ARCIV. AGOSTINO MARCHETTO

IL CONCILIO VATICANO II:

CONSIDERAZIONI SU TENDENZE ERMENEUTICHE
DAL 1990 AD OGGI

La presente nota è il testo abbreviato di un più ampio studio,
che sarà prossimamente divulgato con i più importanti organi d'informazione.

Presentazione del volume il 17 Giugno 2005 - ore 18 in Campidoglio nella Sala Pietro da Cortona del Palazzo dei Conservatori. Interverranno: Card. Camillo Ruini, Sen. Francesco Cossiga, Prof. Anrea Riccardi, moderatore Mons. Walter Branmuller. Sarà presente l'Autore.

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"Non dovrò certo convincere nessuno dell'importanza e del valore dottrinale, spirituale e pastorale del Concilio Vaticano II, tanto da potersi affermare che esso è «icona» della Chiesa cattolica stessa, cioè di quello che specialmente è il Cattolicesimo, costituzionalmente, Comunione cioè, anche con il passato, con le origini, identità nell'evoluzione, fedeltà nel rinnovamento.
L'immagine che viene alla mente, per illustrare il concetto, è quella dell'albero frondoso e forte nato da umile seme, interrato duemila anni fa, sepolto nelle tenebre - la morte redentrice di Cristo - ed esploso, in perenne primavera, con la sua risurrezione. La vigna del Signore ha esteso infatti le sue radici nel mondo intero e lo ricordiamo con gioia e gratitudine in quest'anno del nostro Grande Giubileo.

Magno del resto fu anche l'evento conciliare. Da parte mia, per sottolineare, da storico, la vastità dell'impegno, mi limito a rilevare che solo gli «Atti» ufficiali, (la cui pubblicazione per la solerzia, l'acribia e tanti anni di ottimo lavoro del Curatore, Mons. V. Carbone, è giunta da poco a felice termine) sono stati raccolti in ben 62 grossi tomi. Tutto ciò è ora base sicura su cui tutti dovremmo costruire e confrontarci per la recezione e la corretta interpretazione conciliari. Molti iniziarono però a tessere la loro tela ermeneutica, quasi a prescindere dagli «Atti», - del resto allora non del tutto pubblicati per quanto riguarda gli Organi direttivi conciliari - basandosi fondamentalmente su scritti privati (Diari personali), su giornali contemporanei e cronache, pur a volte egregie. Penso per esempio a quella del P. Caprile.

È cominciata in effetti, da qualche anno, oltre la consultazione, la pubblicazione di alcuni Diari di «personaggi» famosi o almeno solerti, partecipanti in vario modo al Concilio. Tali scritti sono da sottoporsi peraltro scrupolosamente al vaglio critico incrociato. Di fatto già ad una semplice lettura appaiono discrepanze e varietà di attribuzioni e meriti. Come si sa, è umano rivendicare per sé di essere all'origine di certi indirizzi e posizioni alla fine «vincenti», - anche perché le conoscenze di ciascuno sono piuttosto parziali, rispetto alla complessità delle cose sinodali e del loro procedere - dell' intrecciarsi della tela di regolamenti, "pressioni" o movimenti e dell'organizzazione di battaglie contro il «conservativismo» e la Curia, o a difesa della Tradizione, per l'introduzione, brillante, di teologi cosiddetti d'avanguardia, "magistero" del Magistero, e di interpretazioni dell'indirizzo pastorale ed ecumenico soprattutto di Giovanni XXIII. Potremmo continuare... Il vaglio critico incrociato sarà quindi lungo e difficile, ma utile perché i Diari potranno portare sapore e ingredienti personali validi per la storia, comunque sottomessi - ripeto - al giudizio degli «Atti» (fatti) ufficiali di cui sopra.

Questo perchè nella preponderanza del personale, nei Diari, almeno in certuni, vi è anche il rischio di scivolamento verso una storia di frammenti, che in realtà non sfugge facilmente alla semplice cronaca e all'enciclopedismo. Così chi segue con attenzione l'attuale evolversi della «storia» conciliare non può non avere la sensazione, spesso, di una certa dispersione in mille rigagnoli, quasi di una dissezione, vivisezione o scorticatura di quell'evento fondamentale ecclesiale del Novecento che è il Concilio Vaticano II.

