STATI UNITI

STORIA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA

Il sogno americano cominciò in quell' aprile del 1607, quando i vascelli dei primi
esploratori anglosassoni entrarono nella baia di Chesapeake.



IL NUOVO MONDO: QUASI UNA FIABA

di FERRUCCIO GATTUSO




Un tesoro sa come nascondersi: è sempre stato così. Non si concede agli uomini facilmente, e così è stato per il continente americano. Raccontano con abile penna Allan Nevins ed Henry Steele Commanger nel loro "Storia degli Stati Uniti" che, quel giorno di aprile del 1607, in cui i vascelli dei primi esploratori anglosassoni videro la baia di Chesapeake all'orizzonte la tempesta infuriava nei cieli e sul mare. Non fu facile approdare, ma quando il cielo si schiarì, fu come se il coperchio di un forziere si fosse aperto, e avesse illuminato con i suoi bagliori nascosti all'interno i visi, tormentati dal vento e dalla stanchezza, di questi uomini stupefatti. La terra che si distendeva davanti a questi pochi uomini, disposti a sfidare la morte in un viaggio lungo, a rischio di malattie e di naufragi, era bellissima. Dopotutto, qualche volta i sogni esistono, da qualche parte, e questo sogno, immenso, quasi inabitato, inesplorato e terribile era lì oltre il tramonto del sole, molto più a nord di dove, quasi più di un secolo prima, quel cocciuto navigatore italiano era approdato, convinto di essere sbarcato nelle Indie.

I vascelli giunti nella baia di Chesapeake erano comandati dal capitano inglese Christian Newport, a bordo di esse, tra gli altri, c'era anche un altro capitano, quel John Smith che passerà alla leggenda come il primo uomo a mettere piede sul suolo nordamericano, il "Louis Armstrong" della colonizzazione americana. "Bei prati, alberi straordinariamente grandi, acque talmente fresche da restarne quasi incantati": le parole di questi primi coloni, riecheggiate nel Vecchio Mondo, costituirono la nuova Utopia. Un mondo nuovo, illibato, dove ricominciare.
Gli uomini al comando di Newport (
nomen omen, come direbbero i latini…) esplorarono il territorio vicino alla costa, scoprendo "fragole quattro volte più grandi e migliori delle nostre in Inghilterra", e naturalmente un villaggio di indigeni, che pacificamente offrirono loro pane e tabacco. Quella terra si sarebbe chiamata Virginia, ma non avrebbe serbato solo gioie: alcuni indigeni non erano disposti ad accettare i nuovi venuti e li attaccarono, agili e astuti. Le malattie cominciarono a diffondersi ("crudeli morbi, quali gonfiori, emorragie, febbri brucianti"). L'America non sarebbe nata se non a caro prezzo.
La colonizzazione - I coloni inglesi seppero col tempo adattarsi alle nuove condizioni territoriali e climatiche. Il terreno, molto fertile, offriva di tutto, grano a volontà, soprattutto. Oltre a due nuovi prodotti: il granoturco e la patata. Selvaggina abbondante, acque ricchissime, enormi laghi e fiumi solcavano un terreno ricco di rame, ferro, carbone. La costa orientale offriva un numero notevole di insenature, baie, approdi. Quest'ultima particolarità permise la formazione di numerose colonie, distinte l'una dall'altra, piccole ed efficienti. In poco tempo le colonie furono quindici, ed ognuna formò un proprio metodo di organizzazione e governo, da questo "seme" si può facilmente intuire la struttura federativa che sarebbe nata nel secolo successivo, una volta conquistata l'indipendenza.

Lo slancio della colonizzazione verso ovest, oltre la catena degli Appalachi, cominciò dopo qualche tempo: oltre quelle alture esisteva l'immenso bacino del Mississippi, il grande padre del cuore dell'America. Sarebbe passato altro tempo, ma non molto, perché i coloni raggiungessero, spinti dalla sete di terre ma soprattutto di oro, la costa Ovest, dove la ricca California aspettava.
Verso il 1890 la frontiera sarebbe completamente scomparsa, e un'epopea, fatta di eroismo, soprusi e sangue, sarebbe finita. La colonizzazione inglese avveniva, incredibilmente, dopo che gli spagnoli, estesisi già da decenni in Centroamerica e Sudamerica, si erano spinti nel territorio nordamericano, alla ricerca di oro, ma non vi avevano, incredibilmente, trovato nulla di interessante e meritevole di colonizzazione. Una piccola colonia sopravvisse in Florida per pochi anni, anche se la Corona di Spagna non rinunciò comunque, a livello teorico, ad accampare diritti su quell'immenso continente.

