LA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI BOLLETTINI UFFICIALI

1915


SPEDIZIONE IN ALBANIA - FATTI D'ARME - OCCUPAZIONE

I PATTEGGIAMENTI DELLA BULGARIA - L'ULTIMATUM DELLA RUSSIA A SOFIA - LE POTENZE DELLA QUADRUPLICE DICHIARANO GUERRA ALLA BULGARIA - L'INVASIONE DELLA SERBIA - LA DISASTROSA RITIRATA DELL'ESERCITO SERBO - IL MONTENEGRO INVASO - LA PROTESTA DEL RE NICOLA -L'OPERA DEI SOLDATI ITALIANI IN ALBANIA NEL 1915 - IL CORPO SPECIALE ITALIANO IN ALBANIA - DURAZZO PRESIDIATA DALLE TRUPPE ITALIANE - L'ESERCITO E LA MARINA D'ITALIA, NEL SALVATAGGIO DELL'ESERCITO SERBO - L' INFELICE INCURSIONE NAVALE AUSTRIACA A DURAZZO DEL 29 DICEMBRE 1915 - IL FATTO DARMI DI DURAZZO - GLI ITALIANI SGOMBRANO DURAZZO - LA COSTITUZIONE DEL XVI CORPO D'ARMATA SOTTO IL GENERALE PIACENTINI - OCCUPAZIONE ITALIANA DELL'ALBANIA MERIDIONALE
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I PATTEGGIAMENTI DELLA BULGARIA
L'ULTIMATUM DELLA RUSSIA A SOFIA
LA QUADRUPLICE DICHIARA GUERRA ALLA BULGARIA

Per capire i successivi avvenimenti (sullo scenario di guerra del 1916), dobbiamo ritornare indietro di qualche mese del 1915.

La dichiarazione di guerra dell'Italia alla Turchia, avvenuta nell'agosto del '15, era stata salutata con soddisfazione dagli Alleati, non perché questi da una seconda guerra italo-turca si ripromettessero vantaggi nello scacchiere orientale, ma perché -finalmente dopo tutti quei mesi di neutralità e il conflitto ("casalingo") iniziato a maggio contro l'Austria- rappresentava un primo passo dell'Italia verso la completa solidarietà con le Potenze dell'Intesa e anche perché -la questione Turca di riflesso- poteva influire sull'atteggiamento della Bulgaria, della Romania e della Grecia.

Ma l'atteggiamento della Romania si manteneva molto incerto dopo il rovescio russo della primavera del 1915, e il concentramento di 200.000 Austriaci nel distretto di Brasso; e ancor più incerto era quello della Grecia, dove, se il presidente dei ministri VENIZELOS faceva una politica intesofila, re COSTANTINO era invece tutto per gli Imperi centrali; mentre la popolazione non voleva avventure di guerra e, tutt'al più, tollerava l'azione facile e poco costosa di inviare qualche banda nell'Albania meridionale.

Quanto alla Bulgaria, un patto segreto d'alleanza con la Germania era stato firmato il 7 luglio, col quale quella s'impegnava a fare la guerra alla Serbia. Ma questo patto non impediva allo zar dei Bulgari, FERDINANDO, di trattare con gli Imperi centrali e con le potenze dell'Intesa.
Egli voleva vendere al migliore offerente la sua alleanza, conscio com'era dell'importanza dell'intervento della Bulgaria, la quale, se si fosse schierata dalla parte dell'Intesa, avrebbe isolato Costantinopoli, consentito ai Russi di porgere aiuto ai Franco-Inglesi di Gallipoli, trascinato con sé la Romania e minacciato seriamente l'Austria; se invece si fosse unita agli Imperi Centrali avrebbe causato la rovina della Serbia e del Montenegro, fatto fallire l'impresa franco-inglese di Gallipoli e facilitato e assicurato a loro le comunicazioni con l'Oriente.
Agli Imperi centrali FERDINANDO chiedeva ampi compensi territoriali nella penisola balcanica ed otteneva che, appena sceso in campo, avrebbe avuto quella parte della Macedonia che era rimasta alla Turchia.
Alle potenze dell'Intesa Ferdinando chiedeva quella parte della Macedonia che aveva acquistato nella prima guerra balcanica e di cui era stato spogliato nella seconda; chiedeva inoltre che, a guerra finita, alla Serbia non si concedesse la Bosnia-Erzegovina.

