Galeazzo Ciano,
ministro degli Esteri del governo fascista, tentò con tutti i mezzi di sganciare il Paese dall'avventura in cui Hitler stava coinvolgendo il velleitario Mussolini. Una avventura che si sarebbe conclusa con la 2a Guerra mondiale

QUASI QUASI SALVAVA L'ITALIA DAL MACELLO


una pagina di PAOLO DEOTTO

"Venerdì 1° settembre 1939 - XVII. Il Consiglio dei Ministri, riunitosi al Viminale alle ore 15 sotto la presidenza di S.E. Benito Mussolini, ha emesso il seguente comunicato: "Il Consiglio dei Ministri, esaminata la situazione determinatasi in Europa in conseguenza del conflitto tra Germania e Polonia la cui origine risale al trattato di Versaglia, presa conoscenza di tutti i documenti presentati dal ministro degli esteri, dai quali risulta l'opera svolta dal Duce per assicurare all'Europa una pace basata sulla giustizia, ha dato la sua piena approvazione alle misure militari fin qui adottate che hanno e conserveranno un carattere semplicemente precauzionale e sono adeguate a tale scopo; ha approvato altresì le disposizioni di carattere economico-sociale necessarie data la fase di grave perturbamento in cui è entrata la vita europea; dichiara e annuncia al popolo che l'Italia non prenderà alcuna iniziativa di operazioni militari; rivolge un alto elogio al popolo italiano per l'esempio di disciplina e di calma di cui ha dato, come sempre, prova".
Questo comunicato della Stefani fece tirare un sospiro di sollievo a milioni di persone. Il popolo italiano, che secondo un orrendo neologismo del bellicoso Achille Starace, era "acciaiato", non aspirava davvero a combattere ancora, dopo aver già pagato, nell'arco di tre anni, un tributo di sangue per la conquista dell'Impero e soprattutto nella guerra civile di Spagna. In entrambi i casi le Armi italiane erano uscite vittoriose: motivo in più per meritare ora un periodo di pace. Il 1° settembre 1939 iniziava così la Grande Illusione.
Hitler, spinto da una satanica energia, dopo aver divorato l'Austria e la Cecoslovacchia, ora stava gettando la potentissima macchina militare germanica contro la Polonia, nonostante la quasi certezza dell'intervento della Gran Bretagna e della Francia. Ma noi, legati al carro nazista dal patto d'acciaio, eravamo pur sempre i discendenti di Machiavelli (ma anche di Azzeccagarbugli) e quindi sapevamo tenerci fuori dalla tempesta che tra poco avrebbe scosso l'Europa. (Qualcosa del genere era accaduto anche nel 1914). E fu un grande sospiro di sollievo per tutto il paese, già allarmato dalle misure precauzionali (limitazioni al traffico delle autovetture, razionamento alimentare, seppur limitato agli esercizi pubblici, invito allo sfollamento nelle campagne) che, decise pochi giorni prima dal Governo, sembravano preludere all'entrata in guerra.
La ritrovata serenità era soprattutto la vittoria personale di un uomo, Galeazzo Ciano, ministro degli esteri, che a soli 36 anni appariva come una delle figure più importanti del Regime. Genero del Duce (aveva sposato Edda, la figlia prediletta di Mussolini), benvoluto dal Re, che il 19 agosto di quello stesso anno gli aveva concesso l'alta onorificenza del Collare della Santissima Annunziata, Ciano, con l'aiuto dell'ambasciatore italiano a Berlino, Bernardo Attolico, si era battuto per un progressivo sganciamento dell'Italia dalla Germania nazista. Ora che lo sganciamento appariva fatto, tutto sembrava possibile, nel segno di quell'ottimismo eccessivo che coglie sempre gli uomini quando si è, almeno momentaneamente, scampato un pericolo gravissimo e incombente.
L'alleanza con Hitler era sempre stata impopolare, ed ora c'era addirittura chi vagheggiava che la non belligeranza potesse trasformarsi in un intervento dell'Italia fascista a fianco delle nazioni democratiche per eliminare dall'Europa il cancro del nazismo. E l'ovvio seguito di questo vagheggiamento era un futuro in cui l'Italia fascista si sarebbe trovata, alleandosi con le democrazie occidentali, a dover per forza rivedere la sua impostazione politica. E allora, non era anche logico pensare che la non belligeranza fosse il preludio ad un cambio al vertice, che avrebbe favorito un ammorbidimento del fascismo? E chi poteva essere l'uomo più adatto a ricoprire il ruolo di guida del paese e del partito, sostituendo un Mussolini ormai logorato da diciassette anni di attività frenetica, se non Galeazzo Ciano?
Tutto questo maturare di illusioni non deve stupire, non solo perché l'esperienza ci insegna che è molto più bello cullarsi nell'ottimismo che guardare in faccia alla realtà, ma anche perché la politica estera dell'Italia fu, nel cruciale periodo che possiamo fissare tra il 13 marzo 1938 (annessione dell'Austria alla Germania) e il 1° settembre 1939 (invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche - di fatto, l'inizio della Seconda Guerra Mondiale), tutt'altro che chiara e lineare.
Mentre Hitler, con stile di vero brigante privo di ogni scrupolo, era fin troppo chiaro nei suoi intenti, che erano non solo di espansione, ma anche di vera e propria furia bellicista, Mussolini mostrò una serie di incertezze e oscillazioni, un atteggiamento di continui ripensamenti, con decisioni spesso causate più da impulsi del momento (basti pensare, come vedremo oltre, alle ragioni che spinsero il Duce a stipulare il patto d'acciaio) che da lucidità politica. Il dittatore non era più l'uomo trionfante che il 9 maggio del 36 aveva proclamato l'Impero, raggiungendo il culmine della popolarità e del consenso. Era un uomo che si trovava immerso in una situazione drammatica che probabilmente avvertiva di non poter più controllare, causata oltretutto da quell'Hitler che pochi anni prima aveva definito "un uomo un po' risibile e un po' invasato che ha scritto un'opera, il Mein Kampf, illeggibile". Era quell'Hitler che al loro primo incontro (il 14 giugno del 34) aveva da subito mentito, assicurando che la Germania rinunciava all'Anschluss, e che ora invece lo attirava in una specie di vortice da cui il Duce stentava a liberarsi. Infine, a completare il quadro della confusione, dava un grandissimo aiuto l'assenza politica del Re, Vittorio Emanuele III.
Questi non mancava certo di capacità nell'analizzare la situazione, né nascondeva il suo antigermanismo e il suo profondo disprezzo per Hitler ("una specie di degenerato psico - fisiologico"). Ma lo faceva solo in privato. In pubblico appoggiò sempre la politica mussoliniana, giungendo al gesto sconcertante (8 giugno del 38) di visitare la casa natale di Mussolini a Predappio, in un parareligioso pellegrinaggio da fedelissimo. E chi sperava che il Re volesse riprendersi un ruolo da protagonista all'interno della strana diarchia che dirigeva l'Italia, ne fu deluso quando, il 23 marzo del 39, inaugurando la Camera dei Fasci e delle Corporazioni (che sostituiva la vecchia Camera dei Deputati), Vittorio Emanuele pronunciò un discorso scialbo, pura ripetizione delle direttive politiche fasciste.
Insomma, con buona pace dei defunti, e come del resto gli avvenimenti successivi all' 8 settembre 43 avrebbero dimostrato, il Sovrano non fu che un piccolo opportunista, molto più preoccupato di sé stesso e della dinastia che della Nazione, che scelse però di saltare sul cavallo sbagliato. Se quindi vogliamo riassumere la situazione del momento (1° settembre 39) in cui l'Italia dichiarava la non belligeranza, abbiamo: un'Europa che sta per prendere fuoco sotto l'incalzare del mostro nazista; un popolo italiano tutt'altro che anelante al combattimento; un'Italia con un Re pressoché inesistente e un Duce confuso, ma che comunque ha stipulato un'impopolare alleanza con la Germania, anche se in termini non chiarissimi.
Ci sono tutti gli ingredienti per creare una tremenda suspense: si va o non si va a morire? Ed ecco che finalmente la tensione si scioglie: siamo salvi, e l'uomo che ci ha salvati è quel giovanotto da non pochi considerato un arrivista cinico, un vanesio molto occupato a fare il tombeur de femmes, che ha scalato il potere con un matrimonio azzeccatissimo; ma che, nell'ora critica, ha saputo anche dimostrare capacità politiche non comuni.
Galeazzo Ciano era nato a Livorno il 18 marzo 1903. Figlio d'arte: suo padre, Costanzo, conte di Cortellazzo, era un eroe della Grande Guerra e fascista della primissima ora, intimo di Mussolini. Il giovane Galeazzo si laurea in giurisprudenza a 22 anni ed entra in carriera diplomatica; addetto all'ambasciata di Rio de Janeiro, poi a Pechino, quindi a Buenos Aires e infine nell'ambasciata presso la Santa Sede, scala velocemente i gradini della gerarchia, divenendo primo segretario d'ambasciata a soli ventisei anni. Naturalmente a una carriera così veloce non poteva essere estranea l'illustre ascendenza, anche se il giovanotto era comunque brillante e preparatissimo, nonché fascistissimo. Ma la frequentazione tra la famiglia Ciano e la famiglia Mussolini costituì il trampolino di lancio per traguardi ben maggiori: Galeazzo iniziò a corteggiare Edda, la figlia primogenita del Duce.
I due giovani si sposarono il 24 aprile 1930; Edda non aveva che vent'anni, ma aveva già non poca influenza sul padre, che ne ammirava il carattere forte e l'intelligenza. Il genero del Duce fece ancora tre anni di servizio diplomatico in Cina, divenendo ministro plenipotenziario in quella nazione.

