RUSSIA
LA CHIESA RUSSA

La Chiesa Russa entra nel mir

di ALDO C. MARTURANO
"aldo" <turanomar@libero.it>

E’ comprensibile che la Chiesa cominciasse il suo lavoro di catechizzazione dei “russi” partendo dai tre centri “cittadini”, prima di altri, e cioè da Kiev, da Novgorod-la-Grande e da Polozk. In primo luogo s’individuarono i sacrari pagani più importanti nei dintorni di questi gorod (quelli trovati a Kiev erano già stati sostituiti da chiese o semplicemente distrutti) per quanto fu possibile utilizzare le delazioni dei neoconvertiti e al loro posto si eressero le chiese (utilizzando le stesse querce che costituivano i sacri boschi).

Come fare però a continuare l’opera evangelizzatrice senza aver degli uomini culturalmente preparati e in numero sufficiente? Gli uomini giusti agli inizi costituì logicamente il problema più grosso. In vari momenti della vita della Chiesa Russa dei primi anni si ovviò con preti e monaci venuti dalla Grecia, ma soprattutto dalla Bulgaria, vista la comunanza dell’idioma, poi, con un faticoso tirocinio del personale locale e sfruttando moltissimo il diaconato, si fecere altri passi avanti.

Finchè non giunse il tempo di Jaroslav il Saggio (fine del XI sec.), lo sforzo materiale delle gerarchie ecclesiastiche risultò abbastanza limitato, a quanto appare, tanto che costui, allo scopo di rafforzare la propria posizione in tutte le Terre Russe e conoscendo bene il ruolo ideologico del Cristianesimo avendolo visto “al lavoro” in Svezia, decise di costruire a Kiev la più grande chiesa in mattoni mai vista in Europa, dopo Santa Sofia di Costantinopoli. La nuova chiesa e la ripianificazione della città alta di Kiev superò in magnificenza tutto quanto san Vladimiro aveva fatto fino ad allora in Terra Russa e la Chiesa (della Decima) eretta da quest’ultimo insieme col terem (pure eretto da lui) passarono in secondo piano. Jaroslav inoltre non si limitò solo a costruire la chiesa per Kiev, ma dette tutto l’aiuto possibile affinché questa città diventasse il più importante centro religioso delle Terre Russe ed avesse più mezzi per penetrare nel territorio adeguatamente. Per costruire fece venire dei maestri d’arte bizantini e non solo per Santa Sofia di Kiev, ma con l’impegno che anche a Novgorod e a Polozk si costruissero delle cattedrali simili e altrettanto sfarzose fatte di mattoni! Solo così la Chiesa Russa aveva ora i suoi teatri dove rappresentare lo spettacolo divino e dove formare i suoi predicatori da inviare nei più reconditi punti abitati.

Infatti, con gli ingegneri vennero al seguito prelati, monaci e preti e non lontano da Kiev (ma sempre compreso nel territorio della città) fu concesso al Metropolita (greco, naturalmente) di avere una sede degna dove educare le nuove gerarchie russe nell’area che diventerà il famoso Monastero delle Grotte (Pecerskaja Lavra). A questo punto le processioni e le celebrazioni cristiane tanto decantate dai mercanti di san Vladimiro quando le avevano contemplate a Costantinopoli, cominciarono alla grande nelle tre grandi città russe!


Dalla Cronaca dei Tempi Passati
(red. di D.S. Lihaciov, 1969, traduz. di ACM)
“Anno 6495 (987 d.C. … dopodiché (i mercanti mandati da Vladimiro) giunsero a Costantinopoli e comparvero davanti all’Imperatore. L’Imperatore chiese loro: Perché siete venuti? Raccontarono tutto e l’Imperatore avendo ascoltato lo scopo della visita se ne rallegrò e lo stesso giorno fece loro tutti gli onori possibili. Il giorno seguente poi mandò a dire al Patriarca quanto segue: Sono giunti i Russi a fare esperienza della Vera Fede nostra. Perciò preparati con tutto il clero. Indossate tutti i paramenti sacri affinché quelli conoscano la gloria di Dio Nostro. Udito ciò il Patriarca chiamò a sé tutto il clero e diede gli ordini necessari affinché si addobbasse la Chiesa e si celebrasse una solenne funzione festiva con incenso cori e canti. Poi andarono tutti insieme nella Chiesa e fece accomodare i Russi nei posti migliori. … (I mercanti tornati a Kiev riferirono a Vladimiro che) … Siamo stati dai Greci e questi ci hanno condotto nel luogo dove venerano il loro dio e non sapevamo se ci trovavamo in Cielo o in Terra. Di certo sulla Terra non esiste uno spettacolo simile di tale bellezza che non siamo capaci neanche di raccontartelo.”

 

La presenza del Cristianesimo in Terra Russa, almeno per l’osservatore esterno, sembrava così in via di consolidamento e di affermazione. Le processioni (come d’altronde in tutta l’Europa cristiana) si cominciarono a snodare in ogni occasione con grande solennità per le strade cittadine e il “gran teatro” rappresentato soprattutto da Santa Sofia di Kiev (anche le chiese di Novgorod e di Polozk erano dedicate alla Santa Sapienza di Dio ossia a Santa Sofia!) era sempre occupato da manifestazioni religiose senza precedenti. Né tutto ciò fu più eguagliato neppure in seguito, almeno a Kiev, quale sede politica principale! Non poteva essere altrimenti giacché la Chiesa ben sapeva quanto fosse importante impressionare la gente e quando fosse altrettanto importante reclutare nuovi adepti, con un sicuro consenso individuale e una salda convinzione missionaria, evitando i bastoni e il fuoco o la spada come era avvenuto nel 988-989 per la conversione dei renitenti a Kiev e a Novgorod.

