UN ALTRA MUSICA

il '68 la "Primavera abbagliante"

SEGUIRONO Poi....nuvole oscure, raggi "sinistri" e "destri" inquietanti,
CHE calarono su  scenari di violenza e si posarono
su spettrali e oscure ombre "rosse" e "nere",
lasciando un lago di sangue.




LA CANZONE DEL '68 > > >
(richiede plug-in RealAudio® o RealPlayer®)

La voce della contestazione...
in diretta..... dalla piazza...>>>>

" Ragazzi...facciamo paura! Capite?
"loro" hanno paura di noi!!! ""

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Una generale panoramica degli eventi
prima di arrivare alle pagine con tutti i fatti.

 

Iniziamo con la MUSICA che è sempre il nostro tema centrale, poi - quanto al costume - subito dopo torneremo nuovamente a IGOR PRINCIPE per questo '68; lui (e poi anche altri) ci daranno un nuovo contributo sui fatti che non possiamo ignorare perché in Italia tra il 1966 e il 1969, furono gli anni che videro la nascita il progressivo affermarsi della protesta studentesca e non solo.
Infatti c'era anche dell' altro. Perchè comincia una sequenza di "tuoni" già a inizio anno, a Febbraio, e che va sempre più diventando "tempesta". Da "aver paura" "loro hanno paura di noi", come dicevano i contestatori.

Siamo lontani dal Grazie dei fiori dal Vola colomba, dal Papaveri e papere di Nilla Pizzi; dal Consolini con Vecchio scarpone; da Claudio Villa con Buongiorno tristezza; da Carla Boni con Casetta in Canadà; e lontanissimi pur recenti anche da Luciano Tajoli con Al di là o da Gigliola Cinquetti con Non ho l'età (che era appena ieri, il 1964).

In questo inizio '68 la RAI-TV trasmette Canzonissima; viene seguita da circa 22 milioni di spettatori. Mattatori della trasmissione: Mina, Walter Chiari e Paolo Panelli. Il festival di San Remo è invece seguita da 21 milioni di spettatori.
A questa manifestazione canora vince quest'anno SERGIO ENDRIGO con Canzone per te. Mentre al 2° posto ORNELLA VANONI interpreta Casa Bianca, e al 3° posto finisce CELENTANO e MILVA con Canzone.
Mentre FAUSTO LEALI (reduce da un grande successo con A Chi, ottiene il 4° posto ma é un grande successo con Deborah (che vendera 600.000 copie.
Fuori invece
il poliedrico ENZO IANNACCI canta una canzone singolare che avrà un grande successo: Vengo anch'io, no tu no e Ho visto un re, quest'ultima nasconde una graffiante satira sociale, ma é soprattutto la prima secondo l'immaginario collettivo che colpisce, ci vede il ruolo dell'emarginato che cerca ad ogni costo di entrare e inserirsi nella "primavera abbagliante" che è alle porte.

La prima avvisaglia fu prima ancora del Festival.

Ed é chiaro che fra tutte le altre istituzioni la prima ad entrare in crisi dentro una società cosi' organizzata fu la scuola. La spinta non poteva venire dalla fabbrica o dalla campagna, dalle valli o dalla montagna, ma venne dalle città metropolitane, da quelli che ora leggevano libri, giornali più dei loro professori e si incontravano a scuola e fuori.

15 GENNAIO - SI COMINCIA......

...... con gli studenti del Sacro Cuore ....."Città del Vaticano - Un centinaio di giovani - ragazze e ragazzi - sono stati seduti per cinque ore sul selciato di piazza San Pietro, distribuendo manifestini ciclostilati ai passanti....Erano studenti della facoltà di medicina dell'università cattolica del Sacro Cuore, che ha sede in Roma. La manifestazione si è svolta in silenzio e senza incidenti. Fra i dimostranti c'era anche MARIO CAPANNA, uno degli studenti espulsi dall'università cattolica di Milano. Alcuni cartelli chiedevano "un vero dialogo all'interno dell'università" altri citavano il concilio ecumenico e uno affermava "Dio ci ha dato la libertà, la Cattolica ce l'ha tolta"(Comun. Ansa, ore 21.31).

20 GENNAIO - "TORINO - Circa duemila fra professori e studenti si sono riuniti oggi in assemblea a palazzo Campana, sede della facoltà umanistiche; l'assemblea era presieduta dal rettore, Allara. Uno studente ha illustrato una "carte delle rivendicazioni", nella quale si critica l'apparato degli atenei, ridotto "a una serie di lezioni cattedratiche, di dicutibili seminari e di esami su base mnemonica"(Comun. Ansa, ore19.19)

20 GENNAIO - i tafferugli - "Pisa - Tafferugli si sono avuti oggi tra la polizia e gruppi di studenti che sfilavano in corteo per le vie del centro" (Comun. Ansa, ore 19.43)

27 GENNAIO - SI COMINCIA...... con le occupazioni - "Firenze -La facoltà di magistero dell'università è occupata da un gruppo di studenti che, come altri che occupano la facoltà di architettura, protestano contro il disegno di legge 2314, che, secondo loro "elude i problemi reali dell'università" (Comun. Ansa, ore 22.20.

31 GENNAIO - Ancora Torino. L'occupazione di Palazzo Campana, sede della Facoltà umanistiche durerà tre giorni; verrà sgomberata dalla polizia e poi chiusa. L'11 febbraio si estende la protesta a Padova; sono occupate cinque Facoltà; anche qui interviene la polizia e fra incidenti vari verranno denunciati 150 studenti. Il 17 tocca a Pisa; altra occupazione e altro sgombero della polizia nello stesso giorno. Ma la scena si ripeterà il 18 e il 19 e il 20 citato sopra.
A Firenze scatta l'occupazione il 23, si protrae fra sgomberi della polizia e rioccupazione di tre Facoltà fino alla fine del mese. Fra cortei e barricate la polizia il 23 (vedi sopra comunicato) ha l'ordine di intervenire per lo sgombero. E non usa la mano leggera ma effettua diverse cariche e numerosi arresti. Il 24 è la volta di Lecce e il 25 quella di Siena.
Il 31 a Trento gli studenti di sociologia si barricano nella loro Facoltà occupandola a oltranza. Un gruppo di cittadini di Trento ancora il 30 marzo quindi dopo due mesi, con una manifestazione davanti al duomo dove sorge l'Università cercheranno di sfondare le porte lanciando contro gli studenti occupanti, casse e casse di mele trentine. La polizia interverrà piu' volte ma si limiterà sempre a un controllo molto blando, anche se qualche incidente viene comunque segnalato.

23 FEBBRAIO SERA - SI COMINCIA...... con i primi feriti: " Roma - L'eccitazione sta crescendo. Il ferimento di una studentessa che alcuni studenti affermano sia stata percossa da un agente - è sfociato in numerosi episodi di violenza. Gli studenti hanno cominciato a urlare alla polizia "Assassini, assassini!" (Comun. Ansa, ore 14.30)

27 FEBBRAIO - SI COMINCIA.... con i primi convegni - Si riuniscono a Bologna al loro primo convegno nazionale i gruppi spontanei del "dissenso cattolico". Invocano la liberazione politica dei credenti e desiderano ad ogni costo staccarsi dalla sudditanza del partito referente sempre piu' legato al sistema capitalistico che incessantemente con ogni mezzo va promuovendo l'individualità competitiva per un solo obiettivo: il profitto.
Questi gruppi, che sono una vera e propria novità, vogliono edificare una reale democrazia non con individui isolati - borghesi e proletari - ma soggetti popolari dentro una società in cui sia possibile una qualità della vita, con nuovi rapporti umani, e non una informe burocratizzazione che sta spingendo l'uomo nella alienante razionalizzazione tayloristica esistenziale dove è bandita sempre piu' spesso la socializzazione. (nei nuovi grandi quartieri che nascono nelle periferie nessuno pensa a un piazza, a un ritrovo, a una serie di negozi, a delle attività artigianali. Si costruiscono solo alveari dormitori).

Ma leggiamo cosa scriverà ENZO SICILIANO (Vita di Pasolini) "A rendersi conto di cosa stava avvenendo fu PASOLINI con il suo intuito. La battaglia la bollo' come "fascismo di sinistra" . L'intuito pasoliniano aveva già inteso quale trasmutazione si stesse verificando, e con quali conseguenze, in una parte della gioventu' contestatrice, sia in quella di ispirazione comunista sia in quella cattolica...." "...Nella rubrica Il Caos, (sul settimanale Tempo illustrato", dove inizio' a collaborare dal 6 agosto fino al gennaio 1970) il 28 settembre 1968, aveva spiegato quale fosse la radice del "fascismo di sinistra", vi antivedeva la nascita del terrorismo". 
"....Pasolini intui' in anticipo su moltissimi che il "maggio" studentesco italiano non aveva nulla della rivoluzione culturale maoista cui pure si ispirava: ma era una cifrata rivolta della borghesia contro se stessa". Pasolini visse la polemica in conflitto con se stesso. Polemizzava con "Lotta continua", ma presto' a quel giornale il proprio nome come direttore responsabile prendendosi il rischio delle denunce (e se le prese). Gli si rinfacciava dunque l'ambiguità. Ma lui taglio' corto, fu quasi lapidario, alla Voltaire: "Non posso piu' credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa".

PASOLINI dopo, alla prossima battaglia di "Valle Giulia" scrisse a caldo dei versi (lui disse "brutti versi") che uscirono in anteprima sull'Espresso e diedero subito fuoco alle polveri della polemica. Ma Pasolini era il "perturbatore della quiete", sempre un "ospite scomodo", sempre in un posizione di "sfida", e sempre pronto a buttarsi con sprezzo del pericolo "dentro nell'equivoco", era il suo pane quotidiano. Ogni opera, ogni film, ogni romanzo, ogni articolo: sempre una sfida! E spesso anche in contraddizione con se stesso, anzi l'ambiguità e la contraddizione la teorizza.

25 MARZO - "Roma - IL MOVIMENTO ATTACCA IL PCI . "Un manifesto affisso alla facoltà di lettere e firmato "Movimento studentesco" denunzia il "tentativo del PCI di strumentalizzare la lotta degli studenti, rifiutandone i contenuti politici". Alle 11 uno studente, salito sulla scalinata del rettorato, ha annunciato la costituzione di un "Comitato studenti rivoluzionari" per "radicalizzare la lotta in senso antiborghese e antiriformista" (Ag. Ansa, ore 14.01)

30 MARZ0 - Le stesse rivendicazioni fatte dai lavoratori alla Pirelli Bicocca di Milano le fanno ora a Torino gli operai della Fiat. Chiedono piu' umani orari di lavoro e dicono basta alla produzione a cottimo. In pieno dissenso con i sindacati, ora, nel mondo operaio, stanno sorgendo dei gruppi autonomi. Anche qui i CUB: i Comitati unitari di base, che non prendono piu' ordini dai sindacati, considerati bidonisti.

31 MARZO - Le ondate di protesta contro la guerra in Vietnam aumentano. JOHNSON, il presidente degli Stati Uniti, improvvisamente sospende i bombardamenti e nello stesso tempo annuncia che non si presenterà alle elezioni presidenziali. Ormai la sua popolarità nei sondaggi sta calando paurosamente e alcuni nelle manifestazioni ricordano che non è un presidente eletto dal popolo, ma solo un vice diventato presidente e che si è trovato rieletto sotto l'emotività dell'assassinio di John Kennedy. Poi il "fattaccio"!  Proprio il fratello dell'ex presidente, Bob, che  aveva annunciato pochi giorni prima, il 17 marzo, che si candidava contro Johnson, annunciando il suo programma "cessazione della guerra in Vietnam, perchè l'America sta attraversando un momento pericoloso". il 5 giugno verrà assassinato.

In questo mese di Marzo siamo dentro in pieno nella esaltante "Primavera abbagliante".

ma diamo la parola a IGOR PRINCIPE......

"...Il primo marzo, sì, me lo rammento / saremo stati in millecinquecento / e caricava la polizia / ma gli studenti la cacciavan via / No alla scuola dei padroni / Via il governo, dimissioni...". Lette queste parole, non si fatica a riportare la memoria a un anno e a un luogo preciso: 1968, Roma, Valle Giulia.

I versi sopra di Paolo Pietrangeli fotografano quello che viene considerato l'atto iniziale dei dieci anni più turbolenti del secondo dopo guerra italiano: gli scontri tra la polizia e gli studenti della facoltà di Architettura della capitale.
Oggi andiamo dicendo tutto ciò risale a molti anni fa; tuttavia, molte domande concernenti quegli anni non hanno ancora trovato risposta, né giudiziaria né storica.

Con questo articolo rispolveremo i fatti accaduti in Italia tra il 1966 e il 1969, anni che videro la nascita e il progressivo affermarsi della protesta studentesca.

A metà degli anni '60 il mondo occidentale evidenziava benessere economico e stabilità sociale. Scongiurato il pericolo di una terza - e definitiva - guerra mondiale con l'attenuarsi degli attriti tra Usa e Urss, la vita di tutti i giorni aveva ripreso a seguire i suoi ritmi naturali, che per milioni di individui erano scanditi dagli orari degli uffici e delle fabbriche. Il sogno di un'esistenza serena, agognata - soprattutto in Europa - durante i durissimi giorni della ricostruzione successiva al 1945, si era per molti realizzato, e negli anni '60 si poterono toccare con mano i primi risultati del cosiddetto "miracolo economico". Un numero sempre maggiore di famiglie poteva permettersi cose che, fino a pochi anni prima, erano viste come lussi irraggiungibili: l'automobile, la televisione, le ferie al mare.

Insomma, il lunghissimo periodo di instabilità che cominciò con la Guerra sembrava definitivamente consegnato alla storia, scalzato dall'idea di un mondo finalmente in pace con se stesso. Ma sotto la coperta della stabilità covava un germe di ribellione. Alla lunga, la società di quel tempo si dimostrò provinciale e un po' bigotta, e rivelò le sue prime rughe.

I padri di famiglia, appartenenti a una generazione che visse in prima persona la tragedia della seconda guerra mondiale, rivendicavano il diritto di vivere in santa pace senza scossoni; i loro figli, invece, si accorsero che col ritrovato benessere stava affermandosi una società immobile. I papà erano orgogliosi di aver tagliato il traguardo delle famose "tre emme" (Macchina, Mestiere, Moglie), che - appunto - significavano tranquillità.

I figli, dal canto loro, cominciarono a sentirsi ingabbiati. Ad accentuare l'inquietudine dei giovani contribuirono la musica e la letteratura: erano, quelli, gli anni dei Beatles, dei Rolling Stones, di Bob Dylan. In Italia c'erano gli "urlatori", capeggiati da Celentano. Dallara. Sul versante letterario, un urto violento si ebbe con la Beat generation: il mito di una vita "On the road", priva di schemi, che faceva proseliti tra i giovani americani.

I genitori non gradivano questa incessante richiesta di libertà da parte dei loro figli, né riuscivano a comprendere le ragioni del loro rifiuto di una vita normale. Così lo steccato tra due generazioni crebbe sempre di più e si arrivò al primo atto di protesta. Durante gli ultimi mesi del 1964, l'università californiana di Berkeley era stata occupata dagli studenti, guidati da un ragazzo di chiare origini italiane, Mario Savio. Fu, quello, lo squillo di tromba che annunciò l'inizio della Contestazione. Il vento che soffiava dalle coste della California giunse in Europa tre anni più tardi.

L'Italia fu il primo paese del vecchio continente a recepire il messaggio della protesta che veniva di là dall'oceano: il 9 febbraio a Milano, vengono arrestati due anziani tipografi e sei giovani studenti e lavoratori. La principale imputazione che grava sul capo di alcuni di loro è quella di aver diffuso volantini a favore dell'obiezione di coscienza, in questo modo istigando i militari alla disobbedienza. Un vero e proprio caso, però, scoppia - sempre nel capoluogo lombardo - il 22 dello stesso mese, con l'incriminazione di tre studenti e del preside del liceo ginnasio Parini, Daniele Mattalia.

Accusa: incitamento alla corruzione. Causa di tanto rumore fu una studentesca inchiesta pubblicata sul giornalino dell'istituto, La zanzara. I redattori, affrontando il tema del sesso, scrissero: "Vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole, a patto che ciò non leda la libertà altrui. Per cui assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità". L'inchiesta continuava: "Sarebbe necessario introdurre un'educazione sessuale anche nelle scuole in modo che il problema sessuale non sia un tabù, ma venga prospettato con una certa serietà e sicurezza". Quindi, la conclusione: "La religione in campo sessuale è apportatrice di sensi di colpa".
Il tenore di queste frasi, oggi, fa pensare alla scoperta dell'acqua calda. Ma prima i preti poi la magistratura reagirono con la rabbia di chi subisce un'ustione.

Gli studenti e il preside furono rinviati a giudizio, e solo il presidente del tribunale dimostrò un minimo di equilibrio, pronunciando un giudizio di assoluzione accompagnato dalle seguenti parole: "Non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza senza atteggiarvi a persone più grandi di quello che siete". L'episodio del Parini, conclusosi per il meglio, può essere visto come l'accensione della miccia di una bomba che sarebbe esplosa poco dopo.

Partita da un liceo, la protesta si estese alle università, il cui mondo viveva nel subbuglio creato dal disegno di legge "ventitrè-quattordici" (dal numero, 2314), presentato dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui. L'ultima riforma universitaria si era avuta durante il Ventennio, ma a partire dagli inizi degli anni '60 il popolo degli aspiranti alla laurea era cresciuto a dismisura (più del 100%). Per evitare il collasso - che poi si ebbe comunque - il ministro proponeva una serie di interventi, tra i quali l'istituzione di tre titoli: diploma al biennio, laurea, dottorato di ricerca.

La "2314" incontrò l'ostilità parlamentare del Pci - che ne chiedeva numerosi emendamenti - ma soprattutto il vero e proprio muro da parte dei diretti interessati, gli studenti.
La prima protesta si levò dall'ateneo di Trento, la cui vicenda è paradossale. Voluta da Flaminio Piccoli e da altri notabili dell'entourage democristiano, l'università trentina - e in particolare la sua facoltà di sociologia - avrebbe dovuto essere la fabbrica dei pensatori cattolici. Ma accadde che lì invece si formarono uomini quali Mauro Rostagno, Renato Curcio, Margherita Cagol, Marco Boato, cioè i cervelli della contestazione (e, più tardi, del partito armato), che agli inizi diedero il via alla catena delle occupazioni che paralizzò il mondo accademico italiano. Dopo Trento fu la volta della Cattolica di Milano, quindi Torino, prima con architettura e poi con le facoltà umanistiche, dove l'occupazione durò un mese prima di essere interrotta dall'intervento della polizia. E fu proprio a Torino che la battaglia contro l’autorità accademica conobbe i suoi momenti più alti.

Gli studenti mettevano in discussione i metodi, i contenuti della didattica e il potere del professore. Questi - come scrivono Montanelli e Cervi ne "L'Italia degli anni di piombo" - "era (...) un barone che non aveva mai speso un po' del suo tempo e della sua pazienza per capire e avvicinare gli studenti".
Di fronte a questo distacco, la massa degli studenti - non più solo ex liceali, ma anche provenienti dagli istituti tecnici e dalle università - reagì proponendo un modello di insegnamento che aveva il suo vertice nell'esame "alla pari" tra il docente e l'allievo. Quel momento, lungi da qualsiasi tipo di valutazione, doveva essere visto come un confronto il cui esito non poteva che essere positivo.
Accanto a rivendicazioni di questo tipo convivevano forme di protesta decisamente folcloristiche, tra le quali primeggiavano la distruzione e il rogo dei libri di testo, considerati strumenti di un insegnamento ormai destinato ad andare in pensione.

Dinanzi a tanto rumore, la maggioranza dei "baroni" accantonò il "titolo nobiliare" e si dimostrò estremamente indulgente, permettendo agli studenti ogni cosa; una minoranza invece, resistette, o tentò di farlo . Vediamo ora come, grazie a un curioso effetto boomerang, la contestazione ritornò nelle aule di liceo. Abbiamo visto che le prime scosse del terremoto studentesco ebbero come epicentro il "Parini", a Milano. In seguito, il ruolo di guida della contestazione fu assunto da uno dei licei più in auge nell'ambiente borghese della capitale: il "Mamiani".

Situato al quartiere Prati - una delle zone più eleganti di Roma -, l'istituto era frequentato soprattutto dai cosiddetti figli di papà. I quali figli, tuttavia, dovevano obbedire ad un regolamento interno oltremodo rigido: ingressi e banchi separati per maschi e femmine, grembiule nero o blu per le fanciulle, divieto di rossetto e cosmetici, intervallo separato per rispetto delle "elementari norme igieniche".
Esposti a un vento di protesta potente quanto un tifone, gli alunni del "Mamiani" - dopo anni di clausura ( e di "no tu no") - non poterono che cogliere al volo la possibilità di sovvertire l'ordine costituito in nome del suo esatto contrario: cominciò quindi un'interminabile sequenza di occupazioni, sistematicamente accompagnate da provvedimenti disciplinari. Cos' il Sessantotto fece il suo ingresso anche nella scuola più "reazionaria" di Roma. La protesta degli studenti, quindi, si allargava a macchia d'olio in tutta Italia, coinvolgendo la quasi totalità delle scuole medie superiori e delle università.

Spesse volte, le occupazioni venivano sciolte grazie all'intervento delle forze armate; tuttavia, sino a quel momento, non si poté parlare di veri e propri scontri tra studenti e polizia. La situazione mutò dal 1° Marzo. Quel giorno, come abbiamo accennato, è da tutti considerato l'inizio del Sessantotto, cioè della lotta contro il Sistema e i suoi difensori. Casus belli fu l'ordine di serrata della facoltà di Architettura, proveniente dal rettore Pietro d'Avack.

I locali - situati in via di Valle Giulia, presso Villa Borghese - erano presidiati dalle forze di Polizia. Gli studenti che componevano il "comitato di agitazione" decisero allora di sbloccare la serrata. Racconta Oreste Scalzone, leader tra i più carismatici della protesta: "Arrivammo sotto quella scarpata erbosa e cominciammo a tirare uova contro i poliziotti infagottati, impreparati, abituati a spazzar via le manifestazioni senza incontrare resistenza. Quando caricarono, non scappammo. Ci ritiravamo, su e giù per i vialetti e i prati della zona, armati di oggetti occasionali, sassi, stecche delle panchine e roba simile. Qualche "gippone" finì" incendiato...".