Nel 1933, rientrato in Italia, Galeazzo Ciano inizia un'ascesa eccezionale. Mussolini lo vuole accanto a sé e il brillante giovanotto viene nominato capo ufficio stampa del Duce, e successivamente ministro per la stampa e la propaganda.

Nel 1935 entra nel Gran Consiglio del Fascismo e ottiene anche la promozione al grado di ambasciatore; parte volontario per la guerra d'Etiopia, comandando, insieme al suo grande amico Pavolini, la squadriglia La Disperata del 4° stormo da bombardamento. Rientra in Italia col petto ornato da due medaglie d'argento, e il 9 giugno del 1936 tocca il traguardo più alto della sua carriera: ministro degli esteri. Mussolini non accettava certamente che un ministro elaborasse una propria linea, e del resto, proprio in materia di politica estera, aveva già avuto come ministro un altro dei giovanotti brillanti del fascismo, Dino Grandi, che gli aveva dato non pochi grattacapi. Bolognese, avvocato, combattente eroico nella Grande Guerra, capo di Stato Maggiore del Quadrunvirato della Marcia su Roma, anch'egli divenuto ministro giovanissimo (a 34 anni, nel 1929), era stato destituito tre anni dopo e spedito a fare l'ambasciatore a Londra proprio perché si era mostrato troppo indipendente, cercando di instaurare rapporti di collaborazione con le democrazie e con la Società delle Nazioni, mostrando un volto morbido del fascismo, e rischiando quindi di far compiere all'Italia delle scelte di campo ben precise, in contrasto con le intenzioni del Duce, che, in un'Europa tutt'altro che stabilizzata, voleva mantenersi libero per sfruttare le sue indubbie doti di grande opportunista. La nomina di Galeazzo Ciano a ministro degli esteri poteva quindi apparire come la quadratura del cerchio.
Il dittatore, assegnando la titolarità del dicastero al genero dava a quest'ultimo (e quindi alla figlia Edda) la soddisfazione di una posizione di enorme prestigio, con la sicurezza, nel contempo, di non avere un elemento centrifugo alla direzione della politica estera. E in effetti Ciano fu un fedele esecutore delle direttive mussoliniane, fintanto che queste ebbero una certa coerenza. Ma ebbe anche l'intelligenza e la lucidità per capire che l'alleanza col nazismo spingeva l'Italia in un'avventura senza ritorno, proprio quando Mussolini si mostrava sempre più smarrito e confuso di fronte all'incalzare della piovra tedesca. E la dichiarazione di quella strana cosa all'italiana, la non belligeranza, che non era neutralità, non era appoggio militare, ma che comunque aveva l'effetto di mantenere l'Italia fuori dalla guerra, fu, come dicevamo sopra, in gran parte frutto dell'azione di Ciano.
Si trattò, come sappiamo, di un'illusione che sarebbe durata pochi mesi. Ma per poter meglio capire come si arrivò a quella non belligeranza, cerchiamo di rivedere rapidamente la situazione in Europa e in Italia negli anni immediatamente precedenti. L'ascesa al potere di Hitler in Germania non aveva suscitato particolare interesse nel nostro paese. L'omino coi baffi era diventato cancelliere il 30 gennaio del 33, era riuscito a ottenere dal Reichstag i pieni poteri il 24 maggio, e aveva definitivamente consolidato la sua posizione di Führer il 12 dicembre con un plebiscito trionfale (92% di consensi).
Aldilà del fatto che entrambi i regimi erano dittatoriali, tra nazismo e fascismo la distanza era grande, anche se, a livello non ufficiale, esistevano contatti tra i due partiti. L'esistenza anche in Austria di un forte gruppo nazista, che si muoveva esplicitamente per l'annessione della giovane repubblica alla Germania, faceva piuttosto temere a Mussolini di avere, in caso di realizzazione dell' Anschluss, l'esercito tedesco alle porte di casa, al Brennero. E infatti quando finalmente....
...HITLER , ormai cancelliere, riuscì a ottenere un incontro col Duce, da lui ammirato come un maestro, questi pose subito sul tappeto la questione dell'Austria.

Era il 14 giugno del 34 e nei colloqui, che si svolsero a Venezia, Hitler assicurò che rinunciava ai piani di espansione verso Vienna, ma che pretendeva la sostituzione del Cancelliere Dollfuss, che aveva dichiarato illegale il partito nazionalsocialista austriaco. Quanto il dittatore tedesco fosse affidabile, lo si vide dopo poche settimane, il 25 luglio, quando i nazisti tentarono un colpo di stato a Vienna, sventato dalle forze dell'ordine austriache, che non riuscirono però ad impedire l'assassinio del Cancelliere Dollfuss.
La reazione di Mussolini fu immediata, attestando quattro divisioni sulla linea di confine. Non accadde nulla di irreparabile; i nazisti si fermarono; Mussolini aumentò la sua popolarità in Europa, dove Hitler non suscitava simpatia in alcun paese, e in Italia, dove tornavano a galla i mai sopiti sentimenti antitedeschi. D'altra parte il Duce aveva bisogno di tener buone Francia e Inghilterra per avere mano libera nel progetto che più gli stava a cuore al momento, ossia la conquista dell'Etiopia. E infatti la conquista di questo paese e la successiva proclamazione dell'Impero non conobbero ostacoli seri, neanche con le inique sanzioni, aggirate in mille modi e che, tra l'altro, non comprendevano il divieto di commerciare con l'Italia i prodotti petroliferi.
Hitler, ancora isolato in Europa, ma con dei piani espansivi già ben chiari, non rinunciava a cercar di attirare l'Italia nella sua orbita; e l'occasione fu offerta dalla guerra civile spagnola, dove italiani e tedeschi si trovarono a dare un aiuto decisivo alle truppe franchiste. Quello che poteva apparire come un problema interno della Spagna divenne di fatto lo scontro tra le due Europe, quella delle dittature e quella delle democrazie. Ma il massiccio contributo comunista alla causa dei repubblicani spagnoli (a cui partecipò, come inviato di Mosca, un uomo di eccezionali qualità, Palmiro Togliatti) permise di configurare definitivamente il conflitto spagnolo come la guerra contro il bolscevismo che minacciava l'Europa: questo nemico comune consentiva finalmente a Hitler di trovare dei punti di contatto diretti con Mussolini.
Il 23 settembre del 36 giunse a Roma il ministro tedesco senza portafoglio Hans Frank, latore di un invito in Germania sia per il Duce che per il ministro degli esteri, nonché di rassicurazioni da parte di Hitler: il Führer non aveva mire territoriali sulla Spagna, alla quale prestava aiuto per motivi di solidarietà politica, e inoltre considerava sistemata la questione austriaca, dopo che gli accordi con il cancelliere Schuschnigg avevano cancellato le misure antinaziste di Dollfuss. Mussolini rispose che accettava con piacere gli inviti, e infatti Ciano si recò in Germania dal 20 al 24 ottobre di quell'anno.
Questa data, 20 ottobre 1936, si può considerare come l'inizio di una politica avventurista condotta dall'Italia, con l'illusione di poter mantenere rapporti corretti con Gran Bretagna e Francia, di poter contemporaneamente flirtare con il nazismo, diffidandone però, e viaggiando insomma come un marinaio che, anziché seguire una rotta prestabilita, sposti via via il timone a seconda delle variazioni del mare. Mussolini aveva in quel momento un interesse precipuo, che era il riconoscimento dell'Impero, e per questo non poteva prescindere dai buoni rapporti con gli inglesi, ai quali però giocò un colpo basso, portando a conoscenza di Hitler, tramite Ciano, un documento riservato stilato da Eden, ministro degli esteri inglese, in cui si trattava del "pericolo tedesco", e in cui il Führer stesso e il suo governo venivano bollati come "una banda di avventurieri".
Contro tutti, contro nessuno, in attesa di scegliere quale fosse il nemico e quale l'amico: questo comportamento aveva permesso all'uomo di Predappio di scalare il potere in Italia senza aver mai avuto, a ben guardare, altra linea politica che non fosse la conquista e il consolidamento del potere stesso. Lo stesso stile si applicava ora, con grave illusione, in politica estera.