Lo schieramento della Bulgaria a fianco dell'Intesa dipendeva dunque dalla Serbia. Russia, Inghilterra e Italia fecero tutto quel che potevano per indurre il Governo Serbo a sacrificare la Macedonia e ad accettare le altre richieste bulgare; la Francia invece consigliò la Serbia a prevenire i Bulgari marciando su Sofia e seppe fare accettare alla Russia e all'Inghilterra il suo punto di vista che era quello di far decidere la Bulgaria, per mezzo di minacce, a schierarsi con l'Intesa.
Una guerra della Bulgaria alla Serbia avrebbe dovuto provocare l'intervento della Grecia, impegnata da un trattato del 1913 a marciare a fianco dei Serbi contro i Bulgari. Secondo questo trattato, i Serbi avrebbero dovuto intervenire con un contingente di 150.000 uomini, ma poiché, nelle condizioni in cui si trovava, la Serbia non poteva mettere in campo tali forze, re COSTANTINO si rifiutava, di fare onore al trattato e concentrava il suo esercito sulla bassa Struma e nell'Epiro.

Allora Francia e Inghilterra s'impegnarono di sbarcare a Salonicco e a Cavala quel contingente che i greci non potevano fornire ai Serbi e, facendo seguire subito i fatti alle parole, sbarcarono nella prima settimana d'ottobre a Salonicco due divisioni tratte dal Corpo di spedizione dei Dardanelli.
Continuavano intanto le pressioni delle potenze dell'Intesa a Sofia. Il 4 ottobre il ministro russo inviò un "ultimatum" alla Bulgaria intimando di schierarsi, entro ventiquattro ore, contro i nemici della causa slava. Il Governo bulgaro rispose reclamando dal Governo di Belgrado la Macedonia e poiché i Serbi sconfinarono con propositi aggressivi, l'esercito bulgaro senza più indugi entrò in campagna contro la Serbia.

L'INVASIONE DELLA SERBIA
LA DISASTROSA RITIRATA DELL'ESERCITO SERBO
IL MONTENEGRO INVASO - LA PROTESTA DEL RE NICOLA

Oramai la sorte della Serbia era segnata. Il 9 ottobre un forte esercito composto di divisioni germaniche ed austriache comandato dal generale tedesco MAKENSEN entrava vittorioso a Belgrado, quindi si spingeva verso sud-est per dare un aiuto ai nuovi alleati Bulgari che marciavano su Vranja e Uskub.
Il 12 il comando dell'esercito franco-inglese di Salonicco era assunto dal generale SARRAIL, il quale però non era in condizioni di accorrere in soccorso dell'esercito serbo e si limitava a mandar verso nord parte delle truppe tentando una diversione verso la frontiera greco-bulgara per assicurarsi il possesso della ferrovia Salonicco-Sofia e coprire il fianco sinistro dell'esercito serbo.
Il 15 ottobre l'Inghilterra dichiarava guerra alla Bulgaria; il 16 la Francia; il 19 l'Italia.

Nella penisola balcanica a fine mese gli avvenimenti precipitavano. Il 26 ottobre Uskub cadeva nelle mani degli Austro-Tedeschi i quali il 30 s'impadronivano della stretta di Kalscenik che dava accesso alla piana di Kossovo, minacciando l'esercito serbo d'accerchiamento. Invano, sul finire d'ottobre, la flotta russa bombardava alcuni punti della costa bulgara del Mar Nero: invano i serbi tentavano di aprirsi il passo verso Monastir ed appoggiarsi e congiungersi ai Franco-Inglesi di Salonicco. Pochi reparti riuscivano a raggiungere questa città; il resto dei serbi, premuto a nord dagli Austro-Tedeschi e ad est dai Bulgari, per non cader prigioniero dovette sbandarsi, addentrarsi e rifugiarsi nel più ostile terreno -quello montagnoso- dell'Albania.

Nella seconda metà di novembre (con il freddo che iniziava a farsi sentire) l'esercito serbo era in piena dissoluzione. Preceduti da 30.000 prigionieri austriaci catturati nella vittoria riportata contro il generale POTIEREK e da 120.000 reclute d'età non superiore ai sedici anni, che il Governo voleva sottrarre agli invasori, circa 150.000 soldati serbi assiderati, affamati, tormentati dalle malattie, dalla stanchezza e dalle bande albanesi ostili, marciavano per vie diverse alla volta dell'Adriatico, trascinandosi dietro convogli e bestiame, in coda una folla di fuggiaschi e seminando al loro passaggio il terreno di cadaveri.
Disfatta la Serbia, i Tedeschi arrestarono le loro operazioni nella penisola balcanica; gli Austriaci invece la continuarono rivolgendosi, prima contro il Montenegro poi contro l'Albania.