Bilancio della giornata: 148 poliziotti e 47 dimostranti feriti, 4 arresti, duecento denunce. Ma quel che più conta, è che a "valle Giulia" l'iniziativa dell'attacco venne dagli studenti. Fu una svolta fondamentale nella storia del movimento studentesco: infatti, in quell'occasione, comparve per la prima volta un elemento che, in seguito, fu protagonista di innumerevoli manifestazioni. Si tratta del "servizio d'ordine", che avrebbe presidiato ogni corteo dalle repressioni ordinate dalle pubbliche autorità. Le quali, invece, dimostrarono una certa indulgenza nei confronti dei dimostranti del 1° Marzo (i cui fermati furono rilasciati poco dopo su pressioni del Governo che, inoltre, ordinò a D'Avack di riaprire l'università) e degli occupanti del "Mamiani" (per i quali furono sospesi i provvedimenti disciplinari). La lotta, però, era cominciata, e sarebbe durata a lungo.

Il Sessantotto, s'è detto, non fu un fenomeno solo italiano, ma di dimensioni mondiali. All'episodio di Roma seguirono le manifestazioni in Francia, in Germania, in Giappone, addirittura a Città del Messico. Quest'ultima si concluse tragicamente: il 3 ottobre in piazza delle Tre Culture, la polizia aprì il fuoco sugli studenti, trecento dei quali persero la vita. La contestazione non risparmiò la Spagna, dove fu dichiarato lo stato d'emergenza. Ovunque, la protesta fu dettata dagli stessi motivi che animarono gli studenti italiani: istituzioni inadeguate, atenei che non favorivano la partecipazione dei giovani alla vita universitaria, professori "baronali".
Ma veniamo alla Francia, dove - a differenza di quanto accadde in Italia - la ribellione assunse connotati smaccatamente politici, favoriti dall'appoggio del movimento operaio.

Il primo focolaio fu acceso il 22 marzo alla Sorbonne da gruppi di studenti di sinistra, capeggiati dall'anarchico tedesco Daniel Cohn-Bendit: l'iniziativa, però, fu disprezzata anche dal capo del Partito comunista francese, George Marchais, che considerava quei ragazzi "...figli di grandi borghesi che metteranno presto a riposo la loro fiamma rivoluzionaria per andare a dirigere l'impresa di papà e sfruttare i lavoratori" (in termini analoghi Pier Paolo Pasolini aveva giudicato (male) i ribelli di "Valle Giulia").

10-11 MAGGIO - A Parigi le rivolte studentesche diventano oceaniche. In questi due giorni la Francia sembra precipitare in una nuova rivoluzione. Gli studenti che prima erano asserragliati nelle singole Facoltà ora sono tutti riuniti nelle strade e nelle piazze in cortei che si scontrano ripetutamente con la polizia.
Al quartiere latino si innalzano le barricate e le cariche della polizia causano incidenti e numerosi e gravi sono i feriti da entrambe le parti. Il 16 marzo  il movimento si estende anche ai lavoratori dove i sindacati proclamano lo sciopero generale, si ferma tutta la Francia, e qui la protesta va ad assumere un carattere preinsurrezionale. Vengono occupate le grandi fabbriche. Il 24 siamo a un passo dalla rivolta insurrezionale. Si riunisce d'urgenza l'Assemblea Nazionale. Le truppe circondano Parigi pronte a intervenire, mentre ai Campi Elisi sfilano provocatoriamente contro gli studenti cortei di gollisti per sostenere la Repubblica dopo che De Gaulle ha rivolto un appello a tutta la popolazione invitandola a ristabilire l'ordine minacciando di far intervenire nelle strade di Parigi i carri armati. Il 30 viene sciolto il parlamento. Si va alle elezioni sfruttando l'ondata di paura che si è diffusa nella borghesia, e  i gollisti trionfano, rivincono le elezioni, ma spostano questa volta il loro programma verso destra;

De Gaulle, indignato, prima, aveva pronunciato dagli schermi della televisione un discorso con il quale sottoponeva il suo mandato al giudizio dei francesi, che avrebbero dovuto negargli o confermargli la fiducia. Nella seconda ipotesi, egli si sarebbe impegnato "...con i pubblici poteri... a cambiare ovunque sia necessario le vecchie, scadute e inadatte strutture e ad aprire una via più ampia per il sangue giovane di Francia". Erano solo promesse, e quel "sangue giovane" ebbe paura di un De Gaulle con pieni poteri.

Ma il popolo dal "sangue vecchio" non recepì, e le proteste andarono avanti. Giocando d'azzardo, De Gaulle sciolse l'Assemblea nazionale e indisse le elezioni politiche per la fine di Giugno. Si aprì uno scontro violento tra i gollisti - che paventavano l'instaurazione di un "comunismo totalitario" che per bocca di Françoise Mitterrand sentiva nella voce del presidente "quella della dittatura".
De Gaulle con l'ondata di paura che si era diffusa nella borghesia
, vinse comunque ma poi - con tutto un anno turbinoso alle spalle - all'inizio del '69 machiavellicamente indisse un referendum (Ufficialmente il referendum era per modernizzare la struttura dello Stato, progetto anche accettabile, ma De Gaulle li caricò di un significato personale).
Ma questa volta i francesi gli dissero NO e lo mandarono a casa; e lui sdegnato "sbatterà la porta". Il "grandeur" chiuderà senza stile alcune pagine della storia della Francia. Ci rimase male, e se ne andò in modo poco signorile dichiarando "La Francia è vedova". Morirà l'anno dopo.
Una fine malinconica per un uomo che era stato un mito e un protagonista della politica mondiale per trent'anni.
Certe volte "il popolo fa quello che vuole"

QUESTI I VARI TITOLI DEI COMUNICATI Ansa dal 29 aprile al 24 giugno.

"Si parla di Rivoluzione" - "Daniel Cohn Bendit chiama alla rivolta" - Una notte di fuoco e di sangue" - Unità fra studenti e lavoratori?" - "Una grande manifestazione di massa" - Gli studenti occupano la Sorbona" - "Gli operai occupano le fabbriche" - "La Borsa in ribasso" - "In agitazione anche gli agricoltori" - "De Gaulle anticipa il ritorno" - "Gli scioperi si estendono" - "Lunga file davanti alle banche per ritirare i risparmi" - "L'aviazione militare interviene negli aeroporti" - "Un Caos" - "Una Cancrena" - "Una città in stato di guerra" - "In sciopero anche la centrale nucleare" - "Il movimento ha coinvolto sette milioni di lavoratori" - "Parla De Gaulle" - "Un'altra notte di disordini" - "I sindacati scaricano gli studenti" - "De Gaulle annuncia un referendum" - De Gaulle in Tv: il Paese è sull'orlo di una paralisi"
"De Gaulle in TV: c'è la minaccia di una guerra civile" -  "Quattro ore misteriose di De Gaulle. Sembra abbia avuto incontri con alti comandanti militari" - "Spostamenti di truppe" - "Due reggimenti di paracadutisti spostati su Parigi" - "Previsto un richiamo alle armi"-  "Sciolte tutte le associazioni" - "La sorbona occupata dalla polizia" - "Elezioni referendum" - "De Gaulle sfida la Francia" . "Vince De Gaulle" - "Elezioni referendum per dare pieni poteri a De Gaulle".
"De Gaulle esce dall'Eliseo sconfitto"
.

L'esempio francese fece scuola e anche nel nostro Paese si ebbero le prime forme di collaborazione tra chi studiava e chi lavorava. Ma per vedere il primo corteo unificato bisognerà attendere Torino, quando gli operai che chiedevano di mettere al bando i conometristi, il cottimo, chiedevano affitti meno onerosi e più interventi sul sociale, accanto a loro sfilarono anche gli studenti che gridavano "Vogliamo tutto". Non fu quella, però, la prima apparizione in piazza delle tute blu. Già in questo '68, nelle province di Treviso e di Siracusa, si era assistito a scontri tra operai e forze dell'ordine. Il primo episodio si verificò a Valdagno: quattromila dipendenti dell'industria tessile di "papà" Marzotto (così lo chiamavano prima) protestando contro il rischio di licenziamenti - attraversarono il paese e abbatterono la statua del fondatore dell'industria per la quale lavoravano. Alla fine, l'intervento della polizia portò a quarantadue arresti.

Nel profondo sud, ad Avola, accadde il secondo episodio. Il 3 dicembre, diecimila braccianti protestarono chiedendo il rispetto, da parte degli imprenditori agricoli, dei contratti collettivi. In quell'occasione, le forze dell'ordine usarono le maniere forti, e spararono sulla folla causando la morte di due persone. Con gli operai, quindi, i metodi furono più duri che con i giovani, e questo può far pensare al perpetuarsi della tradizionale risposta che veniva data - soprattutto negli anni Cinquanta - alle rivendicazioni dei lavoratori. Ma non è nostro compito indagare sulle ragioni sociologiche degli uni e degli altri.

Certo, i fatti di Valdagno e di Avola contribuirono a riscaldare un clima già reso incandescente da altre iniziative prese dagli studenti, tra le quali primeggia l'assalto al "Corriere della Sera" (7 Giugno '68, 11 arresti e 250 fermi).
Il '68 si chiuse con una punta non proprio di goliardia. In occasione della "prima" al Teatro alla Scala, il movimento studentesco guidato da Mario Capanna si presentò davanti al tempio della lirica armato di uova e ortaggi, che furono scagliati contro i "borghesi" che si apprestavano a partecipare alla più mondana delle serate milanesi. Venti giorni più tardi, a Viareggio, un tentativo simile finì invece in tragedia.

Sempre per contestare la mondanità dei borghesi, la notte del 31 dicembre un gruppo di contestatori si recò alla "Bussola" - locale che contribuì a creare il mito di Mina - dove si festeggiava il nuovo anno con una cena non proprio a buon mercato. La "goliardata" fu presto interrotta dai soliti scontri con i carabinieri, cui seguì il solito bilancio: barricate, auto danneggiate, 55 fermi.

Ma quel che fa la differenza dagli altri episodi di protesta studentesca è la presenza - per la prima volta - delle pallottole. Una di esse si conficcò nella schiena di Soriano Ceccanti, studente pisano, che rimase paralizzato. Dopo qualche anno, al termine, di indagini estremamente complesse, il giudice che si occupò del caso concluse che quel colpo non poteva essere partito dalle postazioni dei carabinieri. Ad ogni modo, il 31 dicembre '68 si sparò per la prima volta anche tra gli studenti, inaugurando una pratica che caratterizzò tutto il '69.
Infatti durante il 1969 la protesta si incattivì. All'interno delle università gli studenti passarono alle maniere forti anche nei confronti dei professori, sino a quel momento duramente contestati ma sempre entro i limiti del rispetto personale.

Questa regola fu infranta nel marzo di quell'anno, quando alla Statale di Milano il professor Pietro Trimarchi, ordinario di Diritto Civile, fu sequestrato dagli studenti all'interno dell'aula 208. Reo di aver trattenuto il libretto ad uno studente che non aveva superato l'esame - e che avrebbe quindi "saltato" l’appello successivo -, il professore fu "processato per direttissima" dai colleghi del respinto, tra i quali Mario Capanna (leader del movimento studentesco) in veste estemporanea di Pubblico Ministero. Fu seguita una procedura ben lontana dalle teorie sul processo care ai pensatori liberali: Trimarchi fu sistematicamente insultato e raggiunto dagli sputi degli studenti, e dovette intervenire la polizia per porre fine all’episodio. A questo aumento di turbolenza nelle aule si aggiungeva una sempre maggior tensione tra il mondo dei lavoratori. Si approssimava l'autunno, e con esso il rinnovo di 32 contratti collettivi, tra i quali il "pilota" per eccellenza, quello dei metalmeccanici. La protesta operaia, come abbiamo accennato, si unì a quella studentesca a Torino, il 3 luglio.

In un'altra occasione - dettata dal caso fortuito -ci fu un'ennesima vittima, il ventunenne poliziotto Antonio Annarumma. Era il 19 novembre. Quel giorno, a Milano, si tennero due manifestazioni: una operaia (un comizio di un leader sindacale al teatro Lirico) e una politica (un corteo della sinistra extraparlamentare al quale partecipò anche qualche membro del movimento studentesco Capanna).

Sfortunatamente, la folla che uscì dal Lirico andò a ingrossare le fila del corteo, disorientando la Polizia che lo fiancheggiava. Quest'ultima - in un eccesso di dovere - attaccò, e i membri del corteo risposero con lancio di tubolari d'acciaio recuperati da un vicino cantiere edile.
Un di essi, scagliato a mo' di giavellotto, raggiunse Annarumma alla guida della sua jeep, colpendolo alla tempia. La morte del poliziotto scatenò nei giorni successivi una bagarre: tra i poliziotti si rischiò l'ammutinamento, mentre gli studenti - sostenendo la propria estraneità all'assassinio di Annarumma - occuparono di nuovo la Statale al grido di "solo i padroni sono gli assassini".

Capanna, che quel giorno era tra i giovani, si presentò al funerale di Annarumma: solo la Polizia riuscì a salvarlo dal linciaggio. In questo clima si arrivò al 12 dicembre, il giorno di Piazza Fontana. Da quel pomeriggio le cose cambiarono, e non certo in meglio. Prese il via una lunga stagione di trame oscure e di violenza che si concluse dieci anni dopo.

di IGOR PRINCIPE

Ringrazio per l'articolo
  FRANCO GIANOLA, 
direttore di Storia in Network

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1° MAGGIO - Festa dei lavoratori. - A Roma un'altra prima pagina di cronaca "dal fronte". Gli studenti questa volta intervengono per la prima volta nella storia di questa ricorrenza a migliaia a fianco dei lavoratori, a piazza San Giovanni, dove sta parlando un rappresentante della CGIL. Lo contestano apertamente e infine deve rinunciare al suo discorso per il baccano e per non far degenerare quella che doveva essere una festa dei lavoratori e non la rivolta degli studenti. Ma il diaframma si sta rompendo, gli studenti iniziano a solidarizzare con gli operai. E il sindacato ponendo scarsa attenzione ai fermenti condanna in blocco tutta contestazione. Come i partiti non ha affatto capito il sindacato, dove sta andando "la piazza", con i  lavoratori e gli studenti.

un altro intervento

IL '68 - FISCHIA IL VENTO
(in qualche passo ci ripetiamo, ma vale la pena di leggere)


IL
'68! Un vento di filosofica follia si trasmette dalla costa californiana al mondo: sono i valori borghesi del secolo, le caparbie filosofie del bempensantismo, l'abbigliamento, la musica, la cultura tradizionale, la superbia e altezzosità da ufficio, a venire lacerati, dissacrati e travolti in un'ondata di provocatoria, ubriacante e irritante giovinezza.

Una follia che fece però venire a galla la fragilità della cultura collettiva e la grande insicurezza di molte ideologie schiacciate dagli eventi passati e recenti che avevano impedito di far maturare i popoli negli ultimi anni.

Erano quei giovani dei "folli" ma con lampi di intelligente genialità, pari ai lampi di stupidità dei "saggi", arroccati nell'immobilismo dentro le loro oscurantistiche torri d'avorio, o seduti a dottoreggiare, concionare e pontificare nelle aule, nel Parlamento, nelle sedi dei Partiti e perfino dentro le Curie.

Si è scritto che dopo il '68 il mondo non fu più quello di prima. E se non fu proprio molto diverso, certamente non era più uguale dopo la "primavera abbagliante" vissuta dai giovani di questa generazione. Non più uguale perchè si andò ben oltre la contestazione studentesca che viene sempre ricordata. E di crepe dentro il "sistema" ce ne furono molte, e alcune, ma forse tutte, furono epocali, di diritto entrate nelle pagine della storia recente e saranno sempre in evidenza in quella futura.
"Si inizia un giorno a esser rivoluzionario e non si finisce più di esserlo, perchè ogni giorno la conoscenza si arricchisce, le idee si chiariscono, lo spirito si rafforza e nessuno può dire che era più rivoluzionario ieri di oggi o che domani sarà meno rivoluzionario di oggi" scriveva Fidel Castro

Allen Ginsberg, poeta barbuto e ormai quasi vecchio dirà vivendo questo periodo "Noi siamo tutti dei personaggi transitori. Noi teniamo troppo del passato per essere avvenire. Ora ci eclisseremo per far posto alle genti a cui appartengono veramente l'avvenire e la nuova società".

E' dunque un anno detonatore per tutto il mondo. Quando, dove e come partì la scintilla della rivolta studentesca nessuno lo sa. (forse un giorno sapremo che fu una mutazione neuro-biologica, forse cosmica, una tempesta elettromagnetica fotonica solare, forse di neutrini stellare). Forse partì nelle università americane quando iniziarono a reclutare per mandare in Vietnam gli studenti con i voti scadenti (come se un voto basso affrancasse la morte in guerra. - Ma allora fu una guerra di stupidi? Per come poi finì, il dubbio è lecito).

Forse in Francia a Nanterre. Forse a Roma. Forse a Pechino. Forse ad Atene. A Praga. A Tokio. In Brasile oppure in Messico, dove lì, non si andò tanto per il sottile, l'esercito affrontò gli studenti con i bazooka provocando stragi con centinaia di morti nella grande Piazza delle Tre Culture (!). Il luogo scelto non poteva essere il migliore!

Il fenomeno fu planetario, espressioni di animosità, gli uni e gli altri non reciprocamente influenzati e ispirati, perchè contemporanei a diverse latitudini, dunque al di fuori di ogni razionalità e da ogni studio psicologico, sociologico e politico. Accadde nei Paesi democratici, in quelli fascisti, in quelli comunisti.

Quel che è certo è che ogni rivolta fu guidata da capi intellettualmente freschi e provocatori dentro un contesto generazionale costituito da seguaci agitatori altrettanto non stagionati . Per rimanere in Europa facciamo alcuni nomi, tutti poco più che ventenni:  DANIEL COHN BENDIT in Francia, RUDI DUTSCHE in Germania, MARIO CAPANNA in Italia. Una contestazione giovanile che si propagò contagiando il pianeta; tutta l'Europa   sembrò travolgere le vecchie strutture e i sistemi di pensiero acquisiti.

E' l'anno della "rottura" anche in Italia. Riformismi malaccorti, cedimenti a interessi corporativi e comportamenti anche irrazionali poggianti su un utopistico marxismo maoismo, andranno a determinare una generale atmosfera antindustriale e provocheranno notevoli mutazioni psicologiche nelle realtà sociali, di cui le principali erano spinte dalle mutate motivazioni scuola-lavoro. L'organizzazione scientifica del lavoro con il taylorismo (la catena di montaggio) stava crollando; la demotivazione fabbrica-cottimo non era stata prevista a tempi così brevi (*) e la grande industria conosce la sua crisi fra scioperi, sabotaggi, occupazioni, con mobilitazioni e forti contestazioni, dove è purtroppo carente una globale strategia sindacale, gracile e corporativistica, contestata alla base e quindi affannosamente essa stessa (come stanno facendo i propri iscritti) alla ricerca di una unità meno dipendente dai partiti: troppo legata a vecchie concezioni del tipo "operaio-proletario" dunque meno attenta all'evoluzione in atto del nuovo tipo, cioè il "lavoratore sociale".
(*) Ma Wiener (proprio lui padre della cybernetica) lo aveva già annunciato gia nel 1950 (Vedi, in "Scienza"). "Gli uomini non diventeranno mai formiche.... La condizione umana modellata su quella della formica è dovuta a una fondamentale ignoranza incomprensione sia della natura della formica che della natura dell'uomo". I tayloristi oltre che non conoscere l'uomo, non conoscevano nemmeno le formiche.

Sta cambiando l'Italia e il suo modello di sviluppo, quella che si appoggia ancora in buona parte su una massa (formica) proletaria analfabeta (i padri dei sessantottini) con la sua misera "scuola" di classe,  tagliata su misura dai ricchi e difesa dai conservatori rimasti arroccati dentro le loro fortezze istituzionali,  non concedendo aperture e riforme nemmeno davanti alle proteste, che sono subito liquidate  dai serventi-media  "ragazzate", "studenti svogliati", " queste cose da giovani le abbiamo fatte anche noi, ma ora basta, andate a casa". (era Montanelli chesul Corriere scriveva così - pagò poi di persona con una sventagliata alle gambe).
Invece c'era ben altro. Comincia una sequenza di "tuoni" già a inizio anno, a Gennaio, che va sempre più diventando "tempesta":

il 15 sono gli studenti del S.Cuore
il 20 gennaio iniziarono i primi tafferugli
il 26 gennaio iniziarono le prime occupazioni
1l 13 febbraio iniziarono i primi insulti e schiaffi
il 23 febbraio iniziarono i primi espliciti striscioni
il 23 febbraio sera s'iniziarono a contare i primi feriti
il 24 febbraio iniziarono i primi fascisti a menar le mani
il 26 febbraio alcuni comunisti iniziarono ad ammirare Mao
il 29  febbraio  iniziarono  a  rompere  le vetrine  nelle  sfilate
il 10 marzo gli  estremisti  iniziano  a toccarsi  con le randellate
il 30 marzo alcuni gruppi iniziarono a chiamarsi  extraparlamentari
il  31  maggio  iniziarono a  parlare di  armi e di un  attacco allo Stato
l'8 giugno iniziarono a chiamarsi "nazimaoisti" alzando il libretto rosso.

E' insomma nato il SESSANTOTTO - Un singolare  "INVOLUCRO"

Chauteabriand scriveva "Tutto accade grazie alle idee; le idee producono i fatti, che servono loro soltanto d'involucro". E aggiungeva Nievo "dove tuona un fatto, siatene certi, lì ha lampeggiato un'idea".

