Alla luce di quanto accaduto in Giappone, due-tre semplici considerazioni se l'Italia deve ancora promuovere il nucleare.
(anche perchè, quando da noi le nuove centrali saranno pronte, sarà sicuramente finita anche l'epoca del nucleare stesso)La Prestigiacomo (e tanti politici di casa nostra come lei) insiste nel dire "Col nucleare si va avanti. Non possiamo rinunciare al nucleare, l'Italia per l'energia non può dipendere ulteriormente dai paesi produttori di petrolio".
Ma vorrei chiedere alla Prestigiacomo, ma per alimentare le centrali nucleari l'uranio lo troviamo in Italia nell'orto di casa nostra?
I paesi non produttori come l'Italia sono quindi soggetti a subire i prezzi dei paesi produttori, come avviene oggi per il petrolio. (si cade così dalla padella alla brace).Inoltre sanno costoro che il prezzo dell'uranio (per la enorme richiesta) negli ultimi 10 anni è aumentato del 1000 % (mille per cento !!!). E per quando saranno pronte le centrali in Italia (20 anni) è prevedibile un aumento di almeno 2/3000 %.
Per molte ragioni:
- Offerta: Occorrono numerosi anni tra l'aumento dei prezzi dell'uranio e l'apertura delle nuove miniere d'uranio. (consideriamo che l' U-235 non si trova libero in natura, un grammo di U-235 si ricava, mediamente, da 7 tonnellate di minerale lavorato in miniera. Poi bisogna aggiungere i costi successivi per il riprocessamento).
- la potenza elettronucleare nel mondo è stimata crescere, nei prossimi 20 anni, di una percentuale compresa tra il 38% e l’80% rispetto all’attuale, occorre che la produzione di uranio naturale quanto meno raddoppi nello stesso periodo.
- Domanda: la domanda aumenterà a causa del grande numero di centrali in costruzione.
Gli unici grossi produttori di uranio sono il Kazakhstan, il Canadà e l'Australia. I dati dell'ente nucleare statale kazako KazAtomProm riportano per il Paese centroasiatico un totale di 13.900 tonnellate. I primi produttori del 2008, Canada e Australia, hanno prodotto nel 2009, secondo le stime della Ux Consulting, 9934 e 8022 tonnellate rispettivamente.
- la costruzione di nuove centrali porta ad un aumento insostenibile del prezzo dell'uranio, il vero rischio sta nel fatto che il mercato non riesca a soddisfare aumenti di domanda della materia prima.
- La differenza tra l'offerta e la domanda d'uranio è molto vecchia e gli stock arrivano dunque a scadenza.
- L'aumento del prezzo del petrolio incita a girarsi verso altri tipi di energie in primis quella nucleare, appunto l'uranio (che costa anche questo perchè in mano a pochi produttori).
- Negli ultimi anni è calata di molto la produzione di uranio, mentre è altissima la domanda.
- I pochi paesi grandi produttori (3) possono formare anche con i piccoli (ca.10) un cartello per imporre il prezzo di mercato.
- Bisogna però dire che il costo dell'uranio è comunque basso, ma sono invece altissimi i costi degli impianti e dello smaltimento delle scorie.
Se poi consideriamo i costi per la comunità di un gravissimo incidente (per cause naturali) come quello verificatosi in Giappone, il "gioco" (=energia dal nucleare) non vale una "candela accesa" (= l'economia che si appoggia sulla medesima)Anzi c'è il rischio (e abbiamo visto è possibile) che spegnendosi la candela (=collasso economico giapponese) un' economia non di baratti, ma la si dice da anni ultra "moderna" (capitalismo/liberismo/consumismo/speculazione) potrebbe seguire (anche in altri Paesi) un collasso sistemico della globalizzazione neoliberista (in parole povere, la crisi del capitalismo).
Quanto all'incidente in Giappone, molti dicono che quelle centrali nucleari giapponesi erano vecchie, mentre sono più sicure - dicono i fautori del nucleare - quelle di ultima generazione.
Ma nuove o vecchie il terremoto e il conseguente tsunami le avrebbe comunque spazzate via ugualmente.Fonti alternative? Eolico, fotovoltaico, biomasse ecc. ecc?. Ma perchè mai nessuno parla del carburante alcool. Che questo sì, inesauribile, e che chiunque potrebbe farsi quasi nell'orto di casa. Ma già, ma poi come vivranno i petrolieri? E come faranno gli Stati a rinunciare alle accise e alle tasse di fabbricazione, che sono il più grosso degli introiti dei rispettivi Paesi.
Con simili rinnovabili Stato e Petrolieri farebbero la fame. (o farebbero altre guerre per distruggere quei Paese che con le alternative ci campano e prosperano. (cioè far fuori i potenziali concorrenti i cui bassi costi industriali darebbero non poco fastidio.)
Ridicolo è sapere che in Brasile, Fiat e Magneti Marelli e tante altre società (Volkswagen, Ford, Reanult ecc.) si dedicano a costruire vetture (chiamate brevemente Flex) che vanno ad alcool (che (pur con le tasse di fabbricazione) costa metà della benzina, un terzo del gasolio).
