molti” possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che il lavoro solo possa produrla.
Bisogna avviare la società verso basi più eque di rimunerazione tra il proprietario o capitalista e l'operaio.
Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita e lascino al popolano facoltà di economie produttive a poco a poco di proprietà.
E perché ciò avvenga, bisogna sopprimere i privilegi politici concessi alla proprietà, e far sì che tutti contribuiscano all'opera legislativa.
Ora tutte queste cose sono possibili e giuste. Educandovi, ordinandovi a chiederle con insistenza, poi a volerle, potreste ottenerle; mentre cercando l'abolizione della proprietà, cerchereste una impossibilità, fareste un' ingiustizia verso chi l' ha conquistata con il proprio lavoro, e diminuireste la produzione invece di accrescerla.

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L'abolizione della proprietà individuale nondimeno è il rimedio proposto da parecchi tra i sistemi socialisti dei quali vi parlo, e segnatamente del comunismo. Altri vanno oltre; e trovando il concetto religioso, il concetto governativo, il concetto di patria falsati dagli errori religiosi, dagli uomini del privilegio e dall'egoismo delle dinastie, chiedono l'abolizione d'ogni religione, d'ogni governo, d'ogni nazionalità. Questo è procedere di fanciulli o di barbari. Perché, in nome delle malattie generate da un'aria corrotta, non tenterebbero la soppressione d'ogni gas respirabile ?
L' idea di chi vorrebbe, in nome della libertà, fondare l'anarchia e cancellare la società per non lasciare che l’individuo con i suoi diritti, non ha bisogno, con voi, di confutazioni da me; tutto il mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso, doveri, fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi ed io veneriamo. Ma il disegno di quei che, limitandosi alla questione economica, chiedono l'abolizione della proprietà individuale e l'ordinamento del comunismo, tocca l'estremo opposto, nega l’individuo, nega la libertà, chiude la via al progresso e “impietra”, per così dire, la società.

La formula generale del comunismo è la seguente: la proprietà d'ogni cosa che produce, terre, capitali, mobili, strumenti di lavoro, sia concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro a ciascuno; lo Stato assegni a ciascuno una retribuzione, secondo alcuni, con assoluta eguaglianza, secondo altri, a seconda dei suoi bisogni.
Questa, se mai fosse possibile, sarebbe vita di castori, non di uomini.

La libertà, la dignità, la coscienza dell' individuo spariscono in un ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica può esservi soddisfatta: la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate, e con esse l'emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, che sono tutte ragioni che inducono a progredire. La famiglia umana è, in quel sistema, un armento al quale basta essere condotto ad una sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma siffatto?

L'eguaglianza è conquistata, dicono. Quale ? L'eguaglianza nella distribuzione del lavoro? E' impossibile. I lavori sono di natura diversa, non calcolabili sulla durata o sulla natura di lavoro compiuto in un'ora, ma sulla difficoltà, sulla minore o maggiore sgradevolezza del lavoro, per il dispendio di vitalità che trascina con sé, sull'utile conferito da esso alla società. Come calcolare l'eguaglianza di un'ora di lavoro passata in una miniera, o nel purificare l'acqua corrotta di una palude con un'ora passata in un filatoio? La impossibilità di siffatto calcolo è tale che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l’idea di far che ciascuno debba compiere un certo ammontare di lavoro in ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere l' ineguaglianza tra il debole ed il robusto, tra il capace e il lento, nell' intelletto, tra l'uomo di temperamento linfatico e l'uomo di temperamento nervoso. Il lavoro può essere facile e gradito all'uno è grave e difficile all'altro.

L'eguaglianza nel riparto dei prodotti ? È impossibile. O l'eguaglianza sarebbe assoluta e costituirebbe una immensa ingiustizia, non distinguendo tra i bisogni diversi, risultato dell'organismo, né tra le forze e le capacità acquistate per un senso di dovere e le forze e le capacità ricevute, senza merito alcuno, dalla natura. O la eguaglianza sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi; e non tenendo conto della produzione individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro.

Poi, chi sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d'ogni individuo? Lo Stato?

