Prof. Giovanni Pellegrino
Prof.ssa Mariangela Mangieri

In questo articolo prenderemo in considerazione un evento di particolare importanza nel mondo antico, ovvero l’ingresso della filosofia nel mondo romano.

Dobbiamo dire che la filosofia penetrando a Roma più che dar luogo a modelli teorici radicalmente nuovi, smise di essere monopolio nelle scuole filosofiche. Pertanto per i filosofi greci si aprirono nuovi spazi nelle case dei potenti nobili romani come consiglieri o anche come segno di prestigio.
Inoltre anche i rappresentanti dei ceti più elevati di Roma si dedicarono alla filosofia in determinati momenti della loro vita (vedasi Cicerone e Seneca).

Certamente Cicerone preferiva la politica alla filosofia cosicchè si dedicava alla attività filosofica soprattutto quando le situazioni politiche contingenti lo costringevano a rinunciare alla politica. Ma anche in tali momenti egli era molto polemico nei confronti di una filosofia solo ostentata e non tradotta in “bios” e tra i rimproveri che egli rivolgeva agli epicurei c’era anche quello dell’incoerenza tra la teoria e la prassi.
Il problema della coerenza tra la teoria e la prassi era considerato di grandissima importanza anche da Seneca.

Secondo un antico modello stoico la vita del filosofo era letta come una metafora bellica, come una guerra dove il filosofo appariva il migliore gladiatore sempre in lotta per impedire alla virtù di essere sconfitta. Per Seneca il filosofo doveva dimostrare di essere degno di esercitare la virtù in ogni occasione, soprattutto nelle situazioni più difficili della vita. Secondo Seneca la filosofia delle scuole dimostrava una tendenza crescente a divenire una specie di rappresentazione teatrale in cerca di applausi dove si andava solamente per ascoltare e per apprendere le tecniche della discussione.
Ma nella migliore delle ipotesi tale tipo di insegnamento trasformava la filosofia in pura e semplice filologia e rendeva dotti ma non buoni ed inoltre non modificava lo stile di vita. Invece per Seneca il discepolo di un filosofo doveva tornare a casa ogni giorno più capace di condurre una vita virtuosa.

Dal momento che ciò avveniva sempre più raramente per il filosofo romano ciò significava che la filosofia aveva perso oramai il suo prestigio prostituendosi. Trasformatasi in un esercizio puramente intellettuale essa infatti era scaduta a rango di una professione retribuita cosicché non era più in grado di insegnare a vivere.

Nell’epistola 88 Seneca prendeva atto con raccapriccio di questa tendenza della filosofia del suo tempo. Nell’epistola 90 Seneca rifiutava a chiare lettere di istituire la benché minima connessione tra filosofia e sapere tecnico entrando in aperta polemica con Posidonio che aveva indicato negli antichissimi filosofi gli inventori delle tecniche.
Per Seneca la filosofia era arte della vita nella sua globalità e non poteva scadere in un’attività tecnica retribuita, pertanto il buon filosofo non era una figura che poteva stare accanto alle altre.
In altre parole Seneca intendeva ribadire il primato assoluto della filosofia e della vita filosofica. Su questo presupposto si era formata l’immagine popolare del filosofo che si differenziava dagli altri uomini non tanto perché possedeva conoscenze non alla portata dei più ma perché conduceva una vita diversa dagli altri uomini, inoltre il vero filosofo cercava la felicità non nelle cose materiali ma all’interno della propria anima, considerando poco opportuno far dipendere la propria felicità dal possesso dei beni materiali.

Pertanto il vero filosofo preferiva richiudersi in se stesso. Anche in Epitteto che pure avrebbe insegnato la filosofia era centrale il rapporto tra la scuola e la vita filosofica al di fuori dei limiti angusti della scuola. Egli riconosceva l’importanza dell’addestramento dialettico e della conoscenza delle teorie della logica ma ammetteva che la scuola filosofica doveva essere qualcosa di più. Se ciò non avveniva la filosofia ne usciva fuori irrimediabilnente screditata.

Epitteto quindi non rinunciava alla scuola filosofica ma per tenere ferma la saldatura tra teoria e prassi aveva trasformato la scuola in un luogo di terapia. Egli riprendeva un’antica dottrina dei gruppi socratici che considerava la filosofia come la diagnosi e la terapia delle malattie dell’anima. Se la filosofia non svolgeva tale compito doveva essere considerata inutile.