Chiave di volta del Montenegro era il monte Loveen, che domina Cattaro, difeso dal principe PIETRO, noto per i suoi sentimenti favorevoli all'Austria. Questi, dopo breve difesa, l'11 gennaio del 1916 cedette al nemico quell'importante posizione. Il 13 gli Austriaci entrarono a Cettigne.
Re NICOLA, da Podgoritza dove si era rifugiato con il Governo, chiese all'Austria un armistizio, persuadendo i diplomatici dell'Intesa che non vi era altro mezzo per salvare il Paese dallo sterminio: dare tempo ai Serbi di abbandonare la penisola e riunire l'esercito montenegrino; ma il 16, giudicando di non poter tentare la riscossa con gli armati raccolti intorno a Podgoritza, chiesto il consiglio dei suoi ministri, partì pure lui con il presidente MUSCOVICH per l'Albania.
Il giorno dopo i ministri consegnarono a discrezione al nemico il Montenegro, forse obbedendo ad ordini segreti del re, o forse disperando di potere resistere. Gli Austriaci si atteggiarono a protettori del Montenegro e della dinastia dei PETROVICK, contro le ambizioni serbe; rispettarono le case reali, permisero che s'inalberasse la bandiera nazionale e mandarono a Vienna, perché vi si curasse, il principe MIRKO, che, ammalato, era rimasto a Cettigne e al quale, essendo poi stato vinto dal male, resero solenni onoranze funebri.

Re NICOLA, imbarcatosi a San Giovanni di Medua, giunse a Brindisi il 29 gennaio del 1916, ricevuto dal genero VITTORIO EMANUELE III.
Dopo essersi recato a Roma a fare visita alla figlia REGINA ELENA, partì per la Francia e fissò la sua sede a Lione. Saputa la resa del Montenegro, egli protestò; dichiarando che era avvenuta a sua insaputa e contro la sua volontà, ma la sua protesta, non commosse (esclusa l'Italia, per ovvi motivi) le potenze dell'Intesa e specialmente la Francia, che forse fin d'allora, giudicando ambiguo il contegno di re Nicola, decise di premiare la fedeltà della Serbia col permetterle di annettersi, a guerra finita e vittoriosa, il Montenegro.

 

L'OPERA DEI SOLDATI ITALIANI IN ALBANTA NEL 1915
IL CORPO SPECIALE ITALIANO IN ALBANIA
DURAZZO PRESIDIATA DAGLI ITALIANI
ESERCITO E MARINA D' IT ALLA NEL SALVATAGGIO DEI SERBI

 

Agli avvenimenti serbi, sopra accennati, è strettamente legata l'azione italiana in Albania. Fin dal 30 ottobre del 1914, come altrove si è detto, l'Italia aveva inviato una missione sanitaria; negli ultimi giorni di dicembre dello stesso anno, a proteggere la missione medesima, minacciata dalle bande greche avanzanti dall'Albania meridionale verso la Vojussa, col consenso dell'Intesa e senza protesta degli Imperi centrali, l'Italia aveva occupato con un reparto di marina l'isola di Saseno e con un corpo di truppe, costituito dal 10° bersaglieri e da una batteria da montagna al comando del colonnello MOSCA la città, di Valona.
Durante i primi mesi del 1915 (la guerra all'Austria non era stata ancora dichiarata) il comando del corpo d'operazione italiano in Albania s'impegnò in una grandissima attività nel migliorare le condizioni igieniche della città e dei dintorni, nell'aumentare la potenzialità del porto, nel gettare le basi del campo trincerato di Valona, che più tardi doveva raggiungere un altissimo grado di capacità difensiva. Tutto questo nel tentativo di pacificare le tribù albanesi e risvegliare in loro, la coscienza nazionale.

Nell'azione politica l'Italia incontro molte difficoltà, dovendo lottare contro la propaganda degli emissari greci, contro l'opera del console austriaco e contro la subdola condotta di Essad Pascià. Queste difficoltà aumentarono a dismisura dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Turchia in agosto, e dopo i primi disastri dell'esercito serbo, perché gli Albanesi, cristiani e musulmani, che inizialmente avevano guardato all'Italia con simpatia si schierarono poi dalla parte degli Austriaci, dei Tedeschi e dei Bulgari, forse convinti del successo finale.

A fronteggiare una situazione divenuta così minacciosa, a difendere cioè Valona e il suo hinterland assegnato all'Italia dal trattato di Londra, ad impedire che lo Stato indipendente albanese costituito dall'Intesa con a capo Essai-Pascià divenisse preda di altri Stati e a sostenere Serbi e Montenegrini proteggendo nello stesso tempo la costa e i porti, non era sufficiente l'esiguo corpo d'occupazione; si rese quindi necessario l'invio di nuove forze.

