1941-1942
L'ultima impresa fallimentare di Hitler.
Un lungo riepilogo degli avvenimenti in Russia dalla fine  1941 al 1942


"L'OPERAZIONE BLU" (prima parte)

Questre pagine sono di GIOVANNI ARUTA
Il 1941 era stato un anno denso di avvenimenti per la Germania nazista: nei primi mesi di quell'anno aveva ancora come unico nemico la Gran Bretagna la cui posizione appariva senza speranze di fronte alla forza del Reich tedesco. Ma, la decisione di Hitler di invadere la Russia prima e poi di dichiarare guerra agli Stati Uniti - per solidarietà al Giappone dopo l'attacco di dicembre a Pearl Harbour malgrado la Germania non fosse tenuta a farlo a norma del patto tripartito in quanto il suo alleato) aveva fatto scendere in campo contro la Germania due nazioni con immense risorse umane, materiali ed economiche.
 Era soprattutto il fronte russo a preoccupare le gerarchie naziste: dopo le fulminee avanzate dell'estate e dell'autunno precedente, con il sopraggiungere dell'inverno, vi era stato un pesante contrattacco russo che, unito ai rigori di quella stagione, aveva sottoposto la Wermacht ad una prova terribile (aggravata dal fatto che la macchina militare tedesca non era attrezzata per una campagna invernale). Così non solo era stata respinta l' ultima disperata offensiva tedesca volta a conquistare Mosca ma, ciò che era più grave, i Russi, quando si convinsero 
(vedi la storia del "giapponesino a Mosca") che il Giappone non li avrebbe attaccati ad est, avevano trasferito sul fronte occidentale numerose divisioni composte da soldati siberiani, abituate a combattere nel freddo e nella neve, che scagliate contro il sottile fronte tedesco per poco non avevano portato le armate naziste ad una grave, quanto inaspettata, catastrofe.

 Il fallimento dell'ambiziosa offensiva nazista  a fine 1941 era ormai evidente al mondo intero e Hitler, che per la prima volta dall'inizio della guerra vedeva fermate le sua armate, aveva iniziato a litigare con i suoi generali: il primo che aveva dovuto dare le dimissioni era stato il feldmaresciallo von Rundstedt, comandante del gruppo di armate che operava nel tratto meridionale del fronte, colpevole, dopo aver conquistato Rostov, di aver chiesto di abbandonarla autorizzando così la prima ritirata di un reparto tedesco dall'inizio della guerra (dirà poi Guderian " I nostri guai iniziarono a Rostov, fu il nostro menagramo"). Poi era stata la volta di von Bock, comandante del gruppo di armate che presidiava il fronte centrale, dimessosi per motivi di salute.
 Quando era apparso chiaro che la campagna militare che doveva portare alla conquista della Russia in pochi mesi era fallita, Hitler destituì anche von Brauchitsch, capo di stato maggiore dell'esercito, il 19 dicembre 1941. Chi resistette più a lungo fu il responsabile del gruppo di armate nord, von Leeb, che comunque chiese, ed ottenne, di essere esonerato dal comando agli inizi del 1942. 
La parte finale del 1941 ed i primi mesi del 1942 furono un calvario per le armate naziste impegnate sul fronte orientale, costrette ad indietreggiare da continui attacchi russi (che però non conseguirono successi strategicamente rilevanti) e, quando, nel mese di marzo, vi fu il disgelo e con esso arrivò la stagione del fango che impediva fino a maggio le attività belliche, l'indebolita Wermacht potè finalmente giovarsi di un periodo di relativa tregua. 

Nell'alto comando tedesco iniziarono a fare i conti delle perdite subite: il loro totale complessivo ascendeva, nel marzo del 1942, a quasi 1.100.000 effettivi tra morti, feriti e dispersi. Era dunque la prima volta, dall'inizio della guerra, che una campagna militare causava perdite rilevanti alla Wermacht. Ma ciò che spaventava maggiormente le gerarchie naziste era la forza del loro nemico: i russi avevano sofferto la perdita di diversi milioni di uomini e di una quantità immensa di materiale, ma, nonostante ciò, masse di soldati e di carri armati continuavano ad contrapporsi allo stremato esercito nazista.

 L'armata rossa sembrava essere un'idra che si rigenerava in continuazione. Per questo motivo molti generali tedeschi erano convinti che la Germania non avesse le risorse per intraprendere una nuova grande offensiva e, pertanto, ritenevano più utile l'adozione di una strategia difensiva, previa creazione di una linea fortificata che li ponesse ai riparo degli attacchi russi. Queste idee non avevano però fatto i conti con quanto pensava Hitler, nella cui mente invece si affacciava l'idea di infliggere un altro colpo a quel terribile nemico che lui pensava essere molto indebolito. Il Signore della guerra nazista credeva che con un ultimo grande sforzo fosse ancora possibile riportare quella vittoria decisiva che era sfuggita l'anno precedente.
Il dittatore nazista era determinato ad intraprendere una grande offensiva estiva sul fronte orientale anche perché aveva compreso che l'entrata in guerra degli Stati Uniti d'America aveva radicalmente cambiato gli equilibri strategici. Era infatti evidente che l'apparato industriale statunitense, non appena si fosse dispiegato in tutta la sua potenza, avrebbe alterato il rapporto delle forze in campo a tutto svantaggio dell'Asse Germania - Italia - Giappone. Ad Hitler appariva dunque più che mai necessario infliggere un colpo mortale al colosso russo per eliminarlo dallo scenario bellico. Soltanto in questo modo la Germania avrebbe potuto concentrare le sue risorse ad occidente per parare la nuova, potente ed inevitabile minaccia portata dalla superpotenza americana. Nella mente di Hitler era ancora ben presente la circostanza che nella guerra precedente (da lui combattuta personalmente come semplice caporale) era stato proprio l'intervento statunitense a far pendere la bilancia a sfavore dell'impero germanico ed era perciò determinato a fare di tutto affinché questa volta ciò non si verificasse. Inoltre egli non nascondeva il pericolo che, in un futuro forse non molto lontano, gli anglo - americani potessero rifornire l'Unione Sovietica delle armi e dei mezzi di cui aveva bisogno per permetterle di opporsi con maggiore efficacia alle armate del Terzo Reich. 

Questi timori furono confermati quando il presidente americano Roosevelt estese all'Unione Sovietica i benefici della legge "Affitti e Prestiti". Erano però necessari alcuni mesi prima che l'apparato industriale americano potesse girare a pieno regime, occorreva infatti convertire le loro fabbriche ad una produzione militare, e pertanto il dittatore nazista aveva davanti a sé un certo periodo di tempo che intendeva sfruttare nel miglior modo possibile per chiudere la partita. Egli naturalmente sperava che il Giappone, alleato della Germania, tenesse impegnata in Pacifico la superpotenza americana con un'intensità tale da non permetterle di inviare truppe e mezzi in Europa ma questa era una speranza, un auspicio, non una certezza. 

Questo era lo scenario che dette origine all'"Operazione Blu", la grande offensiva tedesca ad oriente dell'estate del 1942. Il piano, del quale le direttive generali furono fissate da Hitler in persona e che fu poi perfezionato dagli strateghi dell'alto comando della "Wermacht", partiva dal presupposto che l'esercito tedesco, indebolito dalla sanguinosa campagna dell'anno precedente, non avesse le risorse per attaccare sull'intero fronte. Pertanto il dittatore nazista decise di concentrare i suoi sforzi nel settore meridionale. Si trattava di lanciare una grande offensiva che, in un primo tempo, si sarebbe sviluppata con una rapida puntata nella parte più settentrionale del fronte sud, in direzione di Voronez. Successivamente le divisioni corazzate tedesche avrebbero effettuato una rapida conversione verso sud per intrappolare le armate sovietiche nell'ansa del fiune Don. Dopo questa operazione di accerchiamento, alla quale doveva essere riservata la massima cura in quanto occorreva impedire al nemico di ritirarsi all'interno dell'immensità del territorio russo, le armate tedesche avrebbero investito Stalingrado (alla quale nel piano originario non era attribuita grande importanza), e poi, raggiunto il Volga, si sarebbe dato inizio alla seconda fase dell'operazione: la conquista del Caucaso e dei preziosi giacimenti di petrolio di Maikop, Grozny e Baku.
Questo obiettivo era considerato fondamentale da Hitler il quale, per convincere i suoi generali della bontà del suo piano, disse: "Se non prendo Maikop e Baku, con i loro pozzi di petrolio, sarò costretto a porre termine a questa guerra". Questa seconda fase doveva essere preceduta da un'importante azione preliminare: la conquista della Crimea e soprattutto della piazzaforte di Sebastopoli, per la quale era stata destinata un'armata dotata di speciali cannoni a grandissimo potenziale, necessari a distruggere le imponenti fortificazioni realizzate dai russi. 
Per il comando di questa difficile e delicata operazione era stato designato uno dei più capaci militari del terzo reich: il feldmaresciallo Von Manstein. Il Furher aveva previsto che dopo la conquista di Sebastopoli un'altra branca della tenaglia sarebbe partita per conquistare Rostov, ed unirsi alle forze che scendevano da nord per conquistare il Caucaso. 

Nella fertile mente di Hitler, qualora le operazioni fossero state coronate dal successo, già si affacciavano idee per nuove avanzate: dal Caucaso egli pensava di passare rapidamente attraverso l'Iran e l'Iraq, all'epoca colonie britanniche, e lanciare le sue colonne corazzate in due direzioni: la prima avrebbe potuto dirigersi verso sud - ovest andando incontro all'Afrika Korps di Rommel (il quale a sua volta era in procinto di lanciarsi all'offensiva sul fronte libico); la seconda doveva procedere verso sud est, e, ripetendo l'impresa riuscita in passato soltanto ad Alessandro Magno, raggiungere l'India dove si sarebbe incontrata con le truppe dell'alleato giapponese. Questo grandioso piano aveva come corollario un'offensiva, con scopi molto più limitati, da lanciare nel settore settentrionale del fronte che avrebbe dovuto portare alla caduta di Leningrado, al conseguente ricongiungimento con le forze dell'alleato finlandese. Ciò allo scopo di togliere agli anglo americani una delle vie attraverso le quali avrebbero potuto rifornire i russi.

Quando Hitler espose i suoi piani ai generali che comandavano le sue armate sul fronte orientale questi ultimi rimasero perplessi e dimostrarono un velato scetticismo. Alcuni, come abbiamo detto, ritenevano che l'esercito tedesco non avesse le risorse per intraprendere un'offensiva su larga scala e pertanto erano dell'opinione che l'unica strategia possibile fosse quella basata sulla difensiva-offensiva, attendendo gli attacchi del Russi ai quali rispondere con contrattacchi su scala locale. Era la strategia già adottata nella prima guerra mondiale e si era rivelata vincente per la Germania. Essi sostennero che questa tattica avrebbe logorato i Russi permettendo alla Wermacht di risparmiare risorse preziose. Altri generali, tra i quali Guderian, ritenevano che l'esercito tedesco dovesse attaccare nella parte centrale per prendere Mosca: era infatti necessario che l'esercito tedesco si ponesse degli obiettivi realistici senza disperdersi nell'immensità del territorio sovietico, dove, a causa della sua inferiorità numerica e per il logorio causato dalle estenuanti avanzate, si sarebbe trovato esposto all'inevitabile contro-offensiva invernale sovietica, soprattutto qualora non avesse raggiunto tutti i suoi obiettivi strategici. 

A queste obiezioni Hitler rispose ribadendo con forza la bontà del suo piano. Egli disse che era evidente che Stalin si aspettasse la ripresa dell'avanzata su Mosca e tutte le informazioni raccolte riferivano che le migliori armate russe erano poste a difesa di Mosca. Pertanto, avanzando nella parte meridionale, e soprattutto iniziando l'offensiva con la conquista di Voronez (che poteva anche essere interpretata come una mossa preliminare ad un'offensiva verso Mosca partendo da sud) avrebbe sorpreso i Russi attaccandoli in un settore dove non se lo aspettavano. Attaccando nella parte centrale del fronte, al contrario, si sarebbe incontrata una resistenza molto più forte e pertanto le perdite sarebbero state molto maggiori e la riuscita del piano molto dubbia. Inoltre Hitler pose con forza l'accento sugli aspetti economici della guerra: i territori che egli intendeva strappare all'Unione Sovietica erano ricchi di minerali (e non solo, l'Ucraina era considerata il "granaio" dell'Unione Sovietica) e di petrolio. Da essi la Germania avrebbe tratto le risorse necessarie a continuare la guerra (che con l'ingresso degli Stati Uniti da europea era ormai diventata mondiale) e, nello stesso tempo, avrebbe indebolito l'Unione Sovietica in modo decisivo privandola dei materiali necessari (in primo luogo del petrolio) per continuare la guerra. 