Per i Diari mi limiterò a richiamare quelli del P. Chenut (1) e di Mons. N. Edelby (2), facendo altresì menzione a quattro volumi - e relativa recensione - di un genere letterario abbastanza simile. Mi riferisco a tre opere assai interessanti, pur non del tutto omogenee, e cioè quelle del Padre S. Schmidt (3), di B. Lai 4 e di J. Ratzinger (5). Quest'ultimo, nonostante la premessa che «il dramma teologico-ecclesiale di quegli anni non rientra nell'intento di questi ricordi», chiede al lettore di acconsentire a due eccezioni, sulla finalità cioè del Concilio e sulle «fonti della Rivelazione». Sono felici eccezioni! Aggiungo, a complemento, la menzione ai «ricordi» del Card. L.J. Suenens( 6).

1 M.-D. CHENU, «Notes quotidiennes au Concile 1962-1963» (ed. A. Melloni) Cerf, Paris 1995. V. la mia presentazione in «Apollinaris» LXX (1997) p. 421-425. Anche in seguito le citazioni riguardano le mie recensioni e Note sulle opere citate.
2 N. EDELBY, «Il Vaticano II nel diario di un Vescovo arabo» (a cura di R. Canelli), Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 1996. V. «Apollinaris» LXX (1997) p. 888-891.
3 «Agostino Bea, Cardinale dell'ecumenismo e del dialogo», Edizioni S. Paolo, Alba 1996. V. «Apollinaris» LXX (1997) p. 409-413.
4 «Il Papa non eletto, Giuseppe Siri cardinale di Santa Romana Chiesa», Laterza editore, Bari 1993. V. «Apollinaris» LXX (1997) p. 413-417.
5 «La mia vita. Ricordi (1927-1972)», San Paolo, Mappano, 1997. V. «Apollinaris» LXX (1997) p. 417-421.
6 «Souvenirs et esperances», Paris, Fayard 1991. V. la segnalazione del P.G. CAPRILE in «Civ. Catt.» q. 3433, del 3 Luglio 1993, p. 91s.

PROBLEMATICA SOGGIACENTE ALLA PUBBLICAZIONE DEI DIARI

Alla «scoperta» e valorizzazione dei Diari (di cui qualcuno fece sistematica ricerca e raccolta, in tempo «neutro», aiutato da compiacenti «amici») è sottostante l'impegno di molti a togliere importanza ai documenti conciliari stessi, per noi sintesi di Tradizione ed aggiornamento, per fare prevalere una ricerca «mirata», che fin dall'inizio abbiamo definito ideologica, la quale «punta» solo sugli aspetti innovativi emersi in Concilio, sulla discontinuità, insomma, rispetto alla Tradizione.
Lo testimonia specialmente un volume, fondamentale a questo proposito, dal titolo «L'evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II» - a cura di Maria Teresa Fattori e Alberto Melloni - (Il Mulino, Imola 1997) che considero chiaramente rivelatore di tale sottofondo ideologico della odierna lettura conciliare di molti. Col puntare ermeneuticamente sulla discontinuità, in fondo si sta recuperando, per la Chiesa, l'attuale tendenza storiografica generale, la quale privilegia, nell'interpretazione storica, l'«evento», la discontinuità appunto, il cambiamento, ovvero il mutamento traumatico, e ciò in contrapposizione all'antecedente indirizzo delle famose «Annales», che guardava piuttosto al periodo lungo. Esso sottolineava la continuità storica (per Braudel la storia è «una scienza sociale applicata che mette in luce strutture, sistemi, modelli perenni anche se a prima vista invisibili»). E non ci si avvede, nella Chiesa, - o non si vuol rendersene conto - che se per avvenimento si intende non tanto un fatto degno di nota, ma una rottura, una novità assoluta, il nascere quasi di un nuovo essere ecclesiale, «in casu», una «rivoluzione copernicana», insomma il passaggio da un tipo di Cattolicesimo ad un altro, - che ne perde però le caratteristiche inconfondibili - detta prospettiva non potrà e dovrà essere accettata, almeno per quanto concerne la Chiesa cattolica e per la storia che tenga conto della sua specificità. Mi riferisco alla continuità della sua realtà pur misteriosa, da preservarsi anche nella interpretazione dei suoi documenti.