Ma la saldatura tra teoria e prassi avveniva per Epitteto anche in un altro modo, ossia nella conquista di uno spazio estraneo al dominio degli altri uomini e delle cose. Per garantirsi tale spazio il filosofo doveva necessariamente assumere uno stile di vita molto diverso da quello degli altri uomini, diventando protagonista di un modo di intendere la vita del tutto eccezionale. Non dimentichiamo che Epitteto era stato allievo di Musonio Rufo che considerava la filosofia maestra di vita. Quindi la filosofia non doveva essere considerata come la soluzione solamente a questioni di tipo teorico ma doveva essere in grado di dare una risposta ai numerosi problemi esistenziali e morali che la vita poneva agli uomini.
Musonio Rufo può essere considerato un filosofo degno di ammirazione in quanto metteva egli stesso in pratica i principi etici che insegnava ai suoi allievi. Egli forniva in tal modo un esempio di coerenza e di vita virtuosa che le testimonianze che possediamo ci dicono fosse estremamente degno di nota e significativo.
In sintesi per Musonio Rufo la filosofia non doveva essere una cosa esclusiva di quanti si dedicavano agli studi dal momento che coincideva con la vita improntata al rispetto delle regole morali.

Tornando ad Epitteto egli dava grande importanza alla distinzione tra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Egli considerava interamente dipendente da noi la rappresentazione che ci facciamo delle cose e non il possesso delle cose. Per Epitteto il nostro comportamento dipende dalla rappresentazione che ci facciamo delle cose cosicché la filosofia doveva insegnare agli uomini a costruirsi delle rappresentazioni delle cose corrette al fine di ottenere la tranquilllità dell’anima. Molto suggestiva era la concezione della vita del filosofo romano: l’esistenza umana era per lui come un viaggio per mare che noi compiamo verso una destinazione nota solo a Dio, il pilota della nave.
Come Epitteto anche l’imperatore Marco Aurelio aderì allo stoicismo: egli provava fastidio nei contatti con gli altri uomini nei confronti del corpo umano. Molto famosa è la frase di Marco Aurelio: ”Beneficare gli uomini; sopportare la loro compagnia e farsi in disparte il più possibile”.
Inoltre Marco Aurelio in una lettera giovanile a Frontone scrisse: ”Risulta duro per un uomo sopportare se stesso”. Marco Aurelio insisteva spesso sulla piccolezza e sul fluire incessante delle cose umane al fine di ridurne l’importanza. La meditazione di Marco Aurelio appare spesso pervasa da un profondo pessimismo e da un senso di impotenza tanto che egli considerava la morte una liberazione da un mondo troppo lontano dagli ideali e dai valori che l’imperatore romano amava.

< < < Marco Aurelio, a Roma
nella piazza del Campidoglio.
(Lui domina. Un motivo ci sarà)

Soprattutto l’antropologia di Marco Aurelio
è dominata dal pessimismo più assoluto.
Gli uomini erano per lui quasi tutti meschini e malvagi
ed inoltre troppo spesso rispondevano al bene
con la più assoluta ingratitudine.
Infine fortissimo era in Marco Aurelio il senso del dovere:
la vita era per lui come lo svolgimento di una missione
che ci era stata assegnata dagli dei
e che bisognava compiere anche se il ruolo
che ci era stato assegnato non dipendeva da noi.

 

Detto ciò possiamo ritenere concluso il nostro discorso sull’ingresso della filosofia nel mondo romano.

Prof. Giovanni Pellegrino
Prof.ssa Mariangela Mangieri

 

N.d.R. (Storiologia)