Inoltre Hitler fece notare che, se pur era vero che la Wermacth inizialmente avrebbe dovuto dispiegarsi su un fronte molto vasto, al termine dell'avanzata si sarebbe attestata su una linea, leggermente superiore all'attuale, che andava da Voronez ad Astrakan, alla foce del Volga, passando per Stalingrado. Il Volga diveniva così il pilastro del fronte meridionale tedesco in Russia al riparo del quale la "Wermacht" avrebbe potuto respingere ogni contrattacco russo. Ciò però per Hitler era una eventualità remota in quanto egli riteneva ormai l'armata rossa incapace di intraprendere nuove offensive dopo le perdite terrificanti che aveva subito l'anno precedente.
I generali tedeschi posero al Furher dei problemi tattici: l'anno precedente avevano scoperto con grande sorpresa che i russi non solo avevano molti più carri armati dei loro ( e ne producevano in numero decisamente superiore a quelli prodotti dalla Germania), ma i mezzi utilizzati dai sovietici, contro ogni aspettativa, si erano anche rivelati superiori a quelli tedeschi sotto molti aspetti. 

In questa sede dobbiamo premettere che la Germania, quando aveva attaccato la Russia, aveva rinnovato il suo parco di mezzi corazzati. Il modello Mark I, da sole sei tonnellate e con due mitragliatrici, rivelatosi decisamente insufficiente già durante la campagna di Francia, era stato quasi del tutto eliminato. Il modello Mark II, da 12 tonnellate, armato con un cannoncino da 20 millimetri, era ormai utilizzato soltanto come mezzo leggero ed esplorante. Il carro armato medio Mark III, da 20 tonnellate, che all'epoca costituiva la spina dorsale delle divisioni corazzate tedesche, era stato distribuito in una variante migliorata, armata con un cannone da 50 millimetri lungo 42 calibri e ciò perchè il vecchio cannone da 37 millimetri lungo 45 calibri si era rivelato inefficace già in Francia contro alcuni carri armati francesi quali lo "Char B1 bis" ed il "Somua", e soprattutto contro i corazzatissimi carri armati inglesi da accompagnamento della fanteria modello "Matilda". I generali tedeschi pensavano che, con il nuovo cannone da 50 millimetri, il Mark III non avrebbe avuto problemi con i carri armati russi. Ma l'arma sulla quale essi contavano per marcare una decisa superiorità di armamento sui russi era data dalla nuova versione del carro armato pesante Mark IV, da 24 tonnellate, la F2, la quale era stata dotata di un nuovo tipo di cannone, da 75 millimetri, lungo 43 calibri, in grado di lanciare proiettili da alto potenziale perforante. Tale cannone aveva sostituito la vecchia versione lunga soli 24 calibri che non si era rivelata idonea a perforare corazza molto spesse a causa della bassa velocità iniziale del proiettile. 

Ma, con grande stupore, sin dai primi giorni della campagna (il 30 giugno già Hitler scrive a Mussolini di averli incontrati) i generali tedeschi ricevettero dalle unità di prima linea rapporti allarmanti dai quali si evinceva che i Russi, insieme ai carri armati modello BT e T26 e T 28, stavano gettando in battaglia due modelli nuovi di carri dei quali il servizio segreto tedesco non era assolutamente a conoscenza: il T 34 ed i KV. 
vedi inizio invasione: 
OPERAZIONE BARBAROSSA - i T 34,  la "SORPRESA")

Il primo era un carro medio da 28 tonnellate, armato con un cannone da 76,2 millimetri, inizialmente lungo 30,5 calibri, poi con una versione migliore da 41,2 calibri. Questo mezzo, affermavano i primi invasori che li incontrarono, aveva prestazioni di velocità (era dotato di un motore di tipo aereonautico da 500 cavalli), e mobilità molto superiore ai carri armati tedeschi (grazie a dei cingoli molto spessi - e larghi, sulla neve o sui terreni melmosi ideali) ed era dotato di un'eccellente corazzatura con superfici ricurva che sfuggivano ai proiettili. Mentre il secondo era un autentico bestione da 52 tonnellate, con corazze frontali da 110 millimetri, assolutamente inattaccabili dai pezzi montati dai carri armati tedeschi, ad eccezione del Panzer IV F2, ma da breve distanza. L'apparire di questi colossi d'acciaio stava creando grossi problemi soprattutto ai reparti di fanteria le cui artiglierie controcarro, da 37 e 50 millimetri, non erano assolutamente in grado di fermare questi mastodonti d'acciaio.

Per fortuna i russi non sapevano utilizzare i carri armati, sbagliando li consideravano, come già avevano fatto i francesi, i "servi della fanteria" e gli "schiavi dell'artiglieria". Questa concezione superata, risultata già fatale all'esercito francese, causò all'inizio gravi perdite ai Russi, ma, come aveva annotato già ai primi di ottobre del 1941 Guderian, era inevitabile che prima o poi i sovietici avrebbero iniziato ad utilizzare i carri armati in modo simile ai tedeschi. Era pertanto prevedibile che in quel momento per la "Wermacht" si sarebbero creati dei seri, e forse insolubili problemi se l'industria tedesca non fosse riuscita a sfornare dei mezzi all'altezza della situazione. Intanto si doveva ricorrere ad un espediente già utlizzato con successo ad Arras il 23 maggio del 1940, e poi in Africa, contro i carri inglesi "Matilda": utilizzare in funzione anticarro i cannoni antiaerei da 88 millimetri lunghi 56 calibri. Quest'arma, che possiamo considerare il miglior "pezzo anticarro" di tutta la guerra, era in grado di perforare una corazza da 82 millimetri a 2.500 metri di distanza e venne soprannominata, giustamente, "il terrore dei carri armati". 

Purtroppo, grande fu la delusione dei generali tedeschi quando seppero che il loro nuovo modello di carro armato pesante da 56 tonnellate armato con il cannone da 88, il mark VI "Tigre" non sarebbe stato operativo prima dell'autunno ed in pochissimi esemplari. Altra cattiva notizia giunse quando si seppe che il nuovo carro medio, il Mark V "Pantera, da 45 tonnellate ed armato con uno speciale cannone da 75 millimetri lungo ben 70 calibri progettato specificamente per l'impiego anticarro (che avrebbe dovuto sostituire il modello III che con il suo cannone da 50 millimetri si era rivelato incapace di competere con il T 34 russo), con prestazione di velocità e mobilità eccezionali, a causa di problemi insorti nella fase di progettazione non sarebbe stato disponibile prima del 1943. Tutto ciò che si riuscì a fare fu di migliorare le prestazioni dei modelli esistenti. Il Mark III venne prodotto nella versione "J" con corazzatura potenziata ed un nuovo cannone sempre del calibro di 50 millimetri, ma lungo 60 calibri, con un proiettile con maggiore velocità iniziale e pertanto dotato di maggior potere perforante (a mille metri era in grado di attraversare 59 millimetri di corazza contro i 48 della versione precedente). 

Il Mark IV venne invece potenziato con l'adozione di un cannone da 75 millimetri lungo 48 calibri e con una migliore corazzatura: fu questa la versione "G" che però venne distribuita in numero ridotto in quanto vi era scarsità di disponibilità di cannoni di quel tipo che erano richiesti anche dalla fanteria. La dotazione di mezzi fu inoltre migliorata mediante la distribuzione di numerosi cannoni semoventi nell'intento di aumentare il potenziale anticarro delle panzer divisionen. Queste ultime furono riunite in armate corazzate, e non in corpi di armata come nell'inverno precedente, in quanto dava ad Hitler la sensazione di avere una maggiore forza. In realtà, come osserva acutamente lo storico militare inglese Basil Liddell Hart nella sua "Storia Militare della Seconda Guerra Mondiale", tale soluzione paradossalmente diminuì il potenziale di rottura dell'esercito tedesco, in quanto le armate corazzate si rivelarono degli strumenti troppo complessi, ei la dotazione di carri armati era, in proporzione, troppo bassa rispetto alle fanterie motorizzate.

 Questa erronea riorganizzazione delle forze corazzate, unita alla minore esperienza delle nuove leve che avevano rimpiazzato i veterani morti nel primo anno della campagna di Russia, fu molto probabilmente una causa non secondaria del fallimento dell'offensiva ideata da Hitler. Quest'ultimo, per aumentare le truppe a sua disposizione in vista dell'offensiva, contrariamente a quanto aveva deciso all'inizio dell'invasione (quando confidava in una rapida vittoria) non aveva esitato a chiedere aiuto ai suoi alleati. Pertanto Romania, Ungheria ed Italia ricevettero pressanti richieste di inviare truppe per guarnire dei tratti di quel fronte sterminato. Così all'inizio della campagna militare una cinquantina di divisioni alleate erano schierate a fianco delle forze tedesche. A dire il vero i generali tedeschi erano molto scettici sull'efficienza bellica di questi rinforzi, del tutto privi di carri armati, assai carenti in fatto di mezzi di trasporto e di artiglieria anticarro, ma Hitler ribattè che ad essi sarebbero stati affidati compiti meramente difensivi per svolgere i quali erano sufficientemente attrezzate. Ciò nonostante il feldmaresciallo Von Rundstedt, in quel momento comandante delle forze di occupazione tedesche in Francia, affermò in modo sprezzante che si trattava "di un vero e proprio esercito da Società delle Nazioni". 
Ma, avendo parlato del contributo italiano, quella che Hitler e Mussolini definirono "la crociata contro il Bolscevismo", ci sembra doveroso soffermarci sugli eventi che portarono Mussolini ad inviare delle truppe in Russia ed in quali condizioni e con quali mezzi avrebbero dovuto battersi contro i Russi. Avrebbero forse gli italiani fatto la fine del vaso di coccio costretto a viaggiare tra i vasi di ferro? 
"L'operazione Blu"  (parte seconda)

Se l'esercito tedesco si era trovato in difficoltà di fronte all'inaspettata apparizione sui campi di battaglia dei formidabili carri armati T34 e KV a maggior ragione appariva pateticamente insufficiente l'equipaggiamento delle circa 50 divisioni fornite dai suoi alleati alla Germania per contribuire alla "crociata contro il bolscevismo" lanciata da Hitler. A dire il vero molti soldati italiani, ungheresi, slovacchi, rumeni, non avevano accolto con grande entusiasmo l'idea di combattere contro l'esercito sovietico. Nel diario del caporale Isvan Balogh, in servizio nella prima brigata motorizzata dell'esercito ungherese partita il 18 giugno 1942 da Budapest, si legge che al momento della partenza "alla volta della terra insanguinata di Russia" vi era "gente in silenzio ed il triste suono delle trombe". Cinque giorni più tardi il treno sul quale viaggiava il caporale Balogh era passato attraverso delle zone dove si erano svolti aspri combattimenti nell'inverno precedente. Sul diario egli scriveva. "dappertutto vi erano carri russi in pezzi. Li guardavamo e tremavamo all'idea di questo inferno rosso che si muoveva contro l'Ungheria. Grazie a Dio erano stati fermati". Il primo luglio successivo, ad Ivanovka, il suo reparto fu per la prima volta in prima linea. Questa fu la descrizione dei luoghi fatta dal Balogh: "Dappertutto si vedono i resti di veicoli tedeschi bruciati. Forse stanno cominciando a perdere la loro fortuna militare?" si chiedeva con inquietudine e sgomento il caporale ungherere.

Mussolini, dal suo canto, all'inizio dell'invasione aveva subito offerto all'alleato un contributo italiano.

