GIROLAMO SAVONAROLA

LA BIOGRAFIA , LE PREDICHE , I TRATTATI POLITICI, IL ROGO


... predicatore in Firenze, scagliava brucianti sermoni contro la tirannia dei Medici e la sete di potere e le depravazioni di papa Alessandro Borgia. Accusato di eresia, venne torturato per una settimana.  Poi il pontefice, nel 1498, firmò la condanna.

FORCA E ROGO PER IL FRATE
CHE MALEDIVA LA CORRUZIONE
DEI POTENTI

di ELENA BELLOMO

Il cielo primaverile di piazza della Signoria era offuscato dalla fuliggine e dalle spire di fumo che ancora si alzavano dal rogo. Il vento sottile ne sollevava appena la cenere e gli spettatori che lentamente abbandonavano la piazza ne portavano un po' con sé sui copricapi e sui mantelli, macabro ricordo dell'esecuzione appena consumata. Sul palcoscenico della morte era infine calato il silenzio. Il crepitare della legna tra le fiamme, le invettive della folla si erano ormai sopite. Nessuno dei condannati aveva profferito parola, prima che i loro corpi fossero lambiti dal fuoco la vita li aveva infatti già abbandonati. Fra essi Girolamo Savonarola, l'uomo che per anni aveva con le proprie parole deciso il destino di Firenze.

Nato a Ferrara il 21 settembre del 1452, Girolamo era cresciuto all'ombra del nonno Michele, valente medico e assiduo ascoltatore di predicazioni religiose. Uomo integerrimo, egli fu per il nipote il primo, amatissimo, maestro, una sapiente guida che aveva immediatamente riconosciuto la vivace intelligenza del ragazzo, arricchitasi già in quei primi anni di numerose nozioni grazie alla tenace memoria. Seguendo quindi le orme del nonno, Girolamo a diciotto anni si era iscritto alla facoltà di medicina di Ferrara. Tuttavia, dopo soli due anni sarebbe sopraggiunta per lui una crisi tanto grave da indurlo ad abbandonare l'università. L'inquietudine di Girolamo aveva radici profonde. Egli viveva in una città tranquilla, dove la bestemmia era punita con salate multe, dove l'usura era severamente condannata, eppure nello stesso tempo vedeva i semi della corruzione germogliare intorno a sé.

Gli Estensi, signori della città, erano dediti ad ogni tipo di eccesso e tiranneggiavano il popolo, ma quello che più lo scandalizzava erano le notizie della dissolutezza e corruzione di Roma, delle ricchezze elargite agli stessi uomini di chiesa. Feste, lusso creavano intorno al soglio di Pietro un clima paganeggiante che ben poco si adattava all'ascetico rigore che era stato della Chiesa primitiva. Tutto questo amareggiava profondamente il giovane Savonarola, che dava sfogo alla propria tristezza componendo alcune canzoni nelle quali svelava quanto la sua sensibilità fosse turbata e lo inducesse a disprezzare le cose mondane. Questa inquietudine lo condusse infine a rivolgersi verso una vita di totale consacrazione e con la chiamata alla professione religiosa la sua esistenza sarebbe mutata in modo radicale e irreversibile.

Forse influenzato dall'ammirazione del nonno Michele per san Tommaso d'Aquino, Girolamo si orientò verso l'ordine domenicano, che aveva come motto proprio le espressioni "Veritas" e "Contemplata aliis tradere" (ossia l'impegno a studiare la verità cristiana per poi comunicarla ad altri lontani da essa). Questo ordine era nato duecento anni prima ad opera di Domenico di Guzman, il quale si era prefisso di combattere le numerose eresie che minacciavano la dottrina cristiana. In Italia le comunità domenicane principali erano i conventi di Roma e Bologna e la mente di Girolamo era sempre più rivolta proprio verso quest'ultimo luogo, anche se il profondo affetto per la famiglia costituiva un doloroso ostacolo ai suoi nuovi propositi di vita. Egli abbandonò quindi di nascosto la casa, temendo di perdere, nel momento del distacco, il coraggio di lasciare i suoi cari. Accolto nell'ordine venne avviato al perfezionamento degli studi e successivamente verso il sacerdozio e la predicazione.