E Arendt a proposito dei "tuoni" del '68: "E' stato fatto dipendere da tutti i tipi di fattori sociali e psicologici - da un'eccessiva permissività della loro educazione in America e da una reazione a un eccesso di autorità in Germania e in Giappone, da una mancanza di libertà nell'Europa orientale e da troppa libertà in Occidente......tutte cose che appaiono localmente abbastanza plausibili ma che sono chiaramente contraddette dal fatto che la rivolta degli studenti è un fenomeno mondiale. Un comune denominatore sociale del movimento sembra fuori discussione, ma è anche vero che psicologicamente questa generazione sembra dappertutto caratterizzata dal semplice coraggio, da una sorprendente volontà di agire e da una non meno sorprendente fiducia nella possibilità di cambiamento. Ma queste qualità non sono cause, e  se ci si domanda che cosa ha effettivamente provocato questa evoluzione del tutto inaspettata nelle Università di tutto il mondo, sembra assurdo ignorare il più ovvio e forse il più potente dei fattori, per il quale, per giunta, non esistono precedenti ne' analogie: il semplice fatto che il "progresso" tecnologico porta in molti casi direttamente al disastro, cioè che le scienze, insegnate e apprese da questa generazione, sembrano non soltanto incapaci di modificare le disastrose conseguenze della propria tecnologia ma hanno anche raggiunto un livello tale di sviluppo per cui "non è rimasta neanche una maledetta cosa che uno possa fare e che non possa venire trasformata in guerra".) Arendt, Politica e menzogna, Milano, 1985)

E ancora: "L'idea non è affatto quella di impadronirsi del potere, ma di costruire spazi di libera espressione e comunicazione, che consentono di diventare soggetti di decisione e azione. Spazi fisici: strade e piazze ... ma anche altri luoghi in genere già pubblici, che vengono trasformati e adattati anche al privato: ma contemporaneamente spazi espressivi, nei mezzi di comunicazione di massa, attraverso parole e immagini; e naturalmente spazi politici all'interno dell'organizzazione e del sapere e subito dopo in punti nevralgici del sociale, come i rapporti tra le classi lavoratrici e gli strati intellettualizzati della società. (Passerini, Il 68 nella "Storia dei processi di comunicazione").

I partiti comunisti, le sinistre europee e mondiali, ma anche tutti gli altri partiti democratici, guardarono interdetti ma non ancora traumatizzati, la "violenza espressiva" del movimento studentesco che li aveva colti di sorpresa, con la guardia abbassata proprio mentre in ogni Paese, era in atto un convulso travaglio ideologico. E come l'occidente capitalista, anche l'oriente marxista entrò in una crisi di profonda riflessione.

Fortunatamente per i teorici dei vecchi equilibri, l'ondata rivoluzionaria in Italia, si spense in fretta col l'ultimo "botto" a fine anno, a mezzanotte, alla Bussola (a sparare ad altezza d'uomo un ufficiale di pubblica (!) sicurezza) e, al declinare dei fermenti di lotta, molti tirarono un sospiro di sollievo.
Ma si erano sbagliati: si era appena all'inizio. Non si erano per nulla approfondite alcune realtà che erano invece state partorite mostruosamente (e antevedute da Pasolini) nel corso di questo intero anno: inizialmente nelle occupazioni delle Università, poi nelle mobilitazioni sul lavoro; e perfino (anche qui molta cecità) nel mondo religioso che vede la luce proprio a Firenze pochi giorni prima dall'ultimo "botto" studentesco a Marina di Pietrasanta.

Il potere gerarchico politico e religioso si ritrovò così - dopo questo '68, i bubboni dentro il "sistema" e corse ai ripari con altrettanta improvvisazione, sconsideratezza, metodi e tecniche "Reclutando uomini affidabili, creando una serie di poteri per l'emergenza, una rete paramilitare segreta parallela a quella ufficiale, ma ad essa superiore, che avrebbe assunto automaticamente ogni potere in caso di insurrezione" (come qualcuno già drammaticamente annunciava). 

Lo avevano fatto già nel 1948, e il fra virgolette è un'ammissione di Scelba riguardo a quel periodo "pre-Gladio". Infatti molti anni dopo si accerterà (giudice Mastelloni) che c'erano state già nel '48 deviazioni (!?). Dentro i Comitati Civici di Luigi Gedda? "Sì, forse, può darsi che alcune deviazioni sono da ascriversi probabilmente alla componente della Fuci, forse a livello locale per ordini di alcuni militanti" E' Gedda stesso a dirlo senza esporsi troppo (e non dice chi erano questi militanti)
Erano del resto oscure iniziative di carattere paramilitari dentro quella struttura voluta da Papa Pacelli (89 udienze concesse a Gedda) uomini pronti ad agire il 18 aprile 1948 nel caso di una vittoria della sinistra. Scelba infatti in una intervista a Federico Orlando aggiunse "Mantengo il riserbo. Ma posso solo dire che non avremmo ceduto il potere".
(E' interessante ricordare che il flemmatico Andreotti era stato pochi anni prima dal 1942 al 1945 presidente proprio della Fuci (quella che indica Gedda) poi subito a soli 25 anni delfino prediletto di De Gasperi, poi a 26 anni nel 1945 membro della Consulta e nel 1946-1948 della Costituente e..... ininterrottamente poi deputato in tutte le legislature fino al 1992. Cinquanta anni di potere. Quasi intoccabile. Una ragione ci doveva essere. Anche perchè grandi cose non le ha mai fatte! Dopo aver fatto quasi vent'anni di esperienza dentro il Parlamento quando mise su lui il primo governo nel '72  durò 8 giorni!).

Ma in questo fine '68, dove c'è una realtà molto diversa dal '48, c'è un anomalo traghettamento a sinistra della DC compiuto da Moro (con centrosinistra, bocciato al governo a inizio '63, ma poi a fine anno vincente, e così nei 5 successivi) c'è un forte dissenso cattolico dentro la Chiesa; e si stanno muovendo in un modo quasi a tutti incomprensibile i moti studenteschi;  le strutture anti insurrezionali diventano così molte (21 di numero), più sofisticate, clandestine come nel '48; anzi peggio, perchè non rispondono più ai potenti leader politici o al potere esecutivo ma sono gestite alcune di queste strutture da personaggi autonomi pur essendo loro stessi dentro le istituzioni; ma nonostante questo darsi da fare, tutti sono impreparati e incapaci, convinti di trovarsi davanti a moti di piazza del tipo 1948;  invece i gruppi autonomi prendono ora precisi ordini da "professori" , da "generali", da  "colonnelli", da "capitani" o ex capitani , e iniziano a operare  con l'autodecisione, in quella che si chiamerà poi "strategia della tensione". Del tutto assente o marginale apparve in seguito perfino la stessa destra storica, il MSI di ALMIRANTE pur sempre attivo a intervenire nella piazza, ma pregiudizialmente sempre compromesso ed esposto solo perchè agiva alla luce del sole affrontando frontalmente i "nemici" dell' "ordine": i comunisti! Attivismo classico, di piazza.

Gli altri invece agirono così autonomamente e all'insaputa della stessa destra storica e dalla DC  (anch'essa di fatto una specie di destra storica per le sue connivenze passate, e con ancora ai vertici delle istituzioni tantissimi vecchi funzionari del regime) che gli atti terroristici (dai politici subito etichettati "destabilizzanti" - Scelba poi ne era quasi sicuro) non crearono paradossalmente ciò che volevano ottenere: cioè lo stato di emergenza e il potere in mano ai militari. Questi ultimi, pur fondamentalmente di destra, molti non avevano proprio più nulla della destra, si erano imborghesiti anche loro,  salvo qualche irriducibile nostalgico repubblichino. Erano così scollati anche i militari, che fecero tutti insieme un grande flop (Piano Solo; Piano Tora Tora, ecc.)  Colpi di Stato da operetta (vedremo fra poco più di un anno quello di Borghese; non certo con dietro una strategia Cia, ne' tantomeno lo era l'operazione, che si avvalse di... guardie forestali).

Ma lasciamo i meandri più o meno oscuri e torniamo direttamente sulla scena......delle "battaglie"

     

Roma, 1-2 marzo. "La battaglia di Valle Giulia"

Ritorniamo sulla scena del "teatro" dove da una parte (nei palazzi) si sta recitando politicamente la ipocrita farsa sociale dei "Nuovi Tempi", mentre dall'altra seguita a vivere e a vegetare l'opulenza di pochi, con i privilegi dati solo ad alcuni, mentre l'emarginazione -più psicologica che materiale- si sta diffondendo. I politici fanno alcune riforme, ma sono tutte una serie di "bidoni".
Quasi dalla stessa parte della barricata, in un altro "teatro" (all'esterno, cioè sui giornali) c'è un'altra commedia intrisa di valori ipocriti  "recitata" da tutta l'informazione, quella in mano agli intellettuali (legati anche loro ai partiti storici e ai borghesi che possiedono le testate) che indicano le gesta di questa generazione in fermento nata dopo la guerra come delle "bravate", "pagliacciate".
"Sono ragazzate, rigurgiti di infantilismo" lo scrivera perfino AMENDOLA (Comun. Ansa, 6 giugno, ore 19.05) , e tanti altri, che se andiamo a elencare li troviamo tutti "questi intellettuali" nella lunga lista dei "Littoriali della Cultura" di Bottai, dove avevano paradossalmente potuto fare "liberamente" -al soldo e  proprio dentro il fascismo- perfino dell'antifascismo.

Ora sono tornati tutti a scrivere sotto altri "padroni" e i commenti ironici sui giornali si sprecano e suonano tutti la stessa solfa: "Tornate e studiare e smettetela di giocare a fare la guerra". "Sono ragazzi che non hanno fatto i sacrifici, che non hanno sofferto, che non capiscono": dicono loro ma nello stesso tempo loro stessi non vogliono capire (e avrebbero proprio bisogno di prestare più attenzione per comprendere cio' che non capiscono) che questa generazione sta facendo una globale denuncia del sistema di istruzione (scuola di classe), metodi di produzione, di distribuzione e consumo dei beni, e sta facendo una denuncia non solo di carenze sociali ma anche carenze religiose (chiesa di classe).

Molto piu' attente alle aperture di Costume e ai fermenti (lo vedremo nelle righe dedicate a quest'altra realtà) le troviamo invece in alcune pagine interne dei giornali, dove operava il cronista. La stampa nella sua prima pagina, con le grandi firme, non approfondiva i disagi, non voleva dispiacere il referente, con le sue analisi. Chi scrive in prima pagina sta sempre attento ai titoli e alle virgole, sa di essere letto dai politici; chi fa invece cronaca all'interno é piu' libero perchè dai potenti é poco seguito. Ma è proprio il bravo giornalista di cronaca che ci da' lo specchio dei tempi, quelli di una società in evoluzione; anche con i fatti piu' banali riusciamo a ricostruire (e alle volte solo da quelli) un'epoca. Il giornale é insostituibile proprio per questo! In quelli locali poi, c'è il fatto, e il lettore vuole dal suo giornale "di provincia", i particolari, vuole i pettegolezzi, e questi coscienziosamente sono soddisfatti dal cronista; molte volte sono la vera cartina tornasole della societ°. C'è nella cronaca il fatto, il costume, la vita quotidiana, la realtà vera. Gli storici nei libri antichi si lasciavano sfuggire i fatti banali che altri riportavano, mentre sono proprio quelli oggi, che ci dicono molto di piu' del testo storico  principale. Plinio ci descriveva la vita romana, ma le scarne scritte e i graffiti di Pompei ci dicono molto di piu' che non le sue dotte osservazioni.
Rileggendo i giornali di ieri, ma anche di oggi si trovano enormi contraddizioni fra la prima pagina e l'interno; scorrendoli, quasi increduli ci si accerta subito se sono della stessa data e se sono dello stesso giornale.

I giornalisti della prima pagina, fecero qualche frettolosa inchiesta, sottovalutarono il fenomeno, lo ridussero a semplice goliardia e basta. I politici poi i resoconti o le inchieste serie neppure le leggevano (come quelle di RONCHEY, su La Stampa di Torino in questo periodo. L'unico attento!) o quelle di PASOLINI, che per i tanti pregiudizi nei suoi confronti, neppure prendevano in considerazione, pur avendo lui anteveduto cosa avrebbe lasciato dietro di se' la rivolta studentesca e tutto il '68.

(Pasolini però, sbagliò anche lui; parlando -nella "maledetta" poesia- dei poliziotti "povera gente", "figli di contadini, di pastori e di pescatori", dimentica: che in tutti i forti contrasti nella società, in tutte le "squadre" usate per reprimere le rivolte, ci sono sì dentro "poveracci",  "figli di minatori", "di contadini", di "operai".
Dimentica che ciò che conta è la funzione politica non l'origine sociale di ogni singolo uomo che ne fa parte.

Enzo Bettiza addirittura é invece premonitore "Una destra che si scontra con la sinistra non fa che confermare il loro matrimonio di sangue nella violenza; ma puo' venire il momento, che sembra già prossimo, in cui le distinzioni cadranno e avremo un'orda di cosacchi uniti dal mito della distruzione senza nome e senza colore. Del resto contatti e travasi fra "nuova destra" e "nuova sinistra" esistono già".- Siamo nel '68, ma ha già scritto un articolo per molti anni dopo.

Ma non era una novità:  L' Italia nel ventennio  non   fu immune  da certi "reciproci" travasi ideologici, e ce lo conferma un autorevole personaggio; e chi meglio di lui!!! 
. "Stalin davanti alla catastrofe del sistema di Lenin,   é diventato segretamente un fascista. Essendo lui un semibarbaro non usa ("come noi" - Ndr) l'olio di ricino, ma fa piazza pulita con i sistemi che usava  Gengis Kan. In un modo e nell'altro sta rendendo un commendevole servizio al fascismo". Lo scrive BENITO MUSSOLINI, sul Popolo d'Italia, il 5 marzo del 1938 !!!!

Quello che forse   non vogliono capire molti ingenui idealisti -di ogni ideologia-, é che tutti, anche i socialisti, i comunisti,  i proletari, possono dar vita a regimi dittatoriali fascisti, e questi a regimi dittatoriali comunisti;  tirannici, come i vecchi regimi, chiamati feudali,  monarchici, imperialistici,  cesaropapisti, papali, serenissimi, o come i nuovi....   chiamati liberalisti (ma dittatura  è, anche se economica, e che spesso ferma anche il progresso - se io voglio fare un altro tipo di carburante non posso, un gruppetto di petrolieri monopolisti fanno votare una legge in Parlamento proibitiva. Se voglio farmi in casa elettricità (eolica, fotovoltaica, idrica) non posso, i petrolieri mettono l'aut aut agli uomini di governo. Come misero l'aut aut a inizio secolo alle auto elettriche >>>> , come quelle di oggi anni 2000).

Ma dopo i fatti di Milano e dopo quelli di Valle Giulia a Roma, la nuova generazione in lotta (a ragione o torto) dimostra una vitalità inconsueta, con fatti mai accaduti prima. Così la vecchia "mammona " ingessata, l'ala piu' conservatrice minacciata da questa strana battaglia, si sveglia, si inquieta e cerca di riprendere il sopravvento in tutti i modi.

Non verrà proprio travolta come auspicavano le giovane leve, ma non sarà certo piu' quella di prima. Un po' di paura è serpeggiata nella grande borghesia, soprattutto quando inizia a vedere i propri figli sulle barricate. Non era mai accaduto nella storia, non c'erano precedenti e questo inquietava ancora di piu'. Mai accaduto che il figlio dell'industriale dicesse al padre "sfruttatore" e poi si alzasse alle cinque del mattino per fare i picchettaggi ai cancelli delle fabbriche o a distribuire i ciclostilati fatti nella notte; c'era perfino il figlio di un deputato DC a fare il terrorista contro la DC.
Dopo che erano stati uccisi il giornalista Casalegno, gambizzato Montanelli e assassinato Tobagi, Bocca ricevette delle telefonate, adesso tocca a te, e lui si barrico' in casa, poi si rifugiò in Val d'Aosta a La Salle, in montagna, lontano (lui credeva!!!) da imprecisati loschi figuri proletari che lo volevano morto. Poi un giorno arrestarono i responsabili della esecuzione di Tobagi: a Bocca gli venne un giramento di testa per il terrore. Erano gli amici dei suoi figli che spesso li aveva ospitati proprio in montagna dove lui si era rifugiato; e lo stesso figlio di Casalegno suo collega e  amico, militava in Lotta Continua. (da Il Provinciale, Giorgio Bocca).

Cioè il terrore alla classe conservatrice sclerotizzata venne dalle "nuove idee" "dentro" la rivolta e non dalla rivolta. Queste idee si  autoriproducevano anche se molti non le capivano. Bastava entrare in una delle tante "assemblee". E che era così basterebbe rileggersi i verbali dei tanti pentiti - "non capivo nulla di ideologia, mi bastava - incazzato com'ero contro tutti -  menar le mani, e mi sembrava giusto farlo").

Le nuove idee apparvero e si annunciarono come una battaglia anticapitalistica generale; una rivoluzione socio culturale nuova da una parte e dall'altra, che si agita irrazionalmente. Senza radici storiche, fuori dalla politica (si definiranno infatti extraparlamentari) anche se dalla politica prende frammenti di ideologie, quelle che venivano a caldo piu' utili. Sia a destra che a sinistra. Nella prima rispuntano gli "Arditi"  repubblichini, nella seconda i partigiani, le brigate Gap.

Ma se la vecchia generazione (rimasta sempre a guardare con valutazioni rudimentali) d'ora in avanti non sarà piu' la stessa, neppure quella nuova che sta lottando ora, sarà piu' la stessa, perchè in questo inizio sessantotto gli studenti pur molto uniti inizialmente da un grande cameratismo, dall'amicizia, dal collegamento fra i gruppi, melle numerose e affollatissime assemblee per ottenere risposte su obiettivi comuni, vivranno una sola primavera, poi ognuno risolto il proprio problema locale si disperderà in mille rivoli, o se ne tornerà a casa zitto zitto. (il cosiddetto "riflusso")

Perfino a Trento tornarono quasi tutti a casa! In quella saletta rossa del bar del Teatro Sociale -un tempo molto affollata- rimasero solo quattro gatti "arrabbiati". Una minoranza politicizzata con strane, anomale energie e utopistici obiettivi (e con qualche delirio) si fece subito strumentalizzare  da alcune schegge di una sinistra anomala che sta iniziando a combattere  una parte di se stessa, perché insoddisfatta da quel revisionismo in atto in questo periodo, molto sofferto che spingeva sempre di piu' un grande partito come il PCI nel "ghetto". (Perchè a Trento, a Sociologia, e poi successivamente a Milano, alla Cattolica, mica c'erano gli atei-comunisti trozkisti, l'ambiente era "catto-comunista!"; "figli di papà". - Di proletariato nemmeno l'ombra!)

Questa minoranza insieme ad altre (e non era l'unico gruppo) inizio' a teorizzare lo scontro violento e a organizzarsi. La vecchia logica della lotta politica e parlamentare - affermavano - non aveva piu' margini, la lotta ormai doveva essere fatta al di fuori delle istituzioni, affidandosi alla spontaneità all' inventiva degli operai-studenti-massa in grado di sostenere sulle proprie spalle il peso e i rischi di uno scontro frontale contro l'apparato repressivo dello Stato.
Ricorsero insomma alle battaglie epiche dell'" antico" (questo sì) proletariato, con tanto protagonismo, esibizioni di violenza (poi anche omicide) e con tante risse interne, poi in seguito.... con tante defezioni, rimproveri degli stessi simpatizzanti, ed infine (a fine anni settanta) messi alle strette quando alcuni furono catturati, in cambio di clemenza sciorinarono e "cantarono" nomi e nomi e nomi di compagni (?!) di lotta (?!).
Che spettacolo!! E che fallimento! Quante pecore vestite con le pelli dei leoni!!!

Non fu dunque un vero terremoto sussultorio, ma ondulatorio sì, perchè i "Palazzi" non crollarono, ma molte crepe si verificheranno nel sistema e molte cose cambieranno. Molte realtà oggettive non saranno piu' le stesse, anche perchè questi eventi (nel bene e nel male) si rifletteranno dentro quella classe politica che -zitta zitta- ritroveremo al potere negli anni 2000, (di ogni colore) ma con addosso - loro e i loro figli - l'imprinting del '68 fallito. O a fare il populista.

I vari movimenti o "gruppuscoli" nati sulle barricate, nelle aule delle Università, cercheranno (ma spesso sono cercati (da tutti (!!) per essere usati) di esprimersi in vari modi; chi alla luce del sole (nelle strade, nelle piazze, nelle fabbriche) chi nell'ombra e nell'occulto (col terrorismo; giustificandolo prima difensivo, poi offensivo; anche se poi alcuni sconfinarono nella pura delinquenza e nel peggior teppismo. Le squadracce, le spedizioni punitive, il populismo hanno sempre qualcosa di "fascismo").

Non diversamente le inquietudini si rifletteranno nei partiti di Governo; che nonostante in piena crisi con le proprie lacerazioni interne, avevano pur sempre in mano la guida delle istituzioni e gli uomini che dovevano operare dentro la legge e con la legge in mano (ancora il fascistissimo Codice Rocco - "attacco contro le istituzioni e lo Stato").
Ma anche qui, mentre alcuni apparati e organismi svolgeranno il loro dovere alla luce del sole, nelle strade e nelle piazze applicando la legge del tempo di pace (i poveri "tapini" poliziotti  pasoliniani), altri agirono invece nell'ombra di un'altra legge, quella del tempo di guerra (servizi segreti, spionaggio, controspionaggio, un "Ovra" n.  2).
La "guerra" dissero alcuni era stata dichiarata, e alcuni vertici piu' preoccupati e inquieti di altri operarono con uomini e mezzi non piu' solo nella discrezione, ma nella massima riservatezza - dissero - per "salvare l'Italia" (!?). Ma entrambi, sia gli uni che gli altri (gli uomini chiamati a parteciparvi), erano convinti di fare il proprio dovere, anche rischiando molto (ma non potevano certo sapere che chi comandava - questo o quel generale- stava agendo autonomamente o agli ordini di qualche "vecchio" rimbambito, nostalgico rosso oppure nero.
A me non servono le analisi di qualche pennivendolo, mi è bastata l'esperienza personale, in ogni angolo del Paese.

Torniamo ai fatti. Tutti i partiti di ogni schieramento sono presi alla sprovvista. Per incapacità alcuni, per immobilismo altri. Non si riesce neppure a trovare una coesione nelle forze democratiche, progressiste, ne' un'apertura verso ideologie meno oltranziste nei rispettivi gruppi pur con la stessa matrice ideologica (socialisti, cattolici, liberali). Prima di tutti la sinistra, poi seguirono a ruota anche i democristiani che riusciranno pero' con i vecchi apparati conservatori (diventati ora comodi - e altri creati ex novo) a stroncare le spinte della estrema sinistra con tre uomini: Rumor, Andreotti e Moro che domineranno per una decina d'anni con i mezzi strategici messi a disposizione (alcuni concordati, altri addirittura a loro insaputa, e perfino contro di loro) dall'Alleanza atlantica, con la conseguenza di far inasprire alcuni gruppi estremisti, che per non essere spazzati via adottarono la stessa strategia di quelle che furono poi dette "schegge impazzite"; anche loro usarono quella del terrorismo più brutale e sconsiderato. Che pago' poco (qualche giornalista, qualche giudice, qualche rettore, qualche poveraccio di poliziotto e perfino qualche operaio - i borghesi stranamente non furono toccati - lupo non mangia lupo).

