Prof. Giovanni Pellegrino

L’arco di tempo che intercorre tra l’ascesa al trono di Nerva nel 96 e la morte di Marco Aurelio nel 180, è stato definito spesso l’epoca d’oro della storia di Roma o addirittura il secolo più felice nella storia del mondo.

In quel periodo, non vi furono nel complesso prolungate situazioni di guerra e l’impero sembrava in grado di garantire la sicurezza dei suoi confini e persino di espandersi ulteriormente. Lo stato era solido e ricco, dappertutto nascevano nuove città mentre le vecchie si popolavano di templi palazzi anfiteatri e strutture di servizio.

Lo sviluppo delle città non è naturalmente un fenomeno specifico del II secolo d.C. anche se raggiunse in questo periodo il suo culmine. Dobbiamo dire che dal punto di vista degli antichi greci e romani, la città rappresentava l’unica forma possibile della vita associata. In definitiva l’impero romano fu in primo luogo una rete di città anzi esso appariva, nel suo insieme, una sola immensa metropoli .

In questa epoca l’economia era vivace e gli scambi intensissimi perché la situazione di relativa sicurezza all’interno dei confini e nel Mediterraneo, facilitava i commerci e la navigazione. D’altra parte i prodotti romani si diffondevano ben al di là delle frontiere politiche dell’impero. Infatti merci manufatti e monete di fabbricazione romana sono state rinvenuti ai quattro angoli del mondo dalla Norvegia alla Libia e alla Cina.

La forza di una economia, si coglie anche nella spiccata mobilità sociale cioè nella possibilità, per chi sia nato in condizione di povertà, di uscire dalla propria situazione di svantaggio e di raggiungere alti livelli di benessere.
Certo, aristocratici si nasceva e così continua ad essere anche in epoca imperiale, ma ricchi si poteva diventare. Poteva accadere e di fatto accadeva che uomini nati schiavi, lasciassero in eredità patrimoni più consistenti di quelli dei loro ex padroni oppure che, semplici soldati, nati in provincia, arrivassero a diventare imperatori .

Alla crescente mobilità sociale si accompagnava la progressiva diffusione, della cittadinanza romana . Anche in questo caso si trattava di un fenomeno che aveva accompagnato l’intera storia di Roma. Acquisire la cittadinanza non significava solo, entrare in una condizione privilegiata dal punto di vista dei diritti della posizione di fronte alla legge. Infatti per i membri delle classi agiate, rappresentava la possibilità di accedere alle carriere pubbliche, come ufficiali dell’esercito e della flotta o come magistrati e senatori, da qualsiasi punto dell’impero, almeno in linea di principio era possibile per un cittadino spiccare il grande salto che portava a Roma, nel cuore stesso del potere.

Il punto culminante di questo lungo processo, venne raggiunto nel 212, quando l’imperatore Caracalla estese la cittadinanza a tutti gli abitanti liberi dell’impero.
Con l’editto di Caracalla, nasceva per la prima volta nella storia, una realtà politica in cui tutti, dall’imperatore agli ultimi dei braccianti erano accomunati dalla condivisione della stessa condizione giuridica .
Se poi avesse trasformato quello che prima era un mondo, in una sola immensa città, nell’anno 100 (ma la situazione rimase sostanzialmente la stessa anche un secolo dopo ) qualsiasi abitante dell’impero poteva andare ad Alessandria d’Egitto a Londra o da Roma a Gerusalemme, senza mai dover attraversare una frontiera viaggiando su strade solide e sicure .

In qualsiasi città avesse deciso di fermarsi, avrebbe trovato qualcuno che parlava una lingua comune, ovvero il latino. Se poi avesse voluto curare il corpo oppure divertirsi, terme e teatri erano presenti in tutti i centri dell’impero. Inoltre in qualche libreria o biblioteca della Gallia o della Britannia, avrebbe persino trovato le opere letterarie migliori e più alla moda.

Gli storici hanno parlato a tale riguardo di romanizzazione, un processo che portò alla diffusione delle leggi, degli stili di vita, della cultura e nei culti romani, nelle diverse aree dell’impero.

L’impero si fece così sempre più omogeneo e si attenuarono progressivamente le differenze tra l’Italia e le province. Il cuore del potere restava naturalmente a Roma, nei territorio periferici vennero coinvolti a pieno titolo nel benessere generale dell’età antonina.

Del resto, la progressiva estensione della cittadinanza, contribuiva anch’essa a rendere meno significativa che in passato, la distinzione tra dominatori romani e i sudditi provinciali. Questa rinnovata importanza delle province fu evidente in particolare, all’epoca di Adriano. Egli non solo trascorse praticamente l’intero suo regno, visitando ogni area dell’impero, ma dovunque si recasse promuoveva la fondazione di opere pubbliche, l’abbellimento delle città e la riorganizzazione dei vasti latifondi imperiali

All’epoca di Traiano, l’avvocato e senatore Plinio il Giovane destinò, una quota consistente delle proprie sterminate ricchezze, alla fondazione di una biblioteca nella sua città natale Como che ne era sprovvista .
Tra l’altro Plinio, non soltanto stanziò i fondi necessari alla costruzione della struttura e all’acquisto dei volumi, ma si preoccupò anche di istituire una rendita annuale per i lavori di manutenzione e l’ampliamento del patrimonio libraio.