Divenuto sacerdote, Girolamo fu mandato nel convento di Santa Maria degli Angeli a Ferrara, dove, dopo quattro anni, poté finalmente rivedere i suoi familiari. Presto però egli fu nominato lettore per il convento toscano di san Marco, che sarebbe infine divenuto la sua vera casa Savonarola giunse nella primavera del 1482 a Firenze, una città prospera e vivace, cenacolo di poeti e filosofi.

Ricca d'arte e di splendide chiese, custodiva uno dei suoi gioielli proprio nel nuovo convento di Fra Girolamo, ristrutturato per volere di Cosimo de' Medici ed affrescato dal Beato Angelico, grande pittore domenicano. In principio Savonarola teneva lezioni ai giovani frati, soprattutto sotto forma di esegesi di passi biblici, e proponeva inoltre le proprie meditazioni sull'Avvento in Orsammichele. In queste fasi iniziali della sua attività la predicazione del frate domenicano rispecchiava le tendenze dell'epoca ed affrontava soprattutto questioni di carattere filosofico.
Girolamo cominciò però a nutrire numerosi dubbi circa l'efficacia di questo tipo di predicazione, in particolare nei confronti dei fedeli più semplici. Ben altri dovevano essere i mezzi per ottenere nei suoi uditori un vero risveglio della fede, un'autentica rinascita del senso cristiano della vita. D'altro canto solo una forte personalità ed un'acuta intelligenza avrebbero potuto mutare il tradizionale registro dei sermoni per giungere finalmente ad infiammare i cuori dei fedeli. Girolamo possedeva queste qualità e quindi decise di tentare una formula ed antica nel medesimo tempo: non avrebbe più allettato i suoi ascoltatori magnificando loro i premi celesti, ma li avrebbe intimoriti descrivendo gli inesorabili castighi divini.

Le sue parole dal pulpito riuscirono con il tempo a risvegliare l'atavico timore di punizioni ultraterrene ed il senso del peccato, che aveva schiacciato l'uomo medievale, tornò ad annidarsi nelle anime dei fiorentini, ammonendoli contro le insidie della via più larga ed agevole. Malgrado la durezza dei suoi sermoni, Girolamo sapeva comunque dimostrarsi persona equilibrata ed affabile, capace di gesti generosi e di compassione. Fedele ai voti religiosi egli conduceva una vita da vero asceta. Dormiva su un sacco di paglia o foglie secche, era modesto nel nutrirsi, indossava abiti logori e la pratica della castità era stata per lui il primo passo per rinunciare a qualsiasi forma di piacere terreno. Sottomesso ai propri superiori secondo la propria promessa, egli diceva dell'obbedienza: "Tutto sta nel volere ciò che ti verrà comandato."

Fin dall'inizio della sua predicazione in Firenze i temi preferiti da Savonarola riguardarono la necessità del rinnovamento della società cristiana e soprattutto della Chiesa, ma sempre più spesso nei suoi sermoni apparirono anche rivelazioni, visioni e profezie quasi che Dio parlasse attraverso le parole del suo fedele servitore. Alcune sue predizioni si avverarono e la convinzione di essere strumento divino si fece sempre più radicata in questo frate domenicano, che mirava a riportare al Signore le anime addormentate e peccatrici. Fra Girolamo fu uno dei più grandi predicatori cristiani e a questo risultato giunse attraverso la preghiera e l'assiduo parlare con Dio, preparandosi inoltre grazie lo studio del soggetto dei suoi sermoni ed alla contemplazione. L'esigenza di risvegliare il popolo di Dio condusse il suoi passi anche lontano da Firenze. Egli infatti predicò, oltre che nel capoluogo toscano ed a Ferrara, anche a Brescia, San Gimignano, Genova, Pavia, Lucca, Pisa, Venezia, Bologna, Arezzo e Prato. Firenze rimane però la città in cui egli parlò ogni giorno per poco meno di dieci anni, salvo il periodo in cui ciò gli fu vietato.

