BIOGRAFIA
(n. 1844 - m. 1900) - Re d'Italia 1878-1900

Umberto I, nacque in Torino il 14 marzo 1844, nel giorno stesso in cui suo padre
Vittorio Emanuele, allora Duca di Savoia, compiva il suo ventiquattresimo anno.
"La sua nascita fu molto festeggiata dal popolo piemontese, ed accolta e salutata da scrittori e da poeti come di lieto augurio per la futura « gloria d'Italia » (Cibrario). Con lui fu assicurata a Vittorio Emanuele, che già aveva avuto una figlia, Clotilde, la discendenza maschile.

Lo tennero a battesimo il nonno Carlo Alberto e la nonna Maria Teresa, facendo le veci del vicerè e della vice-regina del Lombardo-Veneto, Ranieri d'Austria e Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, genitori di Maria Adelaide. Gli furono dati i nomi di Umberto, Ranieri, Carlo Emanuele, Giovanni Maria, Ferdinando, Eugenio (il primo, in memoria del capostipite della Dinastia; l'ultimo, a ricordo del principe più illustre della stirpe dei Savoia-Carignano), ed ebbe il titolo di Principe di Piemonte, già da secoli portato dai primogeniti di Savoia.

Trascorse i primi anni nel castello di Moncalieri, affettuosamente vigilato dalla madre, ed ebbe poi, insieme col fratello Amedeo, nato circa un anno dopo di lui, quell'educazione militare che per antica usanza e per predilezione soleva essere impartita ai principi sabaudi.
La sua istruzione fu completata con parecchi viaggi all'estero, alcuni dei quali compì nell'adolescenza, accompagnato dai suoi istitutori. Nel 1863, accompagnò fino a Lisbona la sorella Maria Pia, divenuta regina di Portogallo; nell' anno seguente viaggiò ancora per l'Europa, visitando alcune Corti amiche dell'Italia; e nel 1866, poco prima che fosse dichiarata la guerra, suo padre lo mandò a Parigi, a visitare Napoleone III.
Frattanto, il principe Umberto progrediva nei gradi militari, che gli venivano dati successivamente, in relazione agli studi compiuti, alla pratica acquistata, agli esami sostenuti. Fu nominato capitano di fanteria nel 1858. Nel 1859 fu accanto al padre durante la battaglia di San Martino. Nel 1863 giunse al grado di maggior generale, e, nell'anno successivo, a quello di tenente generale. Con questo grado, egli prese parte alla guerra del 1866, nella quale ebbe il comando di una divisione e diede molte mirabili prove d'ardimento di fronte ai maggiori pericoli.

Il 24 giugno, a Villafranca, fu improvvisamente investito da una divisione di cavalleria nemica, e la brigata Parma, con la quale si trovava, ebbe appena il tempo di formare i quadrati, uno dei quali si strinse intorno a lui. «In un baleno, narra uno storiografo della Dinastia, il terreno è invaso dagli ulani austriaci, che giungono a carriera sfrenata. In questo periglioso momento il sereno aspetto e l'intrepida sicurezza di Umberto raddoppiano il coraggio di tutti, e il desiderio di tutelare quella vita preziosa li rende capaci di estreme prove. I quadrati dei nostri fanti, involti in un turbine di cavalieri, fermamente resistono all'urto; e i cavalli si frangono il petto sulla punta delle baionette, mentre i fuochi di fila incessanti abbattono i cavalieri. Arriva infine il soccorso della divisione Bixio, e la cavalleria nemica, patite gravissime perdite, è costretta a ritirarsi ».

L'intrepido contegno tenuto in quello scontro meritò al principe Umberto la ricompensa della medaglia d' oro al valor militare.