A questo proposito, leggendo i contributi alla ricerca pubblicati nel citato volume, si rimane veramente sorpresi per le critiche, in fondo radicali, manifestate alla precedente ermeneutica conciliare di Jedin, Ratzinger e Kasper (con le sue quattro regole ermeneutiche, considerate astratte, in detta opera, e quindi tralasciate, anche per la sottolineatura della peculiarietà, fra i Concili, del Vaticano II) e dello stesso Poulat. La scelta ha il fine di portare avanti proprio l'«evento», inteso in modo particolare, nella linea della ideologia sopra indicata. Non è difficile rendersi conto, liberi da pregiudizi, che in tal modo quella che fu una posizione estrema al Concilio Vaticano II, nella cosiddetta sua maggioranza, - la definirei «oltranzista», (contraria - o non duttile - ad una costante e fattiva ricerca del consenso, dell'abbraccio fra Tradizione e rinnovamento) sempre più desiderosa di imporre il proprio punto di vista, sorda ai richiami e all'opera di «cucitura» di Paolo VI - è riuscita, dopo il Concilio, quasi a monopolizzarne finora la interpretazione, rigettando ogni diverso procedere, che si vitupera magari di anticonciliare. Indicativa, a questo proposito, potrebbe essere la lettura del volumetto «Il Vaticano II. Frammenti di una riflessione» (Il Mulino, Bologna 1996) di Giuseppe Dossetti, il famoso «segretario» dei Moderatori, per il quale Paolo VI ebbe a dire: «quello (di «segretario») non è il suo posto». Comunque il vero sottofondo, in tema di «evento», appare, nell'opera alla quale sopra mi riferivo, nello studio di E. Fouilloux dal titolo «La categoria di evento («il suo ritorno», come attesta E. Morin) nella storiografia francese recente» (dagli anni `50 circa). Non vi manca, giustamente, l'analisi pure del legame stretto dell'esistenza storica dell'evento con la « mediatizzazione » (scrive P. Nora: «perché ci sia evento, occorre che sia conosciuto»). E «il Vaticano II risponde(rebbe) molto bene a questa definizione mediatica dell'evento».

P . Huenermann - sempre nel citato volume, con richiamo al metodo di G. Gadamer - conclude, riassumendo, che «l'evento del concilio può essere compreso come la formazione di quella pragmatica che può essere espressa concettualmente come dialettica topica (detto con il linguaggio delle «Ricerche filosofiche» del Wittgenstein). Questa dialettica topica (che rende possibile un consenso) costituisce, in forma radicalizzata e rinnovata, il movimento di fondo del concilio, quel movimento unitario che ha collegato strettamente le innumerevoli singole attività, inserendole in un flusso che ha prodotto, come frutto e risultato, quella nuova visione della chiesa e della rivelazione la quale ha trovato la sua sedimentazione nei testi del concilio» (
«L'evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II» - a cura di Maria Teresa Fattori e Alberto Melloni -, Il Mulino, Imola 1997, p. 92.)

L'INTENZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI PAOLO VI

Ma ritorniamo al pensiero iniziale (caratteristico in Newman), quello che considera la Chiesa, come ogni organismo vivente, in continua crescita, all'interno e all'esterno, pur rimanendo se stessa. Orbene un tale sviluppo implica, di certo, molteplici problemi, che riguardano la dottrina, il culto, la morale, la disciplina e l'apostolato. In genere, alla loro soluzione provvede il Magistero ordinario dei Pastori, e quello pontificio in particolare, coadiuvati dai teologi, uniti a tutto il Popolo di Dio, in comunione con i Pastori. A volte, peraltro, la complessità della materia o la gravità delle circostanze storiche suggeriscono interventi straordinari, i concili generali o ecumenici, per es., i quali promuovono, nella fedeltà alla Tradizione, lo sviluppo dottrinale, le riforme, gli adattamenti liturgici, l'aggiornamento disciplinare e le scelte apostoliche, in considerazione altresì del tempo in cui si vive (i famosi «segni dei tempi», che non costituiscono però una nuova Rivelazione).