Operai, fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi padroni della proprietà comune, padroni dello spirito per mezzo di una educazione esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della determinazione dell'opera, delle capacità, dei bisogni? Non è questo il rinnovamento dell'antica schiavitù ? Non sarebbero quei capi trascinati dalla teoria d'interesse che rappresenterebbero, e sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, fondatori della dittatura ereditaria delle antiche caste ?

No; il Comunismo non conquista l'eguaglianza fra gli uomini del lavoro: non aumenta la produzione - che è la grande necessità dell'oggi - perché fatta sicura la vita, la natura umana, come s'incontra nei più, è soddisfatta, e l’incentivo a un accrescimento di produzione da diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo che non basta a scuotere la facoltà; non migliora i prodotti; non conforta al progresso nelle invenzioni, non sarà mai aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell'ordinamento. Ai mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha che un rimedio per proteggerli dalla fame. Ora non può farsi questo, non può assicurarsi il diritto alla vita ed al lavoro dell'operaio, senza sovvertire tutto quanto l'ordine sociale, senza isterilire la produzione, senza inceppare il progresso, senza cancellare la libertà dell' individuo, e incatenarlo in un ordinamento soldatesco, tirannico?

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Il rimedio alle vostre condizioni non può trovarsi in organizzazioni generali, arbitrarie, architettate di sana pianta da uno o altro intelletto, contraddicenti alle basi universali adottate nel vivere civile e impiantate immediatamente per via di decreti. Noi non siamo quaggiù per “creare” l'umanità, ma per “continuarla”: possiamo e dobbiamo modificarne, ordinarne meglio gli elementi costitutivi, non possiamo sopprimerli. L'umanità è e sarà sempre ribelle a disegni siffatti. Il tempo che voi spendereste intorno a quelle illusioni, sarebbe dunque tempo perduto.

Non può trovarsi in aumenti di salari “imposti” dall'autorità governativa, senz'altri cambiamenti che aumentino i capitali: l'aumento delle spese di salari, cioè l'aumento delle spese di produzione, trascinerebbe il rincaro dei prodotti, quindi la diminuzione del consumo e quella quindi del lavoro per gli operai.

Non può trovarsi in cosa alcuna che cancelli la “libertà”, consacrazione e stimolo del lavoro; né in cosa alcuna che diminuisca i capitali, strumenti del lavoro e della produzione.

Il rimedio alle vostre condizioni è “l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani”.
Quando la società non conoscerà distinzione fuorché di produttori e consumatori o meglio quando ogni uomo sarà produttore e consumatore - quando i frutti del lavoro, invece di ripartirsi tra quelle serie d' intermediari che, cominciando dal capitalista e scendendo sino al venditore al minuto, accresce sovente del cinquanta per cento il prezzo dei prodotto, rimarranno interi al lavoro - le cagioni permanenti di miseria spariranno per voi. Il vostro avvenire è nella vostra emancipazione dalle esigenze di un capitale arbitro oggi di una produzione alla quale rimane straniero.
Il vostro avvenire “materiale e morale”. Guardatevi intorno. Ovunque voi trovate il capitale e il lavoro riuniti nelle stesse mani - ovunque i frutti del lavoro sono, non fosse altro, ripartiti fra quanti lavorano, in ragione del loro aumento, in ragione dei loro benefizi dell'opera collettiva - voi trovate diminuzione di miseria e a un tempo aumento di moralità. Nel Cantone di Zurigo, nell' Engadina, in molte altre parti di Svizzera dove il contadino è proprietario, e terra, capitale, lavoro, sono congiunti in un solo individuo - in Norvegia, nelle Fiandre, nella Frisia Orientale, nell'Holstein, nel Palatinato Germano, nel Belgio, nell'Isola di Guernesey sulle coste inglesi - è visibile una prosperità comparativamente superiore a quella di tutte l'altre parti d'Europa dove manca al coltivatore la proprietà della terra. Una razza d'agricoltori popola quelle contrade note per onestà, dignità, indipendenza e modi schiettamente leali. Le abitudini dei lavoranti nelle miniere di Cornwall in Inghilterra come quelle dei navigatori Americani che trafficano conla China e sono addetti alla pesca delle balene, fra i quali è in vigore la partecipazione agli utili dell' impresa, sono riconosciute, da documenti ufficiali, migliori che non quelle dei lavoranti sottomessi unicamente alla legge del salario predeterminato.