Riflettiamo però un momento su alcuni punti, prima di proseguire con la nostra storia. Oggi che abbiamo la pubblicità in TV o su megamanifesti, i film etc. non è facile capire come mai la gente di tanti secoli fa si fermasse per le strade per ore incantata allo spettacolo di una processione di preti salmodianti e agitanti un turibolo emanante stranissimi profumi, di immagini lucenti e luccicanti, di colori e festoni etc. etc., se non ricordassimo che il rito e la ritualità fanno parte del nostro agire quotidiano. E non parliamo soltanto dei riti religiosi indirizzati alla divinità affinché continui a proteggerci, ma anche del vestirsi, mangiare, bere, parlare e camminare etc. che nel mondo medievale erano ancora parte integrante del “della vita”… In realtà poi (Eibl-Eibesfeldt insegna!) i riti umani (quali essi siano!) risalgono ad un vecchio meccanismo di imprinting biologico presente in tutti gli animali e forse sono innati nei geni della nostra specie! Per l’uomo il rito è diventato fondamentale e nessuno di noi riuscirebbe a farne a meno proprio perché per suo mezzo acquistiamo più sicurezza nelle nostre azioni e affrontiamo le vicissitudini con maggiore tranquillità. I nostri genitori c’insegnano i loro e noi ne aggiungiamo di propri. Oggi forse non servono più tanto per avvicinarci all divinità, ma altro era nel Medioevo ed altro nelle Terre Russe…

Era logico che davanti a riti nuovi e pittoreschi come quelli dei cristiani più aperti alla partecipazione dei fedeli rispetto a quelli un po’ più misteriosi dei templi pagani i più smaliziati dei kieviani ne fossero almeno incuriositi, ma la gente più semplice ne fu sicuramente accattivata e impressionata sin nell’intimo. Né il mir poteva far eccezione e, sebbene molto più lentamente e con resistenze enormi, dovette accettare la presenza di questi nuovi riti cristiani che penetrarono quasi subdolamente fra i contadini!

Il mir era anch’esso un mondo pieno di riti e sbarazzarsene tutto d’un colpo per avere la libertà di scegliere poi una nuova fede al posto della vecchia era un sacrificio pressoché impossibile che in Terra Russa non avvenne, se non con gran fatica. L’arrivo del “dramma liturgico (deistvo in russo)” nel mir sembrò un attacco proditorio all’incolumità fisica dello smierd tanto che questi capì che poteva salvarsi soltanto difendendo la propria antichissima fede nascondendola. D’altro canto quelle processioni non invasero subito il mondo del mir e, siccome rarissimamente lo smierd si recava in città perché non ben accetto dal potere che temeva sempre le sue sommosse e le sue proteste di piazza, le notizie sulle chiese cristiane sfarzose di pietra, sulle processioni indimenticabili, sulle liturgie solenni e cantate della nuova fede rimasero oggetto delle favole e dei racconti reboanti dei forestieri (non dimentichiamo mai l’attività incessante e fanatica dei kalekì Perehòzhie!) che passavano dal mir per descriverli (e in parte per riprodurli) abbagliarono dunque di più chi invece viveva in città. Nel mir ne arrivò l’eco e, come noi abbiamo cercato di spiegare, per il multietnico paese “russo” la frattura culturale esistente fra gorod e mir continuò a restare incolmabile…

Dobbiamo spendere qualche parola però per questi eventi liturgici spettacolari che la Chiesa Russa usò all’inizio della sua storia in Terra Russa non soltanto sotto forma di processioni , ma anche di spettacoli teatrali veri e propri. Erano numerosi e riproducevano con l’aiuto di alcuni fedeli adeguatamente istruiti alcuni degli episodi giudicati più importanti nelle Sacre Scritture. A. Korinfskii ci informa che fra il XV e il XVII sec. molti di essi furono aboliti o caddero in disuso tanto che ne rimasero solo quattro: Quello detto della Grotta (Pesc’noe), quello del Giudizio Universale, quello dell’Entrata a Gerusalemme sull’Asinello e infine quello del Lavaggio dei Piedi, distribuiti lungo le stagioni dell’anno. In particolare il Dramma della Grotta era sentitissimo come festa cittadina a Novgorod-la-grande dove si svolgeva in maniera particolarmente pittoresca e possiamo capirne il perché, in una città di grande influenza sul proprio hinterland e situata in mezzo a lande pochissimo abitate del Grande Nord, ma fra popolazioni difficili da piegare alla fede cristiana! La celebrazione resistette con pochissimi mutamenti fino al XIX sec.!

La storia della Chiesa Russa delle origini dunque, se vista in questo quadro storico, si capisce meglio per l’aspro accanimento nelle sue battaglie in una guerra (d’altronde mai vinta finora!) costante contro il Paganesimo Slavo, ancora potente e radicato. Tenendo presenti queste enormi difficoltà logistico-economico-culturali, possiamo giustificare pure i compromessi e le conseguenze di una lotta sorda durata per secoli e manovrata sostanzialmente dalla città di Kiev.

La Chiesa Russa ciononostante era figlia di Costantinopoli e sapeva bene come ovviare a tutti questi problemi e come utilizzarli a suo favore con le sue esperienze molto antiche di evangelizzazioni dei ”barbari” e degli Slavi balcanici, sebbene… circostanze come quelle trovate nelle Terre Russe non fossero mai capitate prima!

Aiuterà il nostro intento persino una breve scorsa nella situazione dell’Impero Romano verso la seconda metà del X sec. La necessità di riaffermare la propria sovranità sui territori della Penisola Balcanica e nel Mar Nero, per contrastare il rafforzamento dei Musulmani e per fermare l’espansione degli Ottoni nell’Europa dell’Est e i territori del nordest, a partire dalla riva sinistra del Danubio, erano ben conosciuti a Costantinopoli per la verità e si sapeva anche quanto erano difficili da penetrare. Conquistarli? Possibile, ma costosissima impresa! E comunque in quei frangenti del X sec. un progetto assolutamente irrealistico per l’Impero, se non dopo aver ripreso la perduta Bulgaria del Danubio. L’idea albergò nella mente di qualche imperatore, ad esempio in Costantino VII Porfirogenito, ma la scelta obbligata fu un’altra: Mantenere relazioni pacifiche e amichevoli coi Cazari e col loro centro politico di Itil sul Volga finché questo Impero era in grado di controllare il traffico vitale proveniente da quell’area. L’Impero Cazaro, quale protettore correligionario degli ebrei di Kiev che facevano da intermediari commerciali, rappresentava ancora un’entità politica di tutto rispetto in quegli anni. Tuttavia allo stesso tempo si cercò l’amicizia dell’èlite slavo-variaga quando questa apparve abbastanza affidabile nella sua pretesa di dominare l’enorme area dal Baltico al Mar Nero. Anzi, quando nel 965 d.C. Svjatoslav conquistò Tmutarakan sullo stretto di Kerc’ ai Cazari, l’importanza di questa élite si accrebbe per Costantinopoli…