LA PRIMA COLONIA

La prima colonia britannica in terra americana nacque il 13 maggio 1607 ad Hampton Roads: qui un gruppo di soli uomini fondò Jamestown: un fortino, una chiesa, uno spazio e qualche capanna. Poco più di tre secoli dopo da quell'embrione sarebbe nata la più grande potenza mondiale. Il villaggio fu dominato dittatorialmente dal già citato John Smith: la coltivazione del tabacco stimolò lo sviluppo della colonia. Dodici anni dopo, però, la popolazione non della sola Jamestown, ma di tutta la Virginia, era ancora di soli duemila abitanti: fu così che venne deciso - e questa è storia e non leggenda - di far arrivare dall'Inghilterra una nave con a bordo novanta ragazze, destinate a diventare le mogli di quei coloni che si fossero potuti permettere le spese del viaggio delle future consorti.
Il 30 luglio 1619, nella chiesa di Jamestown, nasceva il primo governo rappresentativo della storia d'America: la prima assemblea decise la propria composizione, e cioè un governatore, sei consiglieri e due cittadini eletti da ogni piantagione. Quello stesso anno, ad agosto, giunsero i primi schiavi di colore, portati da una nave olandese: la Virginia cominciava a sviluppare il proprio sistema di monocultura e schiavismo, che due secoli dopo l'avrebbe portata a combattere contro il Nord industrializzato nella Guerra Civile (1861-1866).

Più a nord, in quello che sarebbe divenuto il Massachussetts, una congregazione di calvinisti inglesi, i Padri Pellegrini, sarebbero approdati a bordo di una nave chiamata Mayflower, l'11 dicembre 1620, in fuga dalle persecuzioni della Chiesa anglicana. Quasi tutti provenienti dalla contea di Nottingham, questi coloni avevano tre figure carismatiche: il pastore John Robinson, William Brewster e William Bradford, studiosi, idealisti e ovviamente religiosissimi.
Lo sviluppo della colonia del Massachussetts non fu prevedibilmente facile: metà degli uomini morirono di scorbuto durante l'inverno, e l'approccio con gli indiani non fu pacifico. Questi Padri pellegrini, però, erano decisi a resistere: la leggenda racconta che Canonicus, capo dei Narraganset, inviò ai coloni una simbolica minaccia, un fascio di frecce avvolte in una pelle di serpente. William Bradford seppe rispondere: inviò una pelle piena di pallottole. Chi avrebbe vinto lo scontro tra queste due civiltà, così bene simboleggiato da questo aneddoto, è cosa nota.

Nel 1629 le coline britanniche erano già numerose, e Londra inviava decine e decine di navi dall'altra parte dell'oceano. Nel maggio di quello stesso anno sarebbero giunti presso Salem, nel Massachussetts cinque vascelli con quattrocento coloni, tutti di credo puritano. L'anno seguente nasceva Boston, e altre sette nuove città. La colonia del Massachussettss cresceva a vista d'occhio e diede vita ad altre colonie, futuri stati. Come il Rhode Island, fondato da Roger Williams, pastore di Salem, radicale convinto della netta separazione tra Stato e Chiesa, rifiutata dai religiosissimi puritani. Nel 1636, costui fondò una città dal nome altamente simbolico: Providence, che avrebbe dovuto essere un'oasi di tolleranza religiosa. Un altro pastore, Thomas Hooker, fondava la colonia del Connecticut, nel 1634 nasceva il Maryland, guidato da un uomo di idee liberali, Cecil Calvert. Come il Rhode Island, anche il Maryland divenne un centro di tolleranza religiosa, dove però la classe dirigente era di credo cattolico e la popolazione protestante.

Nel 1664, dopo quarant'anni di dominazione olandese, tre navi da guerra britanniche avrebbero sbarcato uomini alle porte di New Amsterdam: la città sarebbe stata conquistata facilmente (la popolazione non gradiva il governo dispotico di Peter Styvesant e benchè olandese, accolse gli inglesi) e sarebbe divenuta New York.
Vent'anni dopo nascevano la Pennsylvania e il Delaware, per intervento del ricco filantropo William Penn che intendeva costituire una colonia "ideologica" fondata sui principi quaccheri, una setta cristiana integralista ma pacifica. Nacque così la città di Filadelfia, il cui nome significa "città dell'amore fraterno". Questo e altri nomi di città e villaggi ben simboleggiavano l'incrollabile ottimismo che muoveva i primi coloni.


L'avvento delle Compagnie commerciali
Tra le molte ragioni che sono alla base della massiccia emigrazione di genti britanniche in America nel XVII secolo (oltre alla già citata persecuzione religiosa) c'erano i vantaggi commerciali perseguiti dalla Compagnie commerciali, che operarono in primis in Virginia e Massachussetts, e la concessione di proprietà. Per il colono che giungeva oltreoceano ottenere una proprietà terriera, anche cospicua, non era difficile, tanto più che vigeva la legge britannica secondo cui tutto ciò che non apparteneva alla Corona poteva benissimo essere considerata merce d'acquisto e di scambio. I membri più facoltosi, soprattutto in Viriginia, gettarono le basi del latifondismo. Alcuni nobili ricevevano in dono (o perché creditori dello stesso re) estesi territori dalla Corona, come Lord Baltimore che ottenne da Carlo I le terre tra il fiume Potomac e il 40° parallelo, che chiamò Maryland; o William Penn, che ottenne, in quanto creditore, la Pennsylvania da Carlo II.