Il 22 aprile 1868 furono celebrate a Torino le nozze del futuro re d'Italia con la bella cugina diciassettenne Margherita di Savoia, figlia di Ferdinando Duca di Genova, fratello di Vittorio Emanuele II. In quell'occasione, Vittorio Emanuele istituì il nuovo Ordine della Corona d'Italia, « col principale scopo di onorare quegli uomini che con l'opera loro avevano contribuito ad avviare la nazione verso i suoi nuovi e felici destini ».

Dopo aver visitate alcune delle maggiori città italiane, che li accolsero con festose manifestazioni di simpatia vivissima, gli sposi soggiornarono nella Villa reale di Monza, e poi fecero un viaggio in Baviera e nel Belgio, festeggiati dovunque.

L'11 novembre 1869, mentre era a Napoli col consorte, la principessa Margherita diede felicemente alla luce il principe ereditario, Vittorio Emanuele, ch'ebbe il titolo di Principe di Napoli.

Nel 1871, il Principe Umberto e la Principessa Margherita si recarono ufficialmente a Berlino e a Dresda; nel 1876 a Pietroburgo, indi a Vienna, ricevendo, presso tutte le Corti che visitarono, attestazioni d'amicizia per il Regno d'Italia che andava assestandosi e consolidandosi sempre più. Il carattere serio e leale del figlio di Vittorio Emanuele ma soprattutto la grazia squisita di Margherita di Savoia destarono dappertutto cordiale e rispettosa ammirazione.
In patria, frattanto, il Principe ereditario si occupava sopratutto del miglioramento dell' esercito, che veniva gradatamente realizzato, e ad esso cooperava tenendo comandi, facendo ispezioni ed assistendo ad esercitazioni e a manovre. Non trascurava, peraltro, di occuparsi anche delle istituzioni e delle imprese dirette a promuovere e favorire sempre più la non ancora r
aggiunta prosperità nazionale.

Morto Vittorio Emanuele il 9 gennaio 1878, Umberto I, secondo Re d'Italia, rivolse alla nazione un nobilissimo proclama, e dieci giorni dopo ebbe luogo, alla Camera, la solenne cerimonia del giuramento del nuovo sovrano, che vi pronunciò un memorabile discorso, nel quale disse fra l'altro:
«L'Italia che ha saputo comprendere Vittorio Emanuele, mi prova oggi quello che il mio genitore non ha mai cessato d'insegnarmi che la religiosa osservanza delle libere istituzioni è la più sicura salvaguardia contro tutti i pericoli. Questa è la fede della mia Casa. Questa sarà la mia forza. Sincerità di pensieri, concordia di amor patrio mi accompagneranno, ne s
ono certo, nell'ardua via che prendiamo a percorrere; in fine della quale io non ambisco che meritare questa lode Egli fu degno del Padre ».

La nazione non tardò ad amare Umberto I, che dall'inizio del suo regno diede prova di nobilissimo carattere, di filantropia, e della ferma volontà di mantenere lealmente le promesse fatte nel suo primo proclama e nel suo primo discorso.
Fu generale, quindi, l' indignazione sollevata nel Paese dall'attentato del cuoco Passanante (Napoli, 17 novembre 1878), non voluto da alcun partito, da alcuna sètta, opera soltanto di un delinquente forsennato, il cui braccio armato di pugnale fu fermato da Benedetto Cairoli, presidente dei ministri, che si trov
ava con la Regina e col piccolo Principe nella carrozza reale. Il Passanante venne poi condannato alla pena di morte (allora vigente nel Codice), ma il Re, magnanimo, gli concesse la grazia.

Le condizioni dello Stato non erano liete. Le finanze erano malferme; la politica interna era molto agitata ed incerta; assai difficili erano i rapporti con l'estero. Tuttavia, il governo parlamentare diede allora all'Italia opportune ed importanti riforme. Fu allargato il voto elettorale politico (1882), venne riformato il codice di commercio; le relazioni con l'estero cominciarono a migliorare per l'opera prudente del ministro Mancini, che volse le sue cure a riannodare rapporti amichevoli con i diversi Stati e principalmente con l'Austria, alla quale premeva la nostra adesione alla sua politica d'Oriente.