La storia russa deve ringraziare questo interesse quasi ossessivo dell’Imperatore Costantino VII per le Terre Russe e per l’élite al potere a Kiev (sembra che si fosse innamorato di Olga, la famosa nonna di san Vladimiro!) se abbiamo informazioni sulla nascita dell’ethnos “russo” a Kiev. Con lui e già prima di lui, erano già stati stipulati trattati di amicizia fra Costantinopoli e Kiev e, come appariva, il legame politico era abbastanza durevole.

Nel 980 (Costantino VII era ormai defunto e Olga pure) Vladimiro aveva preso il potere e aveva imposto Perun e il suo Olimpo, ma, Kiev cosmopolita dal punto di vista religioso (si veneravano da sempre diversi dèi per le diverse etnìe presenti), oppose qualche resistenza. La situazione però stava rapidamente cambiando. I Cazari erano in sfacelo e Costantinopoli sembrava essere più in auge per cui, poco alla volta, Vladimiro si avvicina all’Imperatore Basilio II, tanto più che c’erano stati già vari tentativi da parte dell’Occidente di coinvolgerlo nel consesso dei regni franchi, interessatissimi clienti compratori delle preziose merci russe. Inoltre i successi militari bizantini ottenuti con la riconquista della Bulgaria Danubiana ebbero una grande eco qui nel nordest e l’èlite variago-russa fu definitivamente convinta che un’alleanza più solidale con l’Impero Romano d’Oriente era una mossa politica molto importante.

Roma Nova però non può accettare legami permanenti con popoli non cristiani, considerati nella splendente capitale del Bosforo al pari di animali! Di qui le perplessità e l’evoluzione dell’atteggiamento religioso di Vladimiro verso il Cristianesimo. Alla fine però decide, dopo averne parlato bene e a lungo coi suoi, di cambiar bandiera e Perun è abbandonato per Cristo! E non è tutto! Kiev diventa tutta cristiana (salvo gli ebrei, che proprio per i loro unici e preziosi servigi di intermediari commerciali internazionali conserveranno uno statuto speciale!) e, dice la Cronaca, subito dopo toccò a Novgorod-la-Grande dove la conversione addirittura finì nel sangue e nelle fiamme e così anche a Polozk! Per le regioni del Volga invece questo cambiamento di fede risultò un po’ più difficile e si sa che il vescovo destinato a Rostov-la-Grande fu ucciso e un altro cacciato finchè non si intervenne, ancora una volta e più decisamente, con la forza, ma solo… nel XII sec.!

Fu la preoccupazione per i traffici a convincere Vladimiro a cambiar religione? O forse il timore di far la fine della Bulgaria Danubiana? In realtà, se così pensassimo, avremmo perso di vista lo spirito dei tempi e l’intelligenza dell’uomo. E’ probabile che fosse una moda del tempo, diventar cristiani, e, quanto ad essere invasi dalle truppe costantinopolitane, un pericolo immediato non c’era. In realtà, dopo anni di frequentazioni a Costantinopoli, dopo anni di discorsi con gli ebrei rahdaniti di Kiev, dopo le visite di ecclesiastici dall’Occidente e le notizie di nascita di stati slavi nei Balcani, non potevano più mancare gli elementi che consentissero di riflettere meglio sul come entrare di diritto nei circuiti politici internazionali, mantenendo la propria indipendenza politica. Restava qualche dubbio… Quale orgoglioso sovrano avrebbe accettato una religione nata in difesa dei derelitti e dei reietti della società schiavistica romana al posto di una religione di dèi vittoriosi con le armi in mano? Quale sovrano avrebbe mai accettato che la propria sovranità discendesse in qualche modo da Roma?

Benché la Chiesa Cristiana avesse già superato la sua inferiorità ideologico-politica di protettrice delle classi dominate rispetto al Paganesimo delle classi dominanti e che con la sua capillare organizzazione si fosse ormai arrogata l’eredità di mantenere integro l’Impero Romano dopo le vicende di quegli anni in vista dell’avvento del Regno di Cristo, ben più potente ed eccelso, con il potere imperiale nelle mani di Basilio II, l’Imperatore continuava ad essere all’apparenza più potente del Patriarca. Era, sì!, sacro come lo era stato durante il Paganesimo Romano, ma ora era obbligato a muoversi nell’ambito della Religione Universale in cui Dio-Padre gli aveva concesso per la durata della vita il potere temporale (l’imperatore unto) e soltanto la dottrina della Chiesa era davvero l’unica garante della sacralità di quel potere. Siamo nell’era del cosiddetto cesaropapismo e non è sempre molto chiaro chi comandasse a Costantinopoli nel nome del Dio che concede il potere: l’Imperatore o il Patriarca?