In questa prospettiva i Papi Giovanni e Paolo ebbero un medesimo sentire, una stessa volontà: l'aggiornamento nella fedeltà. La dimostrazione l'ho fornita anch'io in un articolo dal titolo: «Tradizione e rinnovamento si sono abbracciati: il Concilio Vaticano II»
(«Rivista della Diocesi di Vicenza» XC (1999) p. 1232-1245. L'articolo apparirà prossimamente altresì in «Apollinaris».)
Citerò qui soltanto un passo, in cui Paolo VI attesta: «non sarebbe dunque nel vero chi pensasse che il Concilio Vaticano II rappresenti un distacco, una rottura o una liberazione dall'insegnamento della Chiesa, o autorizzi o promuova un conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò che esso ha di effimero e di negativo» (
"Insegnamenti di Paolo VI" vol.IV, 1966, p.699)

SITUAZIONE NEGLI ULTIMI DIECI ANNI

Orbene, come stiamo su questo punto, tenendo conto degli ultimi 10 anni di ermeneutica conciliare? Non bene, diciamo subito. Vi appare in effetti uno squilibrio, una interpretazione quasi monocorde, non nel senso di un abbraccio fra Tradizione e rinnovamento, che è caratteristica - dicevamo - della Chiesa cattolica e dei suoi Concili. Di fatto quel «gruppo (di studiosi) di Bologna», guidato dal Prof. G. Alberigo, è riuscito quasi a monopolizzare ed imporre una interpretazione - secondo noi - «scentrata», grazie specialmente alla pubblicazione di una «Storia del Concilio Vaticano II», edita da Peeters/Il Mulino, prevista in cinque volumi, di cui, in lingua italiana, ne son usciti già quattro. Basti dire, per rilevarne la portata di influsso e le possibilità finanziarie della «società» in parola - nonché le sue alte protezioni-, che sono in cantiere già le traduzioni in francese, inglese, spagnolo, tedesco e portoghese. Anzi alcuni tomi in dette lingue son già apparsi.

La gravità della conseguente situazione, nell'ermeneutica conciliare, - dal nostro punto di vista - potrà essere rilevata dalla lettura delle mie presentazioni dei quattro volumi finora apparsi in Italia
(V. «Apollinaris» LXIX (1996) p. 305-317 e LXX (1997) p. 331-351 ed inoltre «L'Osservatore Romano» del 28 Agosto 1998, p. 6, e del 31 Gennaio-1° Febbraio 2000, p. 10. Queste due ultime Note saranno pure pubblicate prossimamente su «Apollinaris»). Non posso qui evidentemente riprendere tutto il mio forte discorso critico. Mi limito, quindi, ad illustrazione esemplificativa, a trascrivere qualche paragrafo della presentazione del IV volume dell'opera, indicativo peraltro del tutto apparso finora. Ivi scrivo: «Come già misi in evidenza per i precedenti tomi, anche questo, ponderoso e dalla consueta bella pagina e attenta presentazione, costituisce un notevolo sforzo enciclopedico - sottolineo enciclopedico - per quanto riguarda il magno Sinodo Vaticano... Continua (comunque) ad aleggiare sulla presente "Storia" un elemento che definimmo "ideologico", fin da principio, e che traspare anche da varie animosità ingiustificate e non scientifiche contro personaggi della minoranza conciliare - in questo pure il presente volume è monocorde - elemento che arriva in fondo a considerare come "vero" Concilio Vaticano II quello di Papa Giovanni, ritenuto "innovatore" e "progressista" (e tale "assemblea sinodale"è "spinta" fino a raggiungere la soglia del settembre 1964), piuttosto che l"altro" Concilio, di Paolo VI. Invece, il magno Sinodo fu, è, uno ed indivisibile: il Vaticano II. Nella stessa linea di soggettiva e non fondata interpretazione appare l'idea, sottostante all'ermeneutica sinodale di cui il volume è un esempio chiarissimo, che detto concilio emerge sì come "evento", ma in una visione storica di novità, di rottura con il passato, e non di continuità e di rispetto alla Tradizione, pur nel giusto suo "aggiornamento". Infine segnalo che, come in precedenza, ... (appaiono) interpretazioni assai dure e di parte circa il ruolo di Mons. Felici (Segretario del Concilio), per non parlare di altri, ...senza tener conto della "mens" papale, la stessa che si rivelerà ancor più durante (quel)la (che tuttora, purtroppo, è chiamata) "settimana nera" (del novembre 1964)» (« LOss. Rom.» del 31 Gennaio-1° Febbraio 2000, p. 10.)