Questo, è un esempio fra i tanti del cosiddetto evergetismo, la tendenza cioè dei ceti ricchi del mondo greco romano a destinare una parte del proprio patrimonio ai fini di utilità sociale, come la costruzione o il restauro di edifici pubblici, la pavimentazione di strade, il finanziamento di acquedotti o strutture termali e così via.
In cambio, il donatore veniva onorato con iscrizioni e statue che manifestavano la gratitudine della città, che immortalavano il suo nome a futura memoria.

Il fenomeno non nacque nel II secolo, ma raggiunse allora il suo culmine . Dobbiamo dire che esso rientrava nell’etica ciclica delle aristocrazie antiche.
Nonostante lo sviluppo economico e i lati positivi che abbiamo in precedenza evidenziato nel II secolo d.C., la società romana era caratterizzata da profonde diseguaglianze ed inoltre venne affermandosi una nuova distinzione tra
honestiores i ceti più ricchi e humiliores quelli più umili .

Per arginare la pericolosità sociale dei ceti più poveri, gli imperatori ricorsero alla distribuzione di beni alimentari o di denaro all’organizzazione di grandiosi spettacoli nei circhi e negli anfiteatri.

La faccia meno luminosa del mondo sinora descritto, era rappresentata anzitutto dalla campagna . L’arresto della spinta espansionistica, dopo le ultime conquiste di Traiano, ebbe tra le altre conseguenze quella di ridurre drasticamente la disponibilità di schiavi .
Per secoli infatti la schiavitù, si era alimentata grazie all’occupazione di nuovi territori e alle conseguenti deportazioni di prigionieri. La schiavitù non smise di esistere, nella Roma imperiale, anche perché si trattava di un fenomeno, che almeno in una certa misura si alimentava da sé dato che i figli degli schiavi erano a loro volta schiavi e a un nuovo rapporto produttivo denominato colonato, appartenevano di diritto al padrone.
Il loro numero tuttavia non copriva più la domanda del mercato, proveniente soprattutto da immensi latifondi dell’aristocrazia .

Pertanto fu così che, accanto al tradizionale lavoro degli schiavi, si andò affermando a poco a poco una nuova forma di rapporto produttivo, denominata "colonato".
Anche nelle città, la ricchezza e il benessere di cui abbiamo parlato non riguardavano tutti gli individui, dal momento che perfino a Roma, la grande maggioranza dei residenti era povera e viveva in quartieri degradati dentro case-alveari continuamente esposte al rischio di crolli e incendi.

Finché era esistita la repubblica, questi ceti avevano in qualche modo svolto un ruolo politico: le assemblee popolari erano aperte anche a loro oppure essi potevano mettersi al seguito di qualche leader politico.
Da quando però con l’Impero le assemblee erano diventate un rito, privo di qualsiasi influenza reale e almeno in teoria non esisteva più l’onda politica, perché tutto il potere nelle mani di un uomo solo, i proletari di Roma erano abbandonati a loro stessi.

Tuttavia erano numerosi, frustrati dalle loro miserabili condizioni di vita e dunque potenzialmente pericolosi. Per tenerli a bada, il potere politico disponeva di due strumenti: le distribuzioni di grano a prezzo politico e i giochi del circo.

Nei primi due secoli dell’impero, la distinzione sociale tradizionale tra nobiltà e plebe venne a cadere. Al contrario dalla fine del II secolo, si affermò una nuova distinzione che separava gli honestiores “la gente per bene” dagli humiliores letteralmente “quelli che stanno in basso”.

La prima categoria comprendeva i componenti dei ceti privilegiati ( senatori e cavalieri) i soldati arrivati al termine della loro carriera le classi dirigenti locali , mentre la seconda categoria comprendeva tutti gli altri.
Tale distinzione non riguardava solo il prestigio sociale, dal momento che il suo lato più odioso consisteva nel fatto che,
honestiores humiliores divennero progressivamente diversi di fronte alla legge.
Per esempio ai primi non si potevano infliggere punizioni di carattere corporale, la pena massima della quale erano passibili consisteva, nell’esilio. Al contrario, i secondi erano soggetti tanto alla tortura, quanto alla pena di morte .
A questi cittadini di serie b è in ogni caso aperta la possibilità di arricchirsi e tentare la scalata sociale poiché i due gruppi erano rigidamente definiti ma non chiusi.

Prof. Giovanni Pellegrino

 

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