A San Paolo e Rio ci sono già in circolazione taxi che vanno ad alcool.Vi invito a leggere questa lettera - una delle tante che vanno a finire nei cestini della carta straccia nelle redazioni di tutti i giornali, per non dare un dispiacere ai monopolisti del petrolio e ai politici che da loro ricevono denari e... leggi per conservare i monopoli.
http://energierinnovabili.forumcommunity.net/?t=2451744
Leggete
e riflettete.
Leggende nucleari, tutta la verità
sul fabbisogno energetico nazionale
Dalle centrali atomiche francesi l'Italia importa solo l'uno per cento dell'elettricità
totale che consuma
“Che senso ha continuare a snobbare il nucleare? Alla fine lo importiamo
dalla Francia, tanto vale portarcelo in casa”. Lo sentiamo ripetere come
un mantra ogni volta che si tocca la questione dell’atomo. Ma è
veramente così? E se lo è, quanto pesa effettivamente l’energia
atomica francese sul totale del nostro fabbisogno energetico? Per capirlo basta
armarsi di pazienza e fare due calcoli. Partiamo dal “fabbisogno nazionale
lordo” e cioè dalla richiesta totale di energia elettrica in Italia.
Nel 2009, secondo i dati pubblicati da Terna, la società che gestisce
la rete elettrica nazionale, è stato pari a circa 317.602 Gwh (Gigawatt/ora
all’anno). Di questi, circa 278.880 Gwh (87,81%) sono stati prodotti internamente,
in buona parte da centrali termoelettriche (77,4% delle produzione nazionale)
che funzionano principalmente a gas (65,1% del totale termoelettrico), carbone
(17,6%) e derivati petroliferi (7,1%): combustibili fossili, in larga parte
importati. Il gas, che è la fonte più rilevante nel mix energetico
italiano, arriva per il 90% dall’estero, soprattutto da Algeria (34,44%
del totale importato), Russia (29,85%) e Libia (12,49%). La parte di fabbisogno
non coperta dalla produzione nazionale viene importata, tramite elettrodotti,
dai paesi confinanti.
In tutto, nel 2009, sempre secondo i dati di Terna, abbiamo acquistato dall’estero circa 44.000 Gwh di energia, al netto dei 2.100 circa che abbiamo esportato. 10.701 Gwh ce li ha ceduti la Francia, 24.473 la Svizzera e 6.712 la Slovenia. Tre paesi ai nostri confini che producono elettricità anche con centrali nucleari. In base ai dati pubblicati dalla Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), la Francia produce il 75,17% dell’elettricità con il nucleare, la Svizzera il 39,50% e la Slovenia circa il 38%. In termini di Gwh questo significa che importiamo circa 8.000 Gwh di energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi, 9.700 Gwh dalle centrali svizzere e 2.550 Gwh dall’unica centrale slovena. Quanto pesa quindi il nucleare estero sul fabbisogno italiano? Il conto è presto fatto. Basta dividere i Gwh nucleari importati mettendo a denominatore il fabbisogno nazionale lordo. Si scopre così che solo il 2,5% del fabbisogno nazionale è coperto dal nucleare francese, il 3,05% dal nucleare svizzero e lo 0,8% da quello sloveno.
In realtà, se si considera il mix medio energetico nazionale calcolato dal Gestore servizi energetici (GSE) in collaborazione con Terna, la percentuale di energia nucleare effettivamente utilizzata in Italia è pari ad appena l’1,5% del totale. Se si scompone il dato, si scopre che il nucleare francese pesa per circa lo 0,6% sul mix energetico nazionale. Ma c’è un’altro dato da considerare. Consultando i dati pubblicati da Terna si scopre infatti che l’Italia dal punto di vista energetico è tecnicamente autosufficiente. Le nostre centrali (termoelettriche, idroelettriche, solari, eoliche, geotermiche) sono in grado di sviluppare una potenza totale di 101,45 GW, contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell’estate 2007). Perché allora importiamo energia dall’estero? Perché conviene. Soprattutto di notte, quando l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari, che strutturalmente non riescono a modulare la potenza prodotta, costa molto meno, perché l’offerta (che più o meno rimane costante) supera la domanda (che di notte scende). E quindi in Italia le centrali meno efficienti vengono spente di notte proprio perché diventa più conveniente comprare elettricità dall’estero.
“E se dovesse succedere un incidente in una delle centrali dei paesi
confinanti?”. Beh, non ci sarebbe da rallegrarsi, ma ancora una volta
i dati possono esserci (un po’) di conforto. Le tre centrali nucleari
più vicine all’Italia sono in Francia a Creys-Malville (regione
dell’Isère), in Svizzera a Mühleberg (vicino a Berna) e in
Slovenia a Krško, verso il confine con la Croazia. Creys-Malville è
a circa 100 Km in linea d’aria dalla Valle d’Aosta, a 250 Km da
Torino e a 350 Km da Milano. Mühleberg dista circa 100 Km dal confine piemontese
e 220 Km da Milano. Krško è a 140 Km da Trieste. Ammesso che si
possa usare come riferimento il disastro di Cernobyl‘, in caso di incidente
sembra che la più alta esposizione alle radiazioni si verifichi nel raggio
di 30-35 chilometri dal reattore. Quindi nelle nostre valli alpine e nelle grandi
città del nord si possono dormire ancora sonni abbastanza tranquilli
rispetto all’eventualità che si costruisca un reattore dentro i
confini nazionali.