Quando lo assaliva il dubbio che il suo modo di parlare ai fedeli non fosse efficace, trovava nella preghiera e nella comunicazione con Dio la soluzione a tali incertezze e questo lo induceva a continuare con la sua "terribile predicazione", come veniva definita per i toni apocalittici e presaghi di castighi e sventure. Savonarola aveva infatti individuato con rigore e severità i vizi della società a lui contemporanea e contro questi si scagliava nell'intento di emendare i fedeli da tanto peccare. "Il buon cane" diceva egli "se tu non gli sei noto, sempre ti abbaia e benché tu lo minacci o fai segno di dargli addosso, esso ti abbaia; e se tu gli vuoi dare del pane e vai con lusinghe perché stia cheto , lui sempre abbaia; e anche se tu gli dai qualche bussa o che tu gli tagli un po' d'orecchia, sempre lui abbaia. Così fa il buon predicatore che vuol dire la verità: non guarda in viso a persona; e se i cattivi lo vogliono corrompere con lusinghe o con presenti, lui abbaia sempre; e se ne dicono male o cerchino d'ingannarlo o attentino al suo onore, sta sempre e sempre dice la verità contro ognuno (che lo meriti) e non si cura di persona."

Egli non ebbe riguardi neppure per la Chiesa e per i suoi ministri e questo portò ad una opposizione nei suoi riguardi che si fece via via più insistente, anche se le persone più attente correvano ad ascoltare i suoi sermoni sempre più convinte e ne decretavano il successo. Egli ebbe anche l'intuizione dell'importanza di ben impostare la formazione dei giovani ed istituì quindi un circolo dove essi potessero divertirsi, ma anche pregare e cantare insieme, anticipando gli oratori ai quali, non molto tempo dopo, darà vita san Filippo Neri.

In quel tempo avevano inoltre molta fortuna maghi e indovini e Fra Girolamo, che vedeva governanti e popolo rivolgersi a loro come a fonti di verità, per ridurre le proporzioni di questo fenomeno diede la sua consulenza alla stesura delle "Dispute sull'astrologia" di Pico della Mirandola, suo fraterno amico stimato per la grande cultura ed intelligenza. Il rifiuto del compromesso, l'intransigente desiderio di seguire nella massima purezza l'ideale cristiano resero però difficili i rapporti di questo asceta con i poteri mondani. Lorenzo il Magnifico, allora signore di Firenze, pretendeva infatti che Girolamo riconoscesse il suo predominio, mentre Savonarola, non approvandone il dispotismo, cercò di avere pochi contatti con lui per evitare una possibile rottura. La severità, tutta medievale, del domenicano ne faceva naturalmente un oppositore del magnifico sfarzo della corte di Lorenzo. Il grande statista e mecenate restava per Girolamo un tiranno, dedito al lusso e dimentico degli autentici valori cristiani. Queste due forti personalità rimanevano quindi opposte per mentalità e stili di vita diversi ed irriducibili.

Alla calata di Carlo VIII nel 1494, Savonarola, più volte ambasciatore di Firenze presso il sovrano francese, vide in lui la spada infuocata destinata a spazzare via l'iniquità, di cui egli stesso aveva più volte preannunciato l'imminente arrivo. Riuscito a distogliere il re dal proposito di saccheggiare Firenze, Savonarola ricoprì un ruolo di primo piano anche nei mutamenti politici avvenuti a Firenze dopo l'arrivo dei francesi. Piero de' Medici, l'imbelle erede di Lorenzo, era stato infatti cacciato dalla città, che ritornava ad essere democraticamente retta, e Savonarola, forte del prestigio acquisito presso il popolo, favorì la riforma della costituzione fiorentina in senso repubblicano e democratico e si adoperò per far approvare diverse leggi a favore del popolo stesso, divenendo in pratica il vero capo della repubblica.