“Il lavoro associato, il riparto dei frutti del lavoro, ossia del ricavato dalla vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione del lavoro compiuto e del valore di quel lavoro”: è questo il futuro sociale. In questo sta il segreto della vostra emancipazione. Foste “schiavi” un tempo: poi “servi”: poi “assalariati”: sarete fra non molto, purché lo vogliate, liberi produttori e fratelli nell'associazione.


Associazione libera, volontaria, ordinata su certe basi, da voi medesimi, tra uomini che si conoscono e si stimano l'un l'altro, non forzata, non imposta dall'autorità governativa, non ordinata senza riguardo ad affetti e vincoli individuali, tra uomini considerati non come esseri liberi e spontanei, ma come cifre e macchine produttrici.

Associazione amministrata con fratellanza repubblicana da vostri delegati e dalla quale potrete, volendo, ritirarvi, non soggiacente al dispotismo dello Stato e di una gerarchia costituita arbitrariamente e ignara dei vostri bisogni e delle vostre attitudini.

Associazione di “nuclei” formati a seconda delle vostre tendenze, non come vorrebbero gli autori dei sistemi che io vi accennai, di “tutti” gli uomini appartenenti a un dato ramo d'attività industriale o agricola.

Il concentramento di “tutti” gli individui addetti, nello Stato o anche in una sola città, ad un'arte in una sola società produttrice, ricondurrebbe l'antico tirannico monopolio delle Corporazioni, renderebbe i produttori arbitri dei prezzi a danno dei consumatori, darebbe forma legale all'oppressione delle minoranze; esilierebbe l'operaio malcontento da ogni possibilità di lavoro; e sopprimerebbe ogni necessità di progresso spegnendo ogni rivalità di lavoro, ogni stimolo alle invenzioni.

L'Associazione tentata timidamente e in circostanze sfavorevoli in Francia negli ultimi venti anni, poi in Inghilterra e nel Belgio, e coronata di successo dovunque fu tentata con fermo volere e spirito di sacrificio, contiene il segreto di tutta una trasformazione sociale che dovrebbe, in virtù delle vostre tradizioni e dell' iniziativa di progresso sociale che fu sempre in voi, compiersi in Italia. E questa trasformazione, emancipandovi dalla schiavitù del salario, ravviverebbe a un tempo, a pro di tutte le classi, la produzione e migliorerebbe lo stato economico del paese.

Oggi il capitalista tende generalmente a guadagnare quanto più può per ritrarsi dall'arena del lavoro; sotto l'ordinamento dell'associazione, voi non tendereste che ad accertare la continuità del lavoro, cioè della produzione. Oggi, il capo, direttore dei lavori, fatto tale non da una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito di capitali, è spesso improvvido, avventato, incapace; una associazione, diretta da delegati, non vigilata da tutti i suoi membri, non correrebbe rischi simili. Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione d'oggetti superflui, non necessari grazie l'ineguaglianza capricciosa e ingiusta delle retribuzioni, i lavoranti abbondano in un ramo di attività e fanno difetto in un altro; l'operaio, limitato a una mercede determinata, non ha motivo per consacrare all'opera sua tutto lo zelo del quale è capace, tutta l'attività con la quale si potrebbe moltiplicare o migliorare i prodotti. E l'associazione porrebbe evidentemente rimedio a queste e ad altre cagioni di perturbazione o d'inferiorità nella produzione.