Le Compagnie commerciali, invece, cercavano in America il Bengodi: le Compagnie di Londra, di Plymouth, di Bristol avevano il potere di distribuire terre, gestire miniere, addirittura battere moneta e avere un esercito di difesa delle colonie. Le Compagnie praticamente possedevano le colonie e le amministravano, e solo se la "ditta colonia" fosse andata incontro a fallimento, essa sarebbe passata sotto la Corona britannica.
Nei primi tre decenni del XVII secolo l'emigrazione dai paesi anglosassoni fu sostenuta: su quei vascelli e "tra quei coloni - come scrivono in modo suggestivo Nevins e Commanger - c'erano gli antenati di Franklin, degli Adams, di Emerson, di Hawthrone e di Abraham Lincoln".

Le migrazioni subivano rallentamenti a seconda dei rivolgimenti politici nella Madrepatria: quando nel 1642 scoppiò la guerra civile in Inghilterra l'esodo dei puritani diminuì, perché sotto Cromwell la situazione era per loro sicuramente meno critica. Contemporaneamente, però, iniziò l'esodo dei cavalieri che raggiunse la massima intensità nel 1649, quando Carlo I fu decapitato e cominciò la dittatura cromwelliana. I "cavalieri" si trasferirono soprattutto in Virginia che, da colonia a base popolare e povera, divenne così affollata di ricchi benestanti. Tra costoro, il bisnonno di George Washington - primo presidente degli Stati Uniti - giunto in Virginia nel 1657. Eppure sia in Massachussetts che in Virigina la maggior parte dei coloni apparteneva alla classe media.

I governi autonomi delle colonie
I coloni si organizzavano, naturalmente secondo i principi e le leggi della Madrepatria: la mentalità liberale inglese, le radici di un popolo che aveva combattuto per la libertà sin dalle prime lotte per i diritti civili nel XIII secolo (la Magna Charta) non potevano che fiorire in una terra che offriva nuove opportunità. La prima Carta della Virginia recitava che i coloni avrebbero goduto delle libertà "come se fossero nati e domiciliati in questo nostro Reame d'Inghilterra". Common Law e Magna Charta regolavano quindi la vita sociale e giuridica delle colonie.
La lotta per un forte sistema rappresentativo delle colonie, nei confronti della Corona britannica, non fu però facile. La prima assemblea legislativa fu quella della Virginia, nel 1619, che si scontrò subito con il re e con il suo massimo rappresentante in loco, il governatore. L'assemblea della Virginia stabilì il principio - importantissimo - che il governatore non poteva imporre tributi senza il placet dell'assemblea, che essa stabiliva l'entità delle tasse, e che i membri dell'assemblea dovevano godere di immunità, parlamentare diremmo oggi.

Seguì il Massachussetts, dove nel 1632 il potere assoluto di John Winthrop e la sua oligarchia si videro limitare il potere da un'analoga assemblea. Per arrivare a questo, però, ci volle una vera e propria ribellione in armi. Winthrop aveva stabilito un governo di stampo teocratico puritano dove lui e dodici aristoi prendevano decisioni per la colonia. Non solo: le cariche erano ereditarie! Fu - premonizione della Rivoluzione che sarebbe avvenuta decenni più tardi - una tassa ingiusta (per finanziare la difesa) imposta alla città di Watertown che scatenò una rivolta dopo la quale i coloni ottennero la composizione di un Consiglio formato da due delegati per ogni città appartenente alla colonia. Dieci anni dopo il sistema divenne bicamerale, con la formazione di una Camera alta, formata dagli assistenti del Governatore. La Corona nominava il Governatore, il popolo i membri delle due Camere.

Il primo embrione di una Costituzione scritta redatta da una comunità americana (e in effetti il primo in tutto il mondo occidentale) sono invece gli Ordinamenti fondamentali del Connecticut, realizzati nel 1639: con essi le istituzioni ammesse diventavano il Governatore, i suoi assistenti e una Camera bassa composta da quattro deputati per ogni città, eletti dal popolo. Trent'anni più tardi, il Connecticut ottenne dalla Corona (la restaurazione degli Stuart) eccezionali libertà: i coloni potevano governarsi indipendentemente, sempre che avessero rispettato le regole vigenti nel Regno Unito. Nelle stesse particolari condizioni si vanne a trovare il Rhode Island. Connecticut e Rhode Island divennero così le uniche due colonie perfettamente autonome, democratiche e popolari: le altre colonie erano o di proprietà (privata o delle Compagnie) o "regie". In ognuna di esse - questa la grande trasformazione che avrebbe condizionato gli eventi successivi - il Governatore proveniva dall'Inghilterra, ma i membri delle Camere erano cittadini americani.