Egli vagheggiava una forma di Stato perfetto in cui i valori cristiani fossero il fondamento del reggimento della città. Cristo stesso sarebbe stato a capo della nuova repubblica fiorentina. In un'opera sull'arte del governo egli avrebbe infine compiutamente esposto la propria visione di questo regime teocratico, amministrato però dai laici, utopico vagheggiamento di un uomo che voleva che lo Stato fosse retto secondo la pratica della virtù. Tuttavia, in una città avvezza più allo scontro che alla pacifica convivenza, impregnata di odi e rivalità, Savonarola con la sua instancabile attività diede luogo alla nascita di nuove fazioni contrapposte. Condannando infatti con veemenza i costumi corrotti, il vizio e il degrado di popolo e signori, si procurò molti sostenitori, ma anche fieri avversari. Fu così che nacquero in Firenze nuove consorterie: i Frateschi, detti poi spregiativamente Piagnoni (fautori di Savonarola), e i Compagnacci (giovani gaudenti che irridevano il frate domenicano).

Ad essi si affiancavano schieramenti dalle caratteristiche più spiccatamente politiche quali gli Arrabbiati (schierati contro il predicatore e fautori del governo oligarchico), ed i Palleschi, sostenitori del partito mediceo. Passione politica e fervore religioso si mescolavano quindi pericolosamente in un'epoca che ancora non concepiva la divisione tra potere temporale e spirituale e vedeva lo scettro e la tiara in continua competizione per il dominio della società cristiana. Nel 1495 Savonarola, dopo un breve periodo di inattività, riprese a predicare. Diventava però sempre più forte l'opposizione degli Arrabbiati, i quali riuscirono ad ottenere che per decreto il frate non potesse più parlare pubblicamente, se non in occasione della festa dell'Ascensione. In questo clima di intimidazione i Compagnacci arrivarono addirittura a scatenare un tumulto durante una sua predica in Santa Maria del Fiore.

Solo il raccogliersi in preghiera da parte di Savonarola e l'aver poi mostrato un crocefisso ai facinorosi sedò la rivolta. Questo episodio spinse molti cittadini a schierarsi dalla sua parte, ma convinse altri a chiedere per lui la scomunica come eretico e perturbatore della quiete pubblica. L'8 settembre del 1495 papa Alessandro VI richiese quindi a Fra Girolamo di recarsi a Roma per discolparsi di tutte le mancanze che gli venivano attribuite dai suoi nemici. Egli scrisse allora una lunga lettera al pontefice nella quale rispondeva a tutte le accuse mossegli e chiedeva ad Alessandro VI di segnalargli i punti delle sue prediche in cui vi fossero idee eretiche. Girolamo nel suo scritto spiegava le ragioni per cui non poteva inoltre recarsi a Roma (salute malferma, minacce di morte), ma affermava anche che l'avrebbe fatto appena possibile. Nella lettera prometteva infine far sapere al papa quali fossero gli argomenti delle sue predicazioni.

Nacque così il libro "Cumpendium revelationum", che fu inviato anche al duca Ercole d'Este in un raro esemplare. Finalmente giunse la revoca al divieto di predicazione e la voce di Fra Girolamo tornò a farsi udire dal pulpito nel febbraio 1496. Quando poteva, Girolamo si dedicava anche allo scrivere ed in questo periodo espose proprio nel libro "Semplicità della vita cristiana" ciò che aveva trattato nelle sue predicazioni, cercando inoltre in esso di esplorare l'essenza del Cristianesimo. Profonda speculazione ed abilità oratoria avevano ulteriormente accresciuto la fama del frate domenicano, divenuto ormai insostituibile arbitro delle vicende cittadine. Tra il '95 ed il '98 a Firenze ci si aspettava però da un momento all'altro la scomunica per il frate, allora priore di San Marco.