Secondo l’escatologia cristiana, naturalmente qui da noi semplificata, Cristo comunque sarebbe ritornato sulla Terra per riprendere, insieme al padre, il possesso di tutto il mondo insieme con tutti i suoi abitanti, proprio partendo da Roma (in questo caso da Roma Nova sul Bosforo). Quando ciò sarebbe avvenuto, nessuno lo sapeva con esattezza, ma poteva essere anche subito! Questo sarebbe stato il Giorno del Giudizio Finale! Dunque, all’erta! Tutti sarebbero stati giudicati secondo le azioni condotte nella vita terrena, prima di essere assegnati o al Paradiso o precipitati nel buio dell’Inferno dove regnava il Demonio! Colui che avesse governato sugli uomini, un sovrano senza un’autorizzazione divina (e cristiana), avrebbe subito i castighi più gravi e più indicibili proprio per aver esercitato il potere illegittimamente! Chi, al contrario, avesse già la fede cristiana non aveva nulla da temere poichè si sarebbe salvato! Con questo quadro minaccioso e terribile il famoso filosofo, descritto nelle Cronache Russe a colloquio con Vladimiro prima della conversione, deve averlo convinto ad abbracciare il Cristianesimo con tutti i suoi vantaggi! Ed ecco che cosa arrivò a Kiev con la nuova fede! Una teoria delle società umane governate secondo le leggi cristiane da un signore designato da Dio e il cui regno faceva parte di un consorzio di altri regni, tutti più o meno assoggettati all’Impero Romano d’Oriente!

Kiev e le Terre Russe diventano così la Metropolia della Tauroscizia, ma non una colonia di Bisanzio! Il Patriarcato costantinopolitano al più presto invia da Sebaste (oggi Sivas in Turchia) Teofilatto come primo Metropolita, ma non per dirigere la politica di Kiev!

A parte questa impostazione della vicenda, come giustamente fa notare N.M. Nikol’skii, in quegli anni (fine del X sec. d.C.) a Costantinopoli entrare in una carriera “ecclesiastica” era diventato talmente popolare che fra chierici, preti e servi (insieme a bancarottieri e reietti) il numero di questi “dipendenti della Chiesa” si era accresciuto in modo spropositato e non solo nella capitale, ma anche nella seconda città dell’Impero, Salonicco, dove c’era la foltissima colonia bulgara fuggita tempo prima per dissidenza con lo zar bulgaro “apostata” Simeone-Michele e sospettata anche di Bogomilismo, eresia, questa, molto simile a quella dei Catari che rifiutava le gerarchie ecclesiastiche.

Il monachesimo inoltre dominava la moda greca a quei tempi. Nato come movimento laico di persone disperate che non riuscivano a sbarcare il lunario in altro modo se non vivendo come indicato da Cristo in astinenza sessuale e nella frugalità massima, si era diffuso costituendo talvolta intere comunità agricole senza alcuna proprietà privata. Sempre sotto stretta sorveglianza dei vescovi, normalmente questi “ribelli” che inneggiavano alla povertà in nome di Cristo ne venivano fuori a volte condannati come eretici! Anzi! Dopo le ultime leggi emesse da Basilio II (il futuro cognato di Vladimiro) i monaci isolati vivevano in modo sempre più precario per mancanza di terra da coltivare e non riuscivano a trovare una sistemazione adeguata in un Impero che si vedeva sempre più ridotto del proprio territorio. Perciò la nuova Metropolia costituì l’occasione buona che aprì nuove prospettive, di guadagno per i mercanti di professione, di possibilità di misurarsi con una nuova realtà ricca ma selvaggia per le gerarchie ecclesiastiche greche (alte) e bulgare (basse) “senza lavoro” e, per i monaci più avventurosi, di rimettersi a vivere secondo i loro principi ma non più coi pericoli e le ristrettezze che c’erano a Costantinopoli e dintorni.

Tutto cominciò sotto la protezione (e il sostegno finanziario della decima!) dei Rjurikidi, ma, proprio a causa di ciò, prima d’ogni altra cosa la Chiesa sentì il dovere di rafforzare se stessa come partner politico primario del principe (Knjaz). Di certo Vladimiro, si fidava più dell’appoggio consolidato dei suoi Variaghi che non dei nuovi chierici venuti al seguito della sua nuova moglie e quindi il suo primo dovere era stato quello di convincere la sua druzhina (compagnia d’armati) della validità della scelta fatta e che Vladimiro era comunque e sempre dalla loro parte. Superato questo problema, le prospettive dei nuovi arrivati dal sud si allargano e si accrescono quando viene concesso ai vescovi locali (oltre alla decima del principe) il diritto (a pagamento!) del controllo dei pesi e delle misure, i giudizi (pagati!) sulle liti per le eredità e il diritto di famiglia!

Non possiamo negare che le spese (specialmente militari!) per gli interventi a largo raggio sulla popolazione dell’hinterland kieviano e delle altre aree collegate erano tante e altissime essendo i villaggi, da quanto ci riferiscono ancora nel XVII sec., nascosti e sparsi nel fitto di foreste estesissime, ma la Chiesa Cristiana che da secoli era stata, dal tempo di Costantino il Grande, l’arma segreta per governare l’immenso impero attraverso la religione, non poteva rinunciare ad espletare lo stesso servizio qui nelle Terre Russe, ma al servizio del Knjaz di Kiev!

Fu l’inizio di un’impresa titanica! I problemi davanti ai quali ci si trovò erano molto più complicati di quel che si era creduto e sperato. Il territorio era vastissimo e difficile da percorrere, non esisteva una geografia definita né un censimento degli abitanti e in più la gente parlava varie lingue. La pretesa del potere secolare kieviano però era molto chiara e pressante: La Chiesa deve agire non soltanto per il riconoscimento internazionale della dinastia rjurikide, ma anche per consolidarne la posizione politica in tutto il territorio, comprese quelle regioni che si andavano via via incorporando! Solo ciò facendo un capo della Chiesa Russa poteva essere sicuro di rimanere al suo posto, dato che era stato eletto o nominato col consenso del principe rjurikide!

Possiamo notare da qualche episodio raccontato nelle Cronache che questo rapporto fra Knjaz e gerarchie ecclesiastiche non fu tutto rose e fiori e riusciamo ad immaginare come nel Knjaz covasse sempre il timore di passare sotto la sovranità bizantina alla minima debolezza e proprio per il tramite della Chiesa.