Hitler iniziò le conversazioni con Ciano tessendo una lode eccezionale per il Duce ("autore di un'opera immane per il suo paese"), ricordando come la Germania non fosse stata tra le nazioni sanzioniste ed esprimendo il convincimento che un'unione italo-tedesca in funzione antibolscevica avrebbe portato, per forza di cose, molti paesi, timorosi del pangermanismo o dell'imperialismo italiano, a schierarsi con le due dittature, proprio perché ancora più intimoriti dal pericolo del bolscevismo.
L'incontro di Berlino fu poi consacrato da Mussolini che, in lungo discorso tenuto a Milano in piazza Duomo, domenica 1° novembre 36, coniò la parola "Asse". Peraltro il 2 gennaio del 37 Italia e Gran Bretagna firmarono l'accordo (gentlemen's agreement) con cui garantivano reciprocamente la libertà di circolazione nel Mediterraneo e la sovranità nazionale di tutti gli stati affacciati sul quel bacino.
Pochi giorni dopo, il 13 gennaio, giunse in visita in Italia Hermann Goering, allora presidente del Reichstag e primo ministro della Prussia, che si andava affermando come uno dei più importanti collaboratori di Hitler, e fu rassicurato sulla solidità dell'amicizia italo-tedesca e sul fatto che, al momento, l'interesse precipuo dell'Italia era la conclusione vittoriosa del conflitto in Spagna e la prosecuzione della politica antibolscevica in Europa.
L'Italia insomma era in piena frenesia diplomatica e il giovane ministro degli esteri si mostrava, come era nei voti di Mussolini, un ottimo e brillante esecutore di ordini. Il Duce si sentiva sempre più portato a un ruolo di grande mediatore in Europa, ma nel contempo si sentiva attratto dalla potenza della Germania: durante la sua visita in quel paese, tra il 25 e il 29 settembre del 37, una sapiente regia aveva saputo dare al Duce sia la sensazione della cordialità popolare, con manifestazioni spontanee di accoglienza, sia la dimostrazione di potenza, con un'eccezionale parata militare.
Hitler non era più l'uomo "risibile", era viceversa l'uomo che stava attuando un riarmo massiccio; le posizioni si andavano pericolosamente invertendo tra maestro e discepolo e Mussolini iniziava a maturare il timore di restare indietro rispetto alla frenesia nazista. E questa pericolosa frenesia aveva da tempo un primo obiettivo, l'annessione dell'Austria, più volte espressamente esclusa da Hitler e intanto scrupolosamente preparata con l'organizzazione del partito nazista austriaco che, agendo all'interno della piccola repubblica preparava quei disordini che avrebbe costretto il cancelliere Schuschnigg a chiedere il fraterno aiuto della Germania.
Ciano annotava tutto nei suoi Diari e proprio le vicende dell'Austria iniziarono a suscitare i primi dubbi sull'affidabilità di Hitler, che il 20 febbraio del 38 aveva tenuto al Reichstag un discorso che fu un capolavoro di ipocrisia, parlando di "più profonda intesa raggiunta con una nazione che ci è molto vicina... ".
Ciano annotò: "L'Austria è considerata entità nazionale e non provincia germanica. Almeno per ora". Il 12 marzo l'Austria cessava di esistere come stato indipendente, invasa dalle truppe tedesche, e diveniva "parte integrante del Reich" con un referendum - farsa, conclusosi col 99,3% di "sì" all'annessione. Tutta l'operazione era stata condotta senza consultazioni preventive con l'Italia e ora il Duce si trovava in una situazione ben più critica di quella di quattro anni prima, quando i nazisti avevano fallito il loro disegno.

Allora il Duce aveva inviato quattro divisioni al Brennero. Ora si limitò a prendere atto del fatto compiuto. Poteva essere l'occasione per sciogliersi dall'abbraccio mortale col nazismo e fu invece l'inizio di una gara di emulazione che portò alla rovina il paese.
Nel frattempo in Germania il ministro degli esteri Von Neurath era stato sostituito e al suo posto, il 4 febbraio di quel 1938, si era insediato un uomo che agì in perfetta sintonia col suo Führer: JAOCHIM VON RIBBENTROP, già rappresentante di vini e spumanti e genero dell'industriale dei vini Henkell. La fiducia che Hitler gli accordava era ben riposta; Ribbentrop orchestrò i successivi colpi della politica nazista. Liquidato il problema dell'Austria, ora bisognava dedicarsi alla Cecoslovacchia, dove tre milioni e mezzo di sudeti (così erano chiamati i tedeschi residenti in quel paese) servivano a Hitler come pretesto per una nuova conquista. Un ultimatum di Hitler alla Cecoslovacchia, che equivaleva ad una rinuncia da parte di questa alla propria indipendenza, svegliò finalmente le sopite democrazie, che avevano guardato l'Anschluss quasi con indifferenza. La Gran Bretagna dichiarò lo stato di emergenza e il primo ministro Chamberlain preparò il suo popolo al peggio in un discorso alla radio. L'aggressività tedesca non poteva essere più tollerata, Hitler andava fermato finché si era in tempo... ma fu proprio Hitler, con un colpo magistrale, a invitare Chamberlain a mediare "per indurre i cecoslovacchi alla ragione".
Il dittatore tedesco proponeva una Conferenza dei Quattro Grandi, Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania, per discutere il problema dei sudeti. Chamberlain non chiedeva di meglio che una trattativa, Mussolini non poteva certo rifiutare un invito del sempre più pressante alleato, la Francia andava a rimorchio del Regno Unito. Il 29 settembre del 38, a Monaco, la Cecoslovacchia del 1918 cessava di esistere, con la cessione alla Germania dei territori occupati per oltre il 50% da tedeschi. La conferenza aveva dato l'occasione a Mussolini per presentarsi come grande mediatore: le clausole del patto erano quelle da lui stesso presentate.

Hitler si mostrò soddisfatto; la preparazione militare per eliminare del tutto quanto restava della Cecoslovacchia continuava imperterrita. Il presidente ceco Benes il 30 settembre annunciò l'accettazione di un accordo "preso senza di noi e contro di noi". Ma illudersi è bello; Chamberlain e Daladier, primo ministro francese, lasciarono Monaco con la convinzione di aver tranquillizzato Hitler e di aver quindi aperto le porte ad un lungo periodo di pace. Mussolini fu celebrato dalla stampa fascista come l'uomo che "aveva salvato la pace nella giustizia". Il 1938 si chiudeva così su un'illusione di pace, e il 39 si apriva con la ormai quasi completa vittoria delle forze nazionaliste in Spagna e con nuove pretese di Hitler nei confronti di ciò che restava della Cecoslovacchia, col consueto pretesto di "maltrattamenti ai tedeschi colà ancora residenti".
Il 15 marzo di quell'anno Hitler pose al nuovo presidente cecoslovacco Hàcha un'alternativa implacabile: o accettava il protettorato tedesco su Boemia e Moravia, o il paese sarebbe stato invaso da quattordici divisioni germaniche. Hàcha non poteva scegliere per il massacro del suo popolo, e capitolò.
Mussolini andò su tutte le furie per la nuova mossa dell'alleato che si mostrava sempre più aggressivo e che ora minacciava di attentare anche all'integrità territoriale della Jugoslavia, sulla quale invece l'Italia aveva già ben precise mire, sostenendo in segreto il movimento separatista di Vladimir Macek: Ciano tornò alla carica col suocero e per la prima volta fu esplicito nell'invito a rompere l'alleanza con la Germania. Ma bastò la rassicurazione da parte di Ribbentrop sul fatto che la Germania non aveva alcuna aspirazione ad affacciarsi sul Mediterraneo, perché la momentanea furia anti - tedesca di Mussolini si affievolisse.