 A dire il vero il Duce era rimasto un po' offeso dal fatto che Hitler gli avesse celato accuratamente l'intenzione di invadere la Russia fino al 21 giugno 1941, quando gli aveva scritto una lunga lettera proprio alla vigilia dell'attacco. IL Duce nutriva una mal celata invidia per le fortune belliche del suo "collega" tedesco ed era irritato per questa aperta dimostrazione di sfiducia fattagli dal suo alleato (era infatti di tutta evidenza che i tedeschi non avevano rivelato nulla a lui circa i loro piani per il timore che fossero svelati al nemico,) ma si affrettò a dichiarare di essere certo che la Germania avrebbe rapidamente sconfitto la Russia sovietica anche se ai suoi intimi disse che "gli faceva piacere se Hitler ci avesse rimesso qualche penna". Mussolini non immaginava che da questa avventura il suo potente alleato ne sarebbe uscito completamente spennato.  Egli affermò comunque di voler essere al fianco del suo alleato e dette ordine di preparare un corpo di spedizione.
"Furher la Vostra decisione di prendere alla gola la Russia ha trovato in Italia una adesione entusiastica specie fra i vecchi elementi  del Partito, che avrebbero accettato, ma molto a malincuore, una diversa soluzione del problema.(Invece l'invasione della Russia era stata accolta con disappunto sia dalla corrente di sinistra che aveva sperato una alleanza fra le tre dittature totalitarie, e sia da Ciano che aveva imbastito con Mosca una trattativa sulle questioni balcaniche, poi naufragata per veto di Berlino. Ndr.). In una guerra che assume questo carattere, l'Italia non può rimanere assente. Vi ringrazio quindi, Fuhrer, di aver accolto la partecipazione di forze terrestri e aeree italiane nel numero e per il settore che gli Stati Maggiori stabiliranno. (...) 
Desidero dirvi:  a) per quanto concerne lo sviluppo delle operazioni, Vi prego, Fuhrer, di comunicami quanto credete necessario che io sappia, così come è avvenuto per la recente campagna balcanica; b) ringraziarVi per i recenti accordi di carattere economico, che mi permettono di superare talune difficoltà e intensificare la produzione bellica; c) annunciarVi che il raccolto del 1941 è superiore a quello dell'anno passato. Non comunicherò la cifra al popolo, per non suscitare illusioni e rallentamenti nella disciplina dei consumi: d) la "Stimmung" del popolo italiano è ottima, come, Fuhrer, saprete anche da altre fonti. Soprattutto il popolo italiano è consapevolmente deciso a marciare sino in fondo col popolo tedesco e a sostenete tutti i sacrifici necessari per il conseguimento della vittoria."
(Mussolini a Hitler, il 22 giugno 1941- Lettere & Documenti di M. e H.  Kink Features Syndacate, 1946. Nell'edizione italiana della Rizzoli del giugno 1946, n. doc. 45)
Negli ambienti militari italiani vi furono molte perplessità, infatti fino a quel momento l'Italia aveva accumulato diversi insuccessi (campagna di Grecia, distruzione dell'armata di Graziani in Libia, perdita dell'Impero) e non appariva cosa saggia disperdere ulteriormente le scarse forze a disposizione. Però Mussolini, "che aveva sempre ragione", fu irremovibile, e, pertanto, fu dato l'ordine di preparare alcune divisioni per la Russia.
Inaspettatamente la risposta di Hitler a questa offerta fu molto fredda e quasi sprezzante: egli scrisse una lettera a Mussolini (il 30 giugno, ib. doc. n.46)
in cui consigliava al suo alleato di concentrare le sue forze nel Mediterraneo per tenere a bada gli Inglesi, permettendo così alla Germania di liquidare il colosso russo. Il dittatore nazista evidenziava inoltre la difficoltà della lotta, affermava che "i russi hanno messo in campo un carro armato da 52 tonnellate", e, pur senza affermarlo esplicitamente, riteneva del tutto inadeguato l'equipaggiamento in dotazione alle forze italiane. 
Hitler evidentemente parlava così perchè era sicuro di riportare un successo di poche settimane (8) ma nelle sue parole non può disconoscersi una sostanziale verità e del buon senso. Queste doti però mancavano del tutto a Mussolini che, dopo molte insistenze, riuscì a convincere i tedeschi ad accettare l'invio di un piccolo contingente italiano e nacque così il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) composto da tre divisioni (la "Torino", la "Pasubio" e da una divisione celere di bersaglieri). Partiti il 26 giugno 1941 con al comando il generale Zingales, durante il trasferimento si ammala. Il 13 luglio lo sostituisce e prende il comando il generale GIOVANNI MESSE. (vi rimarrà fino al 9 luglio 1942 )
(Messe, era nato a Brindisi nel 1883. Arruolatosi all'età di 19 anni, nl 1941 aveva percorso tutti i gradi dell'esercito italiano. Presente alla guerra di Libia, poi alla Grande guerra, nel 1923 era stato promosso aiutante di campo del Re. Nel 1927 promosso colonnello comandante del 9° reggimento bersaglieri, resse il presidio di Zara. Nel 1935 nominato generale di brigata. Nel 1938 generale di divisione. Nel 1940 costituito il Corpo d'armata Speciale  in Grecia, fu promosso generale di Corpo d'Armata.) 

 Entrato in azione nell'estate del 1941, Messe partecipò ad alcune vicende belliche svoltesi nella parte meridionale del fronte, ben figurando. Apparve però chiaro che le truppe italiane non erano per nulla attrezzate a sostenere quello scontro di titani e pertanto, nei primi mesi del 1942 il generale Messe suggerì di ritirare i reparti inviati che, tutto sommato, in quel primo anno di guerra si erano ben comportati. Nei suoi rapporti egli metteva in evidenza con grande efficacia e precisione le carenze dell'equipaggiamento delle truppe italiane e ne traeva la giusta conclusione che era consigliabile un saggio disimpegno da quella lotta nella quale, dopo tutto, la presenza di qualche divisione italiana non poteva certamente mutare gli equilibri in campo. Nel frattempo era però radicalmente mutato l'approccio dei tedeschi nei confronti dei loro alleati: le gravi perdite subite dalla "Wermacht" nel primo anno della campagna di Russia avevano indotto l'entourage nazista a riconsiderare la possibilità di avvalersi dell'apporto di alcune decine di divisioni che potevano essere fornite dai loro paesi satelliti. Pur trattandosi di truppe che essi consideravano "di serie B" potevano comunque essere utili per mantenere dei tratti di quel lunghissimo fronte che stava logorando in maniera insopportabile la "Wermacht". 

Mussolini si sentì lusingato dalle richieste tedesche, finalmente poteva recitare la parte dell'alleato che correva in soccorso della Germania (fino a quel momento era avvenuto sempre il contrario) e pertanto accolse con entusiasmo l'idea di aumentare gli effettivi italiani impegnati in Russia. Egli era ancora sicuro della vittoria ed ai generali che si mostravano scettici disse che "al tavolo della pace conterà molto di più un'intera armata italiana in Russia che le tre divisioni del C.S.I.R.
Ciano annoterà  "il Duce ha intenzione di inviare venti divisioni. Una netta avversione del Re facendomi presente lo sforzo troppo grande rispetto alle possibilità dell'esercito italiano". (Diari di Ciano. op. cit.)
Della stessa opinione di non inviare altre truppe è Messe (Diari di Messe, 5 puntate su Oggi, febbrario-giugno 1950) "che sul posto sto sperimentando cosa significa  non avere automezzi, carri armati pesanti, le difficoltà approvvigionamenti specialmente benzina. Perfino il Capo di Stato Maggiore tedesco Keitel (in un primo momento - Ndr.) non desidera altre truppe italiane in queste condizioni perchè non può colmare le nostre gravi insufficienze".
  
Non così il Capo di Stato Maggiore italiano Cavallero, che per compiacere Mussolini è invece favorevole. Mussolini accetta di ridurle a 15 il numero di divisioni, ma poi davanti all'evidenza  si rassegna ad approntarne 7.
Venne così formata un'armata (la 8a ) che venne denominata ARM.I.R. (ARMata Italiana in Russia). 
Che risulta così composta da dieci divisioni: le tre del C.S.I.R., alle quali venivano aggiunte altre tre di fanteria ("Ravenna, "Cosseria" e "Sforzesca"), tre divisioni alpine ("Iulia", "Tridentina" e "Cuneense"), e, da ultima, la divisione "Vicenza", composta da elementi territoriali da tenere come riserva o da utilizzare contro i partigiani. Completavano l'organico due formazioni di camice nere, qualche battaglione di alpini indipendente, alcuni reparti di cavalleria. Si cercò di migliorare l'equipaggiamento ma, apparve subito evidente che ben poco si poteva fare. I mezzi di trasporto erano insufficienti (nonostante le imponenti requisizioni fatte in danno di privati).
Cavallero risolse il problema del trasporto "non dando camion alla truppa, ma portando la marcia quotidiana da 18 a 40 chilometri al giorno".
I tedeschi che si aspettavano di vedere "truppe autotrasportate", protestarono presso Mussolini, che rispose tranquillamente che "autotrasportabile" non significa necessariamente andare con i camion, ma muoversi a piedi."
L'artiglieria anticarro era del tutto inadeguata e praticamente non vi erano carri armati. Infatti in quel momento la piccola produzione di carri armati italiani era totalmente assorbita dal fronte libico. Inoltre il carro armato medio italiano in quel momento in produzione (quindi non ancora pronto), modello M 14/41, da 14 tonnellate, con un cannone da 47 millimetri lungo 32 calibri, nulla avrebbe potuto contro i potenti T 34 e KV. L'unico mezzo in grado di tenere il campo senza essere letteralmente schiacciato dai colossi russi era il cannone semovente armato con un pezzo da 75 millimetri lungo 18 calibri ma la sua produzione annua era di pochissimi esemplari nessuno dei quali poteva essere distolto dalle sabbie della Libia. Pertanto all'armata italiana vennero assegnati soltanto una cinquantina di carri armati leggeri modello L 6 da 7 tonnellate con un cannoncino da 20 millimetri. Naturalmente si 
trattava di un mezzo utilizzabile soltanto a scopo esplorante o, al massimo, per la lotta contro i partigiani. 

Se del tutto inesistente era la dotazione di carri armati (in uno scenario dove questo tipo di arma era fondamentale), non migliore era la situazione delle artiglierie anticarro che si basavano praticamente soltanto sul cannone da 47 millimetri già montato sul carro armato M 14. Come avevano avuto modo di constatare con sgomento i soldati del C.S.I.R. nell'anno precedente, i suoi proiettili non riuscivano minimamente a scalfire le massicce corazze dei carri russi T 34 e KV contro le quali letteralmente rimbalzavano. Era possibile fermarli soltanto con un colpo fortunato, scagliato a brevissima distanza, che colpisse un cingolo o qualche altro punto particolarmente debole di quei mostri d'acciaio. Pertanto l'equipaggiamento anticarro delle divisioni italiane appariva tragicamente inadeguato e, unitamente alla circostanza che non vi erano disponibili carri armati, di fatto rendeva le divisioni italiane incapaci di fronteggiare un massiccio attacco sovietico condotto scagliando masse di carri armati. Inoltre, non avendo gli italiani in dotazione il formidabile pezzo antiaereo tedesco da 88 millimetri, l'unica soluzione era di utilizzare l'artiglieria campale o quella pesante campale che, però, ovviamente, era disponibile in un numero di pezzi molto limitato. 

Un discorso a parte merita il corpo d'armata alpino: si trattava di reparti scelti, composti da personale addestratissimo e dotati di un equipaggiamento studiato per la guerra sulle cime montuose delle Alpi,(muli da utilizzare come trasporti, artiglieria composta in massima parte da obici a tiro curvo etc. etc.). Gli alpini erano sicuri che sarebbero stati mandati a combattere sulle cime del Caucaso, ma, successivamente, giunti sul fronte, con grande stupore e delusione scoprirono di essere stati destinati ad operare nella piatta pianura del Don. In questo caso la contraddizione era ancora più palese: quelle truppe avevano una dotazione di artiglieria formata da obici, cioè da artiglierie dotate di cannoni a canna corta per effettuare il tiro curvo. Questo tipo di equipaggiamento, indispensabile per la guerra in montagna (i cannoni a canna corta inoltre erano più leggeri così da poter essere trascinati più facilmente sulle vette) era però del tutto inadatto ad operare in un teatro di guerra pianeggiante dove sarebbero stare necessarie delle artiglierie a canna lunga per dare ai proiettili maggiore possibilità di perforare le corazze dei carri armati russi. 

Mussolini ignorò queste elementari considerazioni (o fece finta di ignorarle) e così un'armata italiana, al comando della quale fu posto il generale ITALO GARIBOLDI (in un primo momento si era pensato a UMBERTO di Savoia), si trovò, nel giugno-luglio del 1942, impegnata in questa lotta titanica.
Messe all'arrivo di Gariboldi, piuttosto irritato, chiede e ottiene di rientrare in Italia, e non passerà nemmeno le consegne al suo successore.