Libertà di ritrarsi, senza nuocere all'associazione - eguaglianza dei soci nell'elezione di amministratori a tempo o meglio soggetti a revoca – ammissione, posteriormente alla fondazione, senza esigenza di capitale da versarsi e costituzione d'un prelevamento, a pro del fondo comune, sui benefizi dei primi tempi - -indivisibilità, perpetuità del capitale collettivo - retribuzione per tutti eguale alle necessità della vita - riparto degli utili a seconda della quantità e della qualità del lavoro di ciascuno - sono queste le basi generali che voi, se volete far opera di sacrificio e di avvenire per l'elemento al quale appartenete, dovrete dare alle vostre associazioni. (Quando Mazzini parla di associazioni, intende delle “Cooperative”. Nella storia dell’Italia unita, fino al fascismo, la cooperazione rappresentò uno dei fenomeni sociali più significativi, sia come fattore essenziale di aggregazione di produttori, di lavoratori e di masse di consumatori, sia come forza di partecipazione democratica, tanto più rilevante quanto più ristretta era la base del consenso allo stato monarchico, sia come strumento di mobilità socioeconomica, attraverso forme peculiari di impresa e, in generale, di intervento sul mercato. La coopoerazione fu dunque figlia della modernità, e si venne configurando come originale forma di reperimento collettivo di beni e servizi altrimenti conseguibili a un costo economico e sociale più elevato. Nda)

Ciascuna di queste basi, quella segnatamente che riguarda la perpetuità del capitale collettivo, vincolo e pegno d'emancipazione tra voi e la generazione futura, meriterebbe un capitolo. Ma un lavoro speciale sulle associazioni operaie non entra nell'economia del presente scritto. Forse, se Dio mi presta ancora qualche anno di vita, io lo farò separatamente e con amore per voi. Intanto, abbiate certezza che l'indicazione di quelle norme è in me frutto d'esame meditato e severo e merita attenta considerazione da voi.

Ma il capitale ? Il capitale primo con il quale potrà iniziarsi l'associazione ? Da dove ritirarlo ?

E’grave questione; né io posso qui trattarla come vorrei. Ma vi accennerò sommariamente il dovere vostro e l'altrui.

La prima sorgente di quel capitale sta in voi, nelle vostre economie, nel vostro spirito di sacrificio. Io so la condizione dei più tra voi; pur non manca a taluni la possibilità, per ventura di lavoro non interrotto o meglio retribuito, di raccogliere, economizzando, fra diciotto o venti, la piccola somma che vi basterebbe a iniziare il lavoro per vostro conto. E dovrebbe sostenervi in questa economia la coscienza di compiere un solenne dovere e di meritare l'emancipazione invocata. Potrei citarvi associazioni industriali, ora potenti di mezzi, che si iniziarono qui in Inghilterra con il versamento di un soldo per giorno da un certo numero d'operai. Potrei ripetervi parecchie storie di sacrifici eroicamente durati in Francia ed altrove da nuclei d'operai, oggi possessori di capitali considerevoli, simili a quella stilla quale troverete alcuni particolari in calce a questo volumetto. Non v'è quasi difficoltà che una volontà ferma mantenuta dalla coscienza di fare il bene, non superi. Voi potete contribuire coi vostri risparmi e dare al piccolo fondo primitivo un aiuto in danaro o un po' di materiale o un qualche strumento da lavoro. Potete, grazie a una condotta che frutti stima, raccogliere piccoli prestiti da parenti o compagni, i quali diventerebbero semplicemente azionisti nell'associazione e non riceverebbero l'ammontare del loro prestito che sugli utili dell'impresa. Per molte delle vostre industrie, nelle quali il prezzo delle materie prime è tenue, il capitale richiesto per iniziare il lavoro indipendente è piccola cosa. Lo avrete, volendo. E sarà meglio per voi se la formazione di quel piccolo capitale sarà tutta vostra, frutto del sudore della vostra fronte o del credito che avrete, operando bene, acquistato. Come le Nazioni serbano meglio la libertà che conquistarono con il loro sangue, le vostre associazioni troveranno migliore e più prudente profitto dal capitale raccolto nella veglia e nell'economia che non da quello elargito d'altra sorgente. È legge di cose. Le Associazioni Operaie che, in Parigi, nel 1848, ebbero, al loro fondarsi, sovvenzioni governative, prosperarono assai meno di quelle che formarono il capitale primitivo con il personale sacrificio.