Ciano riporta nei suoi diari che il Duce liquidò la faccenda dicendo: "Noi non possiamo cambiare politica perché non siamo delle puttane!".
L'Italia restava legata alla Germania e quest'ultima premeva sempre più perché l'alleanza divenisse più esplicitamente un patto militare. Mussolini e Ciano tiravano in lungo, il primo perché comunque dubbioso sulla possibilità dell'Italia di assumersi un impegno militare serio, con le forze armate efficienti al 40%, secondo le dichiarazioni degli Stati Maggiori, il secondo perché sempre più anti tedesco. Ma il Duce comunque, ormai avviluppato in quello strano rapporto di amore - odio - emulazione con il Führer, volle prendersi anche lui la soddisfazione di una conquista autonoma: e il paese dovette assistere alla poco onorevole invasione dell'Albania, consumata minacciando la scialba figura di Re Zog, e che diede l'occasione a Ciano di inebriarsi per alcuni giorni di potere, comportandosi da viceré, alla conquista di uno stato che non interessava a nessuno e che non offriva alcuna risorsa.
Il mondo occidentale però iniziò a muoversi; la vittoria nazionalista in Spagna e l'occupazione italiana dell'Albania spinsero Francia e Gran Bretagna a prestare garanzia ai governi della Grecia e della Romania "contro chiunque realizzasse una politica di dominio dell'Europa", creando altresì una organizzazione di mutua assistenza con la Polonia e l'Unione Sovietica.
Hitler sentiva pesare su di sé questi atteggiamenti, che erano difensivi ma venivano da lui vissuti come tentativi di accerchiamento della Germania, e accelerò i preparativi per la successiva impresa a cui si predisponeva, l'invasione della Polonia, "per riportare Danzica nel suo naturale ambito tedesco" e per costituire quel corridoio che doveva congiungere la Prussia Orientale col resto della Germania.
L'imminenza di un'azione tedesca contro la Polonia spinse Ciano a sollecitare un incontro con Ribbentrop, che si tenne a Milano il 6 e 7 maggio (siamo nel 1939). Sia il Duce che il ministro degli esteri escludevano ancora la firma di un trattato militare con la Germania e Mussolini, seppur considerasse ormai inevitabile una guerra europea, escludeva la possibilità per l'Italia di essere pronta prima del 1943. Era quanto bastava a Ciano che, contrario in assoluto all'alleanza, partì abbastanza tranquillo per Milano. I colloqui col ministro degli esteri tedesco toccarono inizialmente temi generali, e Ribbentrop negò che la soluzione militare fosse l'unico mezzo per risolvere la crisi con la Polonia, pur tornando sull'argomento caro ai tedeschi: le democrazie si apprestavano ad assediare gli stati totalitari, era quindi necessario che Italia e Germania stipulassero un'alleanza militare. Ciano nicchiava e prendeva tempo, ma nel secondo giorno di colloqui arrivò il colpo di scena: Mussolini ordinò telefonicamente al suo ministro degli esteri di aderire alle richieste tedesche di alleanza.
Nei suoi Diari, Ciano svelerà che il Duce, adirato per aver letto su un giornale francese che Milano aveva accolto con ostilità Ribbentrop, e che questo fatto provava il diminuito prestigio personale di Mussolini, aveva voluto mostrare che invece l'Italia marciava compatta con l'alleato. E il 22 maggio a Berlino fu firmato il Patto d'Acciaio. Ciano riaffermò, nelle conversazioni con Hitler e Ribbentrop, "l'interesse di entrambi gli alleati a un ulteriore mantenimento della pace per almeno tre anni". I tedeschi assentirono; cosa costava loro dire di sì, quando già sapevano cosa volevano fare? Il giorno successivo alla firma dell'alleanza Hitler convocò i capi militari, ai quali impartì le direttive: "Danzica non è il nostro scopo; l'invasione del Belgio e dell'Olanda ci servirà per un affondo non già verso Parigi, ma verso le coste della Manica... ".
I tedeschi assentivano e proseguivano per la loro strada. Il patto d'acciaio voleva dire soprattutto una garanzia a Sud; la garanzia a Est se la stavano creando con trattative segrete che avrebbero condotto, il 23 agosto, al patto di non aggressione con l'Unione Sovietica. Tra l'11 e il 13 agosto, sollecitati dall'Italia, si tennero ancora a Salisburgo dei colloqui tra i due alleati; ma si era ormai al dialogo tra sordi. Da una parte Ribbentrop ammetteva con naturalezza che "Danzica e il corridoio non interessano più al Führer. Adesso vogliamo la guerra". Hitler, alle domande incalzanti di Ciano, che ricordava l'impegno a non prendere iniziative militari per almeno un triennio, rispondeva con un'analisi della situazione internazionale, escludendo che Francia e Gran Bretagna, data la loro scarsa preparazione militare, fossero realmente in grado di intervenire in caso di invasione della Polonia, peraltro ritenuta ormai inevitabile.
Al ritorno da questo incontro, Ciano annotò sui Diari: "Torno a Roma disgustato della Germania, dei suoi capi, del loro modo di agire. Ci hanno ingannato e mentito. E oggi stanno per tirarci in un'avventura che non abbiamo voluta e che può compromettere il regime e il paese. Il popolo italiano fremerà di orrore quando conoscerà l'aggressione contro la Polonia e , caso mai, vorrà prendere le armi contro i tedeschi. Non so se augurare all'Italia una vittoria o una sconfitta germanica".
Il 23 agosto venne reso noto il patto tra Ribbentrop e Molotov, ministro degli esteri sovietico. Il 25 agosto Polonia e Gran Bretagna firmarono un trattato in base al quale un attacco tedesco avrebbe provocato automaticamente l'intervento inglese. Hitler fremeva, con le divisioni già pronte a dilagare in Polonia. Ciano, coadiuvato dall'ambasciatore Attolico, stava in quei giorni pressando Mussolini perché si addivenisse addirittura ad una denuncia del patto d'acciaio. Frasi del tipo: "Si può essere più porci di Ribbentrop?", "Ci hanno sempre ingannato, trattandoci da servi e non da alleati", "Stracciate il patto, Duce, gettatelo in faccia a Hitler e l'Europa riconoscerà in voi il capo naturale della crociata antigermanica!" punteggiarono colloqui, come ci narra Attolico, in cui Ciano diede definitivamente sfogo al livore accumulato a Salisburgo. In effetti il ministro degli esteri aveva ragione. L'azione militare contro la Polonia avrebbe dovuto essere concordata tra i firmatari del patto d'acciaio, così come l'accordo con l'Unione Sovietica.
Mussolini ebbe un momento di incertezza e autorizzò il ministro degli esteri a sollecitare un nuovo incontro con Ribbentrop, in cui "chiarire definitivamente e senza dubbi la posizione italiana". Ma Ribbentrop, molto semplicemente, non si rese disponibile, perché troppo impegnato. Hitler aveva fissato l'invasione della Polonia per il 26 agosto, ma purtroppo il risultato dei colloqui di Ciano e Mussolini fu la classica soluzione all'italiana, che non servì che a ritardare di qualche giorno le operazioni militari tedesche e a portare alla dichiarazione di non belligeranza con cui abbiamo aperto questo studio.

Infatti il 25 agosto Mussolini fece pervenire al Führer una lettera in cui gli spiegava che l'Italia non poteva in ogni caso intervenire a fianco della Germania, perché troppo sprovvista di mezzi bellici e di materie prime. Era mancato il coraggio per lo sganciamento, e di fatto si rimandava il problema. Hitler chiese immediatamente al governo italiano di specificare le sue necessità di approvvigionamenti e il 26 agosto Mussolini riunì a Palazzo Venezia i capi militari, ai quali Ciano rivolse un caldo invito a non fare "del criminoso ottimismo". Da quella riunione ne venne fuori una lista di richieste alla Germania che avrebbe avuto del comico, se la situazione avesse permesso di ridere. In sostanza, l'Italia denunciava carenze di materie prime ed armamenti per un quantitativo equivalente a 17.000 (diciassettemila!) treni merci. Mussolini aveva optato per la furbata. Hitler non era certamente in grado di garantire all'Italia un tale flusso di rifornimenti, e continuò per la sua strada.
La Polonia fu stritolata in pochi giorni, mentre nell'opinione pubblica italiana, e anche tra le stesse migliori intelligenze del fascismo - Grandi, Balbo, Bottai - la neutralità diveniva sempre più popolare e iniziavano a serpeggiare le voci che volevano Ciano come successore naturale di un Duce stanco e scosso da mille dubbi. Ma Mussolini, che aveva potuto accettare le umiliazioni inflitte dall'alleato, non poteva sopportare che venisse messo in discussione il suo potere, e in occasione dell'incontro con le gerarchie del fascismo bolognese (la cosiddetta Decime Legio) fu esplicito: "In questo momento burrascoso per l'Europa e per il mondo intero, è bene che il pilota non sia disturbato, chiedendogli ogni momento notizie sulla rotta che sta seguendo... Se e quando apparirò al balcone e convocherò il popolo italiano ad ascoltarmi, non sarà per prospettargli esami della situazione, ma per annunciargli decisioni, dico decisioni, di portata storica...".
Purtroppo, il pilota portò l'Italia al 10 giugno 1940, alla catastrofe. Ciano vide da quel momento il suo potere estremamente ridotto, tornando al ruolo di ministro - esecutore. Aveva visto chiaro, ma non aveva potere sufficiente; del resto, gli mancò anche il coraggio di fare l'unico gesto che avrebbe potuto dargli una statura maggiore di quella del Duce: presentare le dimissioni, dissociarsi da una politica da suicidio.
La terribile catarsi dell'avventura di Ciano, fucilato il 10 gennaio del 1944 con gli altri traditori del 25 luglio, stende un velo pietoso su tutta la vita di un uomo che fu senza dubbio un arrivista, che nell'avventura dell'Albania fu cinico, ma che nel contrasto col mostro nazista seppe avere più lucidità del Duce e più dignità del Re.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1936/40 - L'Italia di Mussolini dall'Impero alla guerra, di B.P. Boschesi - Ed Mondadori, 1982
Sommario di storia d'Italia dall'unità ai giorni nostri, di Montanelli e Granzotto - Ed. RCS, 1986
Il Partito Nazionale Fascista, di R. Lazzero - Ed Rizzoli, 1985
Storia d'Italia nel periodo fascista, di Salvatorelli e Mira - Ed. Mondadori, 1969
Nudi alla meta, di A. Lualdi - Ed Longanesi, 1970

di PAOLO DEOTTO

Ringrazio per l'articolo
il direttore Gianola di
Storia in network

CIANO VUOLE DEFILARSI, CRITICA, COMPLOTTA,  PENSA E RIPENSA....POI.