Tutti, ma proprio tutti, da una parte e dall'altra della barricata si ritrovarono con un pugno di mosche in mano. L'Italia non era un Paese ne' russo, ne' cinese, ne' americo-latino, ne' balcanico; anzi la popolazione si dimostro' piu' matura degli stessi politici. Mutuare i voti é facile, mutuare la testa se non si sta attenti é molto piu' difficile;  si rischia di perdere i primi, perchè si é' costruito il proprio potere sul precario voto-carta e non sul voto-pensiero.
I primi volano via al primo vento che gli riserva il destino prima ancora di una scelta elettorale. "io potente? Non conoscete gli italiani, basta un titolo su una pagina e ti ritrovi nella polvere in ventiquattrore senza sapere perchè", disse Mussolini in una intervista inglese molto tempo prima del 25 luglio. (a Tangentopoli nel '92 bastò un processo alla TV e qualche titolo sui giornali per farne rotolare molti nella polvere e alcuni anche dentro una bara).

Gli italiani non buttano giù dai piedistalli i condottieri con una rivoluzione, li buttano giu' voltandogli le spalle, ignorandoli, dimenticandoli in poche ore. Non hanno mai amato fare ne' le rivoluzioni ne' la guerra. Della prima non ne hanno mai fatta una bene, della seconda non ne hanno mai vinta nessuna perchè fatta male, o anche perchè  spesso i "condottieri" (ironia della sorte) avevano paradossalmente il motto "avanti!" ma poi dopo al primo sternuto del nemico si davano alla fuga (vedi 8 settembre '43!). Oppure, quando è andata bene, impacciati, davanti alle telecamere si sono messi a sbavare o a dire "siamo tutti colpevoli, quindi nessuno è colpevole". 

Un mondo migliore nasce sempre da un gruppo di scontenti ("Il progresso umano è opera di quanti sono scontenti" John Stuart Mill) - ("Ci vuole il caos prima che si formi una stella" Nietzsche) Entrambe affermazioni sacrosante, soltanto che ognuno da una parte e dall'altra della barricata si approprio' del motto e lo fece suo. Le guerre civili nascono sempre cosi'. Ma come abbiamo già detto non eravamo in America latina o nel Congo, eravamo in Italia.
Perfino Lenin affermava "Per un vero rivoluzionario il pericolo piu' grave, fors'anche l'unico, è l'esagerazione rivoluzionaria"

Fra questi scontenti, finita la "Primavera", alcuni rientrarono nel loro privato e nell'ombra, altri ottennero qualcosa solo a loro utile, e altri ancora - in verità pochi - presero alcune strade mettendosi "contro il mondo intero". Questi ultimi fatta la "prova generale" vaneggiando un po', scoprirono che "si può", che stavano "mettendo paura" al "sistema", che lo si poteva abbattere, che era giunto il momento. Si trasformarono tutti in deliranti sovvertitori,  in tante "schegge impazzite". Avevano tutti visto il film di Godard, La Cinese. Per dieci anni seguirono per filo e per segno quel copione.

Tutti applaudivano e invocavano Mao, Ho Chi Min e il "Che", ma nessuno di loro conosceva la realtà di questi paesi, e chi erano veramente questi personaggi e per che cosa veramente lottavano e contro chi.
Con indignazione si respingeva il dogmatismo staliniano e ci si entusiasmava per le guardie rosse di Mao che innalzavano milioni di copie  del libretto rosso; si parlava di rivoluzione sessuale poi si leggevano gli scritti di Don Milani; si parlava di rivoluzione leninista e di rivoluzione francese poi si discuteva se stare dentro o fuori in quella o in questa; alcuni invocavano il "Che" e altri scomodano il sovversivo De Sade; si gridava che la ribellione,  dare fuoco e sfasciare tutto era giusto, poi si seguivano le mode imposte dai detentori della produzione dei prodotti di consumo anche frivoli; lottavano contro le multinazionali americane ma bevevano coca cola che per molti voleva dire esempio di civiltà e di libertà.
(anche se ancora oggi è difficile capire in che cosa quell'acqua scura con le bollicine, metà zucchero e l'altra metà acqua - abbia aiutato gli uomini a capire se stessi. Forse senza non sarebbero diventati uomini? Sarebbe comico ammetterlo).

Quello che domina incontrastato è l'eccletismo, un generoso e confuso eccletismo; è lui il vero protagonista del '68; bastava assistere alle assemblee; di ogni colore. Poi appena fuori si ritornava alla clava, ai bastoni, ai sanpietrini (cubetti di porfido), agli insulti triviali.

 

Di queste schegge alcune finirono nelle mani - si disse - della estrema sinistra - ma ne persero subito il controllo (da chi furono stipendiati resta un mistero; ridicolo e inquietante se erano soldi americani, ma ancora più ridicolo e inquietante se erano soldi sovietici).

Altre schegge, forse usciti dagli stessi apparati dello Stato, non risposero alla gerarchia e alla disciplina di quella macchina organizzativa istituzionale, ma ubbidirono e presero ordini da un'alta autorità che comandava il singolo apparato (piu' o meno clandestino e spesso anche personale).

E se da una parte della barricata gli "scontenti" erano convinti di essere sulla strada giusta operando nella clandestinità (spesso "plagiati" con motti e ideologie rivoluzionarie non adatte a una mentalità italiana, come la tanto invocata "cinese", fatta (come scopriremo più avanti) dai mandarini, una casta  peggiore dei nostri medioevali feudatari - e persino infatuati dai discorsi dell'albanese Hoxha di radio Tirana (!!).

Ma anche dall'altra parte dello steccato (in quella dello Stato)  la convinzione  era identica se non maggiore, perchè non erano (virtualmente) ne' clandestini ne' plagiati, ma erano stati inquadrati e istruiti a compiti ben precisi come in tutte le istituzioni di sicurezza militari di questo mondo. Ogni governo (di qualsiasi ideologia) prende le sue precauzioni e usa poi i "suoi uomini" e i suoi mezzi nelle emergenze. E i servizi segreti assolvono proprio a questi ingrati compiti, e non si scusano del disturbo, ma operano con "ogni" mezzo. Nell'emergenza ("per il bene del Paese") scattano sempre all'interno dello Stato i piani antieversivi, e non certo usando prima di agire i comunicati stampa, ma agiscono e basta. Ecco quindi operare alcune strutture particolari, come la "Gladio" e tante, tante altre (spesso contrastandosi a vicenda proprio per certi compartimenti stagni inaccessibili ad entrambi). Con quali compiti?

Fu anche detto a questi uomini -senza mezzi termini-  che, la "Guerra fredda", sarebbe stata calda, anzi caldissima! E negli anni che seguirono fu dimostrato quanto erano veritiere queste parole. Perchè anche i "rossi" risposero in seguito con le stesse strategie, con il terrorismo. Potere Operaio infatti si adeguo' agli eventi e affermo' "mai piu' senza fucili", e Curcio e Negri scrivevano altrettanto "bisogna possedere potenza di fuoco per ottenere potenza politica". E fu l'escalation.

Ma ritorniamo agli eventi dell'anno. Da questa generazione dell'era atomica, in America, in Giappone, in Europa, nei Paesi dell'Est come in Polonia, quindi in Italia, irrompe dunque la contestazione studentesca. Un fenomeno dove c'erano spinte e motivazioni transnazionali, che dilagarono sul pianeta con una rapidità incredibile. Da semplice contestazione si trasformo' in certi Paesi in una vera e propria rivolta; come a Parigi, dove si temette nel "Maggio francese" una nuova "Rivoluzione" quando la capitale fu circondata dall'esercito pronto a intervenire con i carri armati.

In Italia dalle occupazioni delle Università si passo' agli scontri nelle piazze e nelle vie, con interventi della polizia che causarono incidenti molto gravi. Infine, come in Francia, una parte del Movimento nel momento in cui stava esaurendo motivazioni e energie inizio' a politicizzarsi con varie ideologie (frange di riformisti, critici del revisionismo del PCI, moderati di destra e sinistra, estremisti neri e rossi, i cosiddetti nuclei nascenti ecc. ) che li porterà a combattersi fra di loro aspramente, riaprendo antiche ferite (quelle della Resistenza e della RSI). 
Ma non rimase assente nemmeno il mondo cattolico; vedremo la "chiesa di classe" creare grosse lacerazioni dentro quelle comunità che piu' nulla avevano a che vedere con le precedenti.

All'interno di questi movimenti ormai frantumati, alcuni gruppi "affratellandosi" con gli operai e sposando la loro causa si trasferirono dalle aule scolastiche ai cancelli delle fabbriche innescando una serie di autonome contestazione operaie sempre in crescendo (2345 di numero, con 70 milioni di ore perse in questo '68) che coinvolsero milioni di lavoratori. Lotte che dilagarono sempre di piu' in alcune fabbriche, fino a culminare nel '69 con l'"autunno caldo".

Erano fino allora,  operai e studenti (questi ultimi fanno ancora parte di una "scuola di classe")  due mondi lontani, con poche, anzi nessuna ideologia in comune, che non si conoscevano, ma che da questo momento proprio dalle contestazioni e dai vari gruppi rivoluzionari apprenderanno il metodo della lotta per colpire a fondo il capitalismo italiano. Ecco così  mutuare i cortei, i sit-in, gli scioperi a singhiozzo, alternati o a scacchiera, le riduzioni o i sabotaggi nella produzione; e tante assemblee permanenti dentro i cancelli che diventeranno veri tentativi di occupazioni non solo fatte dagli interni ma anche da elementi infiltrati (quelli che con una ineccepibile dialettica davano fuoco alle polveri)

Si chiudeva dunque un periodo che non ottenne grandi cose, ma lasciava dietro di se' "idee nuove" di come portare avanti le lotte; sono i "modelli di lotta" che mutueranno sempre di piu' le manifestazioni operaie, poi il prossimo anno se ne impossesseranno anche le femministe e infine i vari movimenti di protesta.

Ma parallelamente dentro questo clima, altri gruppi svilupparono non quella che indicava Moro, la "strategia dell'attenzione", ma fu poi chiamata la "strategia della tensione", ed ecco (il prossimo anno) il primo dei gravissimi fatti di sangue, come la strage di piazza Fontana a Milano, che diede il via agli "anni del terrorismo".
Si voleva mettere fine a un periodo (con un "giro di vite") e invece fu l'inizio. 

Qualche "professorino" da entrambe le due barricate cominciò a ordire manovre con folli strategie di guerra. Da una parte una estrema destra che temeva uno slittamento a sinistra, e una estrema sinistra che temeva lo spostamento verso il centro della sinistra storica; e questo non lo gradiva proprio per nulla, anzi contestava apertamente con "ogni" mezzo. (anche questo non era nuovo per chi ricorda gli ultimi mesi della guerra mondiale).

A comportarsi ambiguamente sono quasi tutti i partiti; tutti si misero a civettare; e ognuno credeva di poter strumentalmente utilizzare a proprio vantaggio le forze di questa carica rivoluzionaria, senza però affrontare a fondo e col proprio impegno ideologico, una analisi vera sul perchè erano nati questi movimenti contestatari. Tutti andavano a caccia di voti e la demagogia si sprecò. Gli interventi dei politici sulle pagine dei giornali di questo periodo sono tutti uguali: vogliono educare ma non conoscono le regole dell'educazione. Si perdono solo in chiacchiere.

Compreso il PCI e altri partiti; dalle punte estreme del comunismo ufficiale poi si passa attraverso il cattolicesimo del dissenso  e si arriva ad altro, ai isocialisti
Il clima dentro i socialisti dopo le elezioni perse di maggio era: A) il clamoroso insuccesso dell'unificazione; B) il fallimento del centrosinistra; C) le lacerazioni nel partito.
Ai socialisti non basta litigare internamente e questo senza riconoscere i propri reciproci errori; ma alcuni esponenti del partito contestano perfino la DC che ritengono immobilista, ambigua, non certo proiettata verso una serie di riforme sociali. Hanno in parte ragione, ma è solo un alibi verso le colpe esterne per giustificare le proprie colpe all'interno per la cocente sconfitta elettorale. Ma i problemi restano e sono interni. E presto verranno a galla.

... il risultato lo considera negativo e da' tutta la colpa (!!!) ad Aldo Moro, che infatti non lo ritroviamo piu' a guidare il governo.
Che non sarà facile, visto che verrà chiamato alla guida GIOVANNI LEONE, ma anche lui non andrà molto lontano. Il suo governo fatto tutto di democristiani, al voto di fiducia si sono astenuti i socialisti che dentro le loro correnti si stanno lacerando con gli insulti reciproci per la "Caporetto" subita; ognuno dà la colpa all'altro, e nessuno fa autocritica.
Ma se nei socialisti ci sono fratture che non si saneranno piu', la sorpresa è che inizia anche il dissenso fra l'unità politica cattolica e non solo c é pure il "Dissenso cattolico"

14 SETTEMBRE - Dissenso Cattolico - La polizia sgombra il duomo di Parma occupato dal cattolici del dissenso che vogliono che il Vangelo sia uno solo, e che sia compreso dai poveri e non finanziato dai ricchi. Infatti la contestazione inizio' quando si venne a sapere che il vescovo della città aveva deciso di costruire una nuova chiesa con i contributi offerti dalla locale Cassa di Risparmio.
Scesi da Bolzano (Circolo Fratelli Bruder), da Milano (Circolo Bernanos), da Verona (Circolo Mounier) gli studenti cattolici entrati nella cattedrale durante la messa chiesero ad alta voce un dibattito con il vescovo. Questo perse le staffe e chiese l'intervento della polizia per far scacciare i "profanatori del tempio". Non era d'accordo con questa piccola parte pur sempre "Popolo di Dio".
Che grossolano errore!! E quante conseguenze!! Prima Parma poi a Firenze.

A Parma è l'accensione della miccia che farà esplodere a Firenze la "bomba" Isolotto di Don Mazzi. Infatti, centocinquanta parrocchiani del prete (già "ribelle")  di Firenze scriveranno lettere di solidarietà ai "profanatori" di Parma. Il cardinale Florit crede di vedere in questa mossa che viene considerata una "minaccia marxista" l'ombra di don Mazzi, e per iscritto lo diffida e gli intima di ritrattare pubblicamente o di dimettersi.
Siamo arrivati all'apice della contestazione cattolica, questa volta traumatica, perchè la questione ora investe oltre che la comunità dell'Isolotto, anche le alte gerarchie della Chiesa, l'Episcopato, il Vaticano, e il Papa stesso. Tutti impreparati.  Nessuno ha approfondito la questione che da questo momento va' sulla stampa, gira vorticosamente nell'inquieto scenario e nel clima già plumbeo della contestazione, si amplifica e diventa esplodente.

31 OTTOBRE - All' Isolotto, Don Mazzi rigira in mano la lettera del Cardinale Florit, e non sa quali decisioni prendere. Ma la soluzione al questo travaglio della sua coscienza è quella di informare i suoi parrocchiani della diffida e quindi solo loro dovranno decidere cosa fare e non la gerarchia della Chiesa. E' dunque una presa di posizione ribelle e autonoma contro la finora "indiscussa" autorità della Chiesa.
Don Mazzi diventa ancora piu' ribelle quando afferma in questa circostanza: "ubbidire alla gerarchia cattolica significa quasi sempre disubbidire alle esigenze più profonde, vere ed evangeliche del popolo; non voglio una Chiesa legata a un potere politico ed economico, ma legata al popolo dei disoccupati, dei rifiutati, degli analfabeti, degli operai"
E come si puo' intuire non è piu' una presa di posizione ma è ora già un vero e proprio atto di ribellione. d'insubordinazione!
Si svolge quindi all'Isolotto un'assemblea tumultuosa, vi partecipa tutta la comunità, migliaia di persone. Tutti si schierano contro il cardinale e tutti appoggiano don Mazzi. Per iscritto mandano a dire che la lettera inviata a Parma l'hanno firmata pure loro "non è don Mazzi a fianco a noi, ma siamo noi a fianco a don Mazzi, e poi cosa sono questi distinguo, noi qui ci sentiamo una cosa sola!".
Ma Florit non si spaventa, pensa già a una rimozione del parroco; mantenendo ancora la calma con l'autorità che ha, scrive ai parrocchiani una lapidaria frase "Far dipendere dalla decisione della comunità un provvedimento episcopale riguardante il parroco non corrisponde all'interpretazione cattolica del concetto di chiesa".
Non si scompone, non ascolta nessuna delegazione di parrocchiani, fa passare alcuni giorni, poi il 4 dicembre

..... all'Isolotto, che non è piu' un'isola di condomini di operai che in Italia prima nessuno conosceva, ma è ora su tutte le prime pagine dei giornali con tutto il clamore che la notizia ha suscitato. Infatti il provvedimento episcopale del Cardinale Florit, dopo l'intimazione, non si è fatto attendere. Ha rimosso il parroco, lo ha sottratto alle sue funzioni, ha tentato di sostituirlo con un altro prete a celebrare la messa, ma è andato incontro a un clamoroso fallimento, la chiesa è rimasta completamente vuota, tutti gli abitanti del quartiere hanno disertato il tempio, hanno organizzato uno sciopero nelle scuole e sono sfilati per le strade del centro di Firenze con grandi cartelli. Ma la cosa piu' clamorosa è che novantatrè preti della diocesi di Firenze solidarizzano con Don Mazzi. Mentre sul sagrato della chiesa dell'Isolotto c'è un presidio di parrocchiani che impedisce ai rappresentanti della curia di riprendere possesso della chiesa.
Il clamore non si placa anche quando il 20 dicembre interviene direttamente il Papa...

20 DICEMBRE - Siamo in pieno clima natalizio e all'Isolotto le polemiche non si sono calmate, la chiesa è presidiata, e sono falliti tutti i tentativi di mediazione fra curia e parrocchiani. Con una lettera a don MAZZI interviene il Papa in persona. PAOLO VI prega il parroco di ritornare all'obbedienza.
Ma ormai non dipende piu' da don Mazzi, è tutta la popolazione fiorentina a schierarsi contro l'alta gerarchia, a sfilare a migliaia in silenzio davanti alla curia, a ricevere solidarietà non solo da tutta Italia ma da tutto il mondo, perchè la notizia sta ora girando in tutto il mondo. E polemicamente sul sagrato con migliaia e migliaia di cittadini si celebrano le funzioni natalizie con don Mazzi e gli altri due viceparroci "ribelli" solidali.
Una Caporetto del cattolicesimo
intransigente, conservatore, incapace perfino di "vedere" e capire un evento cosi' dirompente e plateale. La chiusura della chiesa dell'Isolotto, ando', allora, sulle pagine dei giornali, ma rimarrà, in futuro, nelle pagine degli annali. Perchè cambio' un'epoca!

Gli eventi si susseguiranno per oltre otto mesi con trattative burrascose con i parrocchiani; fino all'epilogo del 30 agosto del 1969. Il Cardinale Florit sfidando tutta la comunità, dopo la sospensione a divinis di Don Mazzi e degli altri due viceparroci, dopo aver chiusa la chiesa, stanco e infuriato volle recarsi di persona a riaprire il tempio e celebrarvi la messa, ma i fedeli compatti risposero con durezza; continuarono la protesta e nessuno entro' nel tempio. Siamo in piena rivolta cattolica e i cartelli all'isolotto e nelle sfilate silenziose, persino funeree, erano di questo tenore "Cos'è il popolo nella chiesa? Tutto. Cosa conta? Nulla."

Non fini' li' la questione sollevata da don Mazzi. Altre comunità di altre città, seguaci del prete toscano, e tutt'altro che estremisti, ingrossarono le file, si ramificarono, nacquero le avanguardie, i Coordinamenti delle comunità di base, nella Cisl, nelle Acli; i cattolici piu' esagitati chiesero addirittura l'abolizione dei Patti Lateranensi. Ci fu l'isterelimento della mistica e dell'ascesi, defezioni, calo di vocazioni. Si formarono nel Nord i gruppi "clerico-laicisti", e il nuovo progressismo cattolico, che comincia a stringere rapporti con altre culture del secolo. Siamo a una grande svolta,  che nessuno però può ancora giudicare a distanza di anni.

Nel frattempo pn America

5 NOVEMBRE - Nel frattempo in America il 5 Novembre viene eletto Presidente degli USA RICHARD NIXON, del partito Repubblicano, ma i Democratici conservano la maggioranza sia al congresso che al senato. Nixon ha ora una bella eredità, la guerra in Vietnam. Tutto il mondo aspetta le sue decisioni, il nuovo corso della politica americana. Che cosa faranno i "gendarmi del mondo"

14 NOVEMBRE - In questo giorno, (l'altra tappa sarà il 5-12 febbraio del '69) per la prima volta dal 1948, le tre confederazioni sindacali (finora giganti di argilla) entrate nell'occhio del ciclone "operai + studenti", si svegliano!! Unitariamente proclamano due giornate di lotta con uno sciopero generale, ritornando (in ritardo) sui propri passi dopo dieci mesi sulla riforma pensionistica già da loro concordata con il governo (il 27 febbraio di quest'anno) che la base però non aveva accettata ma contestato, protestato  vivacemente,  in particolare con la CGIL (che si è presa nel corso dell'anno le peggiori contumelie dai suoi iscritti) accusata di tradimento.
Lo sciopero generale questa volta concordato ha una adesione altissima, ma ha momenti difficili in molte città; alla Fiat di Torino in particolare dove i CuB e Lotta Continua solidarizzano e insieme vorrebbero destabilizzare i sindacati ritenuti ormai appiattiti, ininfluenti, capaci solo di vedere il particolare e non il generale.
E' una lezione salutare ("imparammo molte cose" dirà un sindacalista anni dopo) e giova, perchè i dirigenti dei tre sindacati iniziano a "vedere insieme" altre strade da percorrere: l'unificazione.