Nel 1881 i Reali avevano fatto una visita alla Corte di- Vienna, dalla quale avevano avuto liete accoglienze. Ma quella visita non fu restituita, per il timore dei sovrani austriaci di fare atto di ufficiale riconoscimento del possesso di Roma da parte del governo italiano, e per l' antipatia temuta da parte del popolo italiano, certo memore del passato.

Frattanto, l'occupazione da parte della Francia della Tunisia (già conquistata virtualmente da quarantamila lavoratori italiani) aveva provocato una grossa crisi nei rapporti italo-francesi. I rancori italiani s'incarnarono nella persona di Francesco Crispi, ministro degli esteri, che, approvato da una parte dell'opinione pubblica dimentica dell' avversione contro l'Austria, spinse Re Umberto ad un mutamento radicale e completo nella politica estera.

Nel maggio del 1882 venne infine stipulata la Triplice Alleanza fra l'Italia, la Germania e l'Austria, con durata di cinque anni e l'obbligo di reciproco aiuto, sia difensivo che offensivo. Questo avvenimento acuì le antipatie della Francia che non tardò a piegare verso la Russia e a muovere a noi la guerra doganale con cui precluse lo sbocco che prima offriva al nostro bestiame e ai nostri vini, con grave e inatteso perturbamento dei nostri mercati e delle nostre industrie agricole e zootecniche, che appena allora cominciavano a fiorire e ad organizzarsi.

Nell'ottobre seguente ebbero luogo le prime elezioni a suffragio allargato, e allora nella Camera penetrò un soffio di vita nuova, coi rappresentanti dei lavoratori. Ma nel Parlamento era stato inaugurato il Trasformismo, brutta parola con più brutta significazione di costumi politici. Il ministro Depretis, antico mazziniano, poi garibaldino, indi proclamatosi da sè «fido servitore di Casa Savoia» pensò di far scomparire i partiti storici parlamentari di Destra e di Sinistra per fondare un partito senza idealità politiche con un programma di soli interessi materiali. Due ministri liberali, Zanardelli e Baccarini, si ritirarono dal governo per non partecipare all'inonorato rivolgimento. Cominciò allora un tristissimo periodo di affarismi, con le convenzioni ferroviarie e con gli affari bancari.

Gravi sventure, inoltre, colpivano l'Italia: inondazioni del Veneto (1882), terremoto di Casamicciola (luglio 1883), colera a Busca (Cuneo) ed a Napoli (1884). Re Umberto accorse dovunque prontamente, a soccorrere, a confortare gli sventurati, sempre sprezzante del pericolo, animato da un sincero spirito filantropico, che allora e in cento altre circostanze gli fecero prodigare il denaro della sua cassa privata. Cesare Correnti lo chiamò giustamente il "Re consolatore"; e proprio per questo il popolo gli diede il soprannome di "Re buono".

Durante il primo periodo del regno di Umberto I, furono realizzate molte importanti e provvide innovazioni, oltre a quelle a cui abbiamo già accennato. Ricorderemo l'emanazione di leggi sul lavoro delle donne e dei fanciulli; l'istituzione di Casse di risparmio postali e di una Cassa nazionale per l'assistenza contro gli infortuni sul lavoro; la fondazione di scuole agrarie, di società per bonifiche di terreni; la costruzione di strade, di canali, di ponti, di ferrovie, ecc.; l'introduzione della cartolina nel servizio postale, lo sviluppo di reti telegrafiche; l'inizio di qualche impianto elettrico, ecc.