Nel novembre del 1915, nonostante il generale Cadorna (*) fosse contrario all'invio di truppe italiane in territorio albanese, non gli furono sottratte reparti militari, ma fu ex novo costituito un "Corpo speciale italiano" destinato ad operare in Albania, dipendente però non dal Capo di Stato Maggiore, ma esclusivamente dal Ministero della Guerra ZUPELLI. Il comando del corpo, con decreto luogotenenziale del 1° dicembre fu affidato al generale E. BERTOTTI, che ebbe sotto di sé, oltre le truppe già esistenti a Valona, la brigata "Savona" (con il 115°, mentre il 116° raggiunse l'Albania il 15 gennaio 1916), la brigata "Verona", i reggimenti 47° e 48° di milizia territoriale, uno squadrone di cavalleria, tre batterie da montagna someggiate da 70, due batterie Skoda, due batterie da posizione da 87, reparti del genio e servizi vari, in tutto circa 50 mila uomini.

(*) NOTA: dopo gli insuccessi al presidio di Durazzo (che narriamo più avanti) CADORNA prese lo spunto per chiedere a Salandra le dimissioni di ZUPELLI, minacciando le proprie dimissioni; che rientrarono, anche se Salandra solo in un secondo momento effettuerà la sostituzione di Zupelli, e affiderà pure le truppe in Albania a Cadorna.
In effetti al Governo erano già sorti forti contrasti sulla conduzione (tutta personale, non volendo alcuna interferenza politica) della guerra del Cadorna; e già si pensava ad una sostituzione ai primi di gennaio del 1916 dopo le fallimentari 4 battaglie sull'Isonzo. Salandra si disse contrario, poichè il Paese era impreparato ad affrontare una crisi negli alti comandi militari. A criticare l'operato del Cadorna era stato proprio ZUPELLI, sottolineando l'eccessiva dispersione delle forze sul fronte con una impostazione data dal Cadorna esclusivamente difensiva e non offensiva. Questi contrasti aumentarono, fino a quando, più tardi (dopo Caporetto) a prendersi la rivincita fu poi Zupelli a chiedere e a ottenere l'esonero di Cadorna).

Il primo convoglio partì da Taranto nel pomeriggio del 2 dicembre, la navigazione notturna prosegì senza incidenti; ma, entrando nella rada di Valona, il piroscafo "Umberto I", che aveva a bordo più di 2 mila soldati, fu silurato da un sottomarino e affondò con due terzi quasi degli uomini che erano a bordo. Anche il cacciatorpediniere "Intrepido" colò a picco.
Il Corpo speciale doveva assicurarsi di Valona e di Durazzo, sgombrare i prigionieri austriaci, proteggere l'esercito serbo dalle ostilità albanesi e dagli attacchi austriaci e rifornirlo di vettovaglie, munizioni e materiale. A Durazzo doveva essere inviata una brigata, la "Savona", per la via del mare, ma per le difficoltà prospettate dalla marina questa via fu scartata e il 3 dicembre il generale DOMENICO GUERRINI con il 15° fanteria e due batteria da montagna, preceduto da alcune bande albanesi al soldo italiano, si mise in viaggio per Durazzo, dove giunse il 9 dopo un'avanzata difficile e faticosa attraverso terreni palustri. L'altro reggimento, il 16°, raggiunse quella città tra il gennaio e il febbraio con il generale FERRERO, il quale sostituì il Guerrini nei comando della piazza.

"Si avvicinavano intanto i miseri resti dell'esercito serbo sconfitto. Precedevano i prigionieri austriaci. Di 50 mila, quanti erano partiti dalla Serbia, 20 mila circa erano periti nel terribile viaggio e le condizioni di deperimento di quegli sventurati - scrive il generale BERTOTTI - avevano suscitato lo sdegno degli Albanesi ed anche delle missioni alleate per cui il generale inglese TAYLOR, capo di quella britannica, era dovuto intervenire per far cessare un trattamento contrario ai sentimenti di umanità. Essad Pascià temeva che l'indignazione degli Albanesi potesse indurli a favorire un colpo di mano inteso a liberare i prigionieri, di conseguenza anche lui ne sollecitava lo sgombro.