 Non occorreva l'intelligenza di un Tiresia per capire che queste truppe, malgrado il coraggio, la capacità di adattamento e lo spirito di abnegazione tipici del soldato italiano, si sarebbero trovate in grave difficoltà in caso di un massiccio attacco sovietico lanciato con grande spiegamento di carri armati. L'unica possibilità di resistere era data dalla possibilità di ottenere il tempestivo intervento di divisioni corazzate tedesche che potessero supplire alle deficienze italiane di carri armati e di artiglierie anticarro opponendosi ai mezzi russi. Lo stato maggiore della "Wermacht" aveva inoltre dato assicurazione agli italiani che i Russi erano finiti e che non avevano le capacità di sferrare offensive su larga scala, ma, al massimo, attacchi locali. Era stata inoltre data la garanzia che qualora le truppe italiane si fossero trovate in difficoltà sarebbero state immediatamente soccorse dai reparti corazzati germanici. Però, sulla base di quanto accaduto nell'inverno precedente era inevitabile porsi un inquietante interrogativo: sarebbero stati i tedeschi in grado di rispettare questi impegni? E che cosa  sarebbe accaduto se si fosse verificata per la "Wermacht" una grave crisi come era già avvenuto nell'inverno precedente? 

Per ora, comunque, lo stato maggiore tedesco era deciso a passare all'offensiva. Era giunto il momento di dare inizio alla grandiosa "Operazione Blu" con la quale Hilter contava di liquidare definitivamente la partita che stava giocando contro il più coriaceo dei suoi nemici: l'Unione Sovietica del suo ex alleato Stalin. Inaspettatamente, però, fu quest'ultimo a precedere il suo avversario ed a lanciare un'offensiva che colse impreparati i tedeschi. Fu questo un campanello d'allarme che smentiva completamente quanti, con troppo facile ottimismo, (Hitler era il primo) affermavano che i Russi erano allo stremo. La partita tra i due dittatori era dunque ancora tutta da giocare.

E in Italia? Ecco cosa scriveva il Popolo d'Italia in questi giorni:
"L'Armata Rossa ha il coraggio della testardaggine. Non ha nessuna possibilità di guerra di manovra, di controffensiva, oltre che di resistenza al nemico. E' come un animale, capace anche di fare breccia nelle linee dell'attaccamento, ma che poi si arresta disorientato come un toro davanti allo straccio del torero"
Questo Il Popolo, e così gli altri giornali, ma  Mussolini, forse presago di sventure,  sta già cambiando atteggiamento. Manda Ciano a Gorliz, al quartier generale di Hitler, nella Foresta Nera, per esporre le sue idee circa la guerra in Russia. Una pace del tipo Brest-Litovsk del 1917.
(ma ne riparleremo e leggeremo la lettera di M. più avanti)
"L'operazione Blu" (parte terza)

Il Quartier Generale tedesco, prima di dare inizio alla grandiosa avanzata prevista dall' OPERAZIONE BLU", le cui grandi linee erano state fissate dalla direttiva n. 41 emanata da Hitler sin dal 5 aprile 1942, aveva previsto due offensive tattiche da attuare in via preliminare. La prima doveva iniziare nel tratto più meridionale del fronte, in Crimea, dove erano schierate due armate sovietiche, la 44^ e la 51^, il cui compito era di difendere l'istmo di Parpac. 
Nell'inverno precedente in quella zona si era verificato un episodio increscioso per la "Wermacht": il conte Von Sponeck, comandante della 46^ divisione di fanteria, aveva ordinato la ritirata della sue truppe, in quel momento attaccate da ogni parte da soverchianti forze russe, e perciò minacciate di accerchiamento. Con questa decisione egli aveva disobbedito all'ordine di non muoversi emanato dal suo superiore, il generale Von Manstein. Hitler, appresa la notizia, era andato su tutte le furie e subito si era riunita una corte marziale, presieduta dal feldmaresciallo Hermann Goering, che aveva condannato a morte von Sponeck. Successivamente, Hitler aveva commutato la condanna nel carcere a vita (dopo l'attentato al dittatore nazista del 20 luglio 1944 la Gestapo fucilerà comunque von Sponeck senza tanti complimenti). 

Adesso Hitler voleva a tutti i costi garantirsi la conquista dell'intera Crimea e soprattutto della piazzaforte di Sebastopoli ed a questo scopo aveva concepito un'offensiva che era stata denominata "Caccia alle Otarde", dal nome degli uccelli che corrono veloci per sfuggire al pericolo. Scopo di questo attacco era evitare che il possesso della Crimea e di Sebastopoli da parte dei Russi costituisse una pericolosa spina nel fianco delle armate tedesche lanciate alla conquista del Volga e del Caucaso. Per questo compito era stato designato uno dei più abili generali della "Wermacht", Manstein, comandante della XI armata tedesca. Egli, sferrò il suo attacco iniziale in data 8 maggio 1942, e, con abili movimenti e simulando un'offensiva nel settore nord del fronte, riuscì ad ad aggirare le linee russe con un improvviso attacco nel settore meridionale. In dieci giorni conquistò l'intera penisola di Kerc catturando 170.000 prigionieri e 1133 pezzi di artiglieria. Restava però da compiere l'impresa più difficile, la conquista della munitissima piazzaforte di Sebastopoli, che annoverava tra le sue difese degli enormi cannoni da 305 millimetri racchiusi in forti che sembravano invulnerabili viste le spesse corazze che li proteggevano. 

Intanto, in quel momento, i pensieri di di Hitler erano puntati su ciò che avveniva più a nord, dove il 18 maggio doveva prendere il via un'altra offensiva tattica, denominata "Operazione Fredericus", che aveva come obiettivo l'eliminazione di un saliente creato dai Russi nell'inverno precedente ed il ripristino del fronte del Donets, con la conquista di Izyum. Inaspettatamente, e con grande sorpresa del dittatore nazista, furono i sovietici ad attaccare in forze prevenendo così le sue mosse. Stalin era riuscito a riunire in quel settore cinque armate, forti di 640.000 uomini e 1.200 carri armati, ai comandi del maresciallo Timoscenko. L'obiettivo principale dell'offensiva russa, che scattò il 12 maggio 1942 era la rottura del fronte tedesco e la riconquista dell'importante città di Kharkhov, mossa che non era riuscita nella controffensiva lanciata dai sovietici nell'inverno precedente. Successivamente il piano prevedeva che l'attacco dovesse proseguire in direzione di Dniepropetrovsk allo scopo di liberare tutta la regione. Negli ambienti dell'alto comando sovietico vi era grande fiducia sull'esito di quest'offensiva in quanto era diffusa la convinzione che con essa la guerra iniziasse un nuovo corso. 

L'attacco si abbatté come una folgore sulla 6^ armata tedesca, al comando della quale, sin dal gennaio del 1942, era stato posto il generale Von Paulus in sostituzione di Reichenau (posto al comando del gruppo di armate sud in sostituzione del dimissionario Von Rundstedt, e poi subito dopo deceduto). Von Paulus, a differenza di molti altri ufficiali tedeschi, non aveva una personalità molto accentuata. Non era un uomo incline a stare in prima linea con le sue truppe, preferendo piuttosto studiare le operazioni a tavolino. La sua mentalità era quella di uno stratega da stato maggiore, probabilmente non molto idonea a comandare grandi unità in zona di operazioni. L'offensiva russa, lanciata con grande spiegamento di forze, mise a dura prova lo schieramento tedesco, aprendo alcuni varchi pericolosi. Il comando del gruppo armate sud era stato assunto dal feldmaresciallo von Bock. Quest'ultimo, nell'inverno precedente, come comandante del gruppo di armate centro, aveva fallito la conquista di Mosca ed era stato allontanato per motivi di salute. Era però uno dei generali più capaci e dotati di maggior prestigio della "Wermacht" e perciò Hitler lo aveva richiamato in servizio affidandogli il nuovo compito di mettere in esecuzione la grande offensiva estiva. 

Von Bock si dimostrò all'altezza della situazione: lasciò penetrare i russi all'interno delle sue linee e, quando questi ultimi, che non avevano in dotazione mezzi motorizzati sufficienti e rifornimenti adeguati ad alimentare l'avanzata, si trovarono in difficoltà, lanciò, il 17 maggio, due possenti contrattacchi da sud, con la prima armata corazzata guidata da von Kleist. I carri armati tedeschi fecero buoni progressi, anche se sulla loro strada avevano trovato formazioni di carri armati russi T34, le cui corazze respingevano i proiettili tedeschi come se fossero semplici fuochi d'artificio. Da nord alcune formazioni di Von Paulus mossero incontro alle colonne corazzate di Von Kleist e, grazie anche al fatto che Timoscenko non ritirò tempestivamente le sue truppe minacciate di accerchiamento (forse per l'opposizione di Stalin), le armate tedesche chiusero i russi in una gigantesca trappola. L'operazione fu completata il 25 maggio e, nei giorni immediatamente successivi, le armate russe furono compresse in un territorio sempre più ristretto. Vi furono selvaggi combattimenti durante i quali i sovietici cercarono con ogni mezzo di rompere la morsa che li circondava ma i loro tentativi rimasero senza esito. 

Il 28 maggio, quando terminarono i combattimenti, i tedeschi catturarono circa 240.000 uomini. Avevano inoltre distrutto (o comunque messo fuori combattimento) 1.200 carri armati nemici. L'offensiva sovietica si era dunque conclusa con un completo fallimento. Anzi, si era rivelata un pericoloso boomerang in quanto Stalin aveva bruciato delle preziose riserve strategiche, faticosamente costituite, senza alcun costrutto. Adesso, di fronte all'inevitabile offensiva tedesca, facilitata anche dal fatto che i nazisti avevano nel frattempo conquistato l'importante città di Izyum, i russi non avevano riserve da opporre. Sul fronte opposto Hitler era euforico, nelle due battaglie, in Crimea e sul Donets, le sue armate avevano catturato oltre 400.000 nemici. Era convinto che l'Unione Sovietica fosse allo stremo e che la vittoria definitiva fosse ormai vicina. Pertanto, il primo giugno 1942 si recò presso il quartier generale di Von Bock, a Poltava, per definire i dettagli della "Operazione Blu". Allo scopo di ingannare il nemico ordinò di effettuare degli accorgimenti volti a convincere il nemico che l'obiettivo dell'attacco tedesco fosse Mosca. 

Il 29 maggio, il Feldmaresciallo Von Kluge, comandante del gruppo di armate centro, aveva emanato una falsa direttiva per l'esecuzione di una fantomatica "Operazione Kreml", con obiettivo la capitale sovietica. La Luftwaffe fece finta di intensificare i voli sulla zona di Mosca, all'evidente scopo di convincere il nemico dell'imminente attacco, e vennero indette false riunioni per studiare gli accorgimenti tattici. Questa messa in scena sortì in pieno i suoi frutti anche perchè Stalin era a sua volta convinto che l'obiettivo dei tedeschi fosse Mosca. Di conseguenza i migliori reparti vennero avviati vero il settore centrale per parare la presunta minaccia contro Mosca. Intanto, in Crimea si combatteva aspramente e, il 2 giugno, l'XI armata tedesca comandata da von Manstein aveva iniziato l'attacco finale alla formidabile base russa di Sebastopoli. Egli aveva schierato ben 208 batterie di artiglieria pesante in una stretta lingua di territorio, la più altra concentrazione di fuoco per chilometro mai avvenuta nella seconda guerra mondiale, ed aveva a sua disposizione i più grossi calibri prodotti dalle industrie tedesche. Tra questi vi era il "Dora", un gigantesco cannone da 820 millimetri. Per trasportarlo erano stati necessari ben 60 vagoni ferroviari ed era stata costruita una ferrovia apposita. Quando il "mostro" fu assemblato risultò avere un peso complessivo di 1488 tonnellate per una lunghezza di quasi 50 metri. La sua gittata era di 46 chilometri e pertanto, venne alloggiato a circa 30 chilometri dalla piazzaforte. I suoi proiettili erano idonei a penetrare fortificazioni spesse 30 metri e, pertanto, potevano avere la meglio anche sulla più munite roccaforti russe. 