Accenneremo solo di sfuggita alla politica coloniale iniziata nel 1882, ed alla infelicissima guerra italo-abissina, per dire che Umberto I soffrì allora col suo popolo ad ogni insuccesso, ad ogni disfatta, ad ogni umiliazione. Fu scritto che egli, alla fine di quei dolorosi eventi, « non avrebbe voluto firmare la pace col semibarbaro Menelik, imperatore d'Etiopia, ma dovette firmarla e subirla, perchè durante il suo regno l'eccesso del parlamentarismo aveva reso impossibile l'esistenza di un qualunque governo forte, capace di far avere al paese, all'opinione pubblica, una coscienza, ed una volontà.

Continuando a riassumere, diremo ancora che durante il ministero Crispi durato dal 1887 al 1891 fu rinnovata la Triplice Alleanza per altri cinque anni, e fu approvato il nuovo Codice penale presentato dallo Zanardelli, a decorrere dal 1° gennaio 1890. Fra le notevoli modifiche che questo codice portò, vanno citate l'abolizione della pena di morte e dei lavori forzati e una riforma del vecchio sistema penitenziario. Furono pure sancite nuove leggi di tutela degli emigranti e degli infortuni sul lavoro, leggi sulle Opere Pie per trasformare la beneficenza e dirigerla a fini civili, sulla polizia dei costumi, sulla pubblica sicurezza, sulle amministrazioni comunali e provinciali.

Caduto Crispi, nel 1891, fu chiamato al potere il marchese di Rudinì, il quale confermò per dodici anni la Triplice Alleanza, ma non diede riforme che sollevassero il paese dal disagio economico che lo travagliava. Seguirono poi i gravi torbidi che in seguito alle agitazioni dei fasci siciliani si ebbero in tutta Italia, e specialmente in Lunigiana.
Ma l'Italia risorta e indipendente continuava tuttavia ad affermarsi, rispettata, fra le Potenze europee.

Nel 1892, Genova celebrò il quarto centenario della scoperta dell'America, gloria italiana. Umberto I, a bordo del suo yacht Savoia, nelle acque del golfo incantevole, fu salutato dalle bandiere e dalle artiglierie delle superbe navi mandate da tutte le nazioni civili, e certo allora il suo cuore di Re italiano esultò, presago della maggior grandezza futura del Paese, già grande nel mondo per tante glorie passate e non dimenticate.

Un anno dopo (1893), furono celebrate in Roma le nozze d'argento di Re Umberto e Margherita di Savoia, con l'intervento di numerosi principi e regnanti, fra i quali anche Guglielmo II di Germania.

Il 22 aprile 1897, a Roma, Umberto I, fatalista e avverso alla sorveglianza della polizia intorno alla sua persona, subì un nuovo attentato, mentre si recava alle corse delle Capannelle. Il sedicente anarchico Pietro Acciarito rinnovò, pure invano, il gesto nefando di Passanante, e il Re stesso, poco dopo, ne diede sorridendo la notizia alla Regina Margherita.
Nel 1898, mentre d'Italia solennizzava la patriottica ricorrenza del cinquantesimo anno dalla promulgazione dello Statuto, e Torino chiamava alla festa del lavoro i nostri industriali e gli artisti con una riuscita esposizione, dalle province meridionali si estesero in quasi tutta Italia le proteste contro le violenze governative e corse sangue fraterno nella re
pressione troppo violenta di moti più o meno immaginari.

A Milano più che altrove le vittime furono numerose nelle giornate dal 7 al 10 maggio, di tristissima memoria. Una pagina nerissima la fece scrivere il generale Beccaris, prendendo a cannonate la folla manifestante. Gli arresti non ebbero numero, come non si contarono gli anni di carcere largamente inflitti dai tribunali militari, che dopo la proclamazione dello stato d'assedio erano diventati dispotici padroni delle principali città italiane.