Questi "americani" avevano ora in mano tre vittorie: innanzitutto gli ordinamenti scritti, cioè "contratti costituzionali", che garantivano le proprie libertà (in Inghilterra, si sa, non esiste una Costituzione scritta), poi un potere legislativo che ben controllava quello esecutivo del Governatore, e infine il potere di controllo delle spese e di conseguenza della tassazione.
"Non è esatto -recita
La storia degli Stati Uniti di Nevins-Commanger - affermare che le colonie britanniche fossero tiranneggiate; in sostanza, esse godettero di una libertà politica sconosciuta nei secoli XVII e XVIII in tutte le altre parti del mondo; indubbiamente subirono però a lungo il governo di caste. La teocratica Nuova Inghilterra aveva un'oligarchia che occorreva abbattere: nel Sud, invece, nobili proprietari terrieri e mercanti cercavano di assicurarsi un monopolio politico".
Chiesa e Stato nelle colonie - Sete di libertà politiche e tolleranza religiosa si dimostravano due caratteri fondanti della società americana. Le colonie accoglievano sette religiose provenienti da ogni parte del Vecchio mondo. Nel Massachussettss e nel Connecticut, però, la Chiesa puritana per molto tempo era stata tutt'uno con lo Stato. Soprattutto nel primo vigeva un vero e proprio governo teocratico, basato su le seguenti regole: chi non era puritano non aveva diritto di voto, ogni cittadino doveva essere praticante religioso, potevano esistere altre confessioni ma dovevano subire l'approvazione della Chiesa principale. Fino al 1691 il Massachussetts restò ancorato a queste rigide regole: in quell'anno una Costituzione concesso da Guglielmo d'Orange rese il Massachussettss un provincia regia e la teocrazia decadde. " La teocrazia ebbe al suo attivo un solo grande merito - scrivono Nevins e Commanger - L'austera e arcigna organizzazione puritana resistette all'invadenza di Carlo II con una fermezza accanita, che influì potentemente sullo sviluppo della libertà politica del Nuovo Mondo. Questa resistenza spianò notevolmente la strada all'idea dell'indipendenza politica raggiunta poi nel secolo successivo".

Le colonie si trovavano, così, alla fine del XVII secolo, simili per istituzioni e per formazione popolare: in quasi tutte la lingua parlata era l'inglese, la gente cominciava a sentirsi non dipendente dalla Corona ma semplicemente "americana", valori come la libertà d'espressione, di stampa e di assemblea assursero ad un culto che si può definire religioso. La fusione di varie popolazioni (tedesche, inglesi, olandesi, etc…) si sposò naturalmente con uno spiccato individualismo e senso d'intraprendenza. Lo spirito di concorrenza tra coloni e l'abbattimento di ogni tipo di monopolio veniva sentito come diritto naturale, in una terra che offriva tanto, tantissimo, a tutti.
Un ultimo, importante, elemento si era andato sviluppando tra i coloni: essi, decisi a vivere, costi quel che costi, in quel nuovo mondo che offriva ricchezze ma anche sacrifici e pericoli, sentivano di condividere uno speciale destino: come americani, in una terra vergine e ricca, questo destino potevano offrire loro qualsiasi cosa, se solo la avessero saputa cogliere.
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Sempre più pesante ed esoso il potere inglese sui territori conquistati
dai Padri pellegrini dopo l'aprile del 1607. A tal punto che… …


SCOPPIA LA GUERRA

ED È INDIPENDENZA - L'identità americana


La nazione americana nasceva intorno ad alcuni valori condivisi da tutte le colonie: innanzitutto l'uso della lingua inglese, largamente predominante, la presenza di un governo e di un assemblea rappresentativi (le colonie francesi e spagnole erano semplicemente emanazioni della Corona oltreoceano e non avevano assemblee popolari) e una diffusa tolleranza religiosa e civile, che comprendeva come valori fondamentali la libertà di espressione, di stampa, di riunione. A questi valori va aggiunto lo spirito di iniziativa individuale, percepito come primaria libertà della persona nei confronti dell'Autorità e del Monopolio: nessun potere, politico o economico, avrebbe potuto limitare l'individuo. Da questo principio sarebbe derivato quello supremo enunciato nella ventura Costituzione, secondo cui i cittadini americani, qualora il potere non li avesse più rappresentati, avrebbero avuto il diritto di rovesciarlo.

Questo spiccato individualismo avrebbe costituito una base egualitarista, vista come concessione delle stesse opportunità ad ognuno: da questo punto di partenza sarebbe cioè partita la concorrenza, la corsa "al benessere e alla felicità". Ovviamente queste libertà - che nella Costituzione sarebbero state enunciate come diritti dalla nascita, non concessi cioè dall'Autorità ma naturali - erano percepiti come un patrimonio da condividere tra i coloni, e non includevano gli schiavi di colore che, ad ondate sempre più consistenti venivano sbarcati in Virginia.