"Impartiti gli ordini per il loro trasloco a Valona e concordato con la Marina il loro imbarco, giunsero in uno stato compassionevole; una gran parte malati di tifo e di colera, e molti di loro morirono durante il trasferimento; si dovettero prendere energiche misure igieniche e dare ordini severissimi per salvaguardare l'incolumità sanitaria delle truppe italiane e, con molti stenti, si riuscì a frenare alcuni impulsi di soldati generosi che dimenticando se stessi, avvicinavano gli infelici e i morenti lungo il percorso per dare a loro aiuto e conforto. Spettacolo orrendo! Con l'intestino reso inattivo dai lunghi digiuni, molti alimenti, all'infuori del brodo e del latte, invece di risollevarli diventavano micidiali e letali, cosicchè il numero dei morti aumentò spaventosamente.

"Si vedevano i soldati meno affranti, muniti di un bastone, al quale si aggrappavano quattro-cinque disperati che si facevano trascinare, poi il grappolo umano si andava assottigliando fra la generale indifferenza, fino a che, liberatosi dal faticoso traino, solo più quello, il più forte procedeva nella marcia.
"Quasi tutti i prigionieri austriaci furono avviati su Valona e fu merito degli italiani se di questi furono salvati 22 mila soldati e 800 ufficiali, molti dei quali però perirono di colera mentre su navi italiane erano trasportati all'Asinara.

"Dopo i prigionieri vennero la volta delle giovanissime reclute serbe, quasi ragazzini, guidati dal colonnello RISTIC, ridotte in condizioni non meno pietose degli Austriaci. Il loro sgombro, a causa delle condizioni di salute di quei giovani, fu ritardato e poi effettuato su navi italiane.
Finalmente giunse l'esercito serbo: circa 100 mila uomini, con alla testa il vecchio re PIETRO, trasportato sopra un carro di buoi, diretti a Tirana e Elbasan; e 50 mila circa con alla testa il principe ALESSANDRO diretti a Scutari e Alessio. Re Pietro da Tirana si recò a Durazzo e a bordo di un cacciatorpediniere italiano giunse a Valona.
"I soldati - prosegue il Bertotti - erano stanchi; quasi tutti privi di scarpe sostituite con brandelli di stracci, con gli indumenti laceri, coperti di insetti, affetti da malattie, si trascinavano a stento. Con le truppe viaggiavano famiglie borghesi e quelle degli ufficiali, in un disordine indescrivibile e durante il percorso, com'era già avvenuto per la Divisione delle reclute, i soldati ai locali cedevano le armi per un pollo o per un tacchino e gli ufficiali vendevano cavalli e bardature, sordi alle raccomandazioni e alle intimazioni dei Comandi italiani e alle rimostranze dei reparti di cavalleria e di carabinieri dislocati lungo la via per impedire disordini e saccheggi e mantenere la disciplina nelle popolazioni".

"Il 5 gennaio tra Alessio e San Giovanni di Medua erano concentrati 60 mila uomini con 10 mila quadrupedi; fra Tirana e Durazzo 80 mila uomini e 26 mila quadrupedi.
Prima si era pensato di riordinare l'esercito serbo sulle rive del Semeni e della Vojussa, dove il comando italiano aveva costituito depositi di vettovaglie e d'indumenti; ma le condizioni disastrose dei Serbi, l'anarchia che regnava tra loro, la minaccia degli Austriaci padroni del Montenegro, la comparsa di colonne bulgare sull'alto Bevoli e ad est di Elbasan e l'odio degli Albanesi consigliarono di trasportare i Serbi fuori dell'Albania scegliendosi come punto di concentramento prima, Biserta, poi Curfù.

"Il trasporto da San Giovanni di Medua, da Durazzo e da Valona si affettuò dal dicembre al marzo e costituì un'impresa dura, nella quale, nonostante le asserzioni di altri, l'Italia ebbe la parte principale, come l'ebbe anche nel. rifornimento dei Serbi. In circa due mesi furono trasportati all'altra sponda 28.000 tonnellate di viveri e materiali che richiesero 102 traversate di piroscafi e velieri italiani e 46 di piroscafi alleati o di bandiera neutrale.
"Quanto al trasporto delle truppe serbe, nel periodo che va dal 22 novembre al 4 marzo la marina italiana eseguì 2 crociere con navi di linea, 34 con incrociatori, 72 con esploratori, 270 crociere e scorte con le torpediniere e 141 agguati con sommergibili; i cacciatorpediniere francesi aggregati alle forze navali italiane eseguirono nello stesso periodo 164 crociere e scorte e i sommergibili 172 agguati. Gli esploratori inglesi aggregati alla nostra flotta 77 crociere e i sottomarini britannici 158 agguati. La marina italiana contribuì al trasporto dei Serbi con 45 piroscafi della stazza complessiva di 130 mila tonnellate; la marina francese con 26 piroscafi della stazza complessiva di 43 mila tonnellate; la marina britannica, con 71 piroscafi della stazza di 50 mila tonnellate. Inoltre, la difesa delle teste di imbarco e l'organizzazione degli imbarchi furono quasi totalmente compiute dall'esercito e dalla marina d'Italia".