ALLA FINE A NON VOLERE LA GUERRA
ERA RIMASTO SOLO MUSSOLINI


"Sembra che come pacifista, in Italia,  sia rimasto solo io" 
 (Mussolini, nota di Ciano nel suo Diario)

Quando Hitler aveva occupato l'Austria, ne aveva dato comunicazione a Mussolini soltanto a cose fatte. Un sistema che poi avrebbe adottato per tutte le sue altre imprese. L'ingordigia di Hitler non aveva più freni. Il 15 marzo 1939 ingoiò sotto diverse forme tutta la Cecoslovacchia. Il 7 maggio l'Italia e la Germania firmavano il Patto d'acciaio, una vera e propria bomba a orologeria con la miccia all'articolo tre: 
"ART. 3 - Se malgrado i desideri e le speranze delle parti contraenti dovesse accadere che una di esse venisse impegnata in complicazioni belliche con un'altra o altre potenze, l'altra parte contraente si porrà immediatamente come alleato al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari per terra, per mare e nell'aria".

La rete si era chiusa. Hitler aveva in mano una cambiale in bianco che gli consentiva la più ampia libertà di manovra con la connivenza italiana. Il 23 agosto il dittatore nazista annuncia un altro colpo di mano, la firma dell'accordo di non belligeranza con Mosca...
IL PATTO RIBBENTROP-MOLOTOV - GERMANO/RUSSO
...per avere campo libero nel suo piano di invasione della Polonia. 

Mussolini ingoia il rospo ("ma come! ho lottato una vita intera a combattere contro i comunisti e ora quello lì si allea proprio con i bolscevichi?"! che figuraccia in Italia con i comunisti!! perfino imbarazzante)  inoltre è consapevole di non essere preparato militarmente per avventurarsi in un conflitto armato; ma il primo settembre 1939,  60 divisioni tedesche occupano la Polonia e due settimane dopo Varsavia capitola. 

Francia e Inghilterra per i patti stipulati in precedenza con la Polonia, dichiarano guerra alla Germania. Ma l'impegno sul fronte orientale fu quasi ininfluente. La voglia di "morire per Danzica" i Francesi non l'avevano. Il 70 per cento degli studenti disse no, la popolazione il 90 per cento.
I francesi combatterono per 11 giorni, subirono 1800 perdite, arretrarono  e si ritirarono nella loro Maginot a fare la "guerra da seduti"; la sitz krieg, dileggiata dai tedeschi che invece adottarono la blitz krieg (guerra lampo, di movimento).
Per gli inglesi l'impegno fu ancora minore, la percentuale di non interventisti era come in Francia. Il suo "appoggio" ai polacchi, in questa guerra che nessuno in patria voleva, registrò un solo caduto (uno!).
A "pagare" furono solo i polacchi. I morti non si sapranno mai. Ma i prigionieri sappiamo furono 910.000. Questi erano andati incontro ai panzer con i cavalli e le sciabole sguainate, come ai tempi dello Zar.

Mussolini pur esistendo il "patto d'acciaio", si era dichiarato subito  di voler "rimanere estraneo al conflitto",  usò anche un neologismo,  "non belligerante", perché sa di essere impreparato per stare a fianco del Furher anche se ne soffre per  tre ben precisi motivi: la sua simpatia per Hitler, la sua antipatia per Stalin, e il disprezzo che nutre per la Francia e l'Inghilterra ancora dalla Grande Guerra (Versailles!)  - Al Consiglio dei ministri,  così Grandi ce lo descrive "Era troppo evidente che contrastanti sentimenti cozzavano in lui. La delusione, l'amarezza, seppure contenute attraverso un linguaggio freddo, traspiravano da ogni parola. Terminò la seduta dichiarando che era dovere ed interesse dell'Italia rimanere estranea al conflitto dopo che la Germania era venuta meno ai suoi impegni di alleata". Sorprese tutti; amici e nemici. Per giorni e settimane evitò tutti, le folle, i gerarchi, le manifestazioni pubbliche. Si chiuse in un mutismo totale. In una occasione si affacciò al "suo balcone"; lo applaudirono come uomo della pace, rispose stizzito e sarcastico, "é quello che volevate no?" e girò i tacchi. (vedi 1939 - 2nda parte)

Arriviamo al 21 ottobre del '39. La guerra in Polonia si è conclusa in modo fulmineo. Tutti si chiedono ora cosa farà Hitler? Ha tutte le divisioni disimpegnate. Dove le dirigerà e quando?

E' il momento più terribile per Mussolini. Non sa da che parte andare. Con chi allearsi. Hitler lo ha perfino umiliato quando Mussolini gli ha chiesto di voler far qualcosa per lui  se solo avesse avuto i mezzi (che chiese proprio a Hitler, rivelandogli: "sulla preparazione bellica italiana...... Considero mio sacro dovere di amico leale dirvi l'intera verità" - buttò giù la maschera, in casa non aveva nulla o quasi - lo vedremo a suo tempo nei vari anni del conflitto). Il Furher gli rispose quasi ironico, consigliandogli di fare solo propaganda anti francese e inglese, di occuparsi solo della "pubblicità" e basta. E lui dovette ubbidire.
Del resto mettersi contro Hitler  voleva dire provocarlo e magari farlo scendere dal Brennero. Non era un mistero questa mossa. Due alti funzionari, a Praga e a Dresda, avevano riferito in un banchetto, non proprio sobri, che ""nello spazio vitale della Germania figurava l'Alto Adige, Trieste, l'intera pianura padana, con lo sbocco sul mare Adriatico". Era presente un console italiano, e uno dei due che aveva fatto l'inquietante dichiarazione, era il nuovo goulatier di Praga.


 Ma anche mettersi con Francia e Inghilterra, dopo aver visto il blando e fittizio "appoggio" dato alla Polonia, non è che Mussolini  aveva molte scelte; per evitare la "padella" si sarebbe ritrovato nella "brace". E  per come andarono poi le cose al di là del Reno, e a Dunkerque, dopo il 10 maggio del 1940, non è che Mussolini sbagliò valutazione. Se la Francia capitolò in un mese, e l'appoggio dell'Inghilterra durò solo 5 giorni  (Il Corriere della Sera del 24 giugno-  parlerà di "vera e propria diserzione degli inglesi dai campi di battaglia sul suolo francese") per l'Italia bastavano poche ore. In Alto Adige, i Sudtirolesi,  già si stavano organizzando per dare il benvenuto ai tedeschi  (quello che poi fecero l'8 settembre sera del 1943, alle ore 18.03 - tre minuti dopo Radio Algeri; due ore prima della lettura del comunicato di Badoglio; erano già attivi in tutti i presidi, dal 1940 già a loro assegnati -vedi 1943).

Fra le varie testimonianze dei dubbi di Mussolini c'è quella di Grandi: "Che Mussolini non concepisse l'alleanza Italo-Tedesca come uno strumento di guerra lo dimostra il fatto che egli non entrò in guerra il 31 agosto 1939. Nonostante la sua letteratura, l'ideologia fascista-nazista, il programma politico dell'Europa, Mussolini non volle entrare in guerra e vi entrò solo in giugno 1940 non spinto dal dovere di solidarietà colla Germania ma bensì da un calcolo, che doveva però in seguito mostrarsi errato. Dunquerque non è stata la sconfitta dell'Inghilterra. Dunquerque è stata la sconfitta dell'Italia. Sembra un paradosso, ma è così. Senza la sconfitta britannica Mussolini non sarebbe entrato in guerra, malgrado l'alleanza con la Germania. Egli entrò in guerra spinto dalla paura della Germania". (archivio Grandi, b. 152, fasc. 199, sottofascicolo 6, ins.3, 1 agosto 1944, f.86).

Al limite possiamo anche immaginare che Mussolini rimase in attesa (avanzando tante scuse con Hitler - vedi lettera) che Francia-Inghilterra e Germania si logorassero tra di loro per un certo periodo. Poi sarebbe intervenuto lui come paciere, come a Monaco. Purtroppo non andò così; del resto non solo Mussolini, ma nessun generale al mondo avrebbe immaginato che la potente Francia sarebbe crollata in poche settimane e che l'Inghilterra si sarebbe ritirata a Dunquerque per ritornarsene sull'isola, abbandonando armi e bagagli sul continente.

Ma ritorniamo ancora a Grandi, quando dal suo Diario, ci offre un'altra preziosa testimonianza. Che dobbiamo ritenere sincera e attendibile,  perché scritta nel 1943-44, e Grandi certo non era l'uomo (rifugiato allora in Portogallo) che in tale data difendeva Mussolini, nè doveva proprio lui giustificarne il comportamento.
Nel 1939 Grandi prima mal tollerato da Mussolini e dai tedeschi, fu chiamato improvvisamente da Mussolini a ricoprire la carica di Presidente della Camera. Ma come proprio lui?