20-23 NOVEMBRE - Al Consiglio nazionale della DC anche qui le cose non vanno meglio. ALDO MORO annuncia che si stanno vivendo "tempi nuovi" e che occorre una "strategia dell'attenzione" nei confronti del PCI. Le affermazioni non sono indolori, e Moro polemicamente si stacca dalla corrente dorotea mentre  Iniziativa Democratica  fonda una sua propria corrente in piena autonomia. Saranno tre le correnti importanti (Moro, Rumor, Andreotti) in sofferta alternanza a spartirsi i posti chiave del potere (Premier, Interni, Esteri) ma anche a combattersi su diverse linee di pensiero (e di interventi) come affrontare una società che è (apparentemente - anche noi non lasciamoci ingannare) in rivolta.

23 NOVEMBRE - Grandi e anomali manifestazioni studentesche a Torino che sfilano in cortei nella città e chiedono, dopo i recenti fatti, la riapertura delle Facoltà umanistiche chiuse dal rettore. Anomala perchè per la prima volta sfilano accanto agli studenti gli operai. E' il primo favore ricambiato. Già questo è una grossa novità che farà riflettere i sindacati e gli imprenditori, mentre la classe politica anche questa volta sottovaluta e come al solito e piu' favorevole a misure repressive e all'immobilismo piuttosto che dare  risposte riformatrici.
5
DICEMBRE - Il CuB della Pirelli Bicocca inizia a contestare come a Torino i sindacati. "La lotta operaia deve partire dalla base e non dall'alto". Chi lancia questi primi slogan non sono più gli operai, ma sono gli studenti che convinti di aver vinto le loro battaglie ora si volgono sempre di piu' e in massa agli operai delle fabbriche  contestando i sindacati e spingendo i lavoratori a seguire il loro esempio e mettere in discussione, magari anche con la violenza, gli assetti di potere esistenti. Il mondo operaio con tutte le sue lotte non era mai riuscito a dare una spallata ne' a limitare i poteri degli imprenditori, ma con l'appoggio di questa "forza" gli viene fatta prendere coscienza che si "poteva". E a dire il vero questa coscienza la prese anche il sindacato che finalmente sta iniziando a uscire dalla confusione. I suoi errori: troppo attenti piu' ai soggetti corporativistici che non ai compiti. Altro che "programmazione democratica" e "solidarietà nazionale". L'occhio di riguardo non era mai andata in una sola direzione. Erano pure loro una casta.

E' VITTORIO FOA a indicarci che alla fine di questo decennio, il sindacato "oscillava fra corporativismo e solidarietà", un corporativismo a maglie strette e larghe, secondo le circostanze. AMENDOLA stesso ammetteva dopo molti anni che "malgrado il nesso affermato tra lotte contrattuali e riforme, nel fuoco della battaglia il movimento sindacale di questi anni 1968-1969 ha stentato a mantenere l'alleanza dentro la classe operaia, tra classe operaia e contadini, tra nord e sud, tra occupati (del nord e anche del sud) e disoccupati". (Amendola, Gli anni della repubblica, 1976).

A uscire dall'impasse, a vedere piu' chiaro, a rompere l'egemonia padronale, contribui' direttamente o indirettamente, a questa "stagione studentesca", soprattutto Lotta Continua, di ADRIANO SOFRI. Diede con il suo movimento una grande spallata alla durezza e al potere dei grandi imprenditori,  rappresento' una doccia fredda per i sindacati e fece nascere una grande consapevolezza della forza assembleare dei lavoratori (del tutto nuova). Due componenti le ultime due che diventarono una unità definitiva  nell'"autunno caldo" del '69, e che porto' finalmente a molte conquiste: le 40 ore settimanali, il diritto alle assemblee all'interno delle fabbriche ecc. ecc.

Pochi videro allora questo contributo, ma è comprensibile, perchè pochi degli osservatori erano a Torino a vivere questo dicembre 1968. Hanno descritto alcuni aspetti per sentito dire, ma non ne hanno visto la sofferta "gestazione". Insomma bisognava essere presenti!!! Per capire!!! E i presenti a Torino erano pochi, quasi nessuno.

Il '68 studentesco non era riuscito a modificare l'assetto dell'Università e della scuola, tanto meno le istituzioni politiche e sociali, ma una piccola minoranza riusci' a far cambiare la mentalità operaia, quella sindacale e, (ora costretta) anche quella imprenditoriale (che però troverà altre strade, dislocando, inventandosi il terziario, il lavoro a casa, desindacalizzato). Ed è significativo che suscitarono una reazione da parte degli apparati dello Stato conservatore e del ceto politico di governo, gravemente minacciato da questa che era una vera e propria rivoluzione sociale. Di certo era la prima spallata dal basso. E sicuramente anche le prime crepe di un edificio.

Ci spostiamo ora a Milano, a Piazza Duomo, alla Scala, dove troviamo Capanna a lanciare uova marce alla neo-borghesia.....

7 DICEMBRE - S. AMBROGIO e le uova marce alla Scala. Nel clima che abbiamo già descritto nelle altre righe, non potevano mancare anche delle spallate al costume e alla quieta godereccia "società"; i parvenu degli anni d'oro del miracolo economico. L'insulto pacchiano, l'ostentazione gretta, l'arroganza, non veniva dalla vecchia borghesia, a questa gli si perdonava le "tare congenite", l'"amoralità educativa", quell'atavica insensibilità di fronte anche ai più gravi problemi sociali. Chi non si perdonava era la nuova neo borghesia, i Brambilla arricchiti nel boom, con i mobili, gli elettrodomestici, le cucine, i panettoni, i vestiti, i condomini; quelli considerati fino a ieri pezzenti ora diventati industriali e palazzinari, e che ora portavano a passeggio le loro donne con i chili di collane e braccialetti d'oro, o entravano nei templi della mondanità meneghina solo perchè affrancati dai loro conti in banca  non da una cultura umanistica della vecchia borghesia che solo a vederli sorrideva ma mandava giù nel frattempo il rospo. Infatti questa,  piu' accorta e anche più intelligente rimase a casa e quei pochi che arrivarono all'appuntamento -donne e uomini- erano vestiti sobriamente.

Impellicciate dame e damerini si presentarono alla consuetudinaria prima della Scala la sera del santo patrono meneghino. A riceverli trovarono gli studenti con casse di uova marce pronte per le esercitazioni di lancio su ogni elegante coppia che scendeva dalle fiammanti auto e si incamminava pomposamente alla passerella della vanità (mirino ambito un vestito di una dama del costo di due milioni, lo stipendio di un operaio di un anno).
A dirigere i lanci, a guidare il gruppo di "incazzati" è lui, il capo di tutta la gioventu' studentesca contestatrice milanese, lui il capo indiscusso, lui il tribuno di tutte le manifestazione, lui ad avere il carisma del trascinatore, lui in prima fila a prendere le manganellate, e sempre lui in questo evento mondano,  incitare provocatoriamente e a mettere in mano ai poliziotti chiamati a disperderli, le uova marce da tirare alle eleganti signore agghindate come a carnevale. Lui è MARIO CAPANNA, il leader, quello che questa sera farà piangere le eleganti signore belle statuine.

13 DICEMBRE - Il governo LEONE è durato poco: cinque mesi. Il 19 novembre il Presidente dà le dimissioni e si dà l'incarico il 26 novembre a MARIANO RUMOR, che il 13 dicembre forma il suo 1° governo con DC, PSI e PRI. Forte la presenza dei socialisti che ricevono 10 ministeri.
Il 18, voto di fiducia. Al Senato Rumor riceve 181 sì e 119 no; alla Camera 351 sì  247 no e 2 astensioni. .

Nel prossimo '69 partirà il nutrito movimento di CL, Comunione e Liberazione, e per tutti gli anni Settanta attivi saranno i nuovi ideologi proiettati verso traguardi piu' "temporali", come Turchini, Buttiglione, De Petro, Ronza, Scola, Formigoni, Tassani.
A fine anni Settanta, il "movimento"  con don GIUSSANI, ha la fortuna dalla sua parte, perchè nel '78 diventa Papa, WOJTYLA . Ha fatto l'operaio, ha fatto il "combattente" in una terra atea e avara di dottrine ma anche libera da gerarchie conformistiche ierocratiche, di funzionari di chiesa. E subito questo papa opera, svincola certe deferenze e crea una religiosità piu' militante, ricostruisce "esperienze di unita" (e chi ha memoria di unità come la chiesa?) e riporta alcuni equilibri di unione dentro una società in continua evoluzione dove gli uomini hanno bisogno piu' che di evangelizzazione burocratizzata e razionalizzata, hanno la necessità di un'assistenza spirituale e insegnamento etico, capace di far uscire tutto il potenziale latente della solidarietà umana. Che non è una creazione intellettuale, educativa, legata alla civiltà, ma è dentro nel profondo di ogni essere vivente. Basta vedere quando una comunità è colpita da un evento catastrofico, ed ecco che la solidarietà fra simili diventa una necessità interiore; si saltano tutti gli steccati delle minestre ideologiche, culturali, di razza, di ceto, le inimicizie e le animosità. Ci si aiuta solo!
Ma allora perchè bisognava aspettare un terremoto?

31 DICEMBRE - Non poteva finire che cosi' l'anno '68. E' stato l'anno della contestazione, e questa non poteva mancare fino all'ultimo minuto. Fino all'ultimo tocco è accompagnato dai singolari "botti" dei candelotti lacrimogeni degli scontri fra polizia e studenti dove ci saranno arresti e feriti, di cui uno grave.

Finisce l'anno e finisce anche l'anno della contestazione studentesca. E' l'ultimo sussulto di un anno inquieto. L'appuntamento degli studenti questa volta è avvenuto in Versilia; al veglione dell'ultimo dell'anno, nel tempio della musica: alla Bussola di Marina di Pietrasanta, dove, come alla Scala si sfoggiano le grandi toilettes e dove un biglietto costa quanto lo stipendio di un mese di un operaio della Fiat. A operare è ancora una volta il gruppo pisano studentesco di Potere Operaio di Sofri, e a contestare dame e cavalieri si sono dati appuntamento gli studenti di diverse città italiane.

"Viareggio- Circa cinquecento giovani del Movimento studentesco e di Potere Operaio si sono riuniti davanti al noto ritrovo mondano La Bussola...Pomodori e uova sono state lanciate contro le persone che entravano nel locale...con alcune barche hanno eretto delle barricate...scontri con la polizia e i carabinieri....Un giovane,....è rimasto ferito con un colpo di rivoltella. Le forze di polizia dichiarano di non avere usato le armi da fuoco e avanzano l'ipotesi che a sparare siano stati alcuni clienti della Bussola" (Comun. Ansa, 1 gennaio. ore 18.50)

LA STAMPA IN ITALIA IN QUESTO '68

Molte proprietà di importanti giornali, analizzando i fenomeni e intuendo meglio dei politici la situazione vogliono fare caute aperture verso in centro sinistra; quasi in massa sostituiscono le firme dei loro giornali, e alcuni lo faranno entrando perfino in attrito con i partiti referenti, come  la DC veneta a Venezia.

GIOVANNI SPADOLINI è il nuovo direttore del Corriere della Sera. ALBERTO ROCHEY a fine dicembre diventa direttore de La Stampa. PIERO OTTONE dirige il Secolo XIX di Genova, DOMENICO BARTOLI il Resto del Carlino di Bologna.

 ALBERTO CAVALLARI a Venezia va a dirigere Il Gazzettino, ma andrà oltre le righe e dopo appena un anno verrà licenziato dalla proprietà, la DC. Ma siamo nel profondo e "bianco" Veneto, non siamo nelle zone "calde" come Milano, Torino, Bologna, e Genova, investite di "rosso"; qui la classe operaia comincia a essere esaltata dai successi, si è data un volto nuovo e sta prendendo coscienza di essere forte.

Ma questo spostamento a sinistra, non solo dentro i partiti ma anche dentro le stesse istituzioni cattoliche non piace affatto agli americani ne' ai suoi servizi segreti sia a quelli ufficiali che a quelli non ufficiali; la strategia della prima è diversa, piu' cauta e attenta a non compromettersi, mentre è piu' libera di agire la seconda che opera, ramifica e gestisce senza consenso parlamentare apparati non solo informativi ma operativi e fuori dal potere esecutivo italiano, quasi del tutto ignaro di queste strutture parallele. Indubbiamente dalla Alleanza i partiti italiani di maggioranza o di appoggio al governo, sono tutti considerati inaffidabili. Del resto è anche comprensibile, perchè il governo italiano pur legato alle strategie della Nato, spesso è ambiguo. Lo abbiamo letto piu' di una volta; l'uomo sempre inviso è Moro con le sue "aperture" a sinistra.

Abbiamo detto quasi perchè qualcuno è bene informato ed è l'unico a garantire l'operatività di alcune di queste strutture segrete dipendenti dall'Alleanza atlantica create da molto tempo per salvaguardare l'integrità dello Stato dal sovversivismo rosso nel momento in cui ci potrebbero essere le convulsioni di un centro sinistra o di un PCI, che appare "ghettizzato" perchè non all'altezza di poter controllare le sue schegge impazzite. E quel qualcuno è GIULIO ANDREOTTI.

MORO si è staccato dalla corrente dorotea, va decisamente a sinistra e seguita a buttare ai suoi colleghi gli ami della sua "strategia dell'attenzione" verso il PCI; DONAT CATTIN sta diventando leader di una corrente democristiana di sinistra fatta di lavoratori; e nelle stesse file cattoliche si parla troppo di "sinistra storica", di "sinistra rivoluzionaria", di "Cristiani per il Socialismo", di nuove "alternative" anch'esse "rivoluzionarie", e i piu' cauti parlano di "clerico-laicismo". Che dire poi delle riunioni perfino alla luce del sole dove ci sono insieme leader comunisti e democristiani.

Inoltre in politica estera il governo italiano sta offrendo in molte circostanze una simpatia filo araba, fuori dall'ottica Usa e non sempre in linea con l'Alleanza Atlantica.

L'unico sulla scena politica italiana che sembra offrire garanzie, è lui GIULIO ANDREOTTI, e questa affidabilità lo porterà presto a diventare un protagonista della politica.  E' capo di una forte e agguerrita corrente democristiana  in contrapposizione a quella di Moro, cioè a destra, ma (pur essendo un anticomunista da sempre) molto abile e capace di colloquiare  -  meglio di Moro - anche con la sinistra:
Questo lo vedremo poi chiaramente nel 75 quando Andreotti con la svolta a sinistra (lui che stava per abbandonare l'Italia - perchè non c'era più posto per lui  nella politica italiana, ma  poi fece le rivelazione (Espresso, ottobre '74)  sul SID, sul paracadutista GIANNETTINI, e ribaltò la situazione). Le sue azioni (rivelandosi filodestroide) ripresero quota. Fu abile a sostituirsi nei colloqui con la sinistra iniziati da Moro, scavalcandolo. (vedi anni '75,  '76 e '77 e gennaio '78). Questo nonostante la sinistra l'avesse sempre combattuta con accanimento fin da giovane.
Riuscì  insomma a coagulare attorno a se' non solo il consenso di molti italiani col vecchio passato di destra (andreotti diventò  il piu' votato d'Italia - soprattutto Roma, che molti anni dopo scopriremo improvvisamente essere metà di destra) ma si prese la fiducia di chi pur con quel passato era sempre rimasto ai vertici delle istituzioni, nelle forze armate, negli apparati dell'ordine pubblico, oltre ovviamente ad essere appoggiato dagli americani che contrastavano Moro nel progetto di svolta a sinistra.

GIULIO ANDREOTTI inizia a incarnare, dal '75 in avanti, in modo esemplare l'interclassismo, la duttilità e l'indifferentismo etico della DC. In un modo aconfessionale e aclericale diventando uno strano cattolico laico e antitemporalista. Farà governi con tutti, perchè nel suo modo di agire curiale diventa amico di tutti. Di grande sagacia manovriera anche a livello internazionale si guadagnò presto la fama di operare (oltre che con le battute qualunquistiche e la nota ironia) con la spregiudicatezza, e con la cinica strumentalizzazione,  nell'intervenire nei problemi e nelle ore  più drammatiche del Paese  e "affrontare problemi politici e di ordine pubblico con disinvoltura a fini di conservazione del regime e del potere. Si propone grandi cose, ma piccole, estranee a ogni solenne "senso dello scopo". (lo scriverà A. Ronchey, il 25 luglio del '76, sul Corriere). "Ha una intimità ineguagliabile con la Curia e il clero laziale, legami con l'alta burocrazia e l'alta ufficialità, é di ingegno acuto, pronto, versatile ma senza slancio e poi freddezza, freddezza e tanto  "sangue di ghiaccio".  
Un giorno non lontano forse scopriremo chi era veramente Andreotti.

Per quanto riguarda le simpatie a destra, nel 1954 Graziani (comandante ex Repubblica Sociale e dal 1950 presidente onorario del MSI) scelse proprio Giulio Andreotti in un criticatissimo incontro (tanto che Graziani poi si dimise dal MSI) per  fare una "pacificazione" storica.
E se andiamo a rivedere alcune affermazioni di Gedda, costui affermava che sì non vi erano delle strutture controrivoluzionarie (inquadrate e con dotazioni di mezzi militari) dentro i suoi Comitati civici, ma nemmeno le negava "se vi sono state, sono da iscriversi, probabilmente, alla componente della Fuci, quindi a livello locale e per ordine di alcuni militanti democristiani".

Deviazioni dunque dentro la Fuci e quindi un apparato paramilitare segreto di democristiani militanti pronti ad entrare in azione in caso di vittoria dei comunisti nelle elezioni del '48. ("non avremmo ceduto il potere facilmente" confesso' Scelba anni dopo). Insomma una Pre-Gladio. Il caso vuole che presidente alla Fuci era - prima della sua sfolgorante carriera politica - proprio il giovane ventiduenne Giulio Andreotti.

Ma il perchè di tanto mistero nella creazioni di queste strutture parallele e a cosa dovevano servire è presto detto. La contestazione studentesca in Italia con i suoi slogan contro gli Usa e la guerra in Vietnam era stata presa in considerazione, ma non era mai stata temuta politicamente, non aveva procurato alcuno allarmismo.

La "guerra fredda" tra i due blocchi era in atto, e in Italia i reduci di questo '68 studentesco stavano formando gruppi autonomi e incontrollabili dai partiti storici e sempre piu' cercavano di promuovere la mobilitazione delle masse in una forma nuova che fin dalle prime battute stavano ottenendo discreti risultati, scavalcando i leader dei partiti e contestanto gli stessi sindacati.

La borghesia, il mondo finanziario, i militari, il ceto medio chiamato "maggioranza silenziosa" divento' un po' inquieto. Il pericolo comunista in Italia e in Europa per gli americani esisteva, e a intervenire nei vari Stati alleati per conoscere le nuove strategie che si preparavano all'interno non era piu' sufficiente la Nato e i contatti diretti con lo Stato italiano, nacquero così organismi americani paralleli, come il CIC, che iniziarono a creare in Italia una ramificata struttura, adottando una singolare strategia e appoggiandosi a personaggi di vecchia militanza fascista e perfino di ex nazisti. Lo abbiamo già accennato sopra nelle prime righe.

La logica era molto semplice: combattere il comunismo con gli unici uomini capaci veramente di farlo, quelli con l'ideologia del vecchio regime, i nemici storici (era una garanzia a tutto tondo). E molti erano ancora presenti nei piu' delicati gangli dell'apparato dello Stato, come nelle forze armate, prefetture, polizia e nei carabinieri, sia in servizio che fuori servizio.

Ecco dunque nascere alcune organizzazioni, che iniziarono a crescere. Nasceranno in pochi mesi venti gruppi (la Rosa dei venti). Strutturate come organizzazioni clandestine o con doppio livello legale, cioè coperto, e tutte miranti allo ristabilimento dell'ordine in caso di "sorprese rosse".

Abbiamo già detto "a carattere difensivo", "eccezionalmente offensivo". Ma non avevano forse previsto che alcuni contattati erano delle "teste calde", che si sentivano ed erano convinti di essere i "salvatori della patria".

Ecco dunque nascere i vari gruppi, Ordine Nuovo, Avanguardia nazionale, i MAR, Movimento di Azione Rivoluzionaria, la Costituente Rivoluzionaria, Europa e Civiltà, il Fronte Nazionale di Valerio Borghese, e molti altri. Alcuni con una centrale operativa e di collegamento a Verona, e altri gruppi in altre città metropolitane. Tutte intente ad arginare una fantomatica rivoluzione e una possibile presa del potere dei comunisti.

Il capitalismo sembrava avere le ore contate. I comunisti dal '57 stavano guidando le masse,  conquistandosi alcuni spazi dentro la società; occupavano mezza Europa, stavano dilagando in Oriente, e si erano insinuati con Castro anche in America. L'estrema sinistra italiana era fortemente convinta che erano ormai mature le condizioni oggettive  per l'avvento del comunismo in Italia e che bisognava ora creare quelle soggettive, coinvolgere le masse, ritenute (erroneamente) tutte di sinistra. E le stesse cose le pensavano quelli dell'estrema destra facendo affidamento alla classe media e a quella borghese, ritenute (erroneamente) tutte di destra.
Ma si sbagliarono entrambi. Gli italiani erano molto diversi. L'Italia non era nè piu' fascista (e una destra forte nelle masse in Italia non è mai esistita -era stata nel ventennio solo consenziente, come lo fu il cattolicesimo dal '48 a fine anni '50- entrambe dominarono entrambe una Italia contadina e ignorante), ne' era piu' antifascista (anche questa  nelle masse in Italia  una forte sinistra  non è mai esistita).

Il proletariato si era imborghesito, e la borghesia si era proletarizzata. In atto una nuova omologazione della vita, dove dominava il "nuovo potere" con una ideologia sempre piu' diffusa; quella individualista e quella consumistica. Bastava guardarsi attorno.
In Italia riconoscere nel '68-'69 un borghese da un proletario non era cosa facile; riconoscere uno di destra da uno di sinistra altrettanto. A Bocca e Montanelli occorsero dieci anni per distinguerli. (lo scrivono entrambi nei giornali dell'epoca - l'unico é Bettiza che abbiamo già letto, ma anche lui ne fa una ipotesi, non ha una certezza).