Un elemento fondamentale per lo sviluppo di un'identità americana, che avrebbe costituito il seme della rivoluzione, furono- paradossalmente - le guerre contro i francesi, che durante la Guerra d'Indipendenza dalla Corona britannica sarebbero divenuti alleati.
Il confronto con le colonie spagnole e francesi si faceva inevitabile, dal momento che esse si estendevano a nord (Canada) e a sud (Florida), e che da subito fu chiaro l'importanza del controllo del continente nordamericano. Il confronto, però, non aveva solo mere ragioni politico-strategiche, ma assumeva una connotazione culturale e, se si vuole, spirituale e religiosa. Nevins e Commager sostengono che i conflitti tra colonie britanniche da una parte e spagnole e francesi dall'altra non fu nient'altro che l'ennesimo confronto dell'eterna lotta tra la cultura latina e quella anglosassone. Conflitti tra idee e culture, quindi, tra l'assolutismo dei paesi continentali cattolici e la democrazia tipica del protestantesimo inglese.

Nelle colonie spagnole un'oligarchia militare e commerciante soggiogava gli indigeni seguendo un sistema di stampo feudale. I conquistadores e i loro amici e soci dal grande potere economico permisero quindi la nascita di una società drammaticamente divisa in una minoranza ricchissima e latifondista e di una massa di sfruttati poverissima, impedendo sul nascere lo sviluppo di una classe media. Le colonie francesi, dal canto loro, sfoggiavano un regime rigidamente centralista e dipendente in tutto e per tutto da Parigi: i coloni non vennero mai incoraggiati a risolvere i problemi locali da soli, bensì seguendo direttive scrupolose della Corona.
Nelle colonie inglesi, invece, le comunità si organizzavano autonomamente, e si arricchivano di una continua emigrazione, sviluppata e sostenuta dalla Corona, senza discriminazioni di ceto o religione. Spagna e Francia consentivano esclusivamente l'emigrazione ai cattolici. Questo comportò che, nel giro di pochi decenni, le colonie inglesi possedevano una popolazione molto più ricca (fino a venti volte superiore!) di quelle spagnole e francesi.

L'insediamento in Florida degli spagnoli, risalente al 1565, non aveva solide basi: gli spagnoli avevano raggiunto il continente nordamericano alla ricerca di oro e preziosi e quando videro che quell'immenso territorio offriva solo ricchezze naturali si erano limitati a mantenere in loco un governatorato militare senza fulgide prospettive. La Spagna era molto più interessata a consolidare la propria influenza nel continente centro e sudamericano.
I francesi, invece, si erano insediati in quella zona che oggi è il Canada: nei primissimi anni del XVII secolo nasceva così la Nuova Francia grazie all'operato del giovane Samuel Champlain, soldato e marinaio, fondatore del Quebec, prima colonia permanente europea nella Nuova Francia. Nel 1628 nasceva così la Compagnia della Nuova Francia, voluta fortissimamente dal cardinale Richelieu. Dal 1660 in poi, con il regno di Luigi XIV, la politica coloniale francese diventerà molto attiva: il re Sole credeva, con grande lungimiranza, in quel Nuovo Mondo.

Le guerre contro i francesi - Le guerre furono una costante nella storia delle coloni: la lotta per l'esistenza comportava continui conflitti con le popolazioni cosiddette indiane. Nel XVII secolo le guerre indiane coinvolsero inglesi, spagnoli e francesi. Coloni e tribù indiane si impegnarono nelle più svariate alleanze per poter sconfiggere i propri rivali storici. Solo intorno al 1682 un trattato di pace tra il fondatore della Pennsylvania William Penn e gli indiani stabilì un certo periodo di calma. Calma apparente perché, fra il 1689 e il 1763, Inghilterra e Francia si sarebbero affrontate in quattro guerre, che passeranno alla storia come le guerre della lega di Augusta (1689-97), di successione spagnola (1792-13), di successione austriaca (1744-48) e dei Sette Anni (1756-63). Le prime tre erano una semplice emanazione dei conflitti principali in atto nel Vecchio Continente. I coloni, soprattutto i coloni inglesi, le percepivano senza dubbio come "guerre straniere", comunque imposte, e infatti nella tradizione popolare sarebbero passate alla storia con i nomi dei tre monarchi, e cioè guerra del re Guglielmo, della regina Anna e del re Giorgio. In ogni caso, i coloni inglesi sapevano che queste guerre si sarebbero rivelate utili per poter vincere l'eterna sfida con i rivali francesi nel continente nordamericano.