"Mussolini stesso annunciandomi la mia nomina mi aveva detto "Prima del 1° settembre ( il giorno prima Hitler invase la Polonia. Ndr) la tua nomina a presidente non sarebbe stata possibile, perchè tu non sei un uomo dell'Asse. Infatti avevo deciso di nominare Farinacci, che era il candidato gradito ai tedeschi. L'avevo anzi già preannunciato nel luglio scorso, quando il posto si rese vacante. Ma ho preferito aspettare ed ho fatto bene. I Tedeschi ci hanno "tradito". Ed io intendo appunto colla tua nomina dimostrare -così come ho fatto colla nomina del recente governo- che noi intendiamo fare politica per nostro conto, in piena libertà". E Mussolini ripetè, scuro in volto, "Perchè i Tedeschi ci hanno tradito, facendoci trovare di fronte al fatto compiuto della guerra e dell'intesa colla Russia": "Non era del resto ciò che tu desideravi?" Poi ha aggiunto "Del resto i tedeschi si accorgeranno presto del grave errore compiuto. E lo realizzeranno il giorno in cui i loro sforzi si infrangeranno contro la linea Maginot che è imprendibile". (Mussolini ci credeva proprio al baluardo che era costato anni di lavori e ingenti spese ai francesi. Ndr.). Tu volevi la denunzia formale dell'alleanza il 1° settembre. Ma sarebbe stato un errore. Non bisogna dimenticare altresì il fatto che vi è una corrente in Germania la quale constatando l'impossibilità di sfondare la linea Maginot e del Reno, pensa alla Valle Padana come teatro classico di una guerra tra Germania e Francia. Una nuova "battaglia di Pavia". E a ciò cui penso sempre. Bisogna impedire sia che i francesi sia che tedeschi si orientino verso questa idea. La denuncia formale della alleanza italo-tedesca ci avrebbe indebolito troppo a Parigi e dato delle idee "pericolose" a Berlino, dove noi siamo disprezzati da troppa gente come i traditori dal 1915 e ora del 1939". (archivio Grandi, b. 152, fasc. 199, sottofascicolo 6, ins.2 "nota di Diario", 1 novembre 1944, ff. 45 e seg.)

Insomma gli ultimi giorni di non belligeranza furono per Mussolini i peggiori della sua vita. Cercava di capire dov'era il male minore. Ma non era facile!

Se dobbiamo credere al Diario di Ciano, Mussolini tentenna tra i due mali: quello immediato (la temuta colonizzazione tedesca) e quello futuro (se Hitler perde la guerra): "Mi ha telefonato il Duce che dice "se pensano di spostare un solo metro il palo della frontiera, sappiano che ciò non avverrà senza la più dura guerra, nella quale coalizzerò contro il germanesimo tutto il mondo. (ma a chi avrebbe chiesto aiuto? Ndr) E metteremo a terra la Germania per almeno due secoli" Mussolini era indignato "Questi tedeschi mi costringeranno ad ingoiare il limone più aspro della mia vita. Parlo del limone francese".

Sta dunque pensando di allearsi con la Francia? (ma per la fine che poi fece la Francia il 10 Maggio, sarebbe stato un vero disastro per l'Italia. Per vendetta (e per il tradimento del Patto) Hitler avrebbe sull'Italia infierito oltre misura, e senza tanta strategia, perchè ora sapeva (dopo la famosa lettera di Mussolini citata sopra) che l'Italia non aveva nulla. Che era tutto un bluff.
Mentre lui aveva tutte le armate ai valichi est, nord, e ovest. Gli bastavano due, al massimo tre ore per scendere su Udine e su Ivrea, mentre dal Brennero con gli appoggi degli altoatesini, per scendere su Trento e Verona gli bastava una sola ora.


Ed è abbastanza singolare che nel periodo di non belligeranza, in tutto l'arco alpino dell'Alto Adige, Mussolini proseguì i lavori delle fortificazioni, l'insediamento di caserme e la dislocazione di reparti militari.
Fra l'altro ci furono anche alcuni attentati dinamitardi in zona. (chi scrive qui, è vissuto in Alto Adige per oltre quindici anni, e le fortificazione, le caserme e i presidi, per motivi militari li conosce tutti. Sa quando furono costruiti, dove, come e perchè).

Torniamo a Hitler alla vigilia dell'invasione francese. Dall'America Roosevelt (dopo le varie relazioni dei suoi emissari) tentò una pacificazione, prima che scoppiasse il peggio. "Hitler gli rispose  sprezzante "Io sono il capo di una povera nazione, voi signor Roosevelt parlate di pace e avete uno spazio vitale quindici volte più grande; parlate anche di giustizia, ma io non posso sentirmi responsabile dei destini del mondo, visto che il mondo non si è mai interessato prima d'ora delle condizioni pietose del mio popolo e della mia Germania".

Il 10 maggio 1940 le armate di Hitler invadono l'Olanda e il Belgio e dilagano in Francia. Mussolini non può più tirarsi indietro; il 10 giugno scende in armi al fianco dell'alleato tedesco. Il prologo era finito, il primo atto della tragedia (che - siamo realisti ! - non poteva evitare) si stava compiendo.

Nella cronologia dell'anno 1940, abbiamo visto gli eventi, quasi giorno per giorno. Un CIANO alla vigilia dubbioso e quasi ostile ai tedeschi. Ma il 20 maggio, a Milano,  prima di recarsi a Berlino per incontrarsi con  Hitler, fa un discorso che ha una profonda ripercussione. Tutta la stampa si schiera con Ciano e con le sue parole, "pronunciate in un clima di  fascistissimo ardore e formidabile entusiasmo". Anche se Mussolini non ha ancora rotto "gli indugi". 
Tentennerà fino al 5 giugno, poi si decise. Ma Hitler lo blocca. Sa che la partita l'ha vinta da solo, e non vuole alleati per spartire la "torta" Francia. Mussolini rinvierà l'entrata in guerra il 10 giugno "quando dichiarerà che "...secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui fino in fondo... Popolo italiano corri alle armi..... !!!"

Perchè si decise? Vi fu spinto da tutta l'opinione pubblica, di ogni ceto.  A parte le enfatiche e pompose pagine di "tutti" i giornali, le battute della gente comune in Italia non mancavano (ed erano anche piuttosto... realiste - come detto sopra): "per fortuna che l'Italia è alleata della Germania, altrimenti li avremmo in due giorni addosso";   tutti hanno paura di non poter saltare sul "treno Hitler" che va di corsa verso Parigi.  "Perchè mai ci siamo alleati allora con Hitler, per stare a guardare?'". E se Prezzolini spingeva all'azione gli italiani, Berto (che fra l'altro non era un fascista!) li offendeva pure: "starsene inerti a guardare gli avvenimenti è la cosa piu' vile che si possa fare". E così molti altri, fior di intellettuali, a dire le stesse cose sui giornali, come questa sul Bertoldo: "chi aspira spara, e chi non spara, spira".

Ma non c'era bisogno nemmeno degli intellettuali, tutti gli italiani (dal più stupido al più intelligente) erano convinti che bisognava salire sul carro del vincitore. Hitler si era permesso di ricacciare gli inglesi sull'isola e ora stava occupando l'intera Francia. Ed entrambe non erano il piccolo Stato di San Marino o il Principato di Monaco, ma due potenze mondiali travolte in una decina di giorni; (l'Inghilterra in cinque giorni!)  perfino umiliate e dileggiate sulla stampa nazionale.

"... fanno la figura di cattivi dilettanti in paragone con i tedeschi. Non ci s'improvvisa soldati e tanto meno quando si tratta di fronteggiare delle truppe come quelle del Terzo Reich.
Forzata la prima linea chi può ora minacciare le fortezze mobili dell'esercito di Hitler? Superiorità di materiale?  Non c'è dubbio....Velocità?  Anche....  Ma vogliamo immaginare che queste fortezze mobili   tedesche hanno una corazza  imperforabile come la pelle di Sigfrido dopo il bagno di sangue  del drago"
(Giornale di Sicilia, 25 maggio 1940 - e molti altri con lo stesso tono).

"IL FUHRER DIRIGE PERSONALMENTE LE OPERAZIONI DELL'OFFENSIVA -  Questa è la realtà. E i suoi generali, anche quelli altolocati, sono esecutori collaboratori di dettagli....e presuppongono non soltanto un'assolutamente eccezionale facoltà di concentrazione, quali tutti ormai riconoscono a Hitler, ma nello stesso tempo una vastità di concezione, una forza e un'audacia di decisione che, pur tributando il giusto riconoscimento ai generali, soltanto il Fuhrer può avere in questo momento" (Ibid.)

