FILOSOFIA

LA FILOSOFIA COME RICERCA DELLA FELICITA'
"nel mondo classico"

Prof. Giovanni Pellegrino
Prof.ssa Mariangela Mangieri

Nell’antica Grecia la filosofia non era solo un insieme di dottrine ma era anche uno stile di vita molto diverso dagli altri “bios”.

Nel momento in cui la fiosofia mirava ad affermarsi come stile di vita alternativa nei confronti di altri bios doveva necessariamente rendere la propria immagine nel mondo greco attraente e competitiva dal momento che esser filosofi significava vivere in maniera diversa dagli altri individui.

Nell’antica Grecia si parlava spesso della filosofia come l’unico stile di vita in grado di far raggiungere la vera felicità. Infatti se la filosofia intendeva affermare il prioprio primato rispetto agli stili di vita non basati su di essa doveva necessariamente presentarsi come l’unica via per giungere alla vera felicità.

Nel mondo greco si erano affermati già nei gruppi socratici immagini diverse della figura del filosofo. Tali immagini erano in evidente contraddizione tra loro e scatenevano considerevoli polemiche tra i fiolosofi. In età ellenistica acquistò molta importanza la discussione su tale questione: il filosofo poteva essere felice? anche nei tormenti e nelle situazioni problematiche? In sintesi i problemi del piacere e della felicità furono al centro di una vasta letteratura mirante a dimostrare la superiorità della vita filosofica sugli altri stili di vita.
Tale atteggimaento era in parte dovuto al fatto che molti consideravano la filosofia una perdita di tempo o addirittura un modo di vita dannoso agli interessi della polis in quanto poteva indurre gli individui a non interessarsi della vita politica.

Vediamo ora quale concezione avevano i filosofi della felicità cominciando da PLATONE. Il filosofo ateniese enunciò una concezione della felicità che poneva in primo piano l’uso del sapere tanto che indicò nei “mathemata” la fonte dei piaceri maggiori in quanto non legati a forma di mancanza e di conseguenza di dolore.

Sulla stessa linea di Platone si muoveva anche ARISTOTELE, il quale nel “Protrettico” afferma che solamente i filosofi possono raggiungere la felicità. In aperta polemica con quelli che accusavano la filosofia di essere inutile nella vita pratica, Aristotele ravvisava una delle ragioni del primato della filosofia proprio nel fatto che non poteva essere finalizzata ad usi esterna ad essa.
Infatti per Aristotele il momeno culminante dell’attività filosofica coincideva con l’attività teoretica che aveva il proprio fine esclusivamente in se stessa senza essere sottoposta a vincoli esterni ad essa. La conclusione di Aristotele era molto radicale. Il filosofo aveva la possibilità di conquistare la vera felicità che consisteva nell’esercizio totalmente libero delle attività teoretiche. Pertanto tutti quelli che avevano le capacità intellettuali per divenire filosofi, dovevano darsi totalmente alla filosofia.

Dobbiamo mettere in evidenza che per Aristotele pochissimi individui avevano le capacità intellettuali per diventare filosofi. Pertanto il modello della vita filosofica non era alla portata di tutti cosicchè la maggior parte degli individui doveva porsi come obiettivo una vita basata sulla prudenza e sulla moderazione nelle varie situazioni sociali, non potendo porsi come obiettivo l’attività teoretica privilegio di pochi.
Gli individui non filosofi potevano conquistare forme imperfette di felicità che in ogni caso avevano la loro importanza (avere una famiglia, godere di buona salute, essere stimati dagli altri, avere una salda posizione economica, etc..). Aristotele in definitiva non rifiutava il concetto di felicità presente nell’opinione pubblica del suo tempo, tuttavia ribadiva che la felicità alla quale tendevano gli individui non filosofi era una forma imperfetta di felicità.

Infatti per Aristotele la felicità piena e perfetta poteva essere data solamente dalla filosofia. Inoltre il filosofo greco sottolineava che il grado di felicità raggiunto da un individuo andava valutato nel corso dell’intera esistenza e non in brevi periodi di essa. Un concetto sul quale Aristotele insisteva molto era che la filosofia poteva essere praticata solamente se i bisogni legati alla sopravvivenza erano stati soddisfatti. Di conseguenza appare chiaro che l’esercizio dell’attività filosofica per Aristotele presupponeva l’uscita da una situazione di scarsità che soltanto una comunità come la polis poteva assicurare, almeno ad un certo numero di cittadini.

Per fare un esempio che chiarisca meglio il pensiero del filosofo greco, indubbiamente darsi alla filosofia era molto meglio che darsi alle altre attività umane. Tuttavia nel caso che un individuo pur avendo le qualità per fare il filosofo, si trovava in una situazione di scarsità di risorse materiali doveva rinunciare alla filosofia e darsi alle altre attività. Infatti l’individuo in questione doveva in primo luogo procurarsi le risorse materiali necessarie per sopravvivere, anche se questo significava per lui fare il grandissimo sacrificio di rinunciare alla speculazione filosofica.