Dal 2 giugno al 7 giugno, per cinque giorni, venne effettuato un incessante bombardamento da terra e dal cielo. La Luftwaffe lanciò, instancabili, i suoi "Stukas" contro le linee russe. Dopo quel terrificante bombardamento i soldati tedeschi erano fiduciosi: pensavano che i russi fossero rimasti annichiliti da quell'uragano di fuoco. Con grande sorpresa dovettero constatare invece che le fanterie sovietiche erano sopravvissute a quel terrificante bombardamento, e che erano decise a difendersi fino all'ultimo respiro. Iniziarono così una serie di selvaggi combattimenti durante i quali le truppe di Manstein dovettero lottare duramente per espugnare ad uno ad uno i forti, nonostante l'appoggio ininterrotto dei giganteschi cannoni da 305, 380 e 420 millimetri e dell'aviazione tedesca che dominava i cieli. I Russi difesero tenacemente ogni metro di terreno e, il 28 giugno, Manstein dovette ricorrere ad una operazione anfibia mediante lo sbarco di due divisioni nella baia di Severnaja per scompaginare l'irriducibile resistenza russa. L'audace attacco ebbe successo, i Russi furono colti completamente di sorpresa, e ciò contribuì alla vittoria finale germanica. Ma fu soltanto il 4 luglio che i combattimenti cessarono. 

Von Manstein aveva riportato una grande vittoria: adesso la Crimea era completamente in mani tedesche e la "Wermacht" aveva catturato altri centomila prigionieri e tantissimo materiale. Hitler, felice per questo brillante successo, nominò Manstein feldmaresciallo e gli concesse una licenza. Il generale tedesco si aspettava che, al termine della breve vacanza, con le sue truppe ritemprate dopo quella battaglia così sanguinosa, avrebbe attraversato lo stretto di Kerc per occupare il Kuban e prendere l'importante centro petrolifero di Batum. Non sapeva che Hitler aveva progetti ben diversi. 
Il mese di giugno fu impegnato dai tedeschi nei preparativi, che vennero svolti nel massimo segreto, e nella effettuazione di un paio di attacchi locali che fruttarono altri 50.000 prigionieri russi circa. Hitler, per essere sicuro che il nemico non venisse a conoscenza dei suoi piani, emanò ordini severi che proibivano l'estensione di direttive scritte sulla nuova offensiva. Anche le istruzioni a voce dovevano essere limitate al massimo. 

Ma, ad un certo punto, avvenne un episodio che fece andare su tutte le furie il dittatore nazista. Il generale Stumme, comandante del XL corpo corazzato aggregato alla sesta armata di Von Paulus, dietro richiesta insistente di un suo subordinato, stilò un'istruzione per iscritto che descriveva i movimenti delle sue unità da attuarsi il primo giorno dell'offensiva. Ciò avvenne il 17 giugno e, due giorni dopo, un ufficiale della 23^ divisione panzer, il maggiore Joachim Reichel, pensò di effettuare un volo di ricognizione della zona di operazioni assegnata alla sua unità, posta a nord - est della città di Kharkhov, per avere un quadro più dettagliato dei luoghi. Ma, malauguratamente, il suo aereo da ricognizione Fieseler "Storch" (cicogna), sul quale si trovava, venne colpito ad un serbatoio e fu costretto ad atterrare all'interno delle linee russe. Immediatamente von Stumme venne avvertito e, preoccupatissimo, ordinò di localizzare il luogo dove era caduto l'apparecchio. Alcune pattuglie tedesche riuscirono ad infiltrarsi all'interno delle linee russe e, una di esse, vide l'aereo di Reichel e lo ispezionò senza trovare nè i due ufficiali nè i documenti. Nelle vicinanze vi erano due cadaveri che potevano essere quelli di Reichel e del suo pilota ma ciò non era sicuro. Dai rapporti inviati dalla pattuglia esplorante emerse chiaramente che i russi li avevano preceduti. A quel punto Stumme venne colto dal panico: se Reichel era prigioniero dei Russi avrebbe potuto rivelare loro tutti i particolari dell'"Operazione Blu", compreso l'obiettivo finale: la conquista del Caucaso. 
Quando Hitler seppe dell'episodio divenne furibondo per la rabbia. Si era impegnato al massimo per la segretezza dell'operazione e, adesso, per l'aperta violazione dei suoi ordini da parte di alcuni ufficiali, tutti i suoi preparativi volti a cogliere di sorpresa i Russi rischiavano di essere posti nel nulla. Senza mezzi termini definì questo comportamento un atto di grave insubordinazione e, pertanto, von Stumme ed il suo capo di Stato maggiore furono immediatamente spediti davanti alla Corte Marziale presieduta da Hermann Goering. Per loro fortuna, il verdetto fu tutto sommato clemente in quanto i due ufficiali vennero semplicemente trasferiti in nord Africa dove Von Stumme morirà nelle prime ore della Battaglia di El Alamein. 

In effetti i documenti di Reichel erano caduti nelle mani dei sovietici ma Stalin in un primo momento aveva pensato che fossero un tranello di Hitler per indurlo in errore. Il dittatore sovietico era assolutamente convinto che l'obiettivo finale fosse Mosca che pensò che, anche se si volesse dare un attestato di certezza a quanto scritto in quelle carte, occorreva necessariamente interpretarle come una mossa preliminare per un'offensiva verso Mosca partendo da sud, cioè dal settore di Voronezh. Di conseguenza dette ordine di radunare ingenti forze corazzate tra Mosca e Voronezh per parare la minaccia. 
Intanto, nelle prime ore del 28 giugno 1942, finalmente Von Bock dava inizio all'"Operazione" Blu"! Aveva a disposizione circa 100 divisioni, due terzi delle quali erano tedesche, su un fronte che si estendeva da Voronezh alla Crimea. Le truppe a disposizione dei gruppi di armate Centro e Nord erano state ridotte a sole 85 divisioni, il minimo indispensabile. 

Era evidente che Hitler giocava tutte le sue carte nella nuova grande offensiva. La prima mossa fu un poderoso attacco nella zona più settentrionale del fronte, con obiettivo Voronezh. L'offensiva venne lanciata dalle forze della seconda armata tedesca, della seconda armata ungherese, e, soprattutto, dai carri armati della 4^ armata corazzata guidata da uno dei più brillanti generali tedeschi: Hermann Hoth. Preceduti dalle picchiate degli "Stukas", e con il massimo appoggio possibile da parte dei velivoli dell'ottava flotta aerea guidata dal generale della Luftwaffe Wolfram Von Richtofen (cugino del celebra "barone rosso"), le truppe tedesche sfondarono le linee russe e fecero segnare dei notevoli progressi. Sembrava tornato il tempo felice della "guerra lampo" ed il capo di stato maggiore generale della "Wermacht", Franz Halder, fra i più scettici sulla riuscita di questa offensiva, non poté esimersi di annotare dal suo diario: "Sviluppo delle operazioni sorprendente". 

Sembrava davvero che l'armata rossa fosse giunta alla sua ventiquattresima ora. In quei giorni di giugno dell'estate del 1942 molti soldati tedeschi erano convinti che la vittoria fosse ormai vicina. Sembrava davvero che, dopo tanti sforzi, il "Lebensraum" (lo spazio vitale) ad est, necessario per la creazione della grande Germania, stesse per essere acquisito. In quel momento non molti soldati tedeschi si curavano della triste fine che Hitler, i gerachi nazisti e le SS di Himmler, avevano in mente di riservare ai russi. La gran parte di essi sarebbero stati respinti oltre gli Urali, mentre i superstiti, sopravvissuti alle atrocità della guerra, trasformati in servi dei nuovi dominatori di razza ariana venuti dalla Germania. Uno studente tedesco di teologia, aggregato alla sesta armata, così descriveva le sofferenze delle povere popolazioni civili di quei luoghi: "Un bambino ci si parò davanti. Non supplicava più, ma si limitava a mormorare, pane, pane! Strano quanta sofferenza, quanto dolore, quanta apatia possano esserci sul volto di un bambino". Le forze tedesche della zona erano al comando del generale von Weichs, a sua volta subordinato a von Bock. 

Il 30 giugno, conformemente ai piani, la sesta armata, posizionata immediatamente più a sud, si unì anch'essa all'offensiva e, le due divisioni del corpo corazzato di Stumme (al quale era subentrato il generale von Scwheppenburg) si diressero a tutta velocità in direzione nord-est per andare incontro alle forze di Hoth, ponendo dunque le premesse per un grande accerchiamento da effettuare nella zona di Stary Oskol. Ma, a questo punto accadde un fatto strano: le truppe sovietiche anzichè lasciarsi circondare senza cedere il settore difensivo a loro affidato, iniziarono a ritirarsi per sfuggire all'accerchiamento. Era un evidente cambio di tattica da parte dei Russi che venne immediatamente percepito dagli ufficiali tedeschi. La tenaglia si chiuse il 2 luglio, ma, tra la costernazione dei germanici, era vuota. I russi si erano ritirati. Questa nuova situazione non sfuggì ad Hitler ed al suo entourage che, come sappiamo, aveva posto come premessa ineliminabile per la riuscita del piano l'accerchiamento delle armate russe poste nel settore meridionale del fronte con una serie di manovre a tenaglia. Pertanto, il 3 luglio, il dittatore nazista si recò presso il quartier generale di Von Bock per riesaminare la situazione alla luce degli ultimi eventi. Infatti alcuni ufficiali sostenevano che, stando così le cose, non era opportuno spingersi troppo in direzione nord est per conquistare Voronezh, ma era necessario ordinare alle divisioni corazzate di convergere verso sud per accerchiare le truppe russe trincerate a difesa della grande ansa del fiume Don. 

Il Furher a quella riunione si mostrò di buon umore, le sue armate erano all'offensiva su tutti i fronti (anche Rommel in Africa aveva sbaragliato gli inglesi ed era giunto ad El Alamein a pochi chilometri da Alessandria) e pertanto decise di concedere piena libertà a Von Bock circa l'opportunità di conquistare Voronezh. Quest'ultimo venne fuorviato dalla rapida avanzata delle sue forze. Queste ultime raggiunsero la periferia di Voronezh il 5 luglio e, si apprestavano ormai ad occupare la città. 
A quel punto la resistenza sovietica divenne improvvisamente fortissima in quanto le migliori forze russe erano state dislocate in difesa di quello che Stalin considerava il perno della futura offensiva su Mosca. Vi furono feroci combattimenti che si svolsero per le strade della città, ambiente in cui i russi si trovavano perfettamente a loro agio, al contrario dei tedeschi che la consideravano una "guerra per topi" e la conseguenza fu che la velocità dell'avanzata tedesca diminuì drasticamente. 

Hitler, intanto,vedeva passare i giorni senza che le sue preziose unità corazzate potessero districarsi dai combattimenti in corso a Voronezh, nella zona nord del fronte, per lanciarsi velocemente verso sud est nella prevista manovra di accerchiamento delle forze russe poste a difesa dell'ansa del Don. Il dittatore nazista incolpò Von Bock di questi ritardi che stavano facendo fallire i suoi obiettivi strategici. Fino a quel momento, infatti, nei primi dieci giorni dell'"Operazione Blu" erano stati catturati appena settantamila prigionieri ed il Furher era sempre più insoddisfatto di come procedeva l'offensiva. Ordinò pertanto una serie di movimenti per effettuare un accerchiamento nella zona di Millerovo, dove credeva che vi fossero consistenti forze russe. Von Bock era di diverso avviso e protestò ritenendo che quella manovra si sarebbe risolta in un nulla di fatto in quanto le truppe sovietiche erano ormai più ad est. Quando la tenaglia si chiuse furono catturati soltanto 50.000 prigionieri e fu chiaro che Von Bock aveva avuto ragione. 

A quel punto Hitler prese una decisione gravida di conseguenza: ordinò alla quarta armata corazzata di dirigersi verso sud, in direzione di Rostov, dove insieme prima armata corazzata avrebbe dovuto prendere parte ad un altro tentativo di accerchiare i Russi. Ancora una volta Von Bock protestò per questa decisione che, costituiva un grave errore per più motivi. In primo luogo privava le forze tedesche che avanzavano su Stalingrado della maggior parte dei reparti corazzati. In secondo luogo concentrava troppe forze corazzate nel settore meridionale del fronte. Come ebbe a dire dopo la guerra il generale tedesco Von Kleist, comandante della Prima Armata Corazzata, anch'essa impegnata in quel settore (vedi Basil Liddell Art, "The German Generals talk"( parlano i generali tedeschi) pagine 169 - 171), la quarta armata corazzata avrebbe potuto, in quei giorni di luglio, prendere Stalingrado quasi senza combattere perchè allora non vi erano consistenti truppe russe a difenderla. 