I Serbi non dimenticarono quello che l'Italia aveva fatto per salvare il loro esercito, né mancarono attestazioni di riconoscenza. Il comandante del Quartiere generale Serbo così scriveva al viceammiraglio CUTINELLI-RANDINO, capo della IIa squadra e direttore supremo dello sgombro serbo dell'Albania: "Bene è intesa ed apprezzata dall'esercito serbo la vostra opera nobilissima per il trasporto dell'intera armata, compiuto in così breve tempo, su mare infido e superando ostacoli e difficoltà innumerevoli. Ora e sempre per quest'opera vi accompagnino o marinai d'Italia, la gratitudine e i voti di tutta la Serbia che sulle vostre navi oggi rinasce per affermare il sacro diritto all'esistenza contro l'aggressione e l'oppressione nemica".

Re PIETRO mentre viaggiava verso Brindisi a bordo di una nave italiana, parlando con gli ufficiali, li ringraziò commosso per quanto loro e l'intera marina italiana avevano fatto in aiuto dei Serbi, augurò alla Serbia del 1915-16 l'avvenire del Piemonte del 1848-49 e, ricordando Giuseppe Garibaldi, si disse felice di averlo incontrato due volte.
Da Brindisi il re PIETRO e il principe ALESSANDRO si recarono a Corfù, dove fu insediato il Governo e il Parlamento serbo; quindi il re si trasferiva a Salonicco, dove giungeva pure il figlio per comandare l'esercito serbo riordinato; circa 120 mila uomini, che poco per volta vi erano stati mandati da Corfù. Per l'inoltro delle truppe serbe da Corfù a Salonicco la marina italiana mise a disposizione del Comando navale francese cinque grandi piroscafi, siluranti di scorta, e unità minori. Notevole aiuto inoltre fornì la marina italiana nel trasporto dei Franco-Inglesi da Gallipoli a Salonicco.

Malgrado l'opera italiana, riconosciuta pubblicamente dal Governo britannico, il Governo Francese lasciò che alla marina del suo Paese si attribuisse tutto il merito del salvataggio dell'esercito serbo e alla Francia toccarono i ringraziamenti dello Zar NICOLA di Russia. Inoltre la stampa francese fu sollecita nell'accusare l'Italia di non aver prontamente soccorso la Serbia e il Montenegro. A queste accuse rispose il 11 gennaio il ministro BARZILAI a Bologna in un suo discorso in cui fra l'altro disse: "L'epilogo triste di oggi fu irreparabilmente deciso assai tempo fa, quando, di fronte alla deprezzata minaccia austro-tedesca in Oriente, venne meno, come apertamente riconobbe il ministro di uno Stato alleato, un comune e veggente programma balcanico".

Cinque giorni dopo, lo stesso Barzilai, parlando ad Ancona, formulò l'augurio che la Serbia apprendesse dalla sventura, a moderare la sua ambizione. Quanto al Montenegro, pronunziò le seguenti testuali parole:
"Se la Serbia eroica, della quale mai contrastammo l'efficacia in Adriatico, sana, oggi ogni sua deviazione dalla visione del proprio interesse e dai fatti col sacrificio dal quale usciranno immancabilmente restaurate le sue fortune, nei riguardi del piccolo reame della Cernagora, è lecito chiedersi se anche una legittima diffidenza non dovesse rendere perplessa la politica dell'Italia da quando, col nostro aperto dissenso e col palese compiacimento dell'Austria, esso correva all'occupazione di Scutari. E se all'ultima ora le grosse artiglierie sottratte alla nostra difesa fossero giunte sulle cime del Lovcen, col ritardo forse di qualche giorno l'Austria avrebbe trovato lietamente le arricchite spoglie dei vinti".