Così la Chiesa prese subito decisioni abbastanza pratiche. Niente multietnicità, ma un solo popolo russo! Una sola lingua per comunicare! L’obbligo ferreo da parte del Knjaz di lasciare partecipare il più intimamente possibile la gerarchia ecclesiastica alla vita politica e che il consiglio della Chiesa e del suo sistema ideologico diventassero l’unica via da seguire. Si mangia troppa carne! Quindi rispetto assoluto dei digiuni canonici il mercoledì e il venerdì oltre a quelli lunghi preparatori per le feste più importanti. Si mangia troppo nel terem e poco nel Podol! E allora via, Vladimiro fa cuocere un numero enorme di karavài e li consegna personalmente casa per casa, tentando di far diventare tradizione a Kiev la cerimonia della Mensa Gratuita! I nobili hanno troppe mogli! Al massimo si concede una moglie legittima ed una concubina, ma non di più! Quindi monogamia dell’élite

E i villaggi? Ci si affidò alle buone intenzioni dei bojari locali, ma la cristianizzazione non progredì… Di certo qualche prete (in russo pop) più ardito di altri si lanciò nell’avventura di evangelizzare qualche mir, ma quando si presentò da solo alla ricerca di una sposa, visto che doveva metter su famiglia in loco, le uniche ragazze che poté trovare erano quelle destinate ad essere vendute schiave e così invece di integrarsi nella comunità si isolò ancora di più. Per di più, appena cominciarono a circolare le voci che aveva intenzione di riformare i costumi e i cibi ricorrendo ai suoi magici libri scritti, ci furono molti casi in cui il pop fu invitato a cambiar luogo di residenza!

I maghi e gli stregoni, capirono subito che aria tirava e si affrettarono a nascondersi e far tutto il loro lavoro di nascosto. Qualcuno di loro, si raccontava ancora nel XV sec., cominciava a credere in un maggior potere del Cristianesimo rispetto alle tradizioni pagane e così si avventurava a nascondersi in un angolo della Chiesa alla Grande Notte di Pasqua per aspettare che il prete dicesse: “Cristo è risorto!” e invece di rispondere “E’ vero! E’ risorto!” il mago o la maga pronunciava sottovoce le formule segrete che dovevano accrescere o restituire il potere magico attenuatosi a causa della concorrenza del pop! Insomma occorreva dunque darsi da fare! Proprio quest’atteggiamento della gente del mir verso la nuova fede nel secolo XI portò ad un periodo di grande fervore nelle Terre Russe da parte del clero di lingua russa e perciò sono innegabili i grandi sforzi fatti ricorrendo naturalmente a vari espedienti, anche molto compromissori ed ambigui.

Un esempio? Nel mir c’era sempre qualche persona o debole di mente o fisicamente disabile, secondo il nostro punto di vista odierno. Queste persone erano venerate dalla gente “normale” perché rappresentavano un modo in cui il Creatore comunicava con gli uomini e di solito si univano in gruppi, specialmente coi ciechi nati che solitamente sapevano suonare gli strumenti musicali meglio di altri per la loro più acuta sensibilità uditiva. Tutti insieme durante la bella stagione vagavano di villaggio in villaggio suonando e recitando le byline degli antenati e facendosi interrogare dalla gente. Qualche volta c’era persino qualcuno che raccontava quello che aveva visto in lontani paesi con paroloni strani e mostrando oggetti mai visti prima o persino chi sapeva predire il futuro e chi faceva le grandi prediche morali. Ebbene gli Handicappati Vaganti (ossia in russo Kalekì Perehòzhie ai quali abbiamo accennato in altro luogo) quasi volessero impedire che la gente stesse ad ascoltare queste cantate pagane cominciarono a frequentare tutti questi mercati riuscendo ad intrufolare nello spettacolo di piazza e le cantate dei loro compagni di vagabondaggio le vite e i miracoli di santi (talvolta addirittura mai esistiti!) e di personaggi biblici dai nomi stranissimi. I Kalekì Perehòzhie invasati dal nuovo credo cristiano che talvolta conoscevano abbastanza bene perché avevano letto i Vangeli (alcuni di questi personaggi erano persino di origine principesca e dunque letterati!) si spacciavano per inviati speciali di Cristo! Anche questo fu tollerato e sopportato ai fini della conversione!

La Chiesa Ortodossa ammise persino la lettura di racconti e dei vangeli cosiddetti apocrifi (non essendo d’accordo con le scelte del Patriarca Romano), cioè diversi da quelli canonici, purchè il lettore confessasse che la lettura gli servisse in qualche modo per rafforzare la propria fede. Proprio in seguito a ciò, nella Rus’ di Kiev si diffusero molte leggende sulla vita e sulla morte della Vergine Maria accettate come vere poiché la Madonna era certamente identificata con la dea slava orientale Terra Umida Madre! E in particolare il racconto della sua visita nell’Inferno fra punizioni e peccatori accompagnata dall’arcangelo Michele diventò molto popolare. Nei racconti si metteva in evidenza il potere di questa donna di intercedere presso Dio con grande efficacia e ciò impressionò l’immaginazione collettiva poiché poneva la Madonna allo stesso livello delle migliori znaharki. Non dimentichiamo che a racconti simili d’altronde si ispirò lo stesso Dante nello scrivere la Divina Commedia…

Questa venerazione della Vergine “di tipo russo” fu subito messa a frutto e si aggiunse così tutta una serie di feste e di celebrazioni nella vita del mir dedicate alla Madre di Cristo. In particolare la festa del 21 novembre, chiamata dell’Entrata nel Tempio ossia quando Gesù viene presentato nel Tempio di Gerusalemme, divenne molto popolare perché si diceva che la Madonna annunciava che ormai l’inverno era alle porte, ma in più, e questa era la cosa più importante, assicurava che metteva il mondo sotto la sua materna protezione e quindi continuava a vivere. Ai bambini in special modo nelle nuove chiese si faceva quindi cantare la seguente canzone a sua gloria, mentre si distribuivano i biscotti (pirozhkì) fatti con l’ultimo grano della passata raccolta:

E’ arrivata la Festa della Presentazione!
E’ arrivato il tempo per l’inverno di ritornare a casa propria!
Zimà (l’inverno in russo è femminile) ha già attaccato i cavallini alla slitta
E si è avviata verso la via del ritorno
Il ghiaccio si è ammorbidito per lasciarla passare!