Furono, quelle con i francesi, settant'anni di guerre che videro spesso a mal partito le colonie inglesi, anche se nell'ultimo conflitto, la guerra dei sette Anni, tutto cambiò a favore degli inglesi. William Pitt, chiamato al governo da re Giorgio II, inviò oltreoceano un esercito di 2.000 uomini, un corpo che sarebbe passato alla storia coloniale come l'armata più numerosa mai vista nel continente nordamericano. Non solo: in loco Pitt ordinò l'arruolamento di altrettanti 25.0000 soldati "provinciali": nel 1758 gli inglesi ripresero città importanti perdute nelle guerre precedenti, come Louisbourg, tagliarono i collegamenti tra le colonie francesi del Canada e del Mississippi. Nel 1759 gli inglesi avrebbero attaccato il Canada da tre direzioni: dalla foce del san Lorenzo, dal lago Ontario e dal lago Champlain, e dopo l'importante vittoria nella pianura di Abraham (12 settembre 1759) il Quebec finì in mano agli inglesi. Un anno dopo gli inglesi sarebbero entrati in Montreal. Con il trattato di Parigi del 1763 gli inglesi ottenne il Canada e tutte le colonie francesi ad est del Mississippi. Gli inglesi avrebbero poi "acquistato la Florida" dagli spagnoli, barattandola con Cuba e le isole Filippine (strappate peraltro dagli inglesi agli stessi spagnoli nelle guerre precedenti).

Da questo settantennio di conflitti la Corona britannica usciva come l'indiscussa prima potenza coloniale: il suo dominio militare si estendeva su terra e, soprattutto, sui mari, poiché la potentissima flotta battente la Union jack dominava tutta la costa orientale del continente.



Guerra come presa di coscienza
Le guerre contro i francesi avevano indubbiamente contribuito a far sorgere nei coloni americani (cominciavano infatti a definirsi così, "americani") un senso di unione e di comunanza di interessi e di valori. I coloni del Massachussetts, della Virginia, del Maryland e di tutte le altre colonie britanniche avevano combattuto, erano morti e sopravvissuti fianco a fianco, e ciò aveva costituito, per la prima volta, un legame che si sarebbe rivelato indissolubile.
Le guerre avevano anche attenuato il legame tra le colonie e la Corona da un punto di vista militare: i coloni si erano resi conto che le proprie truppe avevano combattuto con altrettanta foga, e soprattutto altrettanta efficienza, dei soldati regolari sbarcati dalla Gran Bretagna. Alcuni giovani comandanti americani, come Washington, avevano dimostrato perizia e intelligenza tattica e strategica superiore ai tanto incensati comandanti britannici. I soldati delle colonie avevano infatti eletto in modo semplice e meritocratico i propri ufficiali, mentre quelli britannici provenivano dall'aristocrazia ed erano nominati con decreto.

Dopo le guerre con i francesi l'amministrazione britannica si fece più rigida: il dominio continentale britannico imponeva una maggiore difesa dei confini e generava gelosie da parte delle potenze rivali, il che imponeva una maggiore tassazione per il rafforzamento non solo militare, ma commerciale. A ciò si aggiunse il fatto che la corona pensò a sviluppare un rapporto particolare con le colonie. Quest'ultime avrebbero fornito le materie prime alla Madrepatria (zucchero, tabacco, eccetera), che avrebbe successivamente venduto alle colonie i prodotti industriali.
Il seme del futuro conflitto tra le colonie e la Madrepatria britannica sorse da uno scontro di forma e sostanza: la sostanza era che tra le colonie e Londra vigeva una sorta di sottinteso federalismo (le assemblee locali avevano un potere decisionale indubbio), la forma era che, giuridicamente, l'impero britannico era accentrato: il Parlamento britannico e la Corona, cioè, avevano i pieni poteri sulle colonie, percepite come "territorio britannico".

Nel periodo che va dal 1760 al 1776 la rivoluzione cominciò a diventare un'ipotesi possibile, ma solo in una minoranza intellettuale e mercantile della popolazione coloniale. Nel luglio 1776, quando veniva scritta la Dichiarazione d'indipendenza, solo una parte dei coloni americani era veramente convinta della necessità di dividersi dalla madrepatria: un terzo almeno di essi era contrario (i famosi lealisti) e un altro terzo era assolutamente indifferente al problema. Fu la guerra rivoluzionaria, combattuta tra il 1776 e il 1781, con la sua deriva inevitabilmente repressiva da parte dei soldati britannici, a cambiare il sentimento popolare e ad unificare i coloni nell'ideale indipendentistico.

I motivi della rivoluzione
La Rivoluzione Americana nasce, indubbiamente, come lotta per la libertà economica, e non è assolutamente un caso che, negli Stati Uniti (aggiungiamo noi: giustamente) il principio di libertà economica sia indissolubilmente intrecciato con quello della libertà tout court. Dalla libertà di decidere dei propri soldi sarebbero venute tutte le altre libertà: è questo il grande insegnamento dell'unica Rivoluzione che non sia stata sbugiardata dalla Storia, e che non sia passata dagli ideali al Terrore.