Si credette in tal modo di mettere argine all'avanzarsi sicuro e vittorioso dei partiti della democrazia e della rivendicazione di migliori trattamenti per le classi diseredate. Ma una energica reazione unì il popolo nell'azione contro il governo della mitraglia fratricida e del decreto-legge sui provvedimenti politici. L'organizzazione fu condotta abilmente e si estese, così che nelle elezioni amministrative a Milano e altrove si ebbe una vittoria completa dei partiti popolari, vittoria che si ripetè con eguale imponenza il 3 giugno 1900, per le elezioni politiche che rafforzarono sensibilmente l'Estrema Sinistra, con nuovi elementi socialisti e repubblicani.

Di fronte al risultato ottenuto con la sua politica reazionaria, il ministero di allora, presieduto dal generale Pelloux, si dimise e ne fu composto uno nuovo che ebbe per capo l'onorevole Saracco, presidente del Senato.
Pochi giorni dopo, a Monza, il 29 luglio, mentre, salutando la folla plaudente si accingeva a far ritorno alla Villa, dopo avere assistito a una festa ginnastica, Umberto I veniva colpito a morte con tre colpi di rivoltellla, dall'anarchico Gaetano Bresci, venuto con il truce proposito espressamente da Patterson, covo di esaltati, votati al delitto e alla distruzione. Ma lui disse per vendicare i morti di Milano, e per l'affronto agli stessi morti fatti da Umberto, premiando il generale Beccaris.

Così Umberto scontò con la vita gli errori e le colpe di una politica impopolare ed infausta, suscitatrice di lotte accanite e di odii implacabili, della quale, come sovrano costituzionale, non poteva essere ritenuto in alcun modo responsabile, anche se il non essersi adeguato ai tempi fu una grave colpa.

Tuttavia tutto il mondo fu colpito d'orrore per l' esecrando misfatto. Imponente fu la manifestazione di compianto che la tragica fine del Re suscitò nel popolo italiano, il quale generosamente dimenticò come il regno di Umberto non avesse segnato nella nostra storia un'epoca nè fortunata, nè lieta, ciononostante si strinse concorde intorno alla Dinastia di Savoia.
Del Re assassinato fu detto in quei giorni, molto giustamente, che si era s
empre dimostrato, senz'ombra di ostentazione, « più liberale de' suoi ministri, più pacifico de' suoi generali, più clemente de' suoi giureconsulti, più sollecito nel benessere delle classi povere di quanto lo fossero i politici che le rappresentavano in Parlamento o che ne candeggiavano le giuste rivendicazioni dall'alto della cattedra ».

Aggiungeremo che Umberto I fu generosissimo nel fare elargizioni e, stanziamenti a scopo di beneficenza, di pubblica utilità, di progresso intellettuale e scientifico, e che vide di buon occhio e segretamente aiutò le agitazioni irredentiste, affermanti l'italianità delle regioni rimaste soggette alla dominazione austriaca. Egli aspirò infatti ad una maggiore grandezza politica dell'Italia che amò profondamente, e queste sue aspirazioni, destinate ad una splendida realizzazione, non dovranno essere dimenticate dalla storia, nella quale rimarrà anche, legata al suo nome, la ben nota frase : « Roma, conquista intangibile ».

Dalla Regina Margherita, Umberto I ebbe unico figlio il Principe di Napoli, che gli successe. Per i figli del fratello Amedeo, egli fu sempre, più che un amorosissimo zio, un secondo padre.

NOTA

Sembra che a trovare la sposa a Umberto sia stato Menabrea; in un primo momento il padre era contrariato: "ma l'è na masnà" (è una bambina); forse perché era da qualche tempo che non la vedeva, ma poi quando se la trovò davanti, bella e florida per la sua età, scrisse subito al figlio "vieni ti ho trovato la sposa".
Il figlio a Milano era già molto occupato a coltivare la sua folle passione per EUGENIA LITTA VISCONTI ARESE; e non era il solo adoratore della bella milanese. Tuttavia era un ordine, e quindi Umberto il 28 gennaio scese a Torino, si recò a Palazzo Chiablese, dove abitava la cugina e con la massima indifferenza gli chiese "Vuoi diventare mia moglie". La cugina rispose sì. Tre mesi dopo il matrimonio a Torino in una cornice sfarzosa con quel giorno dichiarato di "pubblica letizia".

