LA FIGURA DEL FILOSOFO
NEL PENSIERO
DI
ARISTOTELE E DEGLI STOICI

 

Prof. Giovanni Pellegrino
Prof.ssa Mariangela Mangieri

In questo articolo prenderemo in considerazione l’immagine del filosofo presente nel pensiero di Aristotele e degli stoici.

Per quanto riguarda Aristotele dobbiamo dire che il filosofo si trovava in bilico tra la dimensione umana e quella divina. (Aristotele, Etica Nicomachea, VI,7)

In sintesi Aristotele pensava che il filosofo in quanto uomo era legato agli stessi bisogni fondamentali degli altri esseri umani ma in quanto filosofo era legato alla dimensione divina.
In primo luogo perché gli oggetti del suo sapere erano divini: si trattava delle cause e dei principi che erano alla base dell’ordine dell’universo.
In secondo luogo perché a detta del filosofo greco, la divinità stessa non era altro che la proiezione perfetta della vita del filosofo dal momento che la “theoria” era l’attività propria della divinità.
Poiché il filosofo esercitava, seppur in maniera meno perfetta tale attività viveva una vita più che umana possedendo in se’qualcosa di divino. (Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 7).

Per Aristotele era preferibile che il filosofo esercitasse l’attività teoretica insieme ad altri filosofi ma in linea di principio egli poteva svolgere tale attività anche da solo. In effetti il filosofo poteva effettuare l’attività teoretica all’interno della scuola, instaurando con gli altri filosofi rapporti di amicizia e di collaborazione. Tuttavia, egli poteva svolgere tale attività anche nella beata solitudine propria della divinità, senza per questo andare incontro a particolari problemi.
Risulta evidente la differenza con PLATONE per il quale la “synousia” era una dimensione imprescindibile della vita filosofica.

Come si vede per Aristotele il filosofo era un individuo eccezionale che si differenziava in maniera netta da tutti gli altri individui sebbene il filosofo non poteva raggiungere nell’attività teoretica livelli raggiungibili dalla divinità, in quanto ostacolato dalla necessità di soddisfare i bisogni essenziali collegati alla natura umana.
Tuttavia appare evidente come l’immagine del filosofo presente nella filosofia di Aristotele sia molto diversa da quella presente nel pensiero di Platone.

Detto ciò prenderemo in considerazione l’immagine del filosofo proposta dagli STOICI.... (Stoicismo, scuola fondata da Zenone di Cizio) ....i quali pur non sostenendo come Aristotele che si trovava addirittura in bilico tra la dimensione umana e quella divina, affermavano che il filosofo era infallibile dal momento che la conoscenza che egli possedeva dell’ordine razionale e divino dell’universo si traduceva necessariamente in un comportamento del tutto conforme a tale ordine. Pertanto il filosofo non era per gli stoici soggetto a rischio di compiere azioni sbagliate.
In estrema sintesi possiamo dire che per gli stoici egli era totalmente inserito in un ordine universale rassicurante e per tale motivo si comportava in maniera completamente diversa dagli altri uomini. Per dirla in altro modo il filosofo si sottraeva definitivamente dal potere delle opinioni nel quale erano imprigionati gli altri uomini.

Di conseguenza per gli stoici il filosofo era insensibile sia alle passioni, sia alle emozioni fondate inevitabilmente sui giudizi errati. In tal modo il filosofo stoico diventava il vero erede di una morale di stampo militare, nel senso che egli non si arrendeva mai difronte agli attacchi dei nemici, delle passioni e della cattiva sorte.

Da qui nacque l’immagine popolare del filosofo stoico considerato un individuo imperturbabile che faceva della stabilità l’elemento essenziale della sua personalità. SENECA descrisse con tali parole il filosofo stoico:” l’animo del sapiente è come il mondo sopra la luna; lassù è sempre sereno”. (Seneca, Epistole a Lucilio, 79,8)

Per dirla in altro modo la concezione stoica del filosofo eliminava completamente la nozione di divenire così che si affermava con forza il primato della vita filosofica nonché la superiorità del filosofo nei confronti degli altri uomini. In estrema sintesi nella concezione stoica del filosofo tutto rientrava nella sfera di controllo del sapiente.