Tale espressione in effetti, pur erronea e giornalistica, continua ad essere usata, anche se per lo più tra virgolette, sebbene ormai è riconosciuto ... che durante quel settimanale svolgersi conciliare il Sommo Pontefice prese giuste decisioni, altamente positive nell'economia sinodale. Così egli fece a partire dai suoi giudizi, quali appaiono nelle «Adnotationes (manu scriptae Summi Pontificis Pauli VI)» già del 24/ IX/64, e cioè: «Lo schema "De libertate religiosa" non pare sia ben preparato», e del successsivo 29/IX: «Per lo schema "De libertate religiosa (1)-occorre rifarlo (2)-associando alla Commissione qualche altra persona competente, specialmente in Teologia e Sociolo
gia» («Acta Synodalia», VI/3, p. 418.) . È un esempio!

I volumi editi sotto la direzione del Prof. Alberigo, sono stati preparati anche da appositi convegni-colloqui realizzati in vari luoghi, sfociati poi in pubblicazioni specifiche, che pure hanno il loro significato, perchè riaffermano le tendenze sopra delineate. Mi limito qui a citarle, con riferimento, in nota, alle mie recensioni critiche: - «Verso il Concilio Vaticano II. Passaggi e problemi della preparazione conciliare», Marietti, Genova 1993
(V «Apollinaris» LXVIII (1995) p. 848-854); - «A la veille du Concile Vatican II. Vota et réactions en Europe et dans le catholicisme orientale» (ed. da M. Lamberigts e Cl. Soetens), Bibliotheek van de Faculteit der Godgeleerdheid, Leuven, 1992. Ivi Alberigo (p. 12-23) fornisce i suoi personali «criteri ermeneutici per una storia del Concilio Vaticano II» da me fortemente criticati (V «Apollinaris» LXIX (1996) p. 444-453); - AA. VV, «Cristianismo e iglesias de America Latina en visperas del Vaticano II», J.O Beozzo (editor), CEHILA-Editorial D. E.I., San José (Costarica) 1992 (V. « Apollinaris» LXX (1997) p. 881-883. 17 V. ib., p. 883-888); - AA.VV "Il Vaticano II fra attese e celebrazione» (a cura di Giuseppe Alberigo), Il Mulino, Imola 1995 ( V. ib.p. 883-888) e, infine, - AA.VV., «Vatican II in Moscow (1959-1965)» («Il concilio Vaticano II: la visione dalla Russia», «Atti» del Colloquio realizzato a Mosca, su tale tema, dal 30 Marzo al 2 Aprile del 1995), A. Melloni ed., Leuven 1997 («L'Oss. Rom.» del 22 Agosto 1998, p. 6).

INVESTIGAZIONI COMPLESSIVE SUL CONCILIO

Contemporaneamente, cioè intorno al 1995, rileviamo che ricomincia l'ardita impresa di tale tipo di investigazione, sia pur con sintesi «narrative», quasi, provvisorie e fatte un pò in fretta, dell'evento conciliare «as a whole», come dicono gli Inglesi. I rischi non vi mancano altresì perché gli AA. rimangono ancora molto legati alla loro visione di parte e difficile risulta la ricerca veramente scientifica, che richiede una certa sedimentazione nel tempo (cioè una qualche «distanza» dall'avvenimento), un lavoro lungo e paziente di assimilazione e di controllo delle «cronache» conciliari e dei contemporanei servizi giornalistici (che tuttora esercitano un grande e nefasto influsso), alla luce degli «Acta Synodalia», completati soltanto quest'anno. Citare questi ultimi, in genere, non è difficile, sviscerarli e trarne le dovute conseguenze critiche e comparative è un'altra cosa. Cominciamo l'analisi, su questo punto, con la II sezione della I Parte dell'opera «La Chiesa del Vaticano II (1958-1978)», a cura di M. Guasco, E Guerriero e E Traniello, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994. La sua II Parte, la migliore, tratta invece fondamentalmente del post-concilio e fu edita, lo stesso anno, pur dalla medesima Casa editrice e nello stesso luogo(V. « Apollinaris» LXVIII (1995) p. 425-433).