MARCO AURELIO ANTONINO AUGUSTO (poi solo Marc'Aurelio). Era nato il 26 aprile del 121; perduto in tenera età il padre, era stato - su indicazione dell'imperatore Adriano - educato dal nonno paterno Marco Annio Vero, poi assunto all'impero Antonino. Il piccolo era vissuto sempre con lui, e nel 146, 25 enne ne aveva sposata la figlia Annia Galvia Faustina (14enne - che gli diede 14 figli e fra questi COMMODO). Poi nel 147 Marco Annio aveva ricevuto la potestà tribunizia e l'impero pro consolare.
Alla morte di Antonino (per una indigestione, poi aggravatasi) prima di spirare, il 7 marzo 161, fu proprio lui a indicare come successore (ma lo aveva già indicato quando aveva 17 anni) Marco Aurelio che fu proclamato imperatore a 40 anni; e prendendo il nome del padre adottivo, si chiamò MARCO AURELIO ANTONINO. (anche se ci fu - come imperatore - una contesa con Lucio Vero. Ma Marco non si adirò affatto, anzi chiese al Senato di essere associato su un piano di parità (diarchia). La contesa traeva origine da una feroce critica di un certo Marullus. Ma Marco lasciò correre, lui insediandosi aveva concessero piena libertà di parola. E vi tenne fede anche se le feroci critiche erano state rivolte proprio a lui. Forse altri avrebbero mandato quel Marullus al patibolo. Ma lui era Marco Aurelio. Che molti già chiamavano "il filosofo".

Il suo insegnante Frontone chiamato a Roma per degli incarichi, era molto soddifatto di lui e ricordandogli quando era il suo allievo gli scrisse solo due righe ricordandogli "C'era allora una straordinaria capacità naturale in te, perfezionata ora in eccellenza, il grano che cresceva è ora un raccolto maturo". Ma non dimenticò Frontone ricordando al suo allievo "l'antitesi tra il tuo ruolo e le tue aspirazioni filosofiche". Stridevano !!

E come vedremo nei successivi 20 anni, dalla filosofia Marco non solo l'aveva assorbita nelle sue letture, ma era lui stesso diventato un filosofo. Ma poi dovette dibattersi nella sua anima di filosofo, quando dovette nelle tante guerre, diventare un "Guerriero", dove una sua frase ci colpisce e ci dice anche tutto su di lui: scrisse in una sanguinosa giornata di guerra da lui condotta, dove vi era stata una carneficina:
"Quale anima ora ospito? Quella di una belva?"

Tuttavia Marco Aurelio a Roma si era dato molto da fare anche nell'amministrazione capitolina. Lui fu il primo a creare un Anagrafe dotati di pubblici archivi. Entro un mese dalla nascita ogni cittadino aveva l'obbligo di denunciare all'ufficio anagrafe la nascita e il nome dei figli e ne riceveva dei certificati che servivano per altri generi di registrazioni, come il matrimonio, vari contratti e anche la morte. (In seguito tutto questo se ne impossessarono i preti e non più lo Stato).

Ma una delle maggiori cure di Marco Aurelio fu l'amministrazione della giustizia. Tornò a dividere l'Italia in giudicati, mise a capo del pretorio uomini di legge e, sviluppando un provvedimento di Adriano, diede attribuzioni giudiziarie ai prefetti delle coorti. Animato da un altissimo senso di umanità, dichiarò irresponsabili i dementi e perciò non passibili di pena in caso di delitto; stabilì che l'infamia delle colpe paterne non ricadesse sul capo dei figli, innocenti; fece fare un gran passo verso la libertà agli schiavi; decretò arbitraria e punibile l'appropriazione dei beni del debitore da parte del creditore, sentenziando: "se sarà provato che qualcuno, senza sentenza del magistrato, si sia impadronito arbitrariamente di averi non volontariamente ceduti dal debitore, arrogandosi da sé un tale diritto, perderà il suo eredito".
Con il sentimento di umanità da cui era animato suggerì dei provvedimenti per mitigare le barbare costumanze degli spettacoli. Voleva proibire ai gladiatori di combattere con le armi affilate, gli faceva orrore il sangue. Ma non si prese le simpatie della plebe che invece a questa piaceva il sangue! e i maligni
sparsero la voce che Marco Aurelio avesse in animo di sopprimere gli spettacoli e volesse fare dei Romani un popolo di filosofi.

Quando le guerra tornarono a divampare sulle frontiere l'imperatore dovette condurvi gli eserciti. Lui filosofo aborriva la guerra - ma fu costretto più di una volta a recarsi sui teatri delle guerre a combattere. Per quasi 10 anni.
Venne poi la guerra in Marcomannia, sul Danubio, dove guidò 179 legioni romane; Marco era intenzionato a passare il confine, invadere l'intero territorio, ridurlo all'obbedienza per poi creare due province romane. Vinsero tutte le battaglie, Marco stava quasi realizzando il sogno delle 2 province, ma gli fu fatale, non per le armi ma la peste che lo colse a Vindobona (Vienna) dove morì 60enne, il 17 marzo del 180. (altri dicono Carnuntum, poco distante, dove vi era in effetti il suo quartier generale).