Questa era anche la festa dell’ultimo mercato all’aperto che ora era però sagra cristiana. Era una di quelle manifestazioni che, accoppiate con le processioni di rito, la Chiesa ebbe cura di far entrare di forza negli usi del mir al posto delle pagane guljanie, conservando lo scopo di far incontrare villaggio con villaggio e concorrere così ad una più rapida propagazione della fede rompendo l’isolamento tradizionale.

Se la Madonna diventò la divinità più popolare del Cristianesimo russo, nelle città dove abitavano i nobili si diffondeva invece l’idea che l’intercessione dei monaci era migliore, a causa della loro santa vita e delle loro preghiere per le anime dei morti (pomìnki). I monaci potevano perciò salvare quasi con più certezza dalle pene dall’Inferno. Così i nobili si affrettarono sia a farsi monaci non appena si trovavano in fin di vita sia a lasciare in eredità ai conventi tutto quanto possedevano (o gran parte) affinché si pregasse per loro dopo la morte. La Chiesa diffuse persino l’idea che chi moriva intorno a Pasqua era sicuramente diretto in Paradiso, sebbene fosse costretta a tollerare che il cadavere fosse seppellito con un uovo sodo colorato in rosso nella mano destra, a maggiore e antica garanzia, e che il morto fosse seppellito anche molti giorni dopo la morte reale… affinché risultasse defunto intorno alla Pasqua!

Un altro espediente, stavolta linguistico e concettuale e indirizzato alla gente più colta, fu adottato dal Metropolita Ilarione (XI sec.) per cercare di integrare le credenze pagane con quelle cristiane. Nel suo famoso Sermone sulla Legge e sulla Grazia parla della Trinità come Dio dei Tre Soli con un chiaro richiamo alla venerazione degli Slavi per questo astro (Svarog, Dazh’bog e Hors). Nel XII sec. poi finalmente comparvero le cosiddette Letture Mensili (Minei cet’i) ossia una grande raccolta di vite dei santi che dovevano essere letti ai parrocchiani per far capir loro quale potenza avevano questi uomini di Dio, rispetto agli dèi pagani ancora temuti e venerati. Naturalmente le Vite erano adattate e rimaneggiate, talvolta inventate, in modo che ciascuno potesse scegliersi il santo che più gli andava bene e venerarlo a casa invece degli idoli pagani aborrendi.

Insomma i tentativi furono tanti e a tutti i livelli e mescolarono talmente le vecchie credenze pagane con quelle cristiane che oggi è difficile risalire da queste a quelle.

Il personaggio direttamente implicato in tutto questo lavoro di “rieducazione” restava alla fine il volenteroso prete semplice e ignorante, il pop. Sebbene la vita nel villaggio sembrasse continuare a scorrere indisturbata e sebbene il pop arrivasse mandato dal vescovo della città vicina e il mir fosse obbligato ad offrirgli un pezzo di terra da coltivare più un aiuto materiale per costruire casa e chiesa, l’integrazione col resto della gente rimase circonfusa di sospetto finché tutti non si abituarono ad avere un pop “fra i piedi” come una maledizione divina da sopportare. Anche san Pietro dette una mano perché fu introdotta la sua festa (insieme con san Paolo) al 29 giugno e il pop acquisì il diritto di far il giro con la sua famiglia sul suo carro per raccogliere i doni per la chiesa e fare propaganda religiosa casa per casa proprio in quel giorno. La sua chiesa però continuò a non essere frequentata come si sarebbe aspettato, perché la gente non abbandonò la sua ritualità antica dei banchetti sacri e delle orge pagane e solo se costretta assisteva alle liturgie. In parte era comprensibile! I banchetti che il Paganesimo slavo allestiva con grande convivialità di popolo erano troppo radicati nella tradizione e non potevano essere paragonati, agli occhi dei contadini, alla ridicola distribuzione di un cibo come le prosfore (ostie nella liturgia latina e panini lievitati con un segno di croce nella liturgia ortodossa) fatta dal prete fra i fedeli presenti all’Eucaristia! Figuriamoci poi, e lo abbiamo anche detto in altri luoghi del nostro lavoro, che cosa accadde quando si trattò di far rispettare i numerosi digiuni prescritti…

Poi a poco a poco intorno a Kiev, Novgorod e Polozk interi villaggi passarono sotto il controllo dei monasteri quali parti di eredità dei Knjaz (ogni Knjaz di solito ne fondava uno per sé e per la propria famiglia, elargendo terre e prebende) che avevano deciso per la vita monastica prima di morire e i popy non si presentarono più come ospiti, ma come funzionari della nuova “amministrazione” ecclesiastica che ora aveva il pieno possesso del mir! Ciò non bastò a sopraffare le vecchie abitudini e il colpo più a fondo al Paganesimo Slavo poté essere inferto molto tempo dopo con la fondazione di monasteri e di conventi nel cuore della foresta. In verità queste chiese e questi conventi fra gli alberi furono visti come un sacrilegio vero e proprio verso i vari spiriti padroni che causò spesso la ribellione armata degli smierdy che si sentivano attaccati e invasi (ancora una volta a partire dal gorod) sul proprio territorio. Già i primi conventi erano sorti fra gli alberi e nelle paludi intorno a Novgorod, Kiev e Polozk (a detta di Ilarione, il Metropolita sopra nominato, già al tempo di san Vladimiro se ne contavano 68!) sulle rovine dei sacrari pagani, ma la vera ondata di nuovi si riversò sul territorio in maniera sistematica attorno alla seconda metà del XIV sec. e soprattutto dalla Bassa del Volga fin nel profondo nord.