Hitler invece la spedì a sud dove intasò le colonne di rifornimenti di Kleist, salvo poi rispedirla di nuovo a nord a quando ormai era troppo tardi. In realtà, il Furher, con le direttive n. 44 e 45 emanate in quel luglio 1942 (quest'ultima nota come "Edelweiss"), aveva radicalmente modificato l'articolazione dei suoi attacchi così come stabiliti nel "Piano Blu". Adesso egli non voleva attendere la conquista di Stalingrado e del Volga per lanciare le sue forze in direzione del Caucaso. Egli era deciso adesso a perseguire i due obiettivi contemporaneamente ed in conformità a questa nuova impostazione smembrò il gruppo di Armate sud comandato da Von Bock, con la creazione di un nuovo gruppo di armate, denominato "A", al comando del quale fu posto maresciallo List, il cui obiettivo era la conquista del Caucaso. Von Bock protestò di nuovo osservando che in questo modo lo sforzo offensivo tedesco veniva pericolosamente disperso e, per tutta risposta, il 15 luglio 1942 Hitler lo destituì dal comando nominando in sua sostituzione il barone Von Weichs, che cedeva il comando del suo sottogruppo di armate a Von Salmuth. 

Von Bock, amareggiato per quella che riteneva un'ingiusta punizione, in privato esclamò: "Non c'è niente da fare, sono stato usato come capro espiatorio". La notizia venne inizialmente nascosta al popolo tedesco, tanto era il prestigio del vecchio feldmaresciallo. Ma, Fedor Von Bck, dopo 45 anni di onorato servizio prima nell'esercito imperiale tedesco e poi nella "Wermacht", non avrebbe più avuto alcun comando nella seconda guerra mondiale.

Intanto, Manstein, rientrato, apprende con tutta sorpresa che la sua armata non avrebbe proseguito le operazioni nel settore meridionale del fronte, come egli si aspettava, ma era destinata ad essere smembrata! Due corpi di armata, con tutta l'artiglieria d'assedio, dovevano risalire la Russia dirigendosi nel settore di nord dove dovevano contribuire all'offensiva finale contro Leningrado (Stalingrado). Una divisione sarebbe stata prelevata per rafforzare le riserve del gruppo di armate centro ed un'altra mandata a Creta.  In Crimea sarebbero rimaste solo un paio di divisioni tedesche ed alcune truppe rumene. Con questa decisione Hitler si contraddiceva in quanto da una parte aumentava gli obiettivi della sua offensiva ma, incredibilmente, indeboliva le forze che dovevano attuarla.
 Intanto, passato il fiume Mius, le truppe tedesche avanzano per eseguire i nuovi ordini del Furher.
 Il 23 luglio entrarono a Rostov, che, nell'inverno precedente era stata oggetto della prima ritirata di un reparto tedesco dall'inizio della guerra. Di più, essa era stata la causa delle dimissioni dal comando del settore meridionale del più prestigioso feldmaresciallo della "Wermacht": Von Rundstedt. 
La riconquista di Rostov sembrava essere per l'esercito tedesco un ottimo auspicio per il futuro. Ma, più a nord, l'avanzata tedesca in direzione del Volga e di Stalingrado aveva subito un drastico rallentamento. Il signore della guerra nazista aveva infatti concentrato quasi tutti i suoi mezzi corazzati nell'attacco a Rostov e, pertanto, la sesta armata di Von Paulus, priva dell'aiuto della quarta armata corazzata, marciava lentamente verso Stalingrado. 

Per di più, per ordine del Furher, l'afflusso dei rifornimenti doveva privilegiare le truppe incaricate di conquistare il Caucaso ed i suoi preziosi giacimenti petroliferi. Questa impostazione della manovra capovolgeva l'impostazione originaria dell'"Operazione Blu" che prevedeva due offensive sfalsate nel tempo. Secondo il piano le armate naziste dovevano infatti prima raggiungere il Volga, e soltanto dopo, presa Stalingrado, dirigersi verso sud in direzione del Caucaso. 
Adesso Hitler iniziava questo attacco senza aver conseguito il primo obiettivo che ne costituiva la necessaria premessa strategica. Ma vi era un altro elemento preoccupante: il grosso delle forze sovietiche era sfuggito ai tentativi di accerchiamento effettuati dai tedeschi. Il nemico pertanto non era affatto completamente battuto come Hitler credeva (o voleva far credere ai suoi generali). Inoltre il fronte a nord di Stalingrado, durante l'avanzata della sesta armata si allungava sempre più e veniva presidiato con truppe ungheresi, italiane e rumene. 
Ciò si era reso necessario in quanto era evidente che non vi erano sufficienti truppe tedesche per presidiare linee così estese. La conseguenza logica era che non vi erano risorse sufficienti per condurre due offensive contemporaneamente. 

Negli ultimi giorni di luglio il dittatore nazista si rese conto di avere sbagliato a privare la manovra di avvicinamento a Stalingrado del grosso delle sue truppe corazzate. Pertanto il 31 luglio 1942 ordinò alla quarta armata corazzata guidata da Hoth di dirigersi verso nord est per congiungersi con le forze di von Paulus cercando così di intrappolare i sovietici prima che avessero la possibilità di ritirarsi all'interno della città. In un certo senso era un ritorno parziale al piano originario (anche se due divisioni corazzate della quarta armate furono comunque trattenute nel Caucaso). 
L'offensiva tedesca, come aveva acutamente osservato Von Bock al momento della sua destituzione, "era stata divisa in due". La domanda da porsi era questa: avrebbe trovato la "Wermacht" le forze per raggiungere contemporaneamente i due obiettivi prefissati dal Furher: il Volga ed il Caucaso? 
In quella torrida estate del 1942 ciò sembrava possibile ad Hitler. Egli però non immaginava che le fortune dell'Asse avevano ormai raggiunto il loro zenith e che sarebbero inaspettatamente crollate di lì a pochi mesi. 
"L'operazione Blu" (parte quarta)
Intanto, agli inizi di agosto 1942 finalmente la sesta armata era riuscita, con una manovra a tenaglia, ad accerchiare alcuni consistenti reparti sovietici presso Kalach.
Furono catturati circa 50.000 soldati russi, altrettanti rimasero uccisi, ed oltre mille tra veicoli blindati e carri armati furono distrutti. Ma si trattò di un successo troppo limitato che non permise ai tedeschi di evitare che la maggior parte di sovietici riuscisse a ritirarsi oltre il Don sottraendosi così all'accerchiamento.
L'adozione del principio della difesa elastica da parte dei russi ormai non sorprendeva i generali nazisti. Infatti Hitler, in modo misterioso, era venuto a conoscenza della direttiva emanata il 13 luglio precedente dallo "Stavka", l'alto comando sovietico, con la quale si autorizzava i comandanti sul campo a sottrarsi alle manovre aggiranti poste in essere dai germanici mediante tempestive ritirate. Intanto, da sud ovest, stava arrivando la quarta armata corazzata di Hoth e, pertanto, Von Paulus e Von Weichs concepirono un piano di attacco che doveva portate alla conquista di Stalingrado così congegnato: la città sarebbe stata investiva da nord dalle divisioni corazzate di Von Paulus e da sud dai carri armati della IV armata panzer. 

Così, dopo aver perso alcuni giorni per riorganizzare le forze in vista del prossimo attacco, il 23 agosto del 1942, il 14° corpo corazzato, aggregato alla VI armata e comandato da Von Wietersheim, attraversò il Don e mosse senza indugio in direzione di Stalingrado provenendo da nord ovest. I sovietici si difesero con la forza della disperazione ma la 16^ divisione corazzata, comandata dal generale Hans Hube, riuscì a sfondare le linee sovietiche e con una rapida avanzata percorse i 60 chilometri che la separavano dai sobborghi della città. Ecco, alle 18 di quel 23 agosto 1942, che apparve ai carristi tedeschi la grande città nemica, con le sue ciminiere, i suoi silos, i suoi immensi complessi industriali. In questa sede occorre evidenziare che Stalingrado costituiva anche un simbolo, essendo una città sacra al bolscevismo ed a Stalin stesso, perchè alla guida di quest'ultimo nel 1918 (quando la città portava ancora l'antico nome di Zaritsin), le armate sovietiche avevano riportato una vittoria decisiva sulle truppe controrivoluzionarie. 

Adesso i soldati tedeschi potevano anche ammirare il Volga, il grande fiume che era l'obiettivo finale della loro offensiva nella quale stavano profondendo grandi sforzi da molto tempo. Le truppe di Hube avevano raggiunto il sobborgo di Rynok ed assistevano ai massicci bombardamenti operati dalla Luftwaffe per "ammorbidire" le difese della città. Vi era, fra le truppe tedesche, la convinzione che la vittoria era ormai vicina. L'ottimismo durò poco. Quando, nei giorni successivi, Hube cercò di proseguire in direzione di Spartakovka si trovò di fronte un' accanita resistenza russa rafforzata da numerose unità inviate in tutta fretta per ordine di Stalin. Addirittura dovette fronteggiare numerosi contrattacchi da parte di reparti corazzati sovietici equipaggiati con i temibili T34. La situazione di Hube divenne in poco tempo molto critica e, pertanto, chiese rinforzi. Ma le due divisioni motorizzate che facevano parte del suo corpo d'armata la 3^ e la 60^, erano rimaste indietro. Più lontane ancora erano le divisioni di fanteria di von Paulus che avanzavano lentamente, e faticosamente, nella steppa. 

Intanto la 4^ armata corazzata guidata dal generale Hermann Hoth, che costituiva l' altro braccio della tenaglia che doveva avvolgere Stalingrado, avanzava da sud. La potenza di questa formazione era stata molto diminuita da Hitler che aveva disposto che due delle sue migliori divisioni corazzate fossero lasciate a sud per aumentare le forze a disposizione per la conquista del Caucaso. Hoth inizialmente aveva impresso alla sua avanzata un buon ritmo ma, successivamente, a mano a mano che si avvicinava a Stalingrado, la resistenza dei russi si era irrigidita. Era chiaro che l'alto comando sovietico considerava Stalingrado ed il Volga come una "linea del Piave" e si preparava a difendere questa posizione con tutte le forze a sua disposizione. 
Vi furono dei feroci combattimenti che ebbero per oggetto le colline site nei pressi della città di Krasnoarmeysk, attorno al lago Sarpa e vicino all'abitato di Tundutovo. Da queste alture si dominava la zona meridionale della città e per questo motivo erano state fortificate dai russi. Hoth in questa lotta perse molti uomini e carri armati ma, riuscì, con un intelligente spostamento delle sue forze abilmente nascosto ai russi, a lanciare un attacco laterale il 29 agosto 1942, in direzione di Gavrilovka, che aggirò le linee fortificate del nemico. 

A questo punto le truppe corazzate di Hoth con una rapida avanzata, raggiunsero la ferrovia Stalingrado - Morozovsk il 30 agosto. Era un'occasione unica. Se il corpo corazzato di Von Wietersheim avesse marciato verso sud andando incontro ai carri armati di Hoth sarebbe stato possibile chiudere in trappola due armate sovietiche, la 62^ e la 64^, impedendo che potessero ritirarsi all'interno di Stalingrado. Ma Von Paulus non aveva la capacità di cogliere al volo le occasioni che la dea degli eserciti gli presentava. Egli era preoccupato per la difficile situazione del suo corpo corazzato, pressato da continui contrattacchi locali dei russi, e non ebbe il coraggio di distoglierlo da Rynok, dove si era trincerato. Probabilmente il generale tedesco giudicò questa mossa un azzardo troppo grande, una sorta di "o la va o la spacca", che avrebbe potuto permettersi una personalità estrosa come Rommel, ma non uno stratega da tavolino come Von Paulus. Pertanto inviò incontro alle truppe di Hoth le sue divisioni di fanteria che, naturalmente, si mossero con molta lentezza e soltanto il....