Dentro questa  totale irrazionalità, c'erano alcuni fanatici idealisti che volevano agire.
E per agire, dovevano innanzitutto  trovare un pretesto per far proclamare nel Paese uno stato d'assedio come in Grecia;  una emergenza come Francia;  un intervento militare come in Cecoslovacchia; o un giro di vite per eliminare l'ubriacatura ideologica proveniente dalla "maoista" Albania. Fu così che le "volpi" rivolgendosi ai  "professorini" ideologi,  cercarono di usare le teste piu calde, che  per evoluzione, per esperienze o per necessità di risposta, purtroppo diventarono sempre piu' calde contro il comune "nemico", contro lo Stato debole e i vecchi politici,  contro la stampa che li derideva, e contro  perfino i sindacati. 

Fecero alla fine il "matrimonio di sangue nella violenza". Spesso cambiando barricata, dimostrando che alcune loro ideologie erano semplicemente "usa e getta".
Che alcuni gruppi, pur avendo una matrice di sinistra, fossero utilizzati a loro insaputa (forse, ma non vogliamo pensare così male) da altri organismi é una ipotesi verosimile, che verrà un domani fuori (forse un giorno -con i documenti segreti russi- ne avremo la certezza)

Questi gruppi iniziarono a spostarsi dalle scuole ai cancelli delle fabbriche, poi nelle piazze e infine visto che i politici facevano intese e i sindacati agivano in concerto ottenendo ambigui risultati, risposero con atti terroristici, sui treni, nelle banche, nelle manifestazioni, ognuno convinto che quella era la strada. Spesso convinti che dietro le prime stragi ci fossero le regie di Stato, i politici italiani, la destra nostalgica, i servizi segreti e perfino elementi legati al Vaticano (chiedere ai terroristi  ancora oggi nel 2000 qual'era il loro obiettivo non lo sanno ancora. Qualcuno affermerà che il loro mito era diventare un partito rivoluzionario a sinistra del PCI, sullo stile dei Gap (lo diranno ai processi).

Ma Stato, Politici, Servizi, c'erano?, non lo sapremo mai (forse), e se agirono in concerto, anche questo non lo sapremo mai. Una cosa è certa che chi stava ora operando sconsideratamente nella estrema destra e nell'estrema sinistra seminò il panico in un modo tale da far crescere ulteriormente la violenza, portando il Paese piu' che a un disordine generalizzato (che non ci fu mai) a una inquietudine sociale, con l'intento di suscitare una reazione nell'ala piu' conservatrice, che però era troppo debole per poter affrontare le emergenze con i mezzi istituzionali. L'uomo forte non c'era.

Poi c'erano le invidie. E a molti questo caos andava bene, per eliminare quella concorrenza spietata che dalla nuove correnti stava nascendo.
Involontariamente o di proposito diedero il via al terrorismo per far sollecitare l'intervento dell'esercito, far scattare l'emergenza,  intimorire, trovare consenso dei cittadini e quindi l'avallo per combattere su ogni fronte l'eversione dei rossi. E i rossi a, loro volta, per combattere l'eversione dei neri.
Ma è una spirale che inizia a girare con delle forze centrifughe sempre piu' pericolose e fuori da ogni controllo (o almeno a qualcuno sembrarono tali, tanto da invocare più volte il pugno di ferro).

Invece l'emergenza militare tanto attesa non arrivò. Non sapremo mai perchè, ne' chi gli italiani devono ringraziare perchè il paese non scivolò in un pantano come in Grecia in un caso, o come l'Albania nell'altro. Solo queste due erano le alternative in questi anni. O i colonnelli o i comunisti ( in entrambi i casi dopo una guerra civile). 

Per alcuni la "strategia della tensione" fu un modo (qualcuno ha detto "americano") per tenere lontana la estrema sinistra che ambiva al potere con le utopie maoiste (modello Cino-Albania?) dopo aver quasi rinnegate quelle sovietiche. Ma è una follia solo a pensarlo, non erano certo questi gruppetti a impensierire gli americani. Gli accordi del dopoguerra tra le due potenze (spartizione dell'Europa sul foglietto a quadretti) erano ancora solidi e validi. Nessuno oltre atlantico mosse un dito per la Cecoslovacchia o l'Ungheria.  Nessuno al Cremlino mosse un dito per la Grecia. Così in Francia, nè gli uni né gli altri. 

Per altri invece .......

Per altri più attenti osservatori, l'inquietudine   favorì solo la stagione dell'unità nazionale voluta e pagata poi da uno solo: Aldo Moro.
(e anche da altri innocenti che l'autore che scrive vuole ricordare,  in particolare (onorando la sua memoria) il suo straordinario Istruttore Oreste Leonardi, il capo scorta di Moro, Oreste Leonardi).
In sostanza le ragioni della verità dei singoli cittadini contro la ragione di Stato.
Che poi questo Stato e la politica italiana c'entrassero veramente a pieno titolo dentro tante verità e tante menzogne, anche questo non lo sapremo mai, perchè anche molti anni dopo la verità non è venuta fuori: o tutti hanno mentito (governo, destra, sinistra, democristiani) o erano tutti  in buona fede; cioè ad eseguire ordini superiori. Avranno capito dopo, ma non certo possono parlare. E anche quelli che hanno fatto il loro dovere, il "dovere" implica il silenzio.

Molti personaggi (anche quelli in carcere ancora oggi privati della libertà) si sono chiusi nel mutismo piu' ostinato, sia da una parte che dall'altra della barricata. Ed è questo il fatto piu' sconcertante. Ma  forse c'e' la terza verità, la piu' ovvia: reciprocamente non sanno nulla. Furono giocati entrambi da chi era al di sopra di loro e li ha utilizzati. E questi non erano certo i fiacchi, svigoriti e scoloriti politici che c'erano in questi ultimi anni sessanta. 
Altrettanto il commando di Via Fani non poteva essere opera di quelli che sono venuti poi alla ribalta nei vari processi. VCome esecutori forse sì, ma....

 

ORA UN'ALTRA PANORAMICA DEL '68
VISTA DA
Giovanni De Sio Cesari

 

di Giovanni De Sio Cesari
http://www.giovannidesio.it/
(Storiologia, ringrazia)

Indice: premessa - centralità dei giovani - momento storico -
matrice marxista - matrice psicanalitica -
visione del mondo - effetti del '68

PREMESSA

Questo lavoro non intende ripercorrere la storia del Movimento originatosi nel ’'68 ma mettere in luce le idee fondamentali alle quali esso si ispirò.

In realtà non esiste un complesso organico di idee, una ideologia del '68: ci sono molte posizioni diverse e contrastanti tanto che, nella realtà concreta di tutti i giorni, ogni gruppo o gruppetto pareva in lotta con tutti gli altri più che con la società borghese in generale: ciascuno accusava l’altro di essere oggettivamente fascista, capitalista, borghese.

Tuttavia è possibile rintracciare idee e, ancora più, atteggiamenti mentali comuni che resero quei movimenti inconfondibili, sia pure nelle profonde diversità delle posizioni. Possiamo dire che esse sono caratterizzate non tanto da fini comuni ma dell’ esser contro: l’atteggiamento fondamentale è quello di voler cambiare tutto e quindi il vero nemico è tutta la società costituita fino ad allora

L’anima vera del '68 consiste in un aspirazione a una palingenesi sociale che nel passato si era incarnata nei movimenti millenaristici.
i giovani sentirono una aspirazione alla pace alla giustizia alla libertà ma, direi meglio, al BENE, non a questo o quel bene ma proprio al BENE.

Il capitalismo giustifica le disuguaglianze e mette a fondamento l’egoismo individuale, il nazionalismo teorizza la guerra ed esalta l’egoismo nazionale, il colonialismo afferma la superiorità di alcuni popoli su altri e giustifica il dominio degli uni sugli altri. Ma essi invece crederono veramente alla possibilità di instaurare l' uguaglianza, la solidarietà la pace, che il male della terra non sarebbe esistito per sempre ma che poteva essere eliminato, che la malvagità dipendeva solo da una società sbagliata e che se essa fosse stata corretta gli uomini si sarebbero liberati per sempre della catene dell’egoismo.
Soprattutto credettero che tutto questo poteva essere fatto in poco tempo che anzi ormai l’ora era giunta.

CENTRALITA’ DEI GIOVANI

La prima e più evidente caratteristica del '68 fu il porsi della gioventù come categoria sociologica a parte, autonoma e privilegiata.
Sempre sono esistiti i movimenti giovanili nei partiti come nelle chiese e in tutti i gruppi sociali. Ma essi erano considerati dei vivai da cui in seguito sarebbero stati attinti i componenti delle classi dirigenti che erano sempre persone mature, se non propriamente anziane. Si riproduceva la struttura fondamentale di ogni società: i giovani imparano e si preparano e fra essi quelli che hanno dato buona prova, in seguito, potranno aspirare ad occupare posti direttivi. Non è che un ufficiale appena nominato guidi un esercito o un prete appena ordinato diventa vescovo: esiste una carriera, più o meno lunga, e solo alla fine di essa è possibile raggiungere i posti più elevati.

Il '68 invece è essenzialmente un movimento giovanile che si pone in contrasto radicale e drammatico con le generazioni mature: esistono figure di persone anziane, i grandi vecchi, che i giovani possono seguire e idolatrare pure. Ma si tratta di eccezioni: sostanzialmente il frutto dell’esperienza viene negato. Ai giovani è assegnato un compito di palingenesi universale, di guidare il mondo verso il radioso futuro, verso la Rivoluzione definitiva che tutto appianerà : la classe rivoluzionaria in effetti non è più il proletariato ma i giovani: non più in posizione subordinata, in attesa di raggiungere la esperienza e la maturità necessaria.

E’ questo, a nostro parere, l'aspetto qualificante e basilare che si riscontra in ogni campo: esiste quindi una modo di vestire giovanile, una musica giovanile, una sessualità giovanile, tutto un modo di essere dei giovani che gli adulti non possono capire: la naturale continuazione della cultura familiare va in frantumi.
Gli anziani, le persone mature sono invece riguardati come quelli che si sono già inseriti nella vita sociale ed economica della società corrotta e quindi corrotti anche essi dalla cultura borghese, dalla società costituita, dal consumismo, dalla tradizione: solo i giovani hanno la possibilità di comprendere la realtà perchè non ancora inseriti nel meccanismo infernale messo su dalla borghesia.

In effetti gli adulti furono sempre estranei al movimento anche quando lo guardarono con simpatia: i padri anche se erano comunisti avevano grande senso della disciplina di partito, forti valori familiari: mentre i figli erano contestatori di ogni disciplina e avevano in orrore i valori tradizionali della famiglia.
Il criterio della autonomia della gioventù ci permette anche di limitare concettualmente il '68. in quell’anno ci furono molti avvenimenti epocali che, pure alimentando il '68, non ne possono essere considerati parte perchè mancava il carattere discriminante della autonomia giovanile.
In Viet nam ci fu l’offensiva del Tet che pose il problema della guerra e anzi fu un elemento essenziale del '68 stesso: però in quel caso non si trattava certo di un movimento giovanile ma di soldati, spesso molto giovani, ma che lottavano agli ordini di persone anziane e sperimentate.

Nemmeno possiamo includervi gli avvenimenti di Praga con l’invasone sovietica che pure ebbero un grande impatto: anche in quel caso il movimento per un socialismo dal volto umano non era un movimento giovanile.
Anche l’inizio della lunga lotta del movimento palestinese influì molto ma nemmeno esso era certamente un movimento giovanile.
A volte furono prese a modello le Guardie Rosse della Rivoluzione Culturale cinese che apparentemente poteva sembrare un movimento giovanile: tuttavia in realtà si trattava di qualcosa molto diverso e quei giovani erano praticamente uno strumento delle lotte di vertice del partito comunista cinese.

MOMENTO STORICO

A considerare il momento storico, ci si stupisce che un tale movimento possa essere sorto nel 1968. Almeno a una prima analisi sembra davvero strano che esso si sia manifestato proprio nel momento in cui nella società “capitalista ” le masse avevano raggiunto livelli di vita insperati e il modello comunista appariva già allora in evidente crisi ma per quanto possa, a prima vista sembrare paradossale, furono proprio questi elementi a permettere il '68.
Analizziamo quindi i due fattori.

L’Europa, era uscita dalla Seconda Guerra Mondiale a pezzi, vincitori e vinti, senza grosse differenze. La ricostruzione, però, fu insperatamente rapida anche per il sostanzioso aiuto americano del piano Marshall.
Era seguita, quindi, una età veramente eccezionale, l’età dell’oro, come la definì Hobsbawn, nella quale i lavoratori avevano raggiunto livelli di vita prima del tutto impensabili. In Italia, in particolare, nel primo dopoguerra si pensava, da destra e da sinistra, che con grande difficoltà l’Italia avrebbe potuto raggiungere i livelli degli anni trenta: ci fu invece quello che fu detto il miracolo economico: divennero patrimonio generale gli elettrodomestici, le auto, le vacanze, si arrivò al consumismo: i più anziani vedevano stupefatti i cambiamenti, molti lamentavano la perdita degli antichi valori, in effetti nella storia non c’era mai stato un periodo tanto breve nel quale ci fossero stati cambiamenti tanto grandi. Il mondo della fine degli anni 60 era radicalmente mutato da quello dell’anteguerra. L’Italia agricola e affamata di sempre era sparita per dar posto all’Italia delle file sull’autostrade per le vacanze: del consumismo, come si disse.

Il Partito Comunista colse la novità: l’idea della rivoluzione comunista, grande e generale, che già era stata accantonata per motivi contingenti di assetto internazionale ai tempi di Togliatti, venne esclusa definitivamente. Il sostanziale fallimento del modello sovietico era ormai evidente: il muro di Berlino ne era una prova tangibile. Lo strappo con Mosca avvenne proprio in quell’anno con l’intervento che soffocò la primavera di Praga e il socialismo dal volto umano cioè, in pratica, si evidenziò la impossibilità di riformare il comunismo.
Come pensare che proprio in quel momento storico sarebbe divampato un movimento che volesse instaurare il comunismo ?

In realtà il mondo concreto della politica e della società, il mondo adulto insomma, andò nella direzione che questi avvenimenti indicavano: ma per i giovani del '68 l’interpretazione fu molto diversa .

Gli anziani paragonavano il mondo attuale a quello della loro giovinezza e vedevano differenze immense, mete mai sognate: i giovani non potevano ricordare quello che il mondo era appena qualche decennio precedente: non potevano quindi avere coscienza dell’immenso cammino percorso.
Non prendavano nemmeno in considerazione come termine di paragone il mondo sovietico considerato ormai, un capitalismo di stato, un tradimento del vero comunismo.
Il loro termine di paragone non era un il mondo reale di prima ne quello sovietico del tempo ma un modello ideale.
Videro che il benessere non era ugualmente diffuso, che alcuni ceti erano privilegiati, che vi erano molte ingiustizia sociali e disuguaglianze insopportabili.
Si convinsero allora che queste ingiustizie e disuguaglianze non avevano cause oggettive, strutturali, difficili da rimuovere ma sarebbe potuto facilmente essere superate solo che una piccola classe di sfruttatori fosse stata eliminata.

La rivoluzione era a portata di mano, tutto e subito: era cosi facile: bastava qualche manifestazione, bastava dirlo al popolo ed esso sarebbe insorto. In fondo erano le stesse illusioni che si erano manifestate agli inizi degli anni Venti nei qual si pensava che la rivoluzione dalla Russia sarebbe naturalmente dilagata in tutto il mondo e che il giorno radioso era ormai giunto: questione di mesi , più che di anni.
Mancava certamente la esperienza della difficoltà della Rivoluzione come le avevano vissute quelli che veramente la avevano tentata: i comunisti .

Il PCI invece si era ben reso conto del tramonto della rivoluzione bolscevica e dichiarava che era venuta meno la spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre; un modo elegante per dire che ormai era superata, un fatto storico del passato, insomma, non dell’avvenire, da studiare con il metro storico, non un modello a cui ispirarsi.
Il PCI si spostava quindi su posizioni sempre più moderate: ma in questo modo non attirava più, come era avvenuto nel passato, i giovani pieni di ardore rivoluzionario. La disciplina di partito aveva sempre mantenuto la spinta rivoluzionaria entro limiti accettabili: quando si erano manifestate pericolose spinte (come in occasione dell’ attentato a Togliatti o per i fatti di Genova del ‘60) il Partito era sempre intervenuto decisamente perchè le cose non andassero troppo oltre: praticamente il PCI era stato sempre un fattore di stabilità; la rivoluzione comunista non era scoppiata in Italia sostanzialmente perche il PCI lo aveva sempre impedito.

Ma ora lo spostamento sempre più evidente del PCI su posizioni moderate, se rispondevano correttamente e a una necessità politica, tuttavia lasciava uno spazio a sinistra abbastanza ampio, subito riempito da una galassia di partiti, partitini e gruppi più o meno spontanei che non avevano più un punto di riferimento, una visione di insieme realistica della società. I giovani del '68 quindi giudicarono il PCI sostanzialmente la retroguardia della borghesia, l’ultimo baluardo dello stato capitalista.
Mancava quindi anche una organizzazione gerarchica di partito in cui i giovani potessero essere inseriti: i giovani non avevano più gerarchie da rispettare.

MATRICE MARXISTA

La maggiore ispirazione culturale del '68 fu senza altro il pensiero di Marx. Si trattava pero di una rilettura di Marx diversa da quella tradizionale che aveva prevalso con Lenin e adottata quindi dal socialismo reale, cioè dai regimi comunisti che si erano diffusi in tanta parte del mondo.
Il comunismo sovietico e poi quello cinese avevano fatto leva essenzialmente sulla estrema miseria delle masse. La Prima Guerra Mondiale aveva aggravata la crisi della Russia zarista così come il disordine interno o le guerre civili fra i signori della guerra avevano gettato la Cina all’estrema disperazione. Masse immense di affamati e di disperati videro nella rivoluzione comunista la salvezza e vi aderirono entusiasticamente, come l’unica soluzione possibile.

Ma nell’Occidente del consumismo non c’erano masse affamate e disperate a cui rivolgersi.
Marx veniva allora rivisto privilegiando la chiave umanistica più che quella propriamente economica. Il comunismo non viene cioè visto solo come un modo di migliorare le condizioni economiche delle masse ma soprattutto come la soluzione dei problemi esistenziali, della realizzazione dell’uomo, di cui il fatto economico era solo un aspetto, anche se importante e fondamentale: si vuole insomma la felicità più che il benessere economico.
Non si pone l’accento tanto sull’analisi della produzione che era stata l’oggetto proprio del Capitale ma su quella della condizione umana di cui pur c’erano pure ampi tratti nel pensiero marxista.

La parola chiave diventa quindi alienazione. Nella società capitalistica borghese il male non è tanto e solo le condizione economica ma il fatto che l’uomo non vede realizzato la sua personalità e si sente alienato, una cosa tra le cose, una merce fra le merci come pure Marx aveva affermato. L’alienazione non riguarda solo le classi più povere ma tutti: la liberazione promessa quindi è la liberazione promessa a tutti perché l’alienazione delle società borghese riguarda ricchi e poveri.
La società comunista allora viene vista come la quella nella quale l’uomo, liberato dalle catene dell’egoismo può finalmente realizzare la sua vera natura e personalità: una società senza sfruttati e sfruttatori, senza disuguaglianze, senza ingiustizie, senza violenze, senza guerra.

Il modello ideale era tale da catturare la immaginazione dei giovani inesperti delle cose della vita: di fronte a un tale potente e affascinante modello la società reale effettiva apparve come il male, il male radicale. Il contestatore del '68 non vuole questo o quel miglioramento particolare della società: vuole la vera società la vera civiltà il vero comunismo. In questa prospettiva il comunismo realizzato appare del tutto inadeguato, un capitalismo di stato, un regime economico nel quale i capitalisti sono sostituiti dallo strutture dello Stato in cui però le barriere dell'egoismo non sono cadute e l‘uomo non può quindi realizzarsi.
In quanto alienato l’uomo cioè non è riconosciuto in quanto tale ma solo come un produttore-consumatore, una rotella di un meccanismo economico che lo trascende e nel quale esso perde la sua individualità.
Ci si rifà alla Scuola di Francoforte che dava una lettura di Marx in chiave esistenziale: la scuola era appena conosciuta al di fuori della cerchia degli studiosi ma divenne improvvisamente popolare. Soprattutto divenne notissimo il Marcuse, che dalla oscurità delle università ebbe improvvisamente risonanza mondiale e fu acclamato come il grande profeta del '68.

Seguiamo brevemente il suo pensiero espresso nella sua opera che divenne popolarissima presso i giovali del '68: “L’uomo a una dimensione
Si parte dall’idea che la libertà offerta dalle società democratica attuale è solo apparente perchè in effetti vi sono infiniti meccanismi di persuasione occulta che fanno si che la gente pensi quello che il potere voglia che pensi. La libertà infatti all’inizio della civiltà industriale fu un mezzo necessario di rottura ma ora è divenuta uno ostacolo perchè l'industria ha bisogno di una società formata da individui tutti uguali, come rotelle di un grande meccanismo, ciascuno funzionale al tutto.
I movimenti religiosi e filosofici hanno assunto il ruolo di “misure igieniche” cioè di mezzi di sfogo di certe insoddisfazioni che nell’insieme rafforzano il dominio della grande industria.
Marcuse non presenta vere e proprie indicazioni per superare la società attuale. Afferma che il mondo moderno restringe la razionalità al suo orizzonte e dichiara ogni altra possibilità come assurda. Marcuse riconosce che il popolo, la classe lavoratrice è ormai inserita nel meccanismo produttivo e quindi non può fare la rivoluzione.
Si prospetta il grande rifiuto come contestazione globale di tutta la società. Essa può venire da gruppi sfruttati ed emarginati, da minoranze razziali: forse è una nuova calata di barbari ma potrebbe essere la vera civiltà perche, a volte, gli estremi della civiltà e della barbarie si toccano.

Come si vede non viene prospettata nessuna soluzione concreta: la sconsolata analisi non pare che ammetta soluzioni.
Ma per il '68 questa fu una caratteristica generale: non si cercava soluzioni realistiche ma solo l’abbattimento della società attuale: poi, come diceva una famosa scritta alla Sorbona: la fantasia al potere. Il '68 infatti non ha un vero programma da attuare, solo una società marcia da abbattere dopo la quale sarebbe venuta la vera civiltà.
In effetti a ben vedere questa era anche una delle caratteristiche del pensiero marxista. il Capitale è infatti l’analisi della società capitalistica secondo la quale questa era destinata a crollare in breve tempo: ma non aveva una sua teoria dello stato che si sarebbe invece estinto (teoria del deperimento dello stato). La società che sarebbe nata non era prevedibile e quindi Marx non volle descriverne i caratteri come invece era molto comune nei socialisti dell’800, tutti intenti a delineare anche nei minimi particolari la nuova società dell’avvenire.