L'INFELICE INCURSIONE NAVALE AUSTRIACA A DURAZZO
GLI ITALIANI SGOMBRANO DURAZZO
COSTITUZIONE DEL VI CORPO D'ARMATA CON IL GENERALE PIACENTINI
OCCUPAZIONE ITALIANA DELL'ALBANIA MERIDIONALE

Durante lo sgombro dell'esercito serbo dall'Albania la flotta nemica, la quale avrebbe potuto arrecare gravi danni ai reparti italiani ed ostacolare enormemente le operazioni, mostrò una remissività straordinaria alla quale senza dubbio contribuirono e il contegno aggressivo della nostra Marina nei primi mesi della guerra e l'esito poco felice di una ricognizione compiuta da forze navali austroungariche il 29 dicembre del 1915.
Il vice ammiraglio FIEDLER, comandante delle forze navali nemiche dislocate a Cattaro, appreso, il 28 dicembre, dalle notizie di aviatori che nella rada di Durazzo si trovavano alla fonda un piroscafo ed alcuni velieri italiani che sbarcavano rifornimenti per i Serbi e, non lontano dalla rada, due cacciatorpediniere in crociera, stabilì di fare eseguire dall'esploratore "Helgoland" e da cinque cacciatorpediniere un'incursione su Durazzo con lo scopo di sorprendere ed affondare queste unità.

Alla mezzanotte del 28 l'"Helgoland" e le cinque cacciatorpediniere lasciarono Cattaro con l'intenzione di attraversare verso l'alba la congiungente Durazzo-Brindisi e puntare quindi su Durazzo. Verso le 2.30 incontrarono sulla loro rotta il sommergibile francese "Monge", che fu attaccato e affondato; alle 6, giunti sulla congiungente Durazzo-Brindisi, l'"Helgoland" e un caccia si diressero verso la costa albanese a sud della rada per impedire il ripiegamento su Valona ad unità italiane eventualmente stazionanti a Durazzo; gli altri quattro caccia puntarono verso quella località, affondarono un piroscafo alla fonda, bombardarono la fortezza, quindi, bersagliati da due pezzi da campagna di Essad Pascià, ripiegarono verso l'uscita della rada, ma, attraversando una zona minata, il cacciatorpediniere "Lika" affondò, il "Triglaio" gravemente danneggiato, fu preso a rimorchio dal "Tatra", che si diresse lentamente sotto la protezione dell'"Helgoland" e dei cacciatorpediniere "Csepel" e "Balaton", verso Cattaro, donde, verso mezzogiorno, uscivano in soccorso l'incrociatore corazzato "Kaiser Karl VI" con quattro torpediniere; poco dopo l'esploratore "Novara" con altre siluranti e verso le 15 la nave di linea "Budapest", l'esploratore "Aspern" ed alcune torpediniere.

Da Brindisi intanto, giunta la notizia dell'incursione nemica, erano stati mandati gli esploratori "Darmouth" e "Quarto" verso Cattaro per impedire il ripiegamento del gruppo navale austriaco e successivamente cinque cacciatorpediniere francesi, gli esploratori "Bixio" e "Maymonth", e quattro cacciatorpediniere italiane.
Alle ore 13, circa, il "Darmouth", il "Quarto" e i cacciatorpediniere francesi avvistarono il gruppo austriaco, il quale, abbandonato il "Triglaw", si diresse ad alta velocità verso ponente per sfuggire alle unità italo-franco-inglesi apparse da nord. Cominciò allora -dopo aver definitivamente affondato il Triglaw - l'inseguimento del nemico, al quale, più tardi, presero parte da lontano le altre unità italo-britanniche.
Le navi austriache giunsero verso sera in prossimità delle coste italiane, presso le quali inseguite dagli inseguitori, non avrebbero potuto sfuggire alla distruzione. La notte fu la loro salvezza. Approfittando dell'oscurità, l'"Helgoland" e i tre cacciatorpediniere superstiti, puntando per nord-ovest, riuscirono a dileguarsi. L'"Helgoland" riparate le avarie, tentò il 6 febbraio una nuova incursione su Durazzo dove fervevano le operazioni d'imbarco, ma avendo visto che alcune unità italiane facevano buona guardia, ritornò alla base di Cattaro.