Ma perché io, amandovi davvero e non adulando servilmente a debolezze che sono o possono sorgere in voi, vi consiglio il sacrificio, non scema il dovere in altrui. Gli uomini che le circostanze hanno fornito di ricchezze, dovrebbero intenderlo: dovrebbero intendere che la vostra emancipazione è parte d'un disegno di Provvidenza, e che si compirà inevitabilmente o con essi o contro essi. Parecchi tra quelli uomini, e segnatamente gli uomini di fede repubblicana, intendono questo fin d'ora; e fra essi, se darete loro prove di volontà e d'onesto intelletto, troverete aiuti all' impresa. Essi potranno - e lo faranno appena s'avvedranno che la tendenza all'associazione è, non capriccio d'un'ora, ma fede di maggioranza tra voi - spianarvi le vie del credito sia con anticipazioni, sia fondando Banchi che accreditino il lavoro futuro, la forza collettiva degli operai, sia ammettendovi a partecipazione nei benefizi delle loro imprese, stadio intermedio fra il presente e l'avvenire, dal quale raccogliereste probabilmente il piccolo capitale che occorre all'associazione indipendente. Nel Belgio più che altrove esistono già, sotto nome di Banchi d'anticipazione o di Banchi del popolo, istituzioni siffatte.(In Italia nasceranno le Banche Popolari, quella Cattoliche, i Monti, ecc- Nda.). Nella Scozia è dato da parecchi Banchi credito a ogni uomo di nota probità che impegni l'onore e presenti mallevadore un altro individuo d'onestà egualmente specchiata. E l'ammissione degli operai alla partecipazione negli utili è norma adottata con singolare successo da parecchi imprenditori.

CONCLUSIONE

Ma lo Stato, il Governo - istituzione legittima soltanto quando è fondata sopra una missione di educazione e di progresso oggi ancora fraintesa - ha debito solenne verso voi che potrà facilmente compiere se sarà un giorno Governo Nazionale davvero, Governo di Popolo libero ed Uno. Una vasta serie di aiuti potrà scendere allora dal Governo al Popolo che risolverebbe il problema sociale senza spogliazioni, senza violenze, senza manomettere la ricchezza acquistata anteriormente dai cittadini, senza suscitare quell'antagonismo tra classe e classe che è ingiusto, immorale, fatale alla Nazione e che ritarda oggi visibilmente il progresso.

E aiuti potenti sarebbero:
* L' influenza morale esercitata a pro delle associazioni con l' approvazione manifestata pubblicamente dagli agenti governativi, con la frequente discussione sul loro principio fondamentale nell'Assemblea, con la legalizzazione data a tutte le Associazioni volontarie costituite sulle basi accennate più sopra;
* Miglioramenti nelle vie di comunicazione e abolizione di quanto inceppa ora il trasporto dei prodotti;
* Istituzione di magazzini o luoghi di deposito pubblici, dai quali, accertato il valore approssimativo delle merci consegnate, si rilascerebbe alle Associazioni un documento o buono simile a un biglietto bancario, ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da render capace l'associazione di poter continuare nei suoi lavori e di non essere strozzata dalla necessità di una vendita immediata e a ogni patto;
* Concessione dei lavori che bisognano allo Stato, data eguaglianza di patti, alle Associazioni;
* Semplificazione delle forme giudiziarie, oggi rovinose e spesso inaccessibili al povero;
* Facilità legislative date alla mobilizzazione della proprietà fondiaria;
* Mutamento radicale nel sistema dei tributi pubblici;
* Sostituzione di un solo tributo sul reddito all'attuale, complesso, dispendioso sistema di tributi diretti e indiretti; e sanzione data al principio che la vita è sacra - che, senza vita, non essendo possibile lavoro né progresso né compimento di doveri, il tributo non può cominciare che dove il reddito supera la cifra di danaro necessaria alla vita.

Ma vi è di più. L' incameramento o appropriazione dei possedimenti ecclesiastici - atto che ora non giova discutere ma che è inevitabile ogni qualvolta la Nazione si assuma una missione d'educazione e di progresso collettivo - porrà nelle mani dello Stato una somma di ricchezza più vasta che altri non pensa.