" GUAI AI NON PROTAGONISTI - Oggi non è più tempo di reclamare i nostri diritti calpestati facendo appelli a tardivi atti di resipiscenza; non è più tempo di piangere sulle tombe dei nostri seicentomila caduti nella Grande Guerra...è tempo di realizzare i nostri diritti, realizzarli nella sola maniere nella quale potevano e dovevamo realizzarli, con la precisa volontà di mantenere alto e puro il prestigio dell'Italia quale grande potenza operaia, guerriera e fascista, che intende mantener fede ai suoi impegni, e insieme con essi, al suo più grande destino. Nelle vicende di questi giorni si combatte una guerra che non è soltanto grande per le sue dimensioni belliche, ma che è tale, soprattutto per la funzione storica che assolve, fatalmente, come moto di giustizia e di liberazione. Funzione al cui sviluppo noi abbiamo preso e più prenderemo attivamente parte.
E GUAI AI VINTI E AI NON PROTAGONISTI"
(ibid)

Poi c'erano i "tutori" della Nazione. Il piccolo Re con i grossi stivali (di sette leghe, che gli serviranno poi nel '43 per scappare)  smise all'improvviso di essere un insofferente antitedesco; la sua frase che girava negli alti comandi militari era  "gli assenti hanno sempre torto".
Poi volle anche strafare a blitz francese concluso. In pompa magna cinse il collo di Gooring con il collare dell'Annunziata, che vuol dire trasformarsi in "cugino del Re". (Al processo di Norimberga, a Goring nel '45, gli stavano mettendo un altro "collare",  meno nobile, ma preferì suicidarsi)


LA CONGIURA DELLE BARBETTE

Il Re, aveva già dimenticato  la congiura  ordita soli pochi mesi prima. Un golpe antifascista per scaricare Mussolini. L'anno prima infatti,  dalla fine di luglio al 19 agosto, fu messo in atto un tentativo per evitare la catastrofe dell'implicazione italiana nel conflitto polacco, che ebbe per protagonisti proprio Dino GRANDI e un personaggio insospettabile, il Principe UMBERTO di Savoia (ispiratrice forse sua moglie MARIA JOSE). La rivelazione dell'episodio -passato inosservato ai più- ma che stava per mutare il corso della nostra storia, ci viene da un giornalista americano, FRANK STEVENS, che il 10 ottobre 1939 scrisse sul "El Tiempo", quotidiano di Bogotà, un'ampia corrispondenza dall'Italia in cui, esaminando la situazione politica del nostro Paese, dava notizia di una "congiura delle barbette" che, facendo perno su DINO GRANDI e ITALO BALBO, e DE BONO (piuttosto antitedeschi)  mirava a provocare un voto di sfiducia nel Gran Consiglio fascista per consentire al Re di destituire Mussolini e di formare un nuovo governo presieduto dal maresciallo Badoglio, formato da personalità ostili al fascismo o da fascisti di forte tendenza antitedesca.


(ma qualcosa del genere era già accaduto nel 1922, alla Marcia su Roma e accadrà ancora nel 1943, il 25 luglio. E quasi con gli stessi protagonisti.

Montanelli il 27 nov 2000, sul CorSera, scrive che quella della "Congiura delle barbette" (riportata qui, da un lettore letta appunto su "Storiologia") è una notizia degna di un giornale di Bogotà. Ma sappiamo poi il seguito. Balbo morto, Grandi fu il protagonista alla famosa seduta del 25 luglio (ci andò con in tasca due bombe a mano) e dovette far fagotto e riparare in Portogallo per non finire anche lui come la terza "barbetta": De Bono, fucilato a Verona come "traditore". Aveva ragione il giornalista di Bogotà! Come sarebbe andata a finire non lo sapevano in Italia, ma a Bogotà già lo sapevano.

Come vedremo piu' avanti, anche durante la guerra in Grecia, Grandi pensava a un Golpe, confiderà che lo aveva scritto in Grecia e lo aveva già in tasca "l'ordine" presentato poi nel '43 al Gran Consiglio.
E a quanto pare del "tradimento" ne sapeva qualcosa anche Rommel prima di lasciare Roma e recarsi in Africa a comandare l'Africancorp. ( vedi in Diario di Rommel la lettera alla moglie del 6 febbraio 1941)

Badoglio ce lo conferma nel suo "Memorie e documenti" in "L'Italia nella seconda guerra mondiale" 1a ed. Mondadori, 1946, pag. 35. "Era ormai noto a tutti che nessun segreto rimaneva a lungo tale in Roma, ove gerarchi e, specialmente, mogli ed amanti di gerarchi, si facevano vanto di diffondere ogni notizia"

Intanto gli italiani come si prepararono in quei giorni di inizio guerra? Se dobbiamo sempre credere a Montanelli ecco la sua risposta in L'Italia dell'Asse,, Rizzoli ed. 1981-  "I più fecero come chi scrive, cioè nulla. Ci lasciammo portare dagli avvenimenti quasi dissolvendoci in essi, e senza contribuirvi nè in un senso nè nell'altro. Quelli di noi che vennero richiamati alle armi, cioè quasi tutti, non furono soldati traditori, ma nemmeno buoni soldati".

E se fece lui "nulla" che era un ufficiale, cosa potevano fare gli altri poveri cristi che dovevano ubbidire? Li portarono al macello! (così scriveva anche Rommel:  "li portano al macello, e non soccorrono i feriti portandoli in Italia perchè non vogliono far vedere la disfatta. Gli abbiamo dato 5 aerei da trasporto, vanno in Albania e tornano indietro vuoti, con gli ospedali pieni di feriti. Che però nessuno si sogna di far tornare in Italia". - vedi la lettera sopra di Rommel).
 
 
Insomma non si poteva in queste condizioni "cioè fare nulla", e nemmeno lontanamente sperare di vincere; ma a Bogotà già lo sapevano! Anzi se tutti gli italiani avessero letto i giornali di Bogotà avrebbero capito che questi erano più credibili, o almeno non falsi.
Perchè nonostante Montanelli affermi "senza contribuirvi" il giornale dove lui scriveva  contribuiva eccome: con Hitler. "Il Corriere della Sera, proprio del 24 giugno in prima pagina scriveva "L'Italia contribuisce in modo positivo a modificare profondamente la situazione strategica  e il rapporto delle forze in questo teatro della guerra....E troveranno il loro giusto compenso, come hanno già trovato il leale riconoscimento del nostro alleato". (all'uscita del giornale la Francia stava già capitolando - Comodo ! - Ndr).
A Bogotà non scrivevano questo! Scrivevano la verità! Ed era cosi vera che una barbetta morì in circostanze misteriose pochi giorni dopo l'inizio della guerra, l'altra scappò in Portogallo (dopo il famoso 25 luglio '43), e la terza finì con una pallottola alla schiena a Verona!
"Giusto compenso" che l'Italia poi non ebbe, forse proprio perchè, molti come Montanelli "fecero nulla", e questo lo avevano capito non solo a Bogotà, ma lo aveva capito anche Hitler. (vedi la chiarissima lettera di Rommel alla moglie)

Torniamo alla possibile congiura prima dei grossi eventi. Liquidato Mussolini, l'Italia avrebbe denunciato il Patto d'acciaio e rinsaldato i legami con la Francia e l'Inghilterra. Il Principe Umberto, non sappiamo se vero protagonista del complotto, si sarebbe adoperato per mandare in porto l'operazione e avrebbe avuto tre incontri con il neoeletto Papa PACELLI, al quale avrebbe chiesto consiglio e sostegno. Ecco a proposito quanto scrisse 
FRANK STEVENS,  il 10 ottobre 1939 sul "El Tiempo" ("degno di Bogotà").

"Umberto si è recato in tutta segretezza dal Pontefice. Il cardinale Maglione lo ha introdotto nelle stanze private di PIO XII. Il Principe ha uno sguardo triste, preoccupato. E' latore di una proposta audace. L'Imperatore e Re suo padre è disposto a rinunciare al trono in favore del figlio se questo gesto e le sue ripercussioni possono permettere al nuovo sovrano di liberare l'Italia dalla degradante obbedienza agli ordini di Berlino. Il Papa chiede due giorni per riflettere e allo scadere del secondo giorno Umberto riattraversa il cortile di San Damaso in Vaticano per conoscere il responso del capo della Chiesa. 
Pio XII parla a lungo, tristemente. Il Principe ascolta in silenzio. Quando Umberto lascia la biblioteca sa che il Papa teme, non per lui ma per il Paese, che un così radicale mutamento sconvolga la situazione interna, conduca a una guerra civile e favorisca l'avvento di un razzismo pagano".  (questi gravi timori li possiamo trovare riassunti nel discorso del Natale del '42 ) 

    ... MA IL PAPA NON GLI DIEDE APPOGGIO  - Senza l'appoggio del Papa il "golpe" non avvenne, ma il fatto non toglie nulla alla veridicità della rivelazione fatta dal giornalista sud-americano, che appare molto ben informato sui retroscena della politica italiana del tempo. Una rivelazione che contiene molti elementi di credibilità, avvalorati nel 1966 dall'esilio di Cascais da parte dello stesso Umberto che ammise l'intenzione, maturata nel 1939, e concretamente poi condotta a termine solo il 25 luglio 1943; cioè l'intenzione di provocare un voto di sfiducia del Gran Consiglio del fascismo per mettere in minoranza Mussolini e chiederne le dimissioni.
(In base allo Statuto Albertino si poteva fare e infatti lo si applicò nel '43).