I due anzidetti tomi formano il volume XXV/1 e 2 della «Storia della Chiesa» iniziata da Fliche-Martin, tradotta in italiano e felicemente completata in tale lingua, fino a giungere quasi all'oggidì, per la sollecitudine «fanno testo», altrimenti ciascuno li riceverà, come spesso si fa, alla sua maniera, a pretesto per il proprio cammino personale o per la propria preferenza teologica o di «scuola».
Il Concilio fu invece - ripetiamo - esperienza di comunione, dove antico e nuovo, alla fine, si baciarono e fecondarono. Vi si incontra l'eterna e sempre nuova peculiarità della Chiesa cattolica che dal suo «deposito» sa trarre «nova et vetera». Qui vediamo pure noi con sguardo teologico oltre che storico e l'esegesi conciliare anche di ciò deve tener conto, se non vuol essere partigiana o ideologica. Ci fermiamo qui, pure se consideriamo importante quanto osservammo a suo tempo sulla «Lumen gentium», l'attuazione delle disposizioni conciliare e le prime reazioni come son viste dall'Aubert.
Il citato storico affronta il medesimo argomento in un'opera a tre mani (R. Aubert-G. Fedalto-D. Quaglioni) dal titolo «Storia dei Concili», Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1995.
Nella nostra presentazione
(«Apollinaris» LXIX (1996) p. 453-460.) attestavamo che, rispetto al precedente lavoro, la ricerca era migliorata: «è meno giornalistica, più stringata ancora e decantata, in fondo anche più obiettiva, pur notando che qualche cliché è difficile da vincere anche per AA. ben provveduti». Può bastare.

Pure l'Alberigo si cimentò in un'impresa di sintesi, in quest'ultimo decennio, con l'edizione di una «Storia dei Concili ecumenici» (AA.VV.), Brescia 1990, a più mani, riservandosi la trattazione di quelli Vaticani. Al II sono dedicate una cinquantina di pagine. Ne facemmo una Nota (
«Apollinaris» LXV (1992) p. 665-689.) e non vi è niente da aggiungere a quanto sopra abbiamo osservato.
Non posso mancare inoltre qui di ricordare « Vatikanum II und Modernisierung. Historische, theologische und soziologische Perspektiven» (hrsg. F.-X. Kauffmann, Arnold Zingerle) F. Schoening, Paderborn 1996 (
V. «L'Oss. Rom.» dei 10 Giugno 1998). Non sono sociologo e quindi non approfondisco il giudizio critico in tale materia, ma molte cose anche in questo caso si dovrebbero dire, almeno quando si sconfina in interpretazioni unidimensionali e per noi arbitrarie sul Concilio stesso. È il caso del prof. Klinger e, meno, del Pottmeyer, in altro contesto però.

A questo proposito (della sociologia) rifiutiamo che essa sia «signora» della teologia e prendiamo così assai le distanze dal cosiddetto suo «giro» sociologico. Ci pare giusto e cosa assodata. D'altra parte «montanismo» o «neomontanismo» (da cui può derivare - ivi si dice - un «ghetto») sono concetti storico-teologici, su cui cioè lo storico e il teologo devono pure dire qualcosa, come nel caso di «ierocrazia», per es. Con ciò non vogliamo sottovalutare un «progetto interdisciplinare», come lo fu l'opera in parola, pur riconoscendone i rischi soggiacenti.

Infine non dimentichiamo, per terminare il ventaglio delle posizioni, che da oltre 25 anni si pubblica a Roma un modestissimo quindicinale dal titolo «Sì sì no no», chiaramente «tradizionalista». Per farsene un'idea basta prendere in mano il numero del 15 Marzo 2000, l'ultimo in nostro possesso. Esso si apre con «Concilio o conciliabolo? (Riflessioni sulla possibile invalidità del Vaticano II) Il prologo della rivoluzione: A. La costituzione sulla liturgia».