A Roma era assurto al soglio pontificio papa Borgia che vedeva nel domenicano un nemico delle sue mire su Firenze, la quale rifiutava, secondo il consiglio di Savonarola, di aderire alla Santa Lega promossa dal pontefice contro la Francia. Sempre più veementi erano inoltre le invettive di Savonarola contro l'indicibile corruzione di Roma, personificata proprio dal pontefice stesso e dai suoi figli, ambiziosi e spietata quanto il padre. I Piagnoni continuavano intanto a sostenere il predicatore, confermati nelle loro convinzioni dalle sempre più numerose conversioni e dall'affluenza in Firenze di stranieri desiderosi di udire le parole di salvezza del mirabile predicatore. Tutto ciò creava in città un clima nuovo, soprattutto grazie a quella semplicità cristiana predicata e vissuta in prima persona da Savonarola stesso.

Malgrado tutto questo, il 18 giugno del 1497 venne promulgata la scomunica del frate e di tutti i suoi seguaci. Savonarola in una lettera al papa chiese giustizia, la verifica delle calunnie rivoltegli e causa della scomunica. Il papa fu colpito dall'accento sincero ed accorato della missiva, ma nulla valse a fargli mutare giudizio, tanto rilevanti erano gli interessi in gioco.

All'inizio del 1498 Fra Girolamo riprese la predicazione, convinto di doverlo fare in nome di Dio, anche se in opposizione alla Chiesa. Firenze però rischiava sempre più di pagare questo atteggiamento del Savonarola, che, pregato di fermarsi, non si diede per vinto e continuò in nome di quel Signore al quale aveva sempre obbedito. Firenze, tuttavia, rischiava l'interdetto, una misura punitiva che privava i fedeli dei riti sacri, senza però rifiutare loro la comunione con la Chiesa, ma che poteva sul piano pratico portare all'isolamento della città con gravi danni economici. Diventava perciò sempre più necessario per una parte dei cittadini far tacere Savonarola, poco importava che egli fosse colpevole o innocente.
Per il bene della città era necessario che la sua voce non turbasse più gli ingenti interessi che rischiavano di venire lesi dall'interdetto. Nuovo, violento, avversario di Fra Girolamo fu dunque in questo periodo Fra Mariano da Genazzano, un predicatore forse invidioso del successo del rivale presso il popolo ed inoltre sensibile ai dettami delle alte gerarchie della Chiesa, e soprattutto del pontefice.

Nelle sue prediche egli riversò sull'odiato antagonista calunnie, insulti e accuse sboccate che affrettarono un giudizio definitivo ed ingiusto nei riguardi del priore di San Marco, che pure aveva infine sospeso la predicazione, ma era stato sostituito da tre frati domenicani che ricalcavano le orme del loro maestro. Un altro avversario, Fra Francesco di Puglia, avrebbe addirittura sfidato coloro che appoggiavano Girolamo ad accettare la prova del fuoco, quell'ordalia usata da secoli per dirimere controversie irresolubili se non attraverso il ricorso al giudizio divino. Toccare oggetti roventi o camminare su braci ardenti, quasi senza danni, sanciva infatti indubitabilmente l'innocenza dello sventurato sottoposto a tali prove.

La Chiesa aveva condannato questa pratica, ma l'avventato progetto di Fra Francesco venne raccolto da Fra Domenico e da altri che, sottoponendosi alla prova, intendevano far giustizia di tutte le calunnie che avevano infangato la reputazione di Savonarola. Dinanzi ad un notaio venne quindi firmato un documento che imponeva l'esilio al perdente, ma se entrambi i contendenti fossero rimasti gravemente ustionati, la pena sarebbe stata comminata solo contro Savonarola! Questi era fortemente contrario a tutto ciò e, non potendo predicare, aveva espresso per iscritto il suo scontento, promettendo però le preghiere di tutti perché Domenico superasse la prova, nella speranza anche di vedere infine confermato il ritorno a Dio di tanti fiorentini. I preparativi per la prova del fuoco furono fatti, ma diverse dispute ritardarono il tutto e, venuta ormai sera, un terribile acquazzone bagnò la legna, impedendo così lo svolgersi della sfida tra la delusione del popolo che desiderava godersi lo spettacolo.