Anche EPICURO pensava che la filosofia fosse la via per giungere alla felicità. Una delle metafore preferite dal filosofo greco per indicare l’obiettivo della vita filosofica era il “galenismos”ovvero la quiete del mare fuori dalle tempeste (vogliamo precisare che la felicità alla quale tendeva Epicuro non consisteva nella dissolutezza, come molti credono). La felicità alla quale tendeva Epicuro era uno ststo di tranquillità, di quiete interiore che poteva essere dato solamente dalla filosofia.
Per dirla in altro modo la felicità per il filosofo consisteva nell’assenza di turbamenti, cosìcchè l’individuo che raggiungeva tale situazione psicologica non aveva bisogno di cercare altro. Tuttavia il raggiungimento di tale situzione di tranquillità interiore era impedito da una serie di credenze, come la credenza che gli dei punissero gli uomini per le loro cattive azioni. Tali credenze prive di fondamento a detta di Epicuro determinano ansie e paure che possono essere eliminate solamente dalla filosofia.

Per dirla in altro modo secondo Epicuro la filosofia doveva assumere una funzione liberatoria e condurre in un porto sicuro dove non esistevano turbamenti e dove era possibile per gli uomini raggiungere la felicità. Per raggiungere tale obiettivo era necessario per il filosofo greco studiare il mondo fisico (per Epicuro l’universo era costituito dagli atomi e dal vuoto).
Attraverso lo studio dei fenomeni naturali era possibile giungere alla conclusione che gli dei e la natura erano infifferenti agli uomini. Pertanto risultavano infondate tutte quelle paure che trovavano la loro origine nella credenza che gli dei potevano minacciare oppure punire gli uomini. Nel fare un esempio concreto per Epicuro la credenza nella “nemesis” divina generava paure prive di fondamento che impedivano agli esseri umani di raggiungere la felicità.

In sintesi Epicuro sosteneva che gli dei esistevano ma non si occupavano delle faccende degli uomini e quindi non potevano turbare la serenità degli individui. Se riflettiamo ci renderemo conto che con tale affermazione Epicuro non eliminava gli dei ma eliminava la religione, almeno nel senso in cui viene comunemente intesa. Infatti per Epicuro gli uomini non avevano più niente da attendersi dagli dei: ne’ la felicità ultraterrena ipotizzata nell’escatologia platonica, ne’ le punizioni per le cattive azioni commesse.

Per dimostrare la validità di tali teorie intorno agli dei Epicuro utilizza il ragionamento che ora esporremo in maniera molto sintetica. In primo luogo Epicuro partiva dal dato di fatto che il male esisteva nel mondo pertanto egli affermava che se si voleva sostenere che gli dei si interessavano delle faccede umane si potevano prendere in considerazion due ipotesi: o gli dei non volevano eliminare il male dal mondo e allora erano malvagi, oppure non erano in grado di fare ciò e in tal caso erano impotenti dinanzi al male.
Ma gli dei non potevano essere ne’ l’una ne’ l’altra cosa, ragion per cui Epicuro sosteneva che gli dei vivevano beati lontano dagli esseri umani, negli spazi lasciati tra un mondo e l’altro ( i così detti “intermundia”) e non si interessavano minimamente delle vicende degli uomini.

Vogliamo mettere in evidenza che con la dottrina degli “intermundia” Epicuro si poneva in netta antitesi con tutta la tradizione teologica del mondo greco. Secondo tale tradizione il divino o come potenza che coscientemente agiva sulle vicende degli uomimi o come legge immanente all’universo, imprimeva in ogni caso gli effetti della sua azione nella storia del genere umano.
Non deve sorprendere il fatto che i seguaci dell’epicureismo si comportavano come se gli dei non esistessero tanto che vennero spesso accusati di praticare una forma di ateismo pratico. In sintesi per i seguaci di Epicuro l’uomo era solo al mondo e in questa solitudine egli, pur essendo un essere finito, doveva costruire la propria felicità utilizzando le conoscenze provenienti dalla filosofia.

LUCREZIO, uno dei più importanti discepoli di Epicuro, ribadì con fermezza l’idea che solo la filosofia poteva liberare gli uomini dalle paure prive di fondamento. Egli sottolineò con grande chiarezza la stretta connessione esistente della filosofia di Epicuro tra rischiarare e rasserenare in quanto di pari passo andavano la liberazione dalle tenebre dell’ignoranza e della superstizione e la liberazione dalle paure infondate.
Per quanto riguarda l’atteggiamento assunto da Lucrezio nei confronti della religione, dobbiamo dire che esso è molto complesso e contraddittorio. Per fare un esempio Lucrezio da un lato afferma che la religione era una delle peggiori fonti di male e di violenza per gli esseri umani, dall’altro lato il “De Rerum Natura” si apre con lo splendido inno religioso alla dea Venere come rasserenatrice e pacificatrice della natura.

Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza il fatto che nell’opera di Lucrezio non è raro trovare dottrine non perfettamente compatibili tra loro, patto che conferisce un carattere asistematico al suo pensiero. San Girolamo spiega le molte contraddizioni presenti nel pensiero di Lucrezio col fatto che il filosofo romano scrisse la sua opera “per intervalla insaniae ( negli intervalli della pazzia). Secondo San Girolamo la pazzia di Lucrezio fu dovuta al fatto che una donna per vendetta gli somministrò un filtro d’amore.

Prof. Giovanni Pellegrino
Prof.ssa Mariangela Mangieri

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