Sgombrati i Serbi, inutile era la permanenza delle truppe italiane a Durazzo. Verso la metà di febbraio si era pensato di ritirarle, ma poi se ne abbandonò l'idea per proteggere il governo di Essad-Pascià dalle bande albanesi ostili, le quali sostenute da un corpo d'armata austriaco puntavano sulla città da nord e da sud.
Gli italiani avevamo a Durazzo, sotto il comando del generale GIACINTO FERRERO, circa 9000 uomini, che, nella notte dal 22 al 23 febbraio in cui il nemico iniziò l'attacco, erano così dislocate: sulla sinistra del fiume Arzen da Kar a Kobalaj, il 16° fanteria con tre batterie someggiate, una sezione da 87 B e una sezione da 120 B; sulla destra dell'Arzen, da Pieskza a Vargai e Sasso Bianco, due battaglioni del 15° fanteria con tre batterie da 87 B e una sezione someggiata; a Iuba un battaglione del 15° fanteria; ad Arapai un battaglione dell'86° Fanteria; a Kor di Rastbul una sezione da 120 B e a nord est di Sinavlos una sezione di 87 B. Avevano inoltre gli italiani nella città il 159° battaglione di Milizia Territoriale, un plotone di cavalleggeri e un plotone del genio.
Dopo un tentativo fallito di impadronirsi di sorpresa nelle posizioni italiane di Pieskza, il nemico attaccò in forze, nelle prime ore del 23 febbraio le linee, preceduto da violento fuoco di artiglieria e sostenuto da numerose mitragliatrici. Dopo una dura resistenza, gli italiani sopraffatti dalla superiorità delle forze avversarie, iniziarono il ripiegamento verso la costa, per mettersi sotto la protezione delle artiglierie delle loro navi ancorate nella rada, e lo effettuarono con ordine, continuando a eseguire impetuosi contrattacchi.

In queste condizioni altro non rimaneva che abbandonare Durazzo; perciò fu ordinato l'imbarco delle truppe che, dovendo essere eseguito da un solo pontile, bersagliato dalle artiglierie nemiche, richiese tre giorni e tre notti. Tuttavia l'imbarco fu compiuto nel massimo ordine su 14 piroscafi nonostante il mare tempestoso, il violento fuoco degli austriaci e la mancanza di piccoli mezzi d'imbarco.
Furono uccisi, non potendo caricarli sulle navi, parecchie centinaia di quadrupedi, furono distrutti o resi inutilizzabili molti pezzi e furono abbandonati diecimila vecchi fucili appartenenti ad Essad Pascià. La sera del 26 febbraio gli ultimi reparti lasciarono Durazzo, e il convoglio, protetto da incrociatori e siluranti, si dirigeva verso Valona, dove giungeva il mattino del 27 febbraio.

Occupata Durazzo, il nemico rinunciò a continuare l'avanzata contro Valona. dove nel frattempo erano state fatte importanti opere difensive e venivano mandati notevoli rinforzi. Con questi - circa due divisioni - si costituì il XVI Corpo d'Armata, affidando il comando al generale SETTIMIO PIACENTINI alla diretta dipendenza del Comando Supremo (Cadorna, si prese insomma la rivincita).

Il XVI Corpo d'Armata, con l'arrivo di nuove truppe, raggiunse la forza di 100 mila uomini. Il generale PIACENTINI continuò i lavori del campo trincerato di Valona, ma nel maggio del 1916, per l'offensiva austriaca nel Trentino, fu richiamato in Italia con due divisioni e al comando del Corpo d'Armata d'Albania rimase il generale BANDINI (nel maggio il BERTOTTI era andato ad assumere il comando del settore del Pasubio), che alla fine dell'anno fu sostituito dal generale FERRERO.

Le tergiversazioni dei Greci a sgombrare l'Albania meridionale, come aveva loro imposto l'"ultimatum" degli alleati rimesso ad Atene in agosto, e il timore che il Governo ellenico volesse servirsi dell'occupazione di quel territorio per comunicare con gli Austro-Tedeschi, costrinse l'Italia, nell'autunno del 1916 ad occupare, sgombrandole dei Greci, le regioni albanesi vicine al confine fissato dalla conferenza di Londra: Delvino, Premeti, Argiroeastro, Lijaskoviki, e la costa albanese da Porto Palermo a Capostile con il porto di Santi Quaranta, punto di partenza della via che, per Kelibaki, Kelisopetra, Lijaskoviki, Ersek e Koritza, conduce a Florinà e a Salonicco.

La nuova base di Santi Quaranta riuscì in seguito di grande vantaggio all'esercito dell'Oriente perché gli assicurò - venuta in possesso dell'Italia la rotabile per Koritza e Monastir - più facili e sicure comunicazioni. L'occupazione italiana dell'Albania meridionale permise in seguito con questo corpo di operazione già presente in Albania di dare un importante aiuto all'esercito di Salonicco, influendo non poco sull'atteggiamento delle Grecia.

Ora torniamo sullo scenario Italia, nei primissimi giorni del 1916.
Ma prima di ritornare sui campi di battaglia con le nuove operazioni di guerra, occupiamoci della situazione politica (incandescente) e dei provvedimenti del governo per affrontare un nuovo anno di guerra e di sacrifici per il Paese..

Governo e Paese nei primi mesi dell'anno 1916

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