PER UNA CORRETTA INTERPRETAZIONE

Di fronte a un così vasto ventaglio ermeneutico, pur fondamentalmente unidimensionale, nella linea interpretativa che va per la maggiore, ci si potrebbe sentire forse piuttosto soli, anche se un pò consolati da quanto accadde anche per il Concilio di Trento, e pensiamo all'esegesi del Sarpi, poi superata, finalmente. Siamo comunque convinti che la storia, i documenti, i futuri giudizi «ex actis et probatis», faranno giustizia ermeneutica, con il tempo. Ci vuole pazienza, intanto, ma anche lavoro, impegno, mezzi. La nuova fase tuttavia è spuntata - ci pare - in questo ultimo decennio, e ricordiamo qui, d'inizio, il volume del noto Prof. L. Scheffczyk dal titolo «La Chiesa. Aspetti della crisi postconciliare e corretta interpretazione del Vaticano II, Jaca Book, Como 1998, in cui si auspica un ricupero del senso «cattolico» della realtà della Chiesa, dopo la crisi postconciliare a tale riguardo. Rimando alla mia presentazione dell'opera (V. "L'Oss. Rom." del 22 Gennaio 1999, p.4), per non dilungarmi troppo, non senza attestare che l'A. ha messo il dito sulla piaga della odierna ermeneutica, con queste precise parole: «Ogni interprete od ogni gruppo coglie solo ciò che corrisponde ai suoi preconcetti», anche a quelli della «maggioranza» (conciliare).

A ciò sfugge comunque proprio colui che è stato custode ed editore degli «Acta», raccolti nell'Archivio del Concilio Vaticano II, voluto con straordinaria preveggenza provvidente da Paolo VI. Mi riferisco a Mons. V. Carbone. Non segnalerò qui i suoi vari studi di chiarimento, in temi chiave di ermeneutica conciliare, ma solamente un volumetto minuto, all'apparenza, eppure eccezionalmente importante. Esso è luce, infatti, per una ricerca che tenda ad essere obiettiva e priva di preconcetti, oltre ogni visione ideologica. La penna, chiarificatrice ed autorevole, risulta quindi equanime in «Il Concilio Vaticano II, preparazione della Chiesa al Terzo Millennio», Città del Vaticano 1998. L'opera raccoglie gli articoli pubblicati dall'A. circa il magno Sinodo su «L'Oss. Rom.», sul quale noi la recensimmo in data 20 Gennaio 1999, p. 4.

Ancora in una linea positiva, sempre nel campo delle investigazioni conciliari complessive, è l'opera di A. Zambarbieri «I Concili del Vaticano», Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1995. Si tratta, anzi, per noi (
V. «Apollinaris» LXVIII (1995) p. 433-438.) della migliore sintesi fino ad ora pubblicata, in lingua italiana, sul magno Sinodo, (p. 119-351, in combinata non casuale con il Vaticano I: p. 31-118) anche per il «senso storico» che la pervade. Vi è comunque, a volte, una certa «indulgenza» per posizioni create dal vortice ideologico del «gruppo di Bologna», mentre la lacuna più grave si rivela proprio nella presentazione della «N.E.P.». È però - lo ripetiamo con soddisfazione - buona ricerca, con rapide carrellate e presentazione dei vari documenti, frutto anche di approfondita conoscenza della bibliografia. Il discorso è piano e i giudizi calibrati, quasi sempre, lontano dallo stile giornalistico, con affidamento alla guida sicura del Caprile, in fatti di cronaca, e puntuali riferimenti, in concreto, agli «Acta» curati da Mons. Carbone.

Mi parrebbe infine ingiusto non citare qui, in contesto positivo, pur al limite del nostro decennio di attenzione ermeneutica, i volumi «Paolo VI e il Rapporto Chiesa-Mondo al Concilio», Brescia 1991, e «Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio», Brescia 1989, entrambi pubblicazioni dell'Istituto Paolo VI di quella città. Esse concludevano la «trilogia» di Colloqui internazionali di studio appunto sugli interventi di Paolo VI in Concilio, di grande importanza anche per noi.