Or ponete che a questa s'aggiunga il valore rappresentato dalle terre, dissodabili e fertilissime, tuttavia incolte - il valore rappresentato dagli utili delle vie ferrate e d'altre pubbliche imprese la cui amministrazione dovrà concentrarsi nello Stato - il valore rappresentato dalle proprietà territoriali appartenenti ai Comuni (Quelle proprietà appartengono legalmente ai Comuni, moralmente ai bisognosi del Comune. Non si tratta di rapirle ai Comuni, ma di consacrarle ai poveri d'ogni Comune, facendo d'esse sotto l'alta direzione dei Consigli elettivi Comunali, il capitale inalienabile delle Associazioni agricole).- il valore rappresentato dalle successioni collaterali che al di là del quarto grado dovrebbero ricader nello Stato - ed altri, che è inutile enumerare. Ponete che di tutto questo immenso cumulo di ricchezza si formi un FONDO NAZIONALE, consacrato al progresso intellettuale ed economico di tutto quanto il paese. Perché una parte considerevole di quel fondo non si trasformerebbe, colle precauzioni richieste a impedirne lo sperpero, in un fondo di credito da distribuirsi, con un interesse dell' uno e mezzo o del due per cento, alle associazioni volontarie operaie, costituite sulle norme indicate più sopra e che porgerebbero sicurezza di moralità e di capacità Quel capitale dovrebbe esser sacro al lavoro dell'avvenire e non di una sola generazione. Ma la vasta scala delle operazioni assicurerebbe compenso alle perdite di tempo in tempo inevitabili.

La distribuzione di quel credito dovrebbe farsi, non dal Governo né da un Banco Nazionale Centrale; ma, invigilante il Potere Nazionale, da Banchi locali amministrati da Consigli Comunali elettivi.
Senza sottrarre alla ricchezza attuale delle varie classi, senza attribuire a una sola il ricavato dei tributi che, chiesti a tutti i cittadini, deve erogarsi a benefizio di tutti, l' insieme degli atti qui suggeriti, diffondendo il credito per ogni dove, accrescendo e migliorando la produzione, costringendo l'interesse del danaro a scemare gradatamente, affidando il progresso e la continuità del lavoro allo zelo e all'utilità di tutti i produttori, sostituirebbe a una cifra di ricchezza, concentrata in poche mani e imperfettamente diretta, la nazione ricca, maneggiatrice della propria produzione e del proprio consumo.

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Ed è questo, Operai Italiani, il vostro avvenire. Voi potete affrettarlo. Conquistate la Patria. Conquistatele un Governo popolare che ne rappresenti la vita collettiva, la missione, il concetto. Ordinatevi tra voi in una vasta universale Lega di Popolo, tanto che la vostra voce sia voce di milioni e non di pochi individui. Avete il Vero e la Giustizia per voi; la Nazione v'ascolterà.
Ma badate, e credete alla parola d'un uomo che studia da trenta anni l'andamento delle cose in Europa e ha veduto fallire a buon porto, per immoralità di uomini, le più sante ed utili imprese. Non riuscirete se non migliorando. Non conquisterete l'esercizio del vostro diritto se non meritandolo, con il sacrificio, con l'attività, con l'amore. Cercando in nome d'un dovere compiuto o da compiersi, otterrete: cercando in nome dell'egoismo, in nome di non so quale diritto al benessere che gli uomini del materialismo v' insegnano, non otterrete se non trionfi d'un'ora seguiti da delusioni tremende. Quei che vi parlano in nome del benessere della felicità materiale, vi tradiranno. Cercano essi pure il loro benessere: s'affratelleranno con voi, come con un elemento di forza, finché avranno ostacoli da superare per conquistarlo; appena, mercé vostra, l'avranno, vi abbandoneranno per godere tranquillamente della loro conquista. È la storia dell'ultimo secolo.

E il nome di questo mezzo secolo è materialismo.