Vogliamo mettere in evidenza che tale immagine del filosofo senza lacune e totalmente positiva era per gli stoici un vero e proprio idealtipo, un ideale regolativo che non aveva quasi mai riscontro nella realtà concreta. Gli stoici ammettevano che il vero filosofo o non era mai esistito o nella migliore delle ipotesi era esistito pochissime volte nella storia dell’umanità.

Ad esempio Seneca disse che era possibile trovare sulla terra un vero filosofo molto raramente in quanto rinasceva uno ogni cinquecento anni. ( Seneca, Epistole, 42)
Ma agli stoici l’ esistenza effettiva del vero filosofo interessava fino a un certo punto in quanto essi attribuendo alla figura del filosofo tali caratteristiche ideali intendevano presentare un modello quasi sicuramente irraggiungibile ma proprio per la sua radicalità in grado di fornire un ideale regolativo al quale tendere. Appare comunque evidente che il filosofo stoico che insegnava nella Scuola non era quasi mai identificabile con il filosofo perfetto ma in ogni caso gli stoici non si stancarono mai di presentare tale concezione del filosofo perfetto.

Proprio la figura del filosofo fu uno dei punti di maggior controversia tra gli stoici e gli accademici scettici. Ad esempio Arcesilao accettava il lato negativo della concezione stoica del filosofo (colui che non sbaglia mai) ma su questa base arrivava alla conclusione che solamente il punto di vista scettico poteva garantire l’infallibilità del filosofo.
Cicerone attribuì tale sillogismo ad Arcesilao: “se il filosofo darà il suo assenso talora, allora formulerà delle opinioni; ma il filosofo non formulerà mai delle opinioni; dunque il filosofo non assentirà a nulla”. (Cicerone, Lucullo, 66-67)

Dobbiamo mettere in evidenza che sia per gli stoici, sia per gli scettici il filosofo non doveva mai cadere nella trappola di esprimere opinioni su qualsiasi cosa. Tuttavia mentre per gli stoici il filosofo era per definizione al di fuori della sfera delle opinioni, al contrario per gli scettici gli stoici si illudevano di non correre il rischio di cadere nelle opinioni.
Di conseguenza per gli scettici l’unico modo valido per non correre il rischio di esprimere delle opinioni consisteva nell’evitare di dare il proprio assenso a qualsiasi affermazione.
In sintesi per gli scettici l’unico modo alla portata del filosofo per non compromettere la propria infallibilità era la sospensione dell’assenso ( “
epochè”).

Pertanto il filosofo scettico non affermava e non negava mai nulla. Appare evidente che tra stoici e accademici scettici lo scontro era durissimo. In pratica Arcesilao voleva mettere in seria difficoltà gli stoici costringendoli o a sospendere il giudizio oppure ad ammettere che si accontentavano di esprimere semplici opinioni.
Tuttavia gli stoici non subirono passivamente gli attacchi degli scettici e passarono al contrattacco, muovendo delle obiezioni, a nostro avviso, molto valide alle teorie degli scettici. In primo luogo gli stoici misero in evidenza che gli scettici si contraddicevano dando il loro assenso all’affermazione che “ nulla era vero".

Di conseguenza gli scettici non applicando a tale affermazione la loro dottrina della sospensione dell’assenso cadevano in contraddizione. In secondo luogo gli stoici formularono un’altra obiezione contro gli scettici ponendo l’accento sulla vita pratica. Gli scettici anche se affermavano di non concedere il loro assenso a niente, nella vita pratica si comportavano come se distinguessero il falso dal vero altrimenti non avrebbero potuto nemmeno vivere, così che essi non vivevano coerentemente con le loro dottrine. Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso sulla figura del filosofo riscontrabile nel pensiero di Aristotele e degli stoici.

Prof. Giovanni Pellegrino
Prof.ssa Mariangela Mangieri

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