Questi nuovi conventi, in particolare non più dipendenti totalmente dal Knjaz, ebbero un grande impatto economico e scientifico sullo smierd di quelle aree. Ecco in qual modo. La regola adottata era quella Studita elaborata a Costantinopoli proprio intorno al tempo di san Vladimiro e che fino al XVIII sec. rimase in vigore in tutti monasteri russi. Amministrati ormai soltanto da monaci e igumeni russi o di cultura locale, siccome la regola ammetteva due tipi di attività: il lavoro interno al convento fatto direttamente dai monaci e quello esterno, in questo ultimo caso, non potendosi allontanare dal loro luogo di “culto”, i monaci lasciavano eseguire e affidavano agli smierdy più disperati appunto il dissodamento della foresta e la successiva coltivazione dei campi insieme con la cura delle bestie. Dal convento provenivano soltanto i consigli ricavati dalle esperienze conservate nei libri magico-divini della letteratura specializzata latino-greca, costituendo sempre più un modello di produzione “capitalistica” ad altissima efficenza rispetto alla coltivazione tradizionale che lo smierd conosceva… A vedere dunque le messi migliori e più abbondanti, la piantumazione di nuove piante dai frutti succulenti mai visti, l’orto con erbe e aromi miracolosi portati dal sud buoni per ogni malanno, lo smierd ne rimaneva incantato, letteralmente. Forse gli dèi prediligevano i cristiani? Forse i riti e i sacrifici fatti finora non erano più graditi agli dèi? Insomma lo smierd s’accorse, confrontandosi con quella superiorità tecnica e culturale di gran lunga più avanzata, che, attraverso l’opera e l’esempio della Chiesa, stava per crollare tutto un suo universo fondato sulla tradizione pagana.

In altro luogo abbiamo detto che lo smierd aveva un computo del tempo molto diverso dal nostro poiché il suo calendario era nei segni che la natura dava giorno per giorno (primet) e che lo smierd ben individuava e interpretava. L’archeologia ci suggerisce che ogni giorno che passava fosse inciso sullo stipite della porta e i giorni più significativi erano segnati con tacche particolari. Ebbene, anche di questo suo modo di ricordare i giorni e i mesi la Chiesa si affrettò ad impadronirsi e al posto del Giorno delle Allodole, del Giorno del Rod o del Mese della Mietitura ci pose i suoi santi lasciando che col tempo si creasse intorno al santo del giorno una tradizione di eventi e di miracoli che si adattassero più o meno con il passato pagano. In questo modo san Nicola (Mikula in antico-russo), vescovo di Mira morto nel 343 e la cui festa cadeva (e cade) il 9 maggio, approdò nella Rus’ di Kiev e diventò popolarissimo. A questo santo (detto in russo il Caldo) era costume dedicare la Festa dei Ragazzi Pastori perché per questa data i giovani ormai adulti portavano per la prima volta i cavalli a pascolare! Si accendevano i fuochi nell’ùliza del mir e si rimaneva a mangiare, cantare e danzare tutta la notte. Vi partecipava volentieri il pop che benediceva i cibi e che raccoglieva i vecchi soli e abbandonati da lui invitati (ed istruiti ad hoc) al convito a raccontare ai giovani astanti le proprie esperienze, e che stava soprattutto attento affinché non si scivolasse nelle orge solite. D’altronde san Nicola è noto in tutto il mondo ormai sotto le spoglie di Babbo Natale (c’era la seconda festa di san Nicola, detto stavolta in russo il Freddo, il 6 dicembre!) e quindi non ne parleremo oltre. Una cosa curiosa è invece che il santo ebbe la venerazione dei musulmani di certe zone del Volga e, a detta di A.A. Korinfskii, questo culto si conservò fino al XIX sec.!

Non bastarono però i santi e il Cristianesimo si insinuò in punta di piedi persino nell’izbà. Come? Vediamo un po’ meglio.

La ripartizione dell’izbà in gran parte è rimasta quella che era nei tempi antichi, ma certe suppellettili hanno cambiato di forma e di posizione ed altre se ne aggiunsero proprio nei secoli contemplati nella nostra ricerca. Ad esempio, fu introdotto il tavolo per desinare ad imitazione… dell’Altare della Chiesa! Addirittura, non si seppe neppure come chiamarlo. Nell’izbà non entrò un tavolo vero e proprio, ma uno scranno un po’ più alto dei soliti e quindi andò bene chiamarlo proprio così: sedia ossia stol! Questo elemento di arredamento si mutò però nel simbolo del potere poiché al vecchio (starik, bolsciak, starozhilez) della casa fu infatti assegnato proprio il posto “a capo della tavola”. Si sedeva per primo, mettendo in soggezione tutti coloro che sedevano dopo di lui e, per forza di cose, davanti a lui. L’izbà che aveva una tavola era dunque stòlnaja (ossia con tavolo, come era chiamata la città capitale!) e là abitava il più anziano del villaggio, rappresentante del potere! Il più vecchio era stata sempre la persona più riverita e più accreditata per parlare a qualsiasi estraneo a nome di tutto il mir (il ciur era passato ormai nelle leggende), ma col Cristianesimo diventò l’interlocutore preferenziale del pop e, per il nobile locale, addirittura l’affidabile starosta (specie di sindaco) che raccoglieva il tributo e i prodotti di mezzadria! Lo starozhilez conosceva infatti molto bene tutte le tradizioni, le usanze, le famiglie, le parentele, i confini dei campi e delle foreste. Restava il problema costante di come fare ad accattivarsi le sue simpatie…

Purtroppo il pop oltre a tanta buona volontà non disponeva di influenze politiche o di ricchezza tali da poter promettere regali ed onori se l’anziano avesse risposto positivamente a quanto la Chiesa richiedeva e così questi due personaggi si confrontarono talvolta anche con toni molto aspri, come si deduce dalla byline. L’unica ricompensa che il prete cristiano offriva era la salvezza dell’anima dalle pene del fuoco eterno… dopo la morte! Sicuramente il pop invitò lo starozhilez ad associarsi nelle celebrazioni solenni nella chiesa per dare l’esempio agli altri, ma il problema a volte era che il pop non si accorgeva che stava parlando proprio con colui che era il Capo del Paganesimo, il volhv del villaggio… A questo punto lasciamo al lettore immaginare la miriade di controversie che si ebbero in molti di questi incontri, sottolineando ancora una volta alcuni possibili casi sfortunati:

· pop e starozhilez non parlavano la stessa lingua
· capito l’appoggio che il pop ha da parte del signore locale, lo starozhilez poteva anche fingere di accettare le nuove regole

oppure, se si sentiva abbastanza potente,

· incitare il mir a cacciare il pop quale ospite indesiderato.