LASCIO' ALLA GUIDA DELL'IMPERO lo "stravagante" figlio (qualcuno disse "Il Male") LUCIO AURELIO COMMODO.
*** MA COMMODO ERA PROPRIO "IL MALE"?  *** O FU IL PRIMO EUROPEISTA? >>>>>>

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Il più bel testo su Marco Aurelio in circolazione è sicuramente quello di ANTHONY BIRLEY. (400 pagine - Edizone CDE, (Rusconi) 1966).

E' considerato Birley uno dei massimi studiosi dell'età degli Antonini. Di Marco Aurelio, lui mette in rilievo gli aspetti meno noti, e le sue contraddizioni in un vorticoso e affascinante enigma storico. Ma mette in rilievo anche quelli politicamente molto rilevanti, dell' ultimo "Imperatore Buono". Documentatissimo Birley mette in risalto il legislatore impegnato nel ripristino dell'amministrazione statale, nel consolidamento del Senato, nella riforma della finanza pubblica. E Birley non trascura neppure il controluce privato di un Marco Aurelio che amabilmente scambia da anni epistole con il suo caro maestro Frontone, dove ci sono squarci vividi e rivelatori sulla vita familiare e le sue preoccupazioni sulla corte.
Nei sui "Ricordi" (che sono la bellezza di 12 volumi) troviamo anche quel Marco quasi evangelico, che non sembra la stessa persona che permette la recrudescenza delle persecuzioni contro i cristiani. E' lo stoico che medita sulla caducità delle cose e della vita, ed è poi la stessa persona che combatte da sanguinario alla testa dei suoi legionari in difesa del suo impero (questi sì "caduco" che stava già scricchiolante sotto i colpi dei barbari).
Con la sua rigorosa indagine storica Birley mette anche in luce il profilo umano e sociale dell'Imperatore sullo sfondo di una Roma epicurea e inquieta, dove la plebe ha più fame di circenses che di pane, e dove l'aristocrazia sta scivolando rapidamente verso una decadenza che è il preludio della prossima rovina dell'Impero, Gli autori i "barbari" "stranieri"!!.
(Che abbiamo un po' riepilogato in queste pagine >>>>perchè ci sembrano abbastanza attuali >>>>>>>


Birley ci porta anche - nel suo libro al Cap. X - all'interno dei 12 libri di Marco Aurelio (chiamati i "Ricordi") dove il suo tono é quello di "parlarsi da solo", dove "scrive é se stesso".

Qui sotto riportiamo alcuni di quei pensieri in libertà. Dove nei campi di battaglia, nei momenti della sua solitudine, pur nella sua grandezza come imperatore, egli ci dà la misura della propria incoerenza. Perfino lacerato fra la crudele ragion di Stato e la propria morale.
Ecco cosa scriveva ....


* "Quale uso faccio dell'anima mia? Io debbo domandare di continuo, esaminando me stesso: che cosa avviene ora in quella parte di me che chiamano organo direttivo? Quale anima ora ospito? Forse quella di un bimbo, di un giovanetto, di una femmina, di un despota, di una bestia da soma, di una belva?". (Libro V-11)

* Dopo una vincente sanguinosa battaglia : "Quale anima ora ospito? Quella di una belva?"

* "Sono l'ultimo degli stoici. Un uomo con due anime che il "logos", la suprema volontà dalla quale é governato il procedere dell'universo stoico, ha rinchiuso nel corpo di un imperatore dell'antica Roma condannandolo a una vita dissociata nella quale si scontrano precetti di altissimo valore umano e intellettuale e quella ragion di Stato che impone crudeltà, doppiezza, indifferenza per il diritto delle genti. Una vita permeata di dramma, di profonda malinconia, di inquietudini, di saggezza, di nobiltà, di apparentemente serene riflessioni sulla morte, l'ossessiva ricorrenza delle quali fa pensare al tentativo di esorcizzare un lancinante terrore, una profonda insicurezza esistenziale". (Libro VI-16)

* "Per un aspetto gli uomini sono il nostro dovere più prossimo, in quanto sIamo costretti a sopportarli e a far loro del bene. Ma quando interferiscono con le mie proprie azioni, l'uomo diventa per me una cosa indifferente, al pari del sole, del vento o di un animale del campo".