 3 settembre 1942 l'accerchiamento fu completato. Ormai però il grosso delle truppe russe era riuscito a fuggire ed a ritirarsi all'interno della città e pertanto la manovra di accerchiamento di fatto risultò un fallimento. Comunque, in quel momento, Von Paulus non si rese conto delle conseguenze di questa sua erronea decisione. Pensava di avere una superiorità di forze sul nemico che gli avrebbe permesso di conquistare la città senza troppi problemi o almeno così credeva. Era però evidente che la decisione di Hitler di sconvolgere gli equilibri dell'"Operazione Blu" aveva privato le forze che avanzavano verso Stalingrado delle risorse necessarie per intrappolare i russi nella grande ansa del Don. L'ordine di Hitler di anticipare l'offensiva volta alla conquista del Caucaso, senza attendere la conquista di Stalingrado ed il consolidamento del fronte del Volga, si sarebbe rivelato foriero di gravi conseguenze. Questa decisione del dittatore nazista era sta presa dopo la conquista di Rostov, avvenuta il 23 luglio del 1942. Hitler era più che mai deciso a dare il via senza ulteriori ritardi all'avanzata nel Caucaso che avrebbe dovuto assicurare alla Germania nazista i tanto agognati pozzi petroliferi di Baku, Grozny e Maikop. 

Le forze destinate a questa operazione erano state poste al comando del feldmaresciallo List e raggruppate in un nuovo gruppo di armate denominato "A" (quello che operava da Voronezh a Stalingrado era stato designato "B"). Ma il dittatore nazista voleva seguire personalmente questa operazione per darle il maggiore slancio possibile. Era convinto che questa nuova impostazione tattica dei russi, l'adozione della difesa elastica in luogo del tenace e fanatico arroccamento ad ogni metro di territorio adottato in precedenza, era la prova evidente che il nemico era ormai alla fine. L'Unione sovietica, come una belva ferita, cercava di fuggire rifugiandosi nella vastità del suo territorio. Hitler pertanto era deciso a moltiplicare i colpi, lanciando più offensive simultaneamente, pre dare ad esse la massima rapidità e finire così l'avversario. Pertanto, l'ala destra delle truppe di List, costituita dalla XVII armata tedesca e dalla terza rumena, doveva, dopo la presa di Rostov, conquistare il Kuban, occupare il litorale del mar Nero con le città di Novorossisk e Tuapse, entrare poi in Maikop e Batum. L'ala sinistra, formata dalla prima armata corazzata di Von Kleist e dalle due divisioni corazzate tolte ad Hoth, aveva invece il compito di avanzare in direzione di Grozny, altro importante centro petrolifero, occupare l'Ossezia, raggiungere il mar Caspio ed occupare Baku, percorrendo una distanza totale di 1.300 chilometri. 

Hitler rassicurò List, che temeva di non avere forze sufficienti per raggiungere tutti gli obiettivi prefissati, dicendogli che le truppe russe davanti a lui non avrebbero opposto alcuna resistenza apprezzabile in quanto si trattava di resti di armate già battute in precedenza ed ormai in rotta. Questa formidabile offensiva, avrebbe dovuto svilupparsi contemporaneamente all'altro grande attacco che stava per essere lanciato più a nord con obiettivo Stalingrado. Inizialmente le forze tedesche avanzarono rapidamente. Il 31 luglio del 1942 la "Wermacht" entrò in Asia. Superato il Don, le truppe tedesche dovettero oltrepassare la depressione formata dal fiume Manyc, dove i Russi fecero saltare una diga allagando così tutta la vallata, espediente che per un paio di giorni fermò i tedeschi. Superato questo ostacolo le truppe della "Wermacht" si inoltrarono attraverso la steppa infuocata ed il territorio dei Calmucchi. Il paesaggio si faceva molto diverso da quello della Russia europea. Vi era un caldo torrido, incontravano sempre nuove popolazioni che, pensando che i tedeschi fossero venuti a liberarli dal giogo sovietico, si ponevano a disposizione dell'invasore. Anziani dei villaggi tenevano davanti alle meravigliate truppe tedesche dei discorsi di benvenuto in lingue che nessuno di loro comprendeva. Intanto l'avanzata proseguiva e, il...
9 agosto 1942, le truppe tedesche entrarono in Maikop. L'obiettivo di Hitler di mettere le mani sul petrolio sovietico, condizione necessaria per la prosecuzione della guerra che, con l'entrata in scena degli Stati Uniti era divenuta una lotta ad esaurimento, stava dunque concretizzandosi. Però, come ebbero subito modo di accorgersi i tedeschi, i Russi avevano reso inutilizzabili i pozzi. Gli specialisti della compagnia mineraria iniziarono a lavorare per riparare i danni ma apparve chiaro che si trattava di un compito lungo e difficile. Intanto l'avanzata proseguiva a ritmo sostenuto anche se l'allungamento delle linee di comunicazione iniziava a creare dei problemi. 
Nella seconda metà di agosto le truppe tedesche a causa della carenza di rifornimenti e soprattutto di carburante dovettero quasi fermarsi. Hitler iniziava a dare segni di impazienza e non fu sufficiente a rincuorarlo la circostanza che il 21 agosto 1942 truppe da montagna tedesche avessero piantato la svastica sulla cima del Monte Elbrus. Nel settore sinistro del fronte del Caucaso l'avanzata proseguiva attraverso scenari fantastici, inimmaginabili per i soldati tedeschi. L'obiettivo era il fiume Terek, e poi Baku. Ma l'unica linea ferroviaria esistente (tra l'altro a scartamento diverso dal resto delle linee europee) non era in grado di assicurare i necessari rifornimenti, la rete stradale era praticamente inesistente e, pertanto, la "Wermacht" fu costretta a trasportare i rifornimenti servendosi di carovane di cammelli! Le truppe da montagna, impegnate nel Caucaso adoperavano i muli proprio come gli alpini italiani. Il rallentamento fu, a dire il vero, causato anche da un irrigidimento delle difese russe.

 Ma vi fu un altro fattore determinante: i crescenti combattimenti che si svolgevano nella zona di Stalingrado e che assorbivano una porzione crescente delle risorse a disposizione della "Wermacht". La mancata caduta di Stalingrado costringeva Hitler ad alimentare due offensive contemporaneamente con il rischio di non avere su nessuno dei due settori di avanzata le forze necessarie a conseguire una vittoria decisiva. Mentre infuriavano i combattimenti in quegli ultimi giorni di agosto e la guerra si apprestava ad entrare nel suo quarto anno, al Quartier generale di Hitler giunse una notizia sconvolgente: gli alleati erano sbarcati in Francia, a Dieppe! Si trattava di un'operazione molto limitata, quasi di "commandos" in grande stile, volta a saggiare le difese tedesche. Ma il contrattacco immediatamente lanciato dalla divisione di SS "Adolf Hilter" e dalla 10^ corazzata respinse brillantemente l'incursione. Nondimeno si trattò indubbiamente di un pericoloso campanello d'allarme: era evidente che prima o poi gli anglo - americani avrebbero tentato un'operazione in grande stile e la Germania avrebbe corso il rischio di dover combattere una guerra su due fronti. 

Era dunque una ragione in più per conseguire una rapida e decisiva vittoria ad est. Hilter, insoddisfatto di come procedeva l'offensiva nel Caucaso convocò a rapporto al suo quartier generale a Vinnitsa il feldmaresciallo List. L'esito dell'incontro non fu soddisfacente e, quando il feldmaresciallo chiese l'autorizzazione a costruire trincee in vista dell'incipiente inverno, Hitler non esitò a licenziarlo su due piedi. Ormai litigava in continuazione anche con il capo di stato maggiore generale, Halder, che fu costretto a dimettersi il 24 settembre successivo. I grandi protagonisti delle vittorie naziste, Von Bock, Von Rundstedt, Von Leeb, Halder, Brauchitsch, per vari motivi, erano stati tutti esonerati dal comando dal dittatore nazista che si mostrava sempre più insofferente alle critiche. 
L'avanzata nel Caucaso non raggiunse, malgrado gli sforzi profusi, nessuno degli obiettivi strategici che Hitler si era prefisso. Dopo la presa di Novorossisk, nessun altro successo viene centrato. Tuapse restò in mano ai russi. Tiflis non venne conquistata nè tanto meno Vladikaukas (Ordzonikidze). Dopo durissimi combattimenti la divisione di SS "Wiking" riuscì a stabilire una testa di ponte sul fiume Terek ma ogni sforzo per raggiungere Gzozny fu vano. 

Il 12 novembre successivo, alla vigilia della contro - offensiva sovietica a Stalingrado, sotto una tempesta glaciale, i tedeschi furono costretti a ripassare il Terek. Esso costituirà l'estremo limite dell'avanzata ad est della "Wermacht" nella seconda guerra mondiale. Intanto, più a nord, infuriava una lotta durissima nei pressi di Stalingrado. Dopo il fallito accerchiamento di fine agosto Von Paulus aveva riorganizzato le sue forze. Nei giorni successivi le truppe naziste strinsero la città in una morsa e, Hoth, con una brillante manovra, era riuscito ad impadronirsi delle alture di Krasnoarme e Kuperosnoye, situate a sud della città. Dal 13 novembre si svilupparono selvaggi combattimenti per le vie della città. I Russi si difendevano con accanimento ed anzi sembravano trovarsi a loro agio in questo tipo di lotta molto più dei loro avversari. I soldati tedeschi, per converso, non amavano questo tipo di combattimento che soprannominarono "Rattenrkieg", guerra per topi. Le perdite subite dai tedeschi erano molto pesanti nonostante l'aiuto fornito dalla Luftwaffe che, infaticabile, martellava i Russi. 

Questi terribili combattimento sarebbero proseguiti nei due mesi successivi strada dopo strada, casa per casa, ed avrebbero attirato in questa fornace il meglio delle due armate tedesche impegnate nel settore. Intanto per proteggere il lungo fronte che andava da Voronezh a Stalingrado, erano state posizionate tre armate fornite dai paesi alleati della Germania: la seconda ungherese, l'ottava italiana e la terza rumena. A sud di Stalingrado un ampio settore era tenuto dalla quarta armata rumena. In quel mese di settembre i Russi, con una serie di attacchi locali, si resero conto che ai lati della punta di ariete formata dalla VI armata di Von Paulus e della IV corazzata di Hoth erano state posizionate queste forze che, a causa del loro equipaggiamento gravemente deficitario, difficilmente avrebbero potuto resistere ad un attacco lanciato con mezzi corazzati. Fu in quei giorni di settembre che iniziò a prendere corpo l'idea, da parte dei russi, di lanciare una contro - offensiva invernale, approfittando della vulnerabilità di queste truppe che avevano una minore efficienza bellica rispetto ai tedeschi. Stava per iniziare il dramma di Stalingrado che avrebbe portato alla distruzione della sesta armata tedesca ed avrebbe rappresentato il punto di svolta decisivo dell'intera guerra.
"L'operazione Blu" (parte quinta)
L'offensiva tedesca, come abbiamo letto in precedenza, iniziata nel settembre 1942, proseguì a ritmo sempre più lento. A Stalingrado la 6^ armata di Von Paulus si lasciò irretire in una lunga battaglia di logoramento che, di fatto, favorì i Russi. Questi ultimi combatterono con una tenacia eccezionale contendendo agli attaccanti ogni metro del suolo di Stalingrado.
L'appoggio aereo della Luftwaffe poteva fare poco in quella città ormai ridotta ad un cumulo di macerie ed anche i carri armati tedeschi, costretti ad impegnarsi in combattimenti strada per strada, costituivano un facile bersaglio per gli avversari.

Questa lotta durissima si trasformò in una fornace che assorbiva una quantità sempre crescente di rifornimenti che, fatalmente, vennero a mancare alle truppe che dovevano conquistare il Caucaso. Pertanto, quando arrivò l'inverno, le armate naziste non avevano raggiunto nessuno degli obiettivi strategici che erano stati fisssati da Hitler. Anzi, si erano verificate due conseguenze negative: la prima era che i Russi, grazie al fatto che le migliori truppe tedesche erano impegnate nel vano tentativo di conquistare Stalingrado, poterono economizzare le forze e così iniziare a riunire due gruppi di armate con cui porre in essere una contro-offensiva.
La seconda era costituita dal fatto che la linea del fronte tedesco si era allungata a dismisura e, non essendo disponibili sufficienti truppe tedesche, erano state schierate alcune armate dei paesi satelliti della Germania (Italia, Romania, Ungheria). Fu su queste truppe, prive di carri armati e di artiglieria anticarro adeguata, che si abbattè la contro-offensiva russa il... 19 novembre 1942 che portò all'accerchiamento della 6^ armata a Stalingrado ed alla successiva distruzione di gran parte delle forze dell'Asse schierate sul Don, tra le quali vi era anche l'ottava armata italiana.