Il giro di vite dell'amministrazione britannica che si sviluppò dopo le guerre con i francesi danneggiava, per motivi diversi, le colonie mercantili del Nord e quelle agrarie del Sud. Nonché quelle, pionieristiche, degli speculatori terrieri dell'Ovest. Non si può tenere conto, però, anche di quanto scrive Maldwyn A. Jones nella sua Storia degli Stati Uniti, e cioè che "quale che fosse l'opinione americana, lo scopo britannico nel riformare il vecchio sistema coloniale non era di istituire una tirannia, ma di affrontare le conseguenze della guerra". La Corona britannica si trovava infatti di fronte ad alcuni seri problemi, non ultimo quello di dare un governo per 80.000 francesi canadesi, genti differenti per lingua e religione, e che non conoscevano le leggi britanniche. "Ma soprattutto - come scrive ancora Jones - l'improvvisa trasformazione di quello che era stato un impero commerciale in uno territoriale richiedeva nuovi provvedimenti per la difesa".

Certo, l'amministrazione britannica avrebbe dovuto tenere in maggior conto la sensibilità in materia economica dei coloni americani, ma destino volle che il primo ministro a quel tempo fosse George Grenville, che non si dimostrò realmente cosciente della particolarità del rapporto tra Gran Bretagna e colonie d'oltreoceano. Le nuove leggi di navigazione (secondo le quali solo navi inglesi potevano trasportare prodotti delle colonie lungo la costa e nel Vecchio Mondo) danneggiavano soprattutto le colonie del Nord: queste infatti, a differenze delle colonie meridionali, non potevano pagare in prodotti importanti le merci importate, ma dovevano ricorrere al denaro. Per ottenere moneta, quindi, esse sviluppavano un inteso commercio con le Indie occidentali (le Antille), esportandovi grano, carne, legname e ricevendo in cambio cotone e zucchero.

Un altro florido commercio era quello schiavista con l'Africa. Quando il parlamento britannico votò misure restrittive, la cui arma erano tasse esose, su qualsiasi tipo di commercio tra le Indie occidentali e le colonie, il malcontento fu forte. La legge sullo zucchero del 1764 rinforzò queste misure coercitive che erano cominciate decenni prima, nel 1733. Nello stesso anno una nuova tassa sull'esportazione di merci dal continente alla Gran Bretagna esacerbò gli animi della borghesia mercantile coloniale (le tasse aumentarono, in un colpo solo, dal 2, 5 al 5%).
Il Sud veniva penalizzato per altri versi. I traffici con le Indie occidentali erano di poco valore. A creare problemi erano gli scambi con la Madrepatria, assolutamente favorevoli a quest'ultima. Materie prime per manufatti, scambi che le ditte commerciali inglesi regolavano a proprio smaccato vantaggio: gli agenti acquistavano tabacco e altre materie prime a prezzi bassissimi e vendevano manufatti (vestiario, vini, mobili) a prezzi molto alti. I possidenti terrieri cominciarono così a fare, allegramente, debiti mostruosi, firmando cambiali su cambiali. I debiti diventarono ereditari, trasformandosi in una vera cancrena per il sistema produttivo: Jefferson aveva calcolato che "all'inizio della Rivoluzione - scrivono Nevins e Commager - il debito complessivo della Virginia verso mercanti inglesi ammontasse a oltre due miliardi di sterline e stimava anche detta somma fosse venti, trenta volte tutto il denaro circolante in quella colonia".
Le assemblee legislative delle colonie del Sud, tra il 1750 e il 1770, avevano cercato di emettere leggi liberali sulla bancarotta, che cercavano di favorire i debitori, ma il Parlamento di Londra aveva reagito immediatamente. Il confronto di competenze tra il parlamento londinese e le assemblee coloniali sarebbe stato una delle scintille della Rivoluzione.

La Corona britannica stringeva il maglio anche sui territori dell'Ovest, attuando controlli polizieschi e ordinando, con una legge del 1763, che nessun nuovo insediamento potesse essere realizzato al di là della catena montuosa degli Appalachi. Tutto ciò che c'era ad Ovest era da considerarsi "chiuso" e di possedimento della corona inglese. La legge voluta dall'amministrazione britannica aveva comunque qualche motivo che la giustificasse: le tribù indiane della frontiera, che non avevano avuto felici rapporti con i commercianti bianchi che spesso li ingannavano, e temendo una progressiva espansione dei coloni verso ovest, attaccarono, al comando del capo degli Ottawa Pontiac, gli avamposti a ovest del Niagara, eccettuata Detroit. Il proclama reale dell'ottobre 1763 voleva quindi essere una misura temporanea a fini protettivi dei coloni, in attesa di stabilire una politica più utile nelle zone di frontiera. Ma questo non convinse i coloni, sensibili ad ogni coercizione.
Un'altra questione importante fu quella religiosa: i rapporti, cioè, tra la Chiesa anglicana ufficiale e le varie confessioni protestanti americane. Anche in questo caso il fattore economico svolgeva un ruolo fondamentale. I coloni si rifiutavano di pagare tasse in favore della Chiesa ufficiale, temendo la nascita di una gerarchia episcopale "alla romana".