Storia di dolore e di sangue. Io li ho veduti gli uomini che negavano Dio, religione, virtù di dovere e di sacrificio, e parlavano in nome del diritto alla felicità, al godimento, lottare audaci, con le parole di popolo e libertà sulle labbra, e frammischiarsi a noi uomini della nuova fede, che imprudenti li accoglievamo nelle nostre file. Quando si aprì ad essi, con una vittoria o con una transazione codarda, la via di godere, disertarono e ci furono nemici acerbi il dì dopo. Pochi anni di pericoli, di persecuzioni durate erano stati sufficienti a stancarli. Perché, senza coscienza di una Legge di dovere, senza fede in una missione imposta all'uomo da un Potere supremo su tutti, avrebbero essi persistito nel sacrificio sino all'ultimo della vita? E vidi, con più profondo dolore, i figli del popolo educati da quegli uomini, da quei filosofi, al materialismo, tradire la loro missione, tradire l'avvenire, tradire la loro Patria e se stessi, dietro alla stolta immorale speranza che troverebbero forse il benessere materiale nei capricci e negli interessi della tirannide.
Vidi gli operai di Francia rimanere spettatori indifferenti del 2 dicembre, perché tutte le questioni s'erano ridotte per essi a una questione di prosperità materiale e s'illudevano a credere che le promesse sparse ad arte fra loro, da chi aveva spento la libertà della patria, avrebbero forse potuto diventar fatti. Oggi lamentano perduta la libertà senza aver conquistato il benessere. No; senza Dio, senza coscienza di legge, senza moralità, senza potenza di sacrificio, perduti dietro a uomini che non hanno né fede, né culto del vero, né vita d'apostoli, né cosa alcuna fuorché la vanità dei loro sistemi, io lo dico con profondo convincimento, non riuscirete. Avrete sommosse, non la vera, la grande Rivoluzione che voi ed io invochiamo. Quella Rivoluzione, se non è una illusione d'egoisti spronati dalla vendetta, è un'opera religiosa.

Migliorate voi stessi ed altrui: è questo il primo intento ed è la suprema speranza di ogni riforma, di ogni mutamento sociale. Non si cambiano le sorti dell'uomo, rintonacando, abbellendo la casa ov'egli abita; dove non respira un'anima d'uomo ma un corpo di schiavo, tutte le riforme sono inutili; la casa riabbellita, addobbata con lusso è sepolcro imbiancato, e non altro. Voi non indurrete mai la Società alla quale appartenete a sostituire il sistema d'associazione a quello del salario, se non provandole che l'associazione sarà tra voi strumento di produzione migliorata e di prosperità collettiva. E non proverete questo, se non mostrandovi capaci di fondare e mantenere l'associazione con l'onestà di sacrificio, con l'affetto al lavoro. Per progredire, vi conviene mostrarvi capaci di progredire.

Tre cose sono sacre : la Tradizione, il Progresso, l'Associazione. « Io credo » - scrissi queste cose venti anni addietro - « nella immensa voce di Dio che i secoli mi rimandano attraverso la tradizione universale dell' Umanità; ed essa mi dice che la Famiglia, la Nazione, l’Umanità sono le tre sfere dentro le quali l'individuo umano deve lavorare al fine comune, al perfezionamento morale di se stesso e d'altrui, o meglio di se stesso attraverso gli altri e per gli altri: essa mi dice che la proprietà è destinata a manifestare l'attività materiale dell'individuo, la parte ch'egli ha nella trasformazione del mondo fisico, come il diritto di voto deve manifestare la parte ch'egli ha nell'amministrazione del mondo politico; essa mi dice che appunto dall'uso più o meno buono di questi diritti, in quelle sfere d'attività, dipende davanti a Dio e agli uomini il merito o demerito degli individui; essa mi dice che tutte queste cose, elementi della natura umana, si trasformarono, si modificarono continuamente ravvicinandosi all'ideale del quale abbiamo nell'anima il presentimento, ma non possono essere distrutte mai; e che i sogni di comunismo, d'abolizione, di confusione dell' individuo nell' insieme sociale, non furono mai che passeggeri accidenti nella vita del genere umano, visibili in ogni grande crisi intellettuale e morale, ma incapaci di realtà se non sopra una scala minima come i Conventi Cristiani. Credo nell' eterno progresso della vita nella creatura di Dio, nel progresso del Pensiero e dell'Azione, non solamente nell'uomo del passato ma nell'uomo dell'avvenire; credo che importi non tanto di determinare la forma del progresso futuro quanto di aprire, con una educazione veramente religiosa, le vie d'ogni progresso agli uomini e di renderli capaci di compierlo; e credo che non si fa l'uomo migliore, più autorevole, più nobile, più divino - ciò che è il nostro fine sulla terra - colmandolo di godimenti felici, proponendogli a scopo della vita quella ironia che ha nome “felicità”. Credo nell'Associazione come nel solo mezzo che noi possediamo di compiere il Progresso, non solamente perché essa moltiplica l'azione delle forze produttrici, ma perché essa ravvicina tutte le diverse manifestazioni dell'anima umana e fa sì che la vita dell'individuo abbia comunione con la vita collettiva; e so che l'associazione non può essere feconda se non esistendo fra individui liberi, fra nazioni libere, capaci di coscienza della loro missione. Credo che l'uomo deve mangiare e vivere e non avere tutte le ore dell'esistenza assorbite da un lavoro materiale per aver campo di sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma tendo l'orecchio con terrore alle voci che dicono agli uomini “nutrirsi è lo scopo vostro: godere è il vostro diritto”, perché io so che quella parola non può creare se non egoisti, e fu in Francia, ed altrove, e comincia ad essere purtroppo in Italia, la condanna d'ogni nobile idea, d'ogni martirio, d'ogni pegno di futura grandezza. «Ciò che toglie in oggi vita all' Umanità è il difetto d'una fede comune, di un pensiero adottato da tutti che ricongiunga Terra e Cielo, Universo e Dio. Privo di fede siffatta, l'uomo si è prostrato davanti alla morta materia, e si è conservato adoratore dell' idolo “Interesse”. E i primi sacerdoti di quel culto fatale furono i re, i principi e i tristi Governi dell'oggi. Essi inventarono l'orribile formula: “ciascuno per sé”: sapevano che con essa, creerebbero l'egoismo: e sapevano che tra l'egoista e lo schiavo non c’è che un passo».