Più in là però non possiamo andare perché entreremmo, con la bibliografia su Papa Montini, in un campo molto vasto, anche se esso concerne altresì il suo impegno conciliare e di esegesi post-conciliare. Del resto non ci è nemmeno permesso, di affrontare il settore ermeneutico limitato a questi ultimi dieci anni per quanto riguarda il Primato Pontificio e la relazione Primato-Collegialità, binomio eminentemente sinodale che ha dato adito a varie interpretazioni e differenti sottolineature.
Faccio peraltro due eccezioni, per ricordare anzitutto la pubblicazione degli «Atti» dell'importante Simposio Teologico svoltosi in Vaticano nel Dicembre 1996 sul «Primato del Successore di Pietro» (Città del Vaticano 1998), che presentammo su «L'Oss. Rom.» del 27 Novembre 1998. La seconda eccezione concerne invece uno studio completo di R. Tillard su «L'Eglise locale. Ecclesiologie de communion et catholicité», du Cerf, Paris 1995, pure opportunamente recensito (
V. «Nota» in «Apollinaris» LXX (1997) p. 625-632.). Cito tale opera perché essa indica dove si possa giungere, in direzione della «località», pur prendendo l'avvio dal Vaticano II, nel pendolo dell'orologio teologico, forse a bilanciare l'eccesso precedente, di «universalità» quasi disincarnata. Ma sempre di eccessi si tratta.

Non voglio terminare il mio dire senza informare il lettore di due recenti avvenimenti positivi, che fanno bene sperare in un cambiamento di tono, in generale, nella ermeneutica conciliare futura. Concludo in tal modo non perché voglia rispettare a tutti i costi il detto «dulcis in fundo», ma poiché ve n'è in verità ragione.
È nato, cioè, or non è molto, un nuovo, sia pur ancora fragile, «Centro e Ricerche sul Concilio Vaticano II», presso la Pontificia Università Lateranense. Esso ha già pubblicato il suo primo promettente Bollettino semestrale (Anno 1, Numero 0, del Gennaio 2000) ed organizzato, nello stesso mese, un interessante Convegno internazionale di studio su «L'Università del Laterano e la preparazione del Concilio Vaticano II
(V. "L'Oss. Rom." del 29 Gennaio 2000).

Ma ancor più «dolce» è stato per noi il Convegno internazionale sull'«Attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II», svoltosi in Vaticano a fine febbraio del 2000 e indetto per il Grande Giubileo del 2000. Vi abbiamo trovato finalmente attenzione a tante nostre preoccupazioni ermeneutiche. In attesa degli «Atti» basterà leggere il discorso pontificio pubblicato da « L'Oss. Rom.» del 28-29 Febbraio, p. 6-7. Ne citerò soltanto un passo, il seguente: «La Chiesa da sempre conosce le regole per una retta ermeneuticà dei contenuti del dogma. Sono regole che si pongono all'interno del tessuto di fede e non al di fuori di esso. Leggere il Concilio supponendo che esso comporti una rottura col passato, mentre in realtà esso si pone nella linea della fede di sempre, è decisamente fuorviante».

AGOSTINO MARCHETTO

da Archivum Historiae Ponteficiae N.38, anno 2000 - Pontificia Universitas Gregoriana - Facultas Historia Ecclesiasticae - Romae

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NOTE
Sua Ecc. l'Arciv. Agostino Marchetto, è anche l'autore dell'opera:
"Chiesa e Papato nella storia e nel diritto
- 25 anni di studi critici"
Libreria Editrice Vaticana - Marzo 2000

Sua Eccellenza Mons. Agostino Marchetto, oltre che essere uno storico ufficiale della Santa Sede, ha alle spalle 30 anni di intensa carriera diplomatica, con spostamenti da una parte all'altra del mondo con incarichi in nunziature in Zambia e Malawi, nei primi Anni Settanta a Cuba, "posto caldo" dove è rimasto fino al 1975, poi ancora Africa in zone musulmane come Algeri, con speciali incarichi in Marocco, Tunisia, Libia, poi in Mozambico, pro-nunzio in Madagascar e isole Mauritius. Nel 1990 nunzio apostolico in Tanzania, infine con lo stesso incarico in un altro punto nevralgico della fede: a Minsk in Bielorussia. Rientrato a Roma, per circa tre anni Osservatore Permanente per la Santa Sede presso il Comitato FAO sulla Sicurezza Mondiale Alimentare, da due anni è l'attuale segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Il 14 maggio 2004, ha presentato in una conferenza stampa la Pastorale "ISTRUZIONE" DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I MIGRANTI DAL TITOLO “ERGA MIGRANTES CARITAS CHRISTI":


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