Malgrado tutto questo, noi sappiamo che la distruzione del mondo del mir era ormai stata decisa ed avviata! E a questo punto riportiamo le parole di V. N. Djomin che ci sembrano adeguatissime a chiarire quanto detto sopra, anche in riferimento al famoso e controverso Libro di Veles annotato dal conte Uvarov nel 1858 ed esaltante il Paganesimo della campagna. “Non tenendo conto delle misure draconiane e della politica inquisitoria, alla Chiesa non riuscì in alcun modo di eliminare ciò che la stessa natura fornisce come conoscenza. Né i russi né gli altri popoli si separarono mai dalle relazioni del proprio Paganesimo con l’Universo e col mondo circostante, sentendosi comunque parte di quel mondo. Come diabolico marchia la Chiesa il primo trattato cosmologico russo del XII sec. che parla della fede della gente nel Sole, nella Luna, nelle Stelle e nei Fiumi e nelle Sorgenti e negli Alberi … e nel Fuoco e negli Animali e in tante altre cose diverse…”

Alla fine agli smierdy non rimase che perseverare nei loro riti pagani, salvo che essi (mascherati!) si svolgessero sotto l’egida della Chiesa e con la partecipazione – economica! – del pop ossia con la cessione di una parte di produzione agricola (popova dolja) uguale a quello che percepiva una volta il volhv come offerta sacrale agli dèi e per il proprio mantenimento. Prova ne sia (fra le altre!) che si continuò intorno alla seconda metà di agosto quando si raccoglieva il primo miele, a portare in Chiesa i favi più abbondanti affinché fossero benedetti, invece che portarli al sacrario pagano per ringraziare gli dèi che avevano fatto lavorare bene le loro “operaie divine”… ed una parte di quel miele veniva ceduta al pop!

Il peggio fu quando la Chiesa, come abbiamo visto, col diritto di intervenire nel diritto di famiglia cominciò subito a condannare la promiscuità sessuale ed economica che era negli usi da sempre. Sancì che la donna e l’uomo che si sposavano, fondavano una nuova famiglia e che questa aveva il diritto (ed il dovere) di erigersi una nuova casa, avere una discendenza separata, coltivare campi propri (di proprietà cioè) e così via. Non solo! Iniziò anche la conta delle persone quando si obbligò ogni donna incinta a denunciare il prossimo parto affinché il pop battezzasse il nascituro, nato vivo o morto,... per salvarne l’anima! Insomma qui si interveniva già sull’inizio naturale di tutta la società. Era un’impresa titanica intervenire con cambiamenti così netti in una materia tanto complessa che contemplava molti eventi della vita di un uomo e della collettività: Nascite, Matrimoni, Morti, Parentele, etc.

E qui ci si accorse che la figura centrale del mir russo, malgrado tutte le apparenze di dominanza maschile, da abbattere o con la quale allearsi era la donna, sia come consorte sia come madre sia come… znaharka!

Sono state formulate delle ipotesi su un supposto matriarcato primordiale nelle società slave antiche e probabilmente queste ipotesi corrispondono a verità poiché rimasugli di questa autorità femminile traspaiono spessissimo qui e là, persino nel primo corpo di leggi russe, la Pravda Russkaja di Jaroslav il Saggio, risalente al XI-XII sec.! Per questo motivo, dopo l’eliminazione del regime matriarcale e a difesa del ruolo del maschio nel nuovo regime patriarcale, il sesso femminile era sottoposto alla stretta tutela del capo-famiglia (la donna era la prima ad essere venduta in schiavitù o al marito)! Se il patriarcato era l’evoluzione ultima del mir, esso si presenta ai nostri occhi come una società troppo chiusa verso le forme più articolate delle relazioni umane diverse da quelle del padre-padrone. E’ vero! Questa chiusura ci ha conservato costumi ed usanze che altrimenti avremmo perso nel tempo, ma è anche vero che, di fronte allo sconvolgimento che l’élite slavo-variaga al potere e il suo Cristianesimo stavano portando avanti con la forza lungo le correnti dei grandi fiumi, tutto questo non poteva non riflettersi nell’intimo dello sterminato paese. Ciononostante intere aree geografiche delle Terre Russe si chiusero spontaneamente alle nuove correnti culturali, assolutamente isolandosi. E’ il caso del famoso Poles’e (ossia la Foresta altrimenti detta Paludi del Pripjat), poco a nord di Kiev, o dell’estremo nord intorno all’attuale Arhangelsk sul Mar Bianco parte del territorio “repubblicano” novgorodese. Queste regioni continuarono a rimanere “selvagge” e pagane fino al XVI-XVII sec., sempre secondo la definizione delle Cronache!!

Una cosa non possiamo dimenticare. La Chiesa fu l’istituzione che unificò e consacrò come lingua veicolare l’antenato delle tre lingue slavo-orientali che oggi si parlano nella Pianura Russa: il cosiddetto Slavone Ecclesiastico! Addirittura è ancor oggi un punto di orgoglio per lo storico ortodosso che affronta lo studio della civiltà occidentale medievale omogeneizzata dal Cristianesimo Cattolico Romano che, mentre il russo sapeva sempre di che cosa si parlava nella liturgia della sua Chiesa, gli altri cristiani europei che dovevano ascoltare tutto in latino, seguivano il rito senza parteciparvi in quanto non capivano alcunché di quello che il prete diceva sull’altare!
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Una pagina concessa a Storiologia
da Aldo C. Marturano

Pagine pubblicate da Aldo Marturano, considerato il migliore storico della Russia come pochissimi in Occidente. (oggi anche nella stessa Russia) Recentemente ha ricevuto a Milano l' "Ambrogino d'oro. E dal Patriarca della Chiesa Ortodossa sulla storia religiosa ha ricevuto (cosa rarissima) le sue congratulazioni.

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