Ciò che mancava però nell’analisi di Marcuse rispetto a quella di Marx era che non veniva scientificamente individuato il meccanismo che avrebbe fatto esplodere la società capitalistica: per Marx sarebbe stato il proletariato immiserito, cioè la stragrande maggioranza della popolazione. Marcuse si rendeva conto che questo ormai non era più possibile ma pensava vagamente ad alcune minoranze: ma non si vede come minoranze emarginate possono rovesciare società sostenute dalle grandi maggioranze.
I giovani d’altra parte non si rendevano conto che essi costituivano piccole minoranze: credevano di avere dietro di loro la grande maggioranza del popolo, del proletariato, delle masse, insomma, come si diceva.

MATRICE PSICANALITICA

L’altra grande matrice culturale a cui si ispirò il '68 fu quella psicanalitica, propriamente nella sua variante, cosi detta, di sinistra. Freud aveva teorizzato la centralità della sessualità ma aveva anche sostenuto, e vigorosamente, la necessità della sua repressione: la civiltà, la cultura, l’etica, la nostra vita sociale tutta nasceva, secondo Freud, dalla capacità di porre sotto controllo l’istinto sessuale che, lasciato a se stesso, era distruttivo. Quindi, anche se in casi particolari, la repressione sessuale ( soprattutto il superamento del complesso di Edipo ) poteva portare a nevrosi, tuttavia essa era inevitabile: al più bisognava stare attenti a non esagerare, a non creare situazioni troppo drammatiche .
Ma la Sinistra Freudiana ( soprattutto William Reich) sostenevano che il complesso di Edipo veniva superato spontaneamente se non si fosse messo in atto un meccanismo repressivo: in generale la sessualità doveva quindi manifestarsi liberamente, la sua repressione o irrigidimento in vie e regole prefissate rendeva l’uomo, egoista, avido violento, insomma era la radice del male e della infelicità.

La psicanalisi cosi intesa giustificava d’altra parte un mutamento radicale della società che si andava attuando in quegli anni: l’eclisse della millenaria etica sessuale: i rapporti fuori dal matrimonio da sempre visti come il male, il peccato ( anche dai comunisti ) vengono accettati come una liberazione.
Con essa si veniva a intrecciare la liberazione della donna, il femminismo. Le particolari limitazioni, che da sempre avevano contraddistinto l’ universo femminile, le tradizionali doti femminile come la modestia, il pudore, la verginità prematrimoniale, lo spirito di sacrificio erano visti come conseguenze nefaste della repressione: il ruolo della donna era cambiato e non si doveva distingueva dal quello dell’uomo.
Si parlava di maschilismo come un fattore della più generale repressione sessuale che ingabbiava, d’altra parte, uomini e donne, repressione che aveva la funzione di mantenere il dominio della borghesia.
La borghesia diventava stranamente la depositaria della morale tradizionale mentre in generale erano stati i ceti borghesi ad abbandonare la morale sessuale tradizionale che era invece ancora salda nelle classi più povere. Il divorzio cessò di essere visto come un fatto borghese e fu visto, stranamente, come una esigenza del proletariato.

VISIONE DEL MONDO

In realtà le due matrici si fondevano.
Si teorizzava che la repressione avesse una matrice politica (oppressione della borghesia capitalistica ) e una psicologica: (oppressione della regole morale), anzi si riteneva che ambedue fossero espressione di una unica società oppressiva.
Benchè Freud e Marx partissero da presupposti e metodi del tutto diversi tuttavia apparve che essi si incontrassero in un aspetto fondamentale: la repressione sociale crea il male, l’uomo di per se è buono: un ritorno in chiave moderna al mito del buon selvaggio, caro all’Illuminismo.

In verità nel marxismo l’uomo viene considerato un prodotto della società e si nega decisamente che esista una natura vera, una essenza dell’uomo, concetto questo proprio del pensiero religioso (come base della morale naturale): tuttavia nella prospettiva della lettura umanistica di Marx, il principio che la natura dell’uomo è data dalla storia viene generalmente poco percepito e accantonato di fronte all’idea che l’uomo realizzato nella società comunista sarebbe stato l’uomo vero.
Per Marx la repressione nasceva dalla classe dominante che voleva mantenere il proprio potere con la ricchezza, per Freud invece era imposta da quelli che volevano mantenere i proprio potere con la morale tradizionale: in ambedue i casi pero bisognava combattere contro le regole della società, i divieti: VIETATO VIETARE era una parola chiave del '68.

La percezione del mondo nella contestazione del '68 è estremamente netta e lineare: da una parte il bene dall’altra il male, una linea netta che distingue i due campi senza possibilità di commistione: tutto era bianco o nero. Il grigio non esisteva.

In altri termini il contestatore non cercava di distinguere in ogni fatto gli aspetti positivi e quelli negativi ma classificava ogni fatto come negativo o positivo, secondo che appartenesse al campo del male o al campo del bene.
Questa semplificazione estrema fu uno fu il maggior fascino del movimento: il bene e il male erano facilmente riconoscibili e ci si metteva, con grande entusiasmo e generosità, al servizio del bene e si era sicuri di essere nel giusto: quelli che si opponevano erano i rappresentanti del male che ne fossero o meno coscienti.
Era poi anche tanto facile: non lunghe e complicate analisi, non il confronto difficile con la realtà effettiva, con fatti sempre complessi e contraddittori: in ogni cosa bisognava capire se era di destra o di sinistra nella particolarissima accezione che si dava a questo termini.

Nel campo della destra e quindi del male veniva posto innanzi tutto il capitalismo: tutto quello che poteva essere rapportato ad essi era certamente il male: non si cercava di veder quali fossero gli aspetti positivi o negativi del capitalismo.
La borghesia era la classe che sosteneva il capitalismo: quindi in essa non poteva che far parte del campo del male: nulla che fosse borghese poteva essere bene e tutto quello che era male era borghese.

L’America rappresentava essenzialmente il capitalismo: quindi tutto quello che facevano gli americani era sempre e comunque male e tutto quello che di male avveniva nel mondo doveva essere in qualche modo in relazione con l’America.
Nel campo del male veniva posta anche quindi la autorità qualunque fosse poi la natura ( familiare, scolastica, religiosa, sociale, amministrativa ): ciò che si opponeva alla autorità era sempre il bene.
Nel campo del bene vi era il proprio modello di società , nel campo del male tutto quello che si opponeva ad esso.
Nel campo poi del male finivano anche tutti quegli indirizzi che pure essendo propri della contestazione stessa tuttavia divergevano dalle proprie idee e quindi oggettivamente favorivano il male: in pratica ogni gruppo era in lotta accesa con gli altri gruppi contigui non meno che con i nemici comuni.
Comunque essi immaginavano di combattere una gigantesca lotta a livello mondiale, politica e culturale fra fascismo e comunismo: tuttavia i due termini non avevano il significato proprio.
Per fascismo non si intendeva solo i seguaci di Mussolini che in pratica non esistevano quasi più; sotto la categoria di fascista si ponevano tutti i regimi autoritari e dittatoriali, tutti i regimi democratici parlamentari, tutte le manifestazioni autoritarie: il professore severo era fascista, si poteva essere fascisti perfino a letto.

Il comunismo non era più identificato con i regimi dell’est ma era una categoria nella quale rientrava il modello ideale che si aveva in mente.
Le motivazioni di una semplificazioni così estrema vanno spiegate:
innanzi tutto esse erano semplici ad essere utilizzate dai giovani poco esperti e poco disposti a lunghe e complicati studi e soprattutto, alieni dall’accettare l’insegnamento degli esperti e quindi implicitamente degli adulti.
Cercare di capire cosa avvenisse in Palestina o in Viet-nam poteva essere molto difficile: sarebbero occorse complesse conoscenze storiche, sociologiche, economiche non alla portata di tutti: ma bastava invece osservare da che parte fossero gli Americani per sapere subito dove fosse tutto il bene e dove tutto il male. In complesse scelte economiche non occorreva conoscere i difficili principi dell’economia: bastava veder da che parte fossero gli industriali e cosi via.

Il giovane, senza avere particolari conoscenze, poteva quindi in questo modi discettare di crisi internazionale, di scelte economiche difficili, di società e di morale: tutto appariva facile, evidente nello schematismo del '68: non occorrevano gli esperti, carichi di studi e quindi di anni, che avrebbero vanificato l’essenza stessa dell’autonomia giovanile.
Però non basta questo: occorre anche comprendere come le matrici culturali marxista e psicanalitica offrissero gli strumenti culturali essenziali a tali semplificazioni.
Il marxismo presentava il concetto di mistificazione o di falsa coscienza. Marx aveva affermato, in sostanza, che il pensiero fosse un epifenomeno della realtà materiale, che le manifestazioni culturali (religione, diritto, anche scienza) fossero sovrastrutture delle strutture economiche. Pertanto ogni idea poteva essere sostanzialmente ricondotta alla matrice economica sociale di cui era sostanzialmente una manifestazione. Il concetto in Marx è molto complesso e da’ adito a molte contraddizioni e critiche: tuttavia fu preso in modo molto semplice e banale.
Se qualcuno esprime una opinione, che fosse in qualche modo favorevole alla borghesia, al capitalismo, all’America non si cercava di vedere se essa corrispondessero o meno alla realtà effettiva: si deduceva immediatamente che essa era espressione della borghesia, del capitalismo, dell’America e quindi veniva posta immediatamente nel campo del male. Non si giudicava una idea secondo la corrispondenza alla realtà ma secondo il campo di appartenenza: c’e una cultura borghese da denunziare e da rigettare e una cultura proletaria comunista da accettare.

Ancor di più la psicanalisi si prestava a un meccanismo di questo genere. Per Freud infatti le idee che abbiamo sono il mascheramento. la razionalizzazione di idee profonde rimosse che non possiamo manifestare per la censura operata dal super io: ad esempio il fervore religioso è l’espressione della impossibilità psicologica di esprimere la propria libido. Quindi non pare importante quello che si pensa a livello cosciente ma le pulsioni incoscienti che lo originano.
Da questo punto di vista, in modo ancora più radicale che per il marxismo l’esame logico e la corrispondenza oggettiva di quello che si pensa pare poco importante. Invece di una analisi logica e fattuale delle idee si procede a una analisi psicologica: se qualcuno sostiene la morale tradizionale non vengono minimamente presi in esame gli argomenti logici e di fatto che porta a sostegno della sua tesi, non vengono ritenuti importanti: si esamina invece come queste idee siano la conseguenza del complesso di Edipo non correttamente superato , della repressione paterna, dei rapporti con la madre ecc.
Come poi osservava e dimostrava chiaramente Popper, questi modi di procedere sono tali che si può dimostrare tutto e il contrario di tutto: se un fatto si presenta infatti anche con il suo contrario allora noi possiamo sempre affermare che esso dimostra la nostra tesi.
Se la sessualità si può manifestare sia con il desiderio sessuale che con lo slancio mistico allora posso dedurre che esso sia presente in un soggetto sia che manifesti il desiderio sessuale sia lo slancio mistico che lo neghi: manca cioè la possibilità del controllo dei fatti che caratterizza la scienza.

Il contestatore del '68 quindi trovava infinite conferme alle sue idee: si stupiva di come altri potessero non condividerle: l’unica spiegazione era la malafede, l’alienazione, la falsa coscienza , la rimozione inconscia.
La volontà del popolo era conculcata dalla borghesia e dal potere: la vera volontà del popolo era altra: essi ritenevano di interpretarla e quindi si consideravano la vera espressione del popolo anche se il popolo non li seguiva affatto. D'altra parte questa fu sempre il principio di tutte le dittature comuniste e non del XX secolo: sostituire alla volontà espressa nella elezioni quella vera interpretata dal Partito.

EFFETTI DEL '68

In tealtà tutto il movimento, al di là delle apparenze mediatiche, ebbe scarso influsso sulle politiche reali seguite dai governi. Infatti il '68 sul piano elettorale fu del tutto inconsistente: si formarono piccoli gruppi (sinistra extraparlamentare) esclusi rigidamente dalle aree della maggioranza e d’altronde molti aderenti non votavano nemmeno.
In pratica il Movimento si autoescluse dai quei meccanismi che permettevano di influenzare la vita politica: tutti erano sempre in attesa della mitica rivoluzione che avrebbe spazzato via la falsa democrazia per instaurare la vera democrazia qualunque cosa poi si intendesse con questo termine e non volevano piegarsi a compromessi.

In America le dimostrazioni contro la guerra in Viet-nam non produssero alcun effetto immediato: proprio negli anni seguenti si arrivò alla escalation con l’invio di truppe sempre più numerose e interventi aerei sempre più pesanti: la fine della guerra, gestita dal repubblicano Nixon, non ebbe nulla a che fare con la contestazione del '68 americano.
In Italia si formò per un anno addirittura un governo centrista (presieduto da Andreotti,1972-73) al posto di quello di centrosinistra; e soprattutto la svolta di Berlinguer che si ebbe di lì a poco si mosse nella direzione esattamente opposta a quella vagheggiata dai contestatori con il tentativo di inserire i partiti di sinistra nell’area di governo raggiungendo un compromesso storico con le forze moderate e borghesi che avevano governato fino ad allora l’Italia.

La inconsistenza politica fu particolarmente chiara in Francia: quando il movimento del Maggio Francese sembrò prendere il sopravvento a Parigi occupando la rive gauche e si comincio a dire che il governo allora in carica, presieduto dal generale De Gaulle, ormai era superato. Ma il generale riportò subito tutti alla realtà: parlò pochi minuti alla radio: affermò che il suo governo era stato eletto regolarmente e democraticamente dal popolo, che, comunque, indiceva nuove lezioni per verificare, al di là di ogni dubbio, la volontà dei Francesi: i contestatori avrebbero potuto partecipare ma se optavano per altri mezzi ( cioè quelli violenti della rivoluzione) lo Stato era pronto anche per questa evenienza: seguirono imponenti manifestazioni lungo gli Champs-Elysées in appoggio a De Gaulle.
La idea della rivoluzione violenta apparve assolutamente impraticabile: le elezioni segnarono un trionfo per De Gaulle: non propriamente per la sua politica in generale (qualche tempo dopo usci dalla scena politica) ma in chiara sconfessione delle ideologie della Maggio Francese.

Tuttavia il '68 ha avuto una immenso influenza e che continua tuttora ben oltre il particolare momento storico. Esso fu infatti essenzialmente un movimento studentesco: affascinò enormemente tutti gli studenti del tempo. I migliori di essi sono diventati magistrati, managers, professori universitari, scienziati, politici e sindacalisti: praticamente hanno formato la classe dirigente ma tutti conservano nel proprio animo il ricordo di un tempo, unico e irripetibili nel quale si sentirono i protagonisti della vita politica e sociale, in cui si sentirono capaci di cambiare il mondo. Tutto si collega poi strettamente al naturale ricordo e mitizzazione della giovinezza che viene una sola volta ma che rimane per sempre nel nostro animo come rimpianto di un momento magico.

Qualcosa di profondo del '68 è rimasto sempre nel profondo dell’animo di tutti quelli che hanno vissuto quella stagione anche se hanno poi preso strade e indirizzi magari opposti a esso.
Per questo è stato detto molto giustamente che il '68 finirà solo con la morte dei sessantottini.
In particolare è avvenuto che gli studenti del '68 sono a loro volta saliti in cattedra dei licei e delle facoltà universitarie letterarie e filosofiche: in pratica hanno monopolizzato quasi tutto l’insegnamento trasmettendo la loro esperienza alle nuove generazioni che vivono in un mondo completamente diverso da quello della loro giovinezza-: il '68 continua anche oltre i propri attori. oltre anche il loro tempo: come sempre avviene per i grandi movimenti politici e sociali.
I miti del 68 continuano forse soprattutto perchè sono in fondo i miti dell'uomo di sempre.


Giovanni De Sio Cesari
http://www.giovannidesio.it/
(Storiologia, ringrazia)

* Cosa scrivevano i giornali
* Come reagì lo Stato
* Le interviste dei protagonisti

 

I GIORNALI

PIU' ATTENTI I GESUITI  DI CIVILTA' CATTOLICA

"" Roma - L'editoriale del prossimo numero della Civiltà cattolica" intitolato "La protesta dei giovani", si occupa dei fatti accaduti da Berleley, a Pechino, da Madrid a Praga, da Parigi a Varsavia, da Berlino a Roma. " I problemi che i giovani pongono con tanta violenza . scrive la rivista dei gesuiti- sono problemi reali. Molte loro analisi ispirate al marxismo e, soprattutto, molte soluzioni da loro proposte sono impossibili o sbagliate, ma i problemi da loro sollevati sono i veri problemi del nostro tempo. Se noi, i "grandi", non ne sentiamo la crudezza e l'urgenza, o è perchè abbiamo perduto la sensibilità necessaria per avvertire una certa problematicità o è perchè ci siamo adagiati in un placido scetticismo, nella convinzione che non c'è nulla da cambiare, perchè le cose sono andate sempre così". L'editoriale definisce "egualmente sbagliati" due atteggiamenti da parte degli adulti: l'indulgenza ad "un giovanilismo falso e di maniera" e "un atteggiamento di chiusura e di fastidio"" (Ag. Ansa, 30 maggio, 1968, ore 20.00)



AMERICA - "DOBBIAMO LEVARE ALTA LA VOCE" - Ecco come ne descrisse Winberg la nascita. -
"Nella nostra società gli studenti non sono nè bambini nè adulti. E' chiaro che non sono soltanto bambini, ma per essere adulti nella nostra società si deve non andare più a scuola e mantenersi da sè. Non si capisce perchè vivere su di un contributo di ricerca o una borsa di studio non debba essere considerato un mantenersi da sè. In seguito a ciò. gli studenti sono più o meno esclusi dalla società e, in numero sempre crescente, non hanno alcun desiderio di enTrare a farne parte. Dalla loro posizione sociale periferica sono in grado di mantenere vivi i valori umani, valori che essi sanno che saranno distorti e distrutti nel momento in cui si entra nel mondo pratico e pieno di compromessi degli adulti. E' il loro stato sociale marginale che ha permesso agli studenti di diventare attivi nel movimento per i diritti civili e di creare il Free Speech Movement. Con il loro idealismo, si trovano a dover fare i conti con un mondo che è un caos completo, che, ai loro occhi, è stato fatto così dalle generazioni precedenti.
Cominciano come liberal, parlano della società, la criticano, vanno a sentire le conferenza, offrono denaro; ma ogni anno, in misura sempre maggiore, un numero sempre crescente di studenti si accorge di non potersi fermare qui. Essi affermano se stessi, decidono che anche se non sanno come salvare il mondo, anche se non possiedono alcuna formula magica, devono levare alta la voce perchè tutti la sentono. Diventano attivisti e nasce una nuova generazione, una generazione di "radical".


IN GERMANIA - MARCUSE E L'OPPOSIZIONE STUDENTESCA - "Voi sapete che io considero l'opposizione
studentesca uno degli elementi decisivi del mondo attuale; non una forza immediatamente rivoluzionaria, come mi è stato ripetutamente contestato, ma un fattore tra quelli che potrebbero un giorno più facilmente trasformarsi in una forza rivoluzionaria. Una delle più importanti esigenze della strategia di questi anni è quindi l'instaurazione di rapporti tra le opposizioni studentesche nei vari Paesi. Non esiste alcun collegamento tra l'opposizione studentesca statunitense e l'opposizione studentesca tedesca, anzi non esiste neppure una efficace organizzazione centrale nell'opposizione studentesca degli Stati Uniti. Noi dobbiamo lavorare alla creazione di questi rapporti. In America l'opposizione studentesca fa parte di una opposizione più vasta che viene generalmente definita col termine di New Left. Devo quindi incominciare indicando, se non altro a grandi linee, le differenze essenziali tra la nuova sinistra e le vecchie sinistre".

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Dalle scuole parte la contestazione degli studenti
contro una vecchia cultura....

ITALIA - ANNI DI CAMBIAMENTI, 
CONTRADDIZIONI E VIOLENZA

di Luca Molinari


Gli anni '60 furono caratterizzati da profonde trasformazioni della società italiana: si passò, infatti, da una società prettamente agricola ad una fortemente industrializzata.

Dal punto di vista sociologico si assistette alla diffusione di nuovi stili di vita, a nuovi usi ed a nuovi costumi molti dei quali di origine anglosassone.

La vita delle famiglie italiane ebbe numerose innovazioni e compì una svolta migliorando di molto lo standard di vita medio. Purtroppo, in moltissimi casi, questi discorsi valgono soltanto per le realtà centro-settentrionali, il Sud Italia continuò a vivere in maniera più arretrata ed, anzi, vi fu un peggioramento delle condizioni complessive di vita della popolazione che conobbe una nuova migrazione come all'inizio del secolo; questa volta non si andava in America, ma, semplicemente, nel Nord Italia, ma, spesso, si era ugualmente stranieri.

In campo politico, dopo l'involuzione autoritaria del 1959 (governo Tambroni), si assistette ad un progressivo avvicinamento del Partito Socialista all'area di governo.
Prima, con i governi presieduti da Amintore Fanfani, vi fu solo l'astensione o l'appoggio esterno all'esecutivo da parte del PSI, poi, sotto la guida di Aldo Moro, vi fu la partecipazione diretta di esponenti socialisti ai governi della Repubblica.
Era nato il centro-sinistra.
Purtroppo gli ambiziosi progetti riformatori furono stroncati dal tentato golpe del 1964 ed il centro-sinistra si limitò semplicemente all'ordinaria amministrazione, non dando risposte a problemi politici, economici e sociali che furono alla base della contestazione del 1968.