Operai italiani, fratelli miei, evitate quel passo. Nell'evitarlo, sta il vostro avvenire.

A voi spetta una solenne missione, provare che siamo noi tutti figli di Dio e fratelli in Lui. Voi non la compirete se non migliorandovi e soddisfacendo al Dovere.

Io vi ho additato, come meglio ho potuto, quale sia il Dovere per voi. E il principale, il più essenziale fra tutti, quello che avete verso la Patria. Costituirla è debito vostro ; ed è pure necessità. Gl'incoraggiamenti, i mezzi dei quali vi ho parlato, non possono venire che dalla Patria Una e Libera. Il miglioramento delle vostre condizioni sociali non può scendere che dal vostro partecipare nella vita politica della Nazione. Senza voto, non avrete mai rappresentanti veri delle vostre aspirazioni, dei vostri bisogni. Senza un Governo popolare che da Roma scriva e svolga il PATTO ITALIANO, fondato sul “consenso” e rivolto al “progresso di tutti” i cittadini dello Stato, non è per voi speranza di meglio.

Quel giorno in cui, seguendo l'esempio dei socialisti francesi, voi separereste la questione “sociale” dalla “politica” e direste: “noi possiamo emanciparci, qualunque sia la forma d' Istituzioni che regge la Patria”; segnereste voi stessi la perpetuità del vostro servaggio.

E vi additerò, nell'accomiatarmi da voi, un altro Dovere, non meno solenne di quello che ci stringe a fondare la Patria Libera ed Una.
La vostra emancipazione non può fondarsi che sul trionfo d'un Principio, l'unità della Famiglia Umana. Oggi, la metà della famiglia umana, la metà dalla quale noi cerchiamo ispirazione e conforti, la metà che ha in cura la prima educazione dei nostri figli, è, per singolare contraddizione, dichiarata civilmente, politicamente, socialmente ineguale, esclusa da quell'Unità.

A voi che cercate, in nome d'una verità religiosa, la vostra emancipazione, spetta di protestare in ogni modo, in ogni occasione, contro quella negazione dell'Unità.

L' emancipazione della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata per voi con l’emancipazione dell'operaio e darà al vostro lavoro la consacrazione di una verità universale.

Addio. Abbiatemi ora e sempre vostro fratello
GIUSEPPE MAZZINI Aprile 23. 1860.


(Nota: Il libro uscì a Lugano nel luglio 1860, ma forse per non avere lo stampatore delle seccature,
era indicato che era stato stampato a Londra)

FINE

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