Il drammatico epilogo di questa contrastata vicenda era stato solo temporaneamente rimandato. La domenica delle palme gruppi di Compagnacci si avviarono verso San Marco. Lungo il cammino bruciarono la casa di Francesco Valori, gonfaloniere e seguace di Savonarola, uccidendo sua moglie, la domestica ed un bimbo in fasce. Lo stesso Valori venne assalito per strada ed assassinato. Questi esaltati proseguirono poi verso la loro meta. Qui trovarono i frati in preghiera, ma ugualmente li assalirono. Ne nacque uno scontro che lasciò sul campo ben cento vittime tra morti e feriti. Fra Girolamo decise allora di consegnarsi alle autorità fiorentine. Egli fu rinchiuso in una piccola cella, detta "dell'Alberghetto" e posto sotto sorveglianza.

Per decidere il destino del frate domenicano e di tre suoi confratelli venne quindi convocato il Gran Consiglio, anche se esso non aveva la facoltà di processare i religiosi. Si fu così costretti a chiedere al papa uno speciale permesso, che venne prontamente concesso in cambio dell'assicurazione che poi i rei sarebbero stati mandati a Roma. Nel tribunale che avrebbe giudicato Savonarola furono sostituiti alcuni membri a lui favorevoli con altri suoi oppositori in modo tale da avere la certezza di una sua condanna. Savonarola fu anche torturato perché si voleva da lui la confessione di aver tramato contro lo Stato.

Solo dopo una settimana di supplizio della corda, che lo privò quasi dell'uso delle braccia, egli venne riportato nella propria angusta cella. Qui ritrovò un po' di pace ed un carceriere pietoso gli portò dei fogli, una penna e l'inchiostro per scrivere. In quegli ultimi giorni vergò un commento al salmo "Miserere" , una delle opere più preziose e toccanti di Girolamo. Nella solitudine della celletta egli ebbe anche il tempo di riesaminare la propria vita e il proprio operato e venne spesso assalito dal dubbio di aver sbagliato in diverse occasioni, offendendo così Dio, che pure aveva sempre inteso servire.

Il 19 maggio da Roma arrivò la delegazione che recava la sentenza di morte che il papa stesso aveva firmato. Cominciò quindi il processo ecclesiastico e con questo ripresero anche le torture, finché non si arrivò alla condanna definitiva. La sera del 22 maggio venne detto a Savonarola e ai due frati che avevano scelto di non abbandonarlo che la mattina seguente sarebbero stati giustiziati. Prima impiccati e poi arsi. Fu permesso ai condannati di confessarsi. All'alba del giorno seguente i tre furono portati nella cappella del Palazzo, dove assistettero alla Messa.


La piazza della Signoria era ricolma di gente. Il palco per l'impiccagione si ergeva nel suo mezzo. L'esecuzione ebbe luogo ed il corpo esanime di fra Girolamo venne crudelmente e a lungo colpito da sassi scagliati dai più scalmanati. Poi il fuoco distrusse le spoglie del predicatore e dei suoi due fedelissimi confratelli. Firenze non avrebbe più udito quella voce e quelle parole ispirate che per dieci anni avevano acceso gli animi, sia nel bene che nel male, e che avevano senz'altro cambiato l'anima dei fiorentini.

Ci vollero molti anni prima che, grazie all'opera di alcuni suoi convinti discepoli, il frate domenicano venisse riabilitato. In un periodo in cui la Chiesa era stata infangata persino dal comportamento degli stessi pontefici egli aveva sognato per essa un ritorno all'antica dignità per essere nuovamente all'altezza di Cristo e del Suo insegnamento. Ancora oggi, quindi, a Firenze nell'anniversario del martirio del frate vengono sparsi fiori sul luogo in cui egli morì in memoria del fervore e della rigida coerenza di una coscienza intransigente che riuscì a cambiare il volto di una città.

di ELENA BELLOMO

Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
da Gianola, direttore di Storia in Network

(vedi qui i suoi 3 trattati politici del Nuovo Governo di Firenze)
(integrali e interamente digitalizzati)

qui 9 famose prediche del Savonarola > >

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