* "Gli uomini sono nati gli uni per gli altri. Ammaestrali, dunque. O sopportali". ( Libro VIII-59).

* "Semplice e modesta è l'opera della filosofia. I grandi politici, condottieri, che giocarono alla filosofia? Tutti imbecilli! Agirono come attori tragici. Nulla mi ha spinto ad imitarli"

* "Se l'intelligenza é comune agli uomini, pure la ragione, che ci rende ragionevoli, è a tutti comune. Se questo risponde a verità é comune anche la ragione che ordina ciò che si deve e non si deve fare. Esiste perciò una legge comune, perciò siamo tutti cittadini e perciò partecipiamo tutti a una specie di governo, quindi il mondo é simile a una città... ". (Libro IV-4)


* "Gli uomini? Io sono nato per governarli, come il toro la mandria, l'ariete il gregge. E' la natura che regge l'universo e, se questo é vero, gli esseri inferiori sono nati per i superiori e viceversa." 
(paragrafo 18 del libro XI di Ricordi)

* "Per un aspetto gli uomini sono il nostro dovere più prossimo, in quanto sIamo costretti a sopportarli e a far loro del bene. Ma quando interferiscono con le mie proprie azioni, l'uomo diventa per me una cosa indifferente, al pari del sole, del vento o di un animale del campo".

* "Ma cosa allora ha valore? Suscitare gli applausi? Certamente no. Né tanto meno suscitare le lodi della folla, che altro non sono che applausi della lingua?" (Libro VI-16). 

Altri pensieri.....

- Fai tutto nella vita come se fosse l'ultima cosa che fai.
- La nostra vita è ciò che i nostri pensieri creano.
- Fai tutto nella tua vita come se fosse l'ultima cosa che fai
- La Povertà è la madre del crimine.
- Quando ti svegli al mattino, pensa al privilegio di vivere: respira, pensa, goditi, ama.
- Ci vuole pochissimo per avere una vita felice; È tutto dentro di te, il tuo modo di pensare.
- Scavati dentro, lì c'è la fonte del bene, e germoglierà di nuovo se continui a scavare.
- L'anima ha sempre il colore dei tuoi pensieri.
- Si deve diventare vecchi con molto anticipo se si vuol essere vecchi per molto tempo.
- Se la tua casa-alveare non è buona, nemmeno per le api può essere buona.
- Hai un grosso potere nella tua mente, devi esserne consapevole e troverai la forza.
- Un uomo non dovrebbe aver paura della morte, dovrebbe aver paura di non iniziare a vivere.
- Non perder tempo a discutere come dovrebbe gli altri essere un bravo uomo. Sii tu un bravo uomo
- L'unica ricchezza che conserverai per sempre è la ricchezza che hai dato
- Per vedere cosa dice o pensa il tuo vicino perdi solo del tempo: risparmiatelo
- Devi trovare solo nella tua anima il ritiro più tranquillo.
- I pregiudizi? falli riposare, da soli scompariranno.
- La nostra vita è ciò che i nostri pensieri creano.
- Quando ti svegli al mattino hai privilegio di vivere: quindi respira, pensa, goditi, ama.
- Ci vuole pochissimo per avere una vita felice; È tutto dentro di te, ma devi pensare.
- Se sei bello non hai bisogno di lodi, non migliori se li ricevi, non li peggiora se non lo sei
-Ti turbi per il dolore di una causa esterna? il dolore non è dovuto a una causa esterna ma al valore che gli dai.
- E tu hai il potere di revocare quel valore e quel dolore.
- Una persona che ristagna nell'ignoranza è colui che si fa male da solo..
- Quando qualcuno ti odia, o ti critica, vai e penetra nella sua anima. Forse capirai che non dovresti tormentarti.
- Non agire come se dovessi vivere per diecimila anni. La morte ti insegue. Ma finché vivi, sii buono.
- Se guardi al tuo passato, con i suoi alti e i bassi, nel presente sei in grado di supportare tutto ciò che accade, ma anche in grado di prevedere il futuro.

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