Resta infine da capire l'atteggiamento marcatamente contrario del Papa al tentativo di destituzione del Duce. Ed è anche risaputo che Pio XII (ma solo più tardi - non dimentichiamo che fu uno dei protagonisti del concordato Germania-Vaticano) era ostile a Hitler e al suo regime perchè esaltava i valori pagani. Probabilmente il Pontefice, nella sua valutazione negativa, aveva anteposto all'avversione per il dittatore nazista il timore di peggiorare la situazione provocando le sue violente ritorsioni contro l'intero cattolico popolo italiano ma soprattutto su quello cattolico tedesco. 
Ma ritorniamo a CIANO, che secondo tante fonti storiche, era insofferente ai tedeschi, ed era contrario alla guerra. Ma fino a che punto?
Abbiamo rintracciato sulla Gazzetta del Popolo,  il suo discorso tenuto a Milano il giorno 20 maggio, poche ore prima di recarsi a Berlino (da 10 giorni Hitler ha già scatenato l'inferno in Francia, e proprio il 20 ha chiuso Belgi, Olandesi, Inglesi e Francesi in una sacca ). Ciano,  nei commenti dei giornali, che amplificano il suo discorso, non sembra proprio che gli manchi l'entusiasmo e la determinazione di marciare a fianco dei  tedeschi. Il suo fu un discorso di guerriero, e nel declamarlo prese perfino atteggiamenti mussoliniani.

Senza voler interpretare nulla,  pubblichiamo semplicemente il giornale e il testo .


"In un clima di fascistissimo ardore e di formidabile entusiasmo"

 " PRONTI AGLI ORDINI DEL DUCE" Roma, 20 maggio, pom. - Se come riferiscono le notizie da Londra e da Parigi, il discorso di Milano ha fatto all'estero una forte impressione, all'interno ha suscitato i più larghi e calorosi consensi. Il discorso del nostro ministro degli esteri ha ricordato le nostre aspirazioni:
"Tutti avvertono e profondamente sentono che l'Italia non può rimanere estranea alla nuova sistemazione europea e mondiale che si sta preparando. Il trattato di Versaglia è ormai in pezzi e qualcuna delle ingiustizie che aveva sanzionato è già stata riparata. Ma altre rimangono e dovranno essere cancellate ....Le nostre aspirazioni sono naturali perchè sono eque ed indispensabili alla vita medesima del Paese. Esse avrebbero potuto e dovuto già essere state appagate: ma la cattiva volontà delle Potenze demo-plutocratiche ha impedito ogni concreta realizzazione.
E prima di tutto l'Italia imperiale intende far valere i suoi diritti sovrani in terra, in aria e sul mare, diritti che da quando è scoppiata la guerra sono stati misconosciuti e offesi. 
La recente formidabile documentazione resa pubblica colla relazione Pietromarchi ha dimostrato e denunciato alla Nazione e al mondo la pretesa anglo-francese di tenerci prigionieri nel mediterraneo, di sottoporci al loro controllo, di limitare arbitrariamente i nostri traffici e i nostri rifornimenti.
Questo stato di cose (si riferisce alla non belligeranza - Ndr) deve cessare e cesserà.
La violenza esercitata a nostro danno ha chiarito la pretesa anglo-francese di tenere l'Italia in uno stato di soggezione che è intollerabile e incompatibile coi nostri diritti, colla nostra dignità di Stato sovrano, colle nostre stesse possibilità di vita.
Tutti gli italiani che sentono la fierezza di vivere in questa eccezionale epoca, in questo clima eroico creato dal Duce, avvertono come la nostra ora si avvicini".

E  l'immensa eco che le fiere parole del conte Ciano hanno avuto prima fra la moltitudine milanese e poi in ogni parte d'Italia dimostra che gli italiani sono pienamente consapevoli dell'ora storica.
LA PAROLA D'ORDINE E': PRONTI AGLI ORDINE DEL DUCE".


L'unico a non parlare era Mussolini.
Quando poi la sofferta "avventura" iniziò (dopo aver visto umiliare in un baleno, Francia e Inghilterra nelle Fiandre, proprio lo stesso giorno, il 20) tutti plaudirono.

L'Eco di Bergamo
, il 21 giugno, titolò su 8 colonne in prima pagina "Crisi dinastica in Gran Bretagna. Dopo la sconfitta degli inglesi -  Era di prosperità per l'Europa"
"A Madrid rievocano Napoleone: Gli inglesi si comportarono in Spagna  come i briganti"


Il Corriere della Sera,
il 24 giugno "L'Italia contribuisce in modo positivo a modificare profondamente la situazione strategica (all'uscita del giornale la Francia capitolava - Ndr) e il rapporto delle forze in questo teatro della guerra....E troveranno il loro giusto compenso, come hanno già trovato il leale riconoscimento del nostro alleato".

Una panzana! - I compensi furono poi irrisori. Mussolini aveva chiesto la Corsica, la Tunisia, Avignone, Valenza, Lione, Casablanca, Beirut; l' occupazione fino al Rodano e testa di ponte a Lione più la consegna della flotta francese dentro il Mediterraneo. Quanto a lealtà, Hitler non lo invitò nemmeno in Francia; lui  farà il "suo" armistizio e detterà le "sue" condizioni a Parigi, e Mussolini  "si faccia le proprie in separata sede a Roma con i francesi".... "Io non chiederò queste cose ai Francesi".
(Forse a Hitler non gli era sfuggito come scrive Montanelli che "allo scoppio della guerra i più fecero come me, cioè nulla". E se gli ufficiali italiani facevano nulla, chissà i subalterni!
Probabilmente (se è vero ciò che scrive Montanelli) anche Hitler se n'era accorto.

 Alla fine Mussolini otterrà, solo l'uso del porto di Gibuti, in Africa.

Per Mussolini fu una cocente umiliazione. Era entrato nell'avventura per riscattare la "vittoria mutilata" della Grande Guerra  e ora il grande spettro di Versailles era ancora nell'aria, a Compiegne: l'Italia non era stata nemmeno invitata.
Lui tenta di mettere a disposizione un corpo di spedizione per la progettata invasione dell'Inghilterra, che tutti si aspettano,  ma Hitler rifiuta (ma Mussolini invierà comunque alcune inutili "libellule", adatte a volare nel sole di Roma, non sulla Manica con le nebbie - vedi testimonianze dell'asso dell'aviazione).

Rientrato in Italia, Mussolini è furibondo; ha deciso di fare da solo spalleggiato da Ciano. Iniziare una "Guerra Parallela".  Anche dopo un incontro con Hitler al Brennero avvenuto il 4 ottobre, non porta a conoscenza del Fuhrer la sua intenzione di invadere la Grecia. Vuol fare come lui,  stupirlo a cose fatte. Lo informa dei fatti nell'incontro successivo avvenuto a Firenze il 28 dello stesso mese. Hitler è furibondo. E non sa ancora che la guerra in Grecia (perderà un mese con i Serbi, per arrivarci) è la manciata di sabbia dentro il  suo perfetto ingranaggio strategico, logistico e militare, preparato per invadere la Russia; un piano che Mussolini ignorava e che Hitler gli tenne nascosto.
Perderà tempo, partirà in ritardo per la Russia e, come Napoleone, quasi nello stesso luogo (Borodino)  andrà incontro alla disfatta.  A causa dei Balcani, Hitler ritardò di 6 settimane, non aveva tutte le divisioni, e in più  l'inverno in Russia arrivò in anticipo di 6 settimane. Le 12 settimane  provocarono il disastro, si fermarono alle porte di Mosca, poi la disfatta; infine la trappola di Stalingrado
Andò quasi meglio a Napoleone, perchè Hitler  non arrivò mai a Mosca, comunque  giunsero entrambi  alle porte di una città vuota, data alle fiamme dagli stessi russi, con temperature a 40-52 gradi sottozero (non accadeva da 142 anni) con tutti i rifornimenti bloccati dalla neve. 
Comandante in capo nel 1812 era un certo generale Kuzov, mentre l'uomo che stava attendendo Hitler si chiamava generale  Zukov. Entrambi con lo stesso alleato: il generale "Gelo".

Fatto singolare, e  non certo di buon auspicio, Hitler per invadere la Russia, scelse la data del 22-23 GIUGNO, lo stesso giorno quando Napoleone  decise di invadere la Russia. 
Hitler voleva sfidare il destino?  Vinse il destino!

Francomputer
Alcune  righe, e quelle sul giornalista Stevens
sono prese dall'articolo sulla Marcia su Roma
riportato  nell'anno 1922, di Gian Piero Piazza.

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