Ancora oggi gli storici dibattono sui motivi che furono all'origine del fallimento dell'"Operazione Blu". Lo storico inglese Basil Liddell Art, nella sua "Storia militare della seconda guerra mondiale", pone l'accento sul fatto che la riorganizzazione dei "corpi di armata" corazzati tedeschi in "armate" aveva determinato un appesantimento dei movimenti (l'armata era una struttura molto più complessa e perciò meno agile) che non avrebbe permesso alle truppe tedesche di effettuare quelle rapide manovre a tenaglia che avrebbero consentito di intrappolare le armate russe prima che queste ultime avessero la possibilità di ritirarsi oltre il Don in direzione di Stalingrado.

Lo storico inglese insiste inoltre sul fatto che le gravi perdite subite dalla "Wermacht" nel primo anno di guerra (oltre 1.100.000 di uomini), e la conseguente penuria di veterani, abbiano costituito un grave handicap che avrebbe rallentato l'avanzata delle forze tedesche. Raymond Cartier nella sua "Storia della seconda guerra mondiale" evidenzia invece l'insufficienza dei mezzi a disposizione di Hitler rispetto agli obiettivi che si era prefisso. Pertanto, conclude l'autore, l'offensiva era in ogni caso destinata al fallimento per mancanza di truppe sufficienti. L'autore non manca di sottolineare il grave errore commesso dal signore della guerra nazista di intraprendere l'avanzata nel Caucaso prima che Stalingrado fosse stata conquistata.
Questa decisione, e le sue conseguenze sfavorevoli per la "Wermacht", è menzionata anche da William Shirer nella sua "Storia del Terzo Reich". Paul Carell, nel suo testo in cui analizza l'intera campagna tedesca all'est, ricorda che in quella primavera estate del 1942 il signore della guerra tenne un comportamento contraddittorio.

E' noto che l'esercito tedesco era indebolito dalle perdite subite nel primo anno di guerra sul fronte orientale e, lo stesso Hitler, per questo motivo, aveva deciso che l'offensiva da lanciare nel 1942 sarebbe stata limitata al settore meridionale del fronte. Ma, inaspettatamente e contraddicendo questa premessa, nel suo ordine di guerra n. 41, contenente il piano operativo strategico per l'anno 1942, decise di traferire nel settore di Leningrado, all'estremo nord del fronte, l'intera undicesima armata di Von Manstein con le sue potentissime artiglierie che avevano preso la formidabile fortezza di Sebastopoli.
Così un'intera armata ed il miglior stratega della "Wermacht" venivano inopinatamente sottratti al fronte meridionale proprio mentre il baricentro dell'offensiva tedesca si sviluppava in direzione del Volga e del Caucaso.

Ma perchè Hitler aveva preso questa decisione che contrastava con tutte le sue direttive strategiche? Per comprenderlo dovremo fare un breve passo indietro e tornare alla tarda estate del 1941 quando le armate naziste avanzavano impetuosamente nel cuore della Russia e nulla sembrava poterle fermare. Nel settore nord del fronte le truppe della Prima divisione corazzata avevano infatti spezzato le ultime resistenze della cintura difensiva di Leningrado e si apprestavano ad attaccare direttamente la città. Il quartiere periferico di Urizk era già stato occupato dove vi era il capolinea dei tram diretti alla grande metropoli.
Anche Schlsselburg era stata presa dal gruppo di combattimento Harry Hopp e dal 76° reggimento di fanteria. Dalle alture di Duderhof le truppe tedesche potevano osservare la grande città nemica, sacra ai Soviet perchè portava il nome del padre della rivoluzione russa.

Le forze russe poste a difesa della città erano in preda al panico per l'improvvisa apparizione dei carri armati tedeschi ed i soldati della "Wermacht" erano convinti che la caduta della città nemica fosse imminente. Ma ecco che improvvisamente il 24 settembre 1941 arrivò l'ordine perentorio di Hitler di "sospendere l'attacco e di dirottare le forze corazzate verso sud in direzione di Mosca! "

Gli ufficiali carristi della prima divisione corazzata non credevano ai loro occhi, Erano partiti dalla lontana Prussia Orientale per ragguingere Leningrado ed adesso che l'obiettivo era a portata di mano arrivava l'ordine di fermare l'avanzata! Il malcontento dei suoi soldati giunse fino alle orecchie del Furher perchè Hitler giustificò la sua decisione dicendo che intendeva prendere Leningrado per fame: voleva scongiurare così il rischio di una battaglia fra le macerie che avrebbe favorito i Russi. Egli inoltre temeva che i sovietici riempissero la città di mine come era avvenuto a Kiew ed a Charkhow causando gravi perdite ai tedeschi.

Ma questa sua decisione si rivelò un gravissimo errore strategico carico di conseguenze. Infatti un'intera armata tedesca, la diciottesima, rimase immobilizzata nell'assedio. Inoltre la zona di Leningrado, con il suo potente centro industriale ed il suo grande porto, il più importante del Baltico, restarono in mano sovietica. In questo modo egli aveva anche salvato le circa 42 divisioni russe che erano state rinchiuse nella sacca di Oranienbaum e nella città di Leningrado. Esse, pur ridotte a mal partito, poterono usufruire di una insperata sosta dei combattimenti ed ebbero così il tempo di riorganizzarsi.

Ma gli aspetti più negativi di questa sciagurata decisione del signore della guerra nazista furono soprattutto il mancato collegamento con le forze finlandesi (dopo la guerra il maresciallo Mannerheim, comandante delle truppe finlandesi disse che per tutta la guerra avevano dovuto portare il pesante fardello di quest'errata decisione di Hitler) ed il fatto che attraverso il lago Ladoga la città e le sue truppe potevano ancora ricevere rifornimenti e continuare la resistenza. A quel punto il dittatore nazista si rese conto del grave errore che aveva compiuto. Dunque l'occupazione di Leningrado era sicuramente auspicabile nel 1941 ma, per opposte ragioni, non lo era più nel 1942. Ciò che era giusto un anno prima adesso era completamente errato.
La decisione di Hitler di dirottare a nord l'unidcesima armata di Manstein ebbe come conseguenza di privare il fronte meridionale di forze preziose che sarebbero state utilissime per rendere più rapida e decisa l'avanzata verso Stalingrado.
Malgrado questo comunque non è possibile affermare con certezza che Hitler non ebbe a disposizione forze sufficienti nella sua avanzata verso il Volga. Non dobbiamo infatti dimenticare che l'Operazione Blu, nelle sue fasi iniziali, si era avvantaggiata di alcune circostanze molto favorevoli. Infatti la temeraria offensiva sovietica a Charchov del maggio 1942 si era risolta in una grave sconfitta per i Russi che avevano bruciato inutilmente le loro riserve. Pertanto, quando i tedeschi attaccarono, i loro avversari erano a corto di effettivi. Hitler, inoltre, malgrado l'incidente di Reichel, era riuscito a sorprendere i Russi che si aspettavano un attacco in direzione di Mosca ed in quella zona avevano concentrato le migliori truppe a loro disposizione. Per questo motivo l'attacco nel settore meridionale li colse impreparati. Lo sfondamento realizzato con il primo urto era la prova che la "Wermacht" poteva ancora realizzare rapide avanzate.
Ma il dittatore nazista non organizzò i movimenti delle sue truppe corazzate in modo da privilegiare quello che doveva essere il primo obiettivo da raggiungere: l'accerchiamento e la distruzione delle forze russe. L'accanimento nella conquista di Voronezh ed il conseguente impegno in quel settore delle divisioni corazzate che avrebbero dovuto convergere rapidamente verso sud per accerchiare i russi in ritirata nella grande ansa del fiume Don, costituì dunque il primo grave errore commesso da Hitler. Successivamente la decisione di iniziare subito la manovra nel Caucaso fece sfuggire l'opportunità di intrappolare davanti a Stalingrando le armate sovietiche che battevano in ritirata.
Questi errori furono causati dalla volontà di Hitler di dirigere personalmente l'offensiva dal suo quartier generale di Rastenburg. Ciò paralizzava l'azione dei generali tedeschi i quali non potevano sfruttare le opportunità tattiche che si presentavano. Il dittatore nazista si era inoltre privato dei suoi migliori strateghi, sostituiti da uomini meno brillanti che avevano quale unico merito quello di obbedire agli ordini del Furher.
Non bisogna poi dimenticare che in questa estate 1942 la "Wermacht" aveva difficoltà a fronteggiare i formidabili T 34 russi. I nuovi carri armati tedeschi modello "Tigre" e "Pantera" non erano ancora entrati in servizio e pertanto i reparti carristi dovevano fare affidamento sui vecchi (ed ormai superati) Mark III e Mark IV. Inoltre con passare del tempo il fronte del Mediterraneo richiedeva sempre maggiori risorse. La grande avanzata di Rommel si era arenata il 1 luglio 1942 ad El Alamein, proprio ad un passo da Alessandria. Mussolini, credendo che la conquista dell'Egitto fosse ormai prossima, si era recato in Africa dove aveva in animo di entrare trionfalmente in Alessandria.

Ma, il dittatore subì l'ennesima umiliazione di quella sciagurata guerra. Le truppe italo - tedesche dopo la lunga avanzata erano ormai esauste e non avevano la forza di proseguire oltre. Gli inglesi si ripresero rapidamente dalle batoste subite, grazie soprattutto ai rinforzi che affluivano dagli Stati Uniti, e fermarono agevolmente i deboli tentativi di Rommel di sfondare le loro linee. Il generale tedesco riuscì alla fine di agosto del 1942 a riorganizzare le sue truppe e sferrò il 30 agosto del 1942 una nuova potente offensiva nella zona di Alam Halfa. Ma trovò sulla sua strada centinaia di carri armati pesanti di produzione americana modello "Grant" che stroncarono la sua avanzata. Anche nei cieli si sentiva sempre più forte la presenza statunitense: alle centinaia (e di lì a poco migliaia) di aerei a stelle e strisce, che si aggiungevano ai velivoli inglesi, si opponevano pochi aerei dell'asse.

Questa sfavorevole situazione in Africa non poteva non ripercuotersi sul fronte russo. A partire dall'ottobre del 1942 consistenti reparti della Luftwaffe furono ritirati dal settore orientale e trasferiti nel Mediterraneo per aiutare l'alleato italiano in grave difficoltà. La perdita del dominio dei cieli sovietici costituì un ulteriore grave problema per le truppe tedesche che non potevano più contare sull'aiuto dei propri piloti che in molte occasioni avevano neutralizzato i potenti carri armati russi. In questa sede dobbiamo però evidenziare che più di ogni altra cosa ciò che fu fatale ad Hitler fu la sua convinzione che i Russi fossero finiti. Questa era una sua ossessione che lo portò a sottovalutare le capacità di ripresa del suo formidabile avversario e persino ad odiare chiunque osasse pensarla diversamente. E' in questa ottica che appare spiegabile la decisione di dirottare altrove l'armata di von Manstein, subito dopo la conquista di Sebastopoli, distogliendola dalla conquista del Caucaso.

La grande offensiva tedesca dell'estate del 1942 costituì comunque l'ultima chance della Germania nazista di vincere la guerra. Essa fu anche l'ultima volta che la "Wermacht" ebbe la forza di intraprendere un grande attacco su un settore molto vasto del fronte orientale. I contrattacchi effettuati nella zona di Charchov nei primi mesi del 1943 furono infatti azioni a livello locale. L'offensiva di Kursk, attuata nei primi di luglio del 1943, dovette essere interrotta rapidamente e costituì la prova che la "Wermacht" non era più in grado di vincere la guerra ad est. Ebbe così inizio -come vedremo più avanti- una disperata battaglia difensiva, poi di arretramento, che terminò tra le macerie del bunker di Hitler nel maggio del 1945.
Questa pagina è di GIOVANNI ARUTA
 BIBLIOGRAFIA: 
* Basil Liddell Art: "Storia militare della Seconda Guerra Mondiale" - Mondadori Milano - 1996. 
* Raymond Cartier: "La seconda Guerra Mondiale" - Mondadori - Milano - 1993. 
* William Shirer - "Storia del terzo Reich" - Einuadi Torino - 1962. 
* Autori vari: "In marcia verso Stalingrado" - Hobby e Work - Milano 1993. 
* Antony Beevor - "Stalingrado" - editrice BUR - Milano - 2000.
* Paul Carrel: Terra bruciata . Bur Milano 2000

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