Se la bella duchessa milanese per Umberto non era una semplice passione giovanile e occasionale, anche lei, la Litta aveva le sue mire possessive di donna dettate dalla gelosia (le resterà accanto tutta la vita, fino al fatale giorno: l'assassinio), e sembra che abbia preteso da Umberto, una singolare promessa: che non avrebbe avuto alcun rapporto con la sposa, che insomma le loro notti dovessero restare bianche. A farle diventare "bianchissime", fu poi la stessa consorte quando colse sul fatto la Litta nella camera del marito-cugino. Molto probabilmente la donna che aveva sposato "su ordine", avendola avuta come compagna di giochi da quando era nata, forse (!) non provava nessuna attrazione sessuale, era insomma sua cugina.


Margherita, la rivale Litta la fece allontanare dalle sue dame di corte, ma non fu sufficiente per far interrompere quel profondo legame d'amore. Alla sera Umberto la lasciava in bianco anche alla cena, attraversava il parco e raggiungeva la poco distante villa della sua amata per poi rientrare all'alba.
Margherita voleva lasciarlo, tornarsene dalla madre, e si confidò e si lamentò con Vittorio Emanuele II che, abituato a queste cose, saputo il "banale" cruccio della sua nuora-nipote candidamente gli disse "e solo per questo te ne vuoi andare?".
La donna accettò così la realtà, ma piena di risentimento, da allora non sarebbe stata altro che la principessa (poi due anni dopo la prima Regina d'Italia) ma mai più la moglie. Ed infatti, la relazione Litta-Umberto, continuò imperterrita fino alla morte. (Le grandi famiglie d'Europa -I Savoia, Mondatori, 1972).
Margherita, nella gloria e nella sventura, fu "Regina" e magnanima fino all'ultimo, quando concesse alla Litta, dopo l'assassinio del marito, il permesso di salutare la salma del Re; marito suo, ma amante dell'altra.

Tuttavia quando poi scese a Roma e diventò con la morte dello zio-suocero, Regina, diede un impulso alla vita mondana romana, tale da riconquistare tutta la latitante nobiltà nera (papalina) che alle feste del Quirinale non voleva mancare, e iniziò a schiarirsi come colore pur di partecipare alle feste d'alta società che la regina assiduamente offriva nella residenza reale, con lei a fare musica, danzare, e in modo eccellente a intrattenere gli ospiti, dell'aristocrazia, gli ufficiali, i letterati, i musicisti, i principi stranieri, gli alti funzionari di corte, muovendosi e camminando come diceva il Carducci "musicalmente con certe pause wagneriane".
Nacque il "margheritismo", ogni suo gusto diventava una moda, dai vestiti ai cappellini, dalle riviste alle sue torte o alle pizze "margherita".
Poi i viaggi nella grandi corti d'Europa, quando dopo Sedan i due regnanti sabaudi ebbero il grande feeling sia con i Prussiani sia con gli Imperiali di Vienna. E tra quelle feste, pranzi e balli, teatri, fu così che nacque il 20 maggio 1882 la famosa Triplice Alleanza (che fu indigesta al loro figlio, fin da quando a sette anni gli avevano messo accanto notte e giorno come autoritario tutore, maestro di ogni cosa, un filo-prussiano di ferro, addetto militare a Berlino. Ed infatti, fu poi proprio Vittorio Emanuele III a rompere la Triplice nel 1914 alla vigilia della Prima guerra mondiale. Purtroppo questa sua insofferenza -spesso neppure dissimulata- tornò nuovamente a manifestarsi anche alla vigilia della Seconda, con un altro "tedesco" di Berlino, che aveva il grado di "caporale", che fu poi la sua sciagura e quella della sua dinastia.