Il '68 va inserito in un discorso planetario poiché tale fenomeno interesso tutti i principali paesi del mondo, avendo alla propria base le medesime istanze di emancipazione e di miglioramento delle condizioni generali di vita. Comunque la si pensi i cambiamenti e le conquiste di quegli anni hanno cambiato in meglio il Paese ed il mondo intero.
Alla base delle lotte e dei movimenti sessantottini vi erano essenzialmente i seguenti punti tematici:

- svecchiamento della cultura (modernizzazione del "sistema");

- superamento di antichi pregiudizi, soprattutto in campo 
sessuale (libertà di scelta da parte dell'individuo);

- emancipazione delle donne e delle minoranze;

- miglioramento della scuola e dell'università;

- miglioramento delle condizioni di vita degli operai e dei lavoratori in generale;

- caratterizzazione "di sinistra" di tali movimenti, di una sinistra 
"nuova" che spesso si scontrò o semplicemente "non si incontrò" con la tradizionale sinistra marxista e "proletaria" di scuola socialista e comunista che accusava (come P. P. Pasolini) i "movimenti" del '68 di essere, in realtà, semplicemente dei radicali borghesi individualisti;

- tutti gli eventi del '68 videro a ogni latitudini e a ogni longitudine la sconfitta sul piano e sul terreno politico dei "movimenti" che, come sostenuto da Alberoni, si istituzionalizzarono (cioè si posero il problema della "politica" e del "governo" in maniera tradizionale) troppo tardi, quando ormai erano nella fase finale, avendo perduto ogni forza propulsiva.

In Italia non si ebbe un'unità tra studenti (che furono la colonna vertebrale del '68) e gli operai. Lo stesso Pci fu "tiepido" verso i "movimenti". Da frange estreme del movimento studentesco presero vita, nei successivi anni '70, alcuni degli eventi terroristici (come le famigerate Brigate Rosse) che hanno sconvolto per oltre un decennio la nostra storia repubblicana e democratica.
La partecipazione giovanile e studentesca alla vita politica nel 1968 e poi quella operaia nell' "autunno caldo" del 1969 avvennero in un clima che andava surriscaldandosi di anno in anno.
Dopo che i lavoratori della grandi fabbriche del nord Italia avevano raggiunto un accordo unitario tra tutti e tre i sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil) vi fu un periodo di lotta e di rivendicazioni salariali e per un significativo miglioramento delle condizioni di vita. Il 5 febbraio vi fu il primo grande sciopero unitario dei pensionati che rivendicavano un aumento del loro trattamento pensionistico. A distanza di pochi mesi tutte le categorie lavorative erano in lotta: lotta unitaria con fini ben precisi. L'11 settembre vi fu un imponente sciopero generale dei metalmeccanici che rivendicano il contratto unico nazionale.
Le tute blu sono solo l'avanguardia di una più ampia ondata di sciopero. Seguono a ruota chimici, alimentaristi, commessi, impiegati ed edili.

È l'autunno caldo, al termine del quale l'Istat censirà 7.507.000 scioperanti 
con ben oltre 300 milioni di ore di sciopero e di lotta. 
Lotta che porterà ad un accordo collettivo con la Confindustria che accetta quasi in toto la piattaforma proposta dai sindacati (accordi del 21-22 dicembre)
Lotta solidale anche con le altre parti del Paese, anche con quel Sud in cui mafia e violenza non mancavano di farse sentire. Dopo che la criminalità aveva fatto deragliare un treno locale in Calabria, la Freccia del Sud, migliaia di metalmeccanici delle fabbriche di Milano, Torino e delle altre realtà del Triangolo Industriale, scioperarono per protesta sfilarono per le strade di Reggio Calabria. Si trattava di anziani operai settentrionali e di tanti di quei ormai non più giovani che nel decennio precedente si erano trasferiti al Nord in cerca di lavoro nelle grandi fabbriche settentrionali. Andarono a Reggio Calabria a proprie spese, guidati unitariamente dai leader delle tre confederazioni metalmeccaniche Trentin (Cgil), Carniti (Cisl) e Benvenuto (Uil).

Qualcosa stava cambiando, ma ben presto l'Italia sarebbe entrata in una spirale di grande violenza, il terrorismo, con i suoi morti e le sue paure era alle porte.
Proprio in quel 1969 segnato da una ritrovata unità della classe operai italiana e da una maggiore incisività delle sue richieste, l'Italia visse la propria prima grande tragedie. 
Gruppi neofascisti misero una bomba in Piazza Fontana a Milano: è la prima grande strage di cui, tuttora, non si sa ancora tutto, ma l'Italia perde la propria verginità ed entra in un tunnel.
Sempre nel 1969 era stata approvata la legge sul divorzio che gli italiani confermeranno con un referendum apposito nel 1974.

L'inizio del terrorismo farà si che per gli Italiani diventino familiari bollettini informativi e Tg in si racconti di scontri quotidiani tra polizia e studenti e poi, negli anni '70-'80, di rapimenti, omicidi e persone da parte delle Brigate Rosse.
Continuano anche attentati che faranno centinai di morti: Piazza Fontana, Piazza della Loggia a Brescia, treno Italicus e galleria del Vermi a San benedetto val di Sambro (Bo).
Il terrorismo e la violenza caratterizzano, insieme con la crisi economica, questi anni di crisi. 
La crisi fu così grave che le menti politiche più avvedute ipotizzarono che solo con un governo di unità democratica Nazionale si sarebbe potuto salvare l'Italia dal baratro in cui stava precipitando.
Il leader democristiano Aldo Moro, statista di fine intelletto, il leader repubblicano Ugo La Malfa e quello socialista Francesco De Martino dimostrarono grande interesse per le proposte del segretario comunista Enrico Berlinguer per un governo di unità nazionale, frutto di un "compromesso di portata storica" come disse lo stesso leader del Pci, in grado di coinvolgere anche i comunisti nel governo del Paese al fianco dei laici, dei socialisti e della Dc.
Moro si fece interprete di questa linea e, sfidando la maggioranza del suo partito e una grande diffidenza di ampi nazionali e internazionali, portò il Pci nella maggioranza di governo. 

Dopo le elezioni della primavera del 1976 che avevano visto un sostanziale pareggio tra Dc e Pci, si formò un governo monocolore democristiano guidato dal de Giulio Andreotti che godeva dell'astensione di socialisti, laici e del Pci. Per la prima volta dal 1947 i deputati e i senatori del Pci non votavano contro un governo italiano.
Il passo successivo sarebbe stato l'entrata a pieno titolo del Pci nel governo, ma mentre l'on. Moro stava lavorando a questo obiettivo fu rapito e ucciso dalle Br. L'Italia non fu più la stessa e sembrò che la situazione dovesse precipitare.
Ma nel giro di pochi anni il fenomeno terroristico entrò in crisi: dissociazioni, pentimenti e azioni meritorie della magistratura e delle forze dell'ordine segnarono la crisi del terrorismo brigatista ed un lento ritorno alla normalità anche nelle formule i governo, il Pci non entrò mai nel governo del Paese come, invece, aveva auspicato il compianto on. Moro, il cui sacrificio corrispose con l'entrata in crisi del movimento terrorista e brigatista. 

Luca Molinari

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'68 - COME REAGI' LO STATO (1)
LA VECCHIA TECNICA: 
“ ERA PRATICAMENTE ASSENTE”

INTERVISTE

Intervista al professor Deotto,
rettore dell’Università Statale di Milano durante gli anni più violenti e difficili

Il professor Romolo Deotto (scomparso nel 1992) è stato rettore dell'Università Statale di Milano dal 1969 al 1972, negli anni difficili. Dopo la laurea in medicina e chirurgia inizia la carriera come assistente del professor Rondoni nel 1934. Cattedra di microbiologia a Sassari dal 1949 al 1956, poi a Milano dal 1956 al 1981. Negli stessi anni dirige anche l'Istituto di microbiologia della Facoltà di medicina. Questa intervista è stata concessa al mensile “Historia” nel marzo del 1988.

Professor Deotto, lei è stato rettore dell'Università Statale di Milano dal 1969 al 1972. Anni di fuoco. Qual era la situazione al momento della sua nomina?

“Nel novembre del 1969, quando sono stato eletto, molto era già cambiato dalle iniziali motivazioni che erano alla base dell'agitazione studentesca. Non che all'inizio mancassero i motivi per uno scrollone all'organizzazione universitaria. La fine della guerra aveva trovato l'università di Milano annichilita, come le altre, nelle diverse componenti: carenze di strutture, di attrezzature, di personale docente; c'era urgenza di una riforma che ricreasse l'università come centro di studio e di ricerche, ma gli appelli sempre più pressanti delle autorità accademiche a livello ministeriale erano praticamente inascoltati, il Parlamento era sordo ai nostri problemi, i progetti di riforma erano impelagati nei bizantinismi dei politici e nelle velleità dei tecnici, le amministrazioni universitarie erano abbandonate a dibattersi con gli enormi problemi economici di gestione...”

In queste condizioni come ha retto il corpo docente, come ha fronteggiato le necessità della ricerca e dell'insegnamento?

«Quanto è stato realizzato di buono in quei tempi è stato dovuto certamente allo spirito di sacrificio e all'intraprendenza di singoli professori, i quali erano, sono e saranno sempre diversi fra loro per intelligenza, cultura, carattere, patrimonio morale».

Secondo lei il Sessantotto è stato un giusto “redde rationem"?

«Che in queste condizioni dovesse prima o poi scoppiare un Sessantotto era prevedibile e in un certo senso auspicabile. La situazione mi ricordava un motto del Quinto Reggimento Alpini: "Niente da fare, tutto da rifare". Quello che effettivamente accadde nel Sessantotto lo possiamo rileggere in parte nella stampa quotidiana dell'epoca ma lo ritroviamo straordinariamente identico in una memoria dei primi anni dell'Ottocento relativa a quanto accadde all'università di Torino sotto l'influenza della Rivoluzione francese: l'occupazione degli istituti, con grave compromissione della didattica e della ricerca, la richiesta di un miglioramento della didattica (richiesta sacrosanta ma non realizzabile con le strutture e il personale insegnante a disposizione), l'istituzione dei gruppi di studio, realizzati in diversi casi con risultati positivi ma limitati sempre a problema nella sua globalità. Queste le direttive generali dell'agitazione studentesca del '68. 

Diversa l'evoluzione dal '69 al '72’73. La massa degli studenti si divise fra quelli che volevano un miglioramento della didattica e coloro che politicizzarono fortemente il Movimento. E questi ultimi prevalsero con la violenza: picchetti all'ingresso della Statale per impedire l'ingresso di studenti di diversa ideologia, etichettati come fascisti, e per ispezionare e perquisire chiunque entrasse, docenti compresi; guerra alla meritocrazia; esami di gruppo e il "27" assicurato; frequenti gli atti di intolleranza nella sede universitaria con relative invasioni, interruzioni delle sedute del Senato Accademico e del consiglio di amministrazione. «La situazione venne ulteriormente aggravata dalla cosiddetta "legge Codignola", che, aprendo la facoltà a studenti italiani e stranieri in possesso di un qualunque titolo di studio medio-superiore, fece crescere vertiginosamente le immatricolazioni anche di stranieri che non avrebbero avuto accesso, con il loro titolo di studio, in nessuna università del mondo».

Quale fu, in questa situazione, la risposta del Palazzo sia a Roma sia a Milano?

«Scrupolosamente silente il ministero della Pubblica Istruzione di fronte alle ripetute denunce del rettore, silente la Procura della Repubblica di fronte alle denunce inoltrate, silenti le autorità cittadine per ragioni politiche, forse pensando che fosse meglio che le baraonde studentesche avvenissero nel chiuso dell'università piuttosto che nelle strade milanesi. Unica proposta delle autorità municipali: trasferire direttamente agli studenti il sussidio che il Comune aveva fino ad allora versato all'amministrazione universitaria. Unica proposta delle autorità governative: costituire all'interno della sede universitaria un posto di polizia, proposta rifiutata dal rettore».

Come reagì il corpo docente in questa fase?

«Nella stragrande maggioranza e senza distinzione di credo politico ha svolto il proprio incarico con dignità e senso del dovere, pur fra disagi psicologici e materiali. Qualche pavido, qualche ‘uomo-guida’ in buona fede, qualche furbo. Riassumendo: molta onestà, qualche caso di onestà ‘compensata’ (il termine viene dal linguaggio medico: con la definizione "cuore compensato", ad esempio, s'intende un cuore che regge soltanto se non viene sottoposto a sforzi)».

Che cosa pensa di tutta questa vicenda, vissuta in prima persona?

«Non ritengo corretto esprimere un mio giudizio che enuclei la vicenda, indubbiamente importante, dagli avvenimenti quotidiani di questa nostra Repubblica. E allora non mi resta che concludere mestamente ‘chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato’. Perché non ne facciamo l'inno nazionale?». 


'68 - COME REAGI'  LO STATO (2)

ATTENDERE
PERCHÉ NULLA CAMBI

e la classe dirigente di fronte al fenomeno? 
Risponde un autore che ha scritto due libri sul "problema ‘68"

di IGOR PRINCIPE

Intervista a MICHELE BRAMBILLA, giornalista del "Corriere della Sera", autore
di due libri riferiti a quegli anni, "L’eskimo in redazione" e "Dieci anni di illusioni".


Perché il Sessantotto italiano durò dieci anni mentre altrove si concluse in pochi mesi?

«Perché in Italia c'è la cattiva abitudine a non affrontare i problemi. Di fronte alle rivendicazioni - degli studenti prima e degli operai dopo - le istituzioni non diedero risposte, limitandosi, come sempre, ad aspettare che il fermento si esaurisse da sé. Questa tendenza, purtroppo, c'è ancora. Quando iniziò Tangentopoli, i giornalisti, e in generale l'opinione pubblica, pensavano si trattasse di qualcosa di molto più incisivo della solita inchiesta sulla corruzione. I politici invece - sia a Roma che a Milano - consideravano l'azione del pool "Mani pulite" come un fenomeno provvisorio, ed erano convinti che Di Pietro sarebbe finito a dirigere il traffico a Gallarate. Nel '68 la classe politica commise lo stesso errore: lasciò che le cose decantassero, e rinviò ogni decisione sia sull'organizzazione degli studi sia sulle modifiche salariali. La situazione, come sappiamo, non decantò, ma si incattivì e degenerò. In Francia, De Gaulle ascoltò da subito studenti e operai, concedendo loro quanto possibile; poi, dinanzi a richieste eccessive e a metodi violenti, rispose con un gesto risoluto. Con ciò non voglio dire che mi sarebbe piaciuto vedere i carri armati nelle piazze d'Italia. Dico solo che se la classe politica avesse saputo dire i sì e i no al momento opportuno, le cose sarebbero andate diversamente».

La contestazione si è manifestata in diversi Paesi, connotata però da un comune denominatore: la critica ai valori di una società bigotta e ingessata.

«La società occidentale. Il '68 - è importante dirlo - è sorto nella parte più ricca e democratica del pianeta. Non si trattava certo della società migliore che si potesse immaginare, ma di sicuro non era la peggiore, considerando che si contendeva il campo con l'Urss da un lato e con le dittature latino-americane dall'altro. Il '68, quindi, si è affermato in quei luoghi dove c'era benessere. Ma a un certo punto la generazione che di quel benessere si è nutrita sin dall'infanzia ne ha scoperto l'incompletezza. Generalizzando, possiamo dire che il modello sociale di quei tempi - l'"american way of life", cioè la villetta, la moglie, il bel lavoro, la macchina - non rispondeva adeguatamente alla domanda di senso che i giovani avevano dentro. Così si è diffusa un'insoddisfazione generale».

In seguito, gli avvenimenti hanno avuto sviluppi differenti. Negli Usa la protesta ha imboccato la via del pacifismo, in Europa si è abbracciato il marxismo-leninismo. Perché?

«Perché negli Usa il pacifismo era legato a un fatto contingente: il Vietnam. C'erano uomini che andavano in guerra, e le famiglie si sfaldavano: le madri vedevano partire mariti e figli, le fidanzate perdevano i fidanzati... insomma, esisteva un motivo concreto per mettersi contro la guerra. Inoltre negli States, per ragioni culturali, Marx non ha mai fatto proseliti. Nell'Europa occidentale, invece, il marxismo aveva le sue origini. Ecco che, quando è scoppiata questa rivolta, ci si è illusi di poter rispondere alla domanda di senso che i ragazzi avevano dentro con l'ideologia, ed è venuto fuori il pasticcio che sappiamo. Tant' è vero che, in seguito, sono nati migliaia di movimenti di estrema sinistra, ben lontani, però, dall'ortodossia sovietica o dello stesso Pci».

Come si comportò la stampa di fronte al Movimento?

«Dapprima con sufficienza. C'è stato un indubbio ritardo - da parte della stampa cosiddetta borghese - nel capire cosa stesse accadendo. I giovani venivano chiamati con disprezzo "capelloni", il giornalismo era legato a vecchi schemi, lo Stato aveva sempre ragione, le istituzioni erano sacre, Polizia e Carabinieri dicevano sempre la verità... di fronte a una generazione che rifiutava in toto questo mondo lo scontro divenne inevitabile. Poi è subentrata la faziosità: quando si è visto da che parte tirava il vento, tutti lo hanno seguito. E' il solito discorso delconformismo: la stampa fu tutta fascista durante il ventennio, tutta antifascista tre giorni dopo il 25 aprile e così via. Di fronte alla prima protesta tutta l'informazione fu "reazionaria"; poi, quando diventò di moda essere sessantottini, anche i giornali borghesi si misero l'eskimo».

Massimo Fini, ricordando la figura mitica di Che Guevara, parla di una generazione che covava «incoffessabili pulsioni di guerra e violenza». Come è stato possibile passare dai "fiori nei cannoni" alle spranghe e ai cubetti di porfido?

«La ragione di questo passaggio sta nel fatto che il pacifismo dei primi tempi era strumentale, diretto a senso unico contro l'occidente. Mai si ebbe una protesta contro quello che accadeva nei regimi comunisti. Io non ho mai creduto al pacifismo di costoro. Guardiamo i fatti: quella generazione ha scatenato una rivolta violenta; come si può pensare che da un albero pacifista nascano frutti violenti non lo so. Ha ragione Fini. La dimensione generale del fenomeno è stata di rottura, e in molti si sono accodati senza sapere di cosa si trattasse. Era tutt'altro che una rivolta pacifista».

Non tutti, però, si accodarono. C'erano anche ragazzi per i quali la vita di tutti giorni era costituita dalla motocicletta, dalle prime cotte, dallo studio. Fu una "maggioranza silenziosa" ante litteram?

«No, fu una maggioranza inerte. Come sempre, i piloti della storia sono i piccoli gruppi. La Bastiglia fu presa da una piccola parte della popolazione di Parigi, così come la Resistenza fu opera- secondo i dati dell'Associazione Nazionale Partigiani Italiani - di circa 170mila persone. La maggior parte sta sempre dietro le finestre a guardare».

Questa minoranza attiva fu davvero spontanea o fu pilotata?

«All'inizio fu spontanea. Non ho mai creduto ai grandi complotti a tavolino. Intendiamoci, i complotti ci sono. Però pensare che qualcuno, a un certo punto, abbia deciso di far scoppiare simultaneamente una rivolta ovunque - nello stesso periodo e nello stesso anno - mi sembra un insulto all'intelligenza. Poco dopo, il timone della protesta fu preso dalla sinistra. E subentrò una grande ipocrisia, che fu cieca - per esempio - davanti ai carri armati sovietici a Praga».

Procedendo per sommi capi, si può dire che quella fu una protesta giusta nei contenuti ma sbagliata nei metodi?

«E' difficile dire esattamente quali fossero i contenuti, perché c'era molta confusione. Io posso condividere l'insoddisfazione legata a molti aspetti della società di quel tempo. Si contestava la Chiesa, l'esercito, il partito. Tutto ciò può essere comprensibile. Ciò che non condivido è l'idea di sostituire la società ingessata con una priva di quasiasi regola. Questo era quel che si voleva, e questo - accanto ad altri fattori - ha spalancato le porte alla droga. La quale - è storicamente provato - è stata introdotta in Europa dall'oriente ai tempi delle Crociate. Solo che non è mai attecchita perché il modo di pensare, nel Medioevo, aborriva l'idea di procurarsi dolore. Nel '68 si affermò invece l'idea della liberazione da ogni tabù e - grazie anche a fior di libri che lo sostenevano - ci si convinse che la droga fosse uno strumento di liberazione personale. Questa mentalità ha favorito la diffusione della tossicodipendenza. Certo, i narcos e gli spacciatori non sono sessantottini, ma hanno trovato terreno fertile. Se sono riusciti a guadagnare in quel modo, è merito di quella mentalità. Questo è stato uno dei risultati tragici del '68. Poi ci fu l'ideale della coppia aperta, per reagire a una certa ipocrisia della vita matrimoniale. Ciò ha condotto a una società dove la famiglia è relegata in secondo piano. Sono utopie non condivisibili, che vanno contro la natura dell'organizzazione umana. E alla fine dei conti, chi idealizzava la copiia aperta dava di matto per la gelosia non appena la sua ragazza andava con un altro. Insomma, per reagire a cose sbagliate hanno proposto modelli ancora peggiori».

Mettiamo a confronto questi due pareri sul '68. Vittorio Foa: «Una risposta ad opera di una minoranza di giovani che è riuscita a diventare un'avanguardia e a spostare vecchi modi di pensare».
Franco Battiato: «Una buffonata, puzza di semplice incazzatura».
E Battiato non è certo di destra. Chi ha ragione?

«C'è del vero in entrambi. Istintivamente darei ragione a Battiato, anche in virtù di quel che ho vissuto in prima persona frequentando le scuole superiori al centro di quegli anni, dal '72 al '77. Ma Foa ha ragione quando parla di cambiamenti. Il '68 ha perso politicamente, ma ha inciso nei costumi, talvolta anche positivamente. Mi riferisco alla critica alle istituzioni: da allora si smise di prendere come verità rivelata tuttociò che proveniva da esse. Fu un merito anche l'aver ridicolizzato certi formalismi nei rapporti tra le persone. Tuttavia - a mio avviso - il risultato complessivo non è soddisfacente. Non mi pare che da quelle istanze sia sorto un mondo migliore rispetto a quello di prima. Il mondo odierno è ancora più capitalista e consumista di quello che si combattè. In più, sono stati spazzati certi valori, quali una certa parsimonia, un certo senso del rigore che privilegiava aspetti più trascendenti e meno materiali. C'è una citazione dal Vangelo che dice: ‘La bontà dell'albero si vede dai frutti’. E i frutti che raccogliamo oggi non sono migliori di quelli di prima».

di IGOR PRINCIPE

Ringrazio per l'articolo
messomi a disposizione
dal direttore di Storia in Network

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