Ulteriore questione di grande importanza era la tassazione per il mantenimento delle truppe britanniche (le cosiddette Giubbe Rosse) sul territorio americano. Le ragion di Londra erano obbiettivamente credibili: la minaccia proveniente dagli indiani e dalle potenze rivali, come la Francia, erano uno dato di fatto e imponevano una presenza militare. Londra era convinta che i coloni non potessero difendersi da sé. 10.000 giubbe rosse permanevano quindi sul territorio americano, e il loro mantenimento gravava in gran parte sui coloni.
Quelle che fu percepita dai coloni come la coercizione dal più alto valore simbolico fu però lo
Stamp Act del 1765, una legge sul bollo che prevedeva la tassazione su giornali, polizze d'assicurazione, documenti legali e di matrimonio. Questa legge colpiva non solo la categoria dei commercianti, ma l'intera popolazione americana, e danneggiava gruppi influenti come gli avvocati e i tipografi. Lo Stamp Act fu anche il motivo per cui si riunì, nell'ottobre 1765, la prima riunione intercoloniale: a New York i rappresentanti di nove colonie si riunirono in un congresso al termine del quale venne stilata una dichiarazione dei diritti, nella quale la legge sul bollo veniva denunciata come un provvedimento nocivo per "i diritti e le libertà delle colonie". Dopo questa presa di coscienza i coloni attuarono un boicottaggio economico: nessuno avrebbe più acquistato merci britanniche. La paralisi del commercio danneggiò i commercianti britannici a chiedere l'abrogazione dello Stamp Act e, solo un anno dopo, Londra accettò. Questa vittoria si rivelò fondamentale per il sentimento di unità dei coloni.

Nel 1767 un nuovo scontro - che avrebbe portato ad un nuovo boicottaggio e ad una nuova vittoria delle colonie - nacque dai cosiddetti dazi di Townshend, tasse sul tè, sul vetro, sulla carta voluti dal cancelliere dello scacchiere Charles Townshend. Townshend istituì la creazione di un comitato americano composto da commissari doganali che, con base a Boston, avrebbe esercitato uno scrupoloso controllo. Nel giro di tre anni (nei quali si verificarono diversi disordini, tra cui il cosiddetto massacro di Boston, enfatizzato dalla mitologia rivoluzionaria americana, ma in realtà uno scontro a fuoco di minime proporzioni dove le giubbe rosse uccisero cinque coloni, dopo aver cercato di evitare l'impiego della violenza fino all'ultimo) questi dazi vennero cancellati, ad importante eccezione di quelli sul tè. Il dazio sul tè veniva mantenuto da Londra come "segno ella supremazia del parlamento", e per questo assurse a vera e propria quaestio tra coloni e amministrazione britannica. Inevitabile scattò, da parte dei coloni, il boicottaggio economico, arma che si era rivelata potentissima nel recente passato: a Charleston il tè venne scaricato dalle navi britanniche ma la popolazione impedì che fosse messo in vendita, a New York e Philadelphia i coloni impedirono che venisse sbarcato e lo fecero tornare in Inghilterra, ma fu a Boston - il 16 dicembre 1773 - che avvenne la dimostrazione più spettacolare e simbolica, l'impresa che passò alla storia come il Boston Tea Party.

Un gruppo di rivoluzionari, comandati da Sam Adams e travestiti da pellirosse salì sulle navi inglesi e gettò a mare tutto il carico del tè. L'impresa esacerbò gli animi da entrambe le parti, e fu presa a Londra come una provocazione che necessitava di una pronta e dura risposta.

Verso la rivoluzione
All'inizio del 1774 il parlamento britannico reagiva approvando una serie di leggi repressive (chiamate
Coercive Acts, ma che tra i coloni assunsero il più polemico nome di Intolerable Acts) che imposero la chiusura del porto di Boston fino a quando i coloni non avessero pagato un indennizzo per la distruzione dei carichi di tè, la modifica della Carta del Massachussetts (il governatore nominato dalla Corona aumentava in poteri rispetto all'assemblea legislativa), la traduzione in Inghilterra degli imputati di omicidio nei casi di scontri tra esattori e rappresentati della corona e coloni, e infine il Quebec Act, che estendeva i confini del Canada a tutto il nord dell'Ohio e ad ovest degli Allegani.
Le misure contro il Massachussetts, invece che isolarlo, lo trasformarono in simbolo della difesa delle colonie. Una nuova riunione intercoloniale venne decisa dalla Virginia nel maggio 1774: il 5 settembre i rappresentanti di dodici colonie (tra cui mancò la "lealista" Georgia) si riunirono a Philadelphia per quello che passò alla storia come il primo congresso continentale: nell'assemblea si notarono futuri padri della patria come George Washington, Benjamin Franklin, John Adams. Nel frattempo sorgevano come funghi per tutte le colonie assemblee rivoluzionarie e congressi provinciali.

Fu l'inverno 1774-75 la culla della rivoluzione: i coloni cominciarono ad organizzarsi militarmente, mentre il generale Thomas Gage, nuovo governatore regio del Massachussetts ordinava alle giubbe rosse di rastrellare le abitazioni dei coloni per sequestrare polvere da sparo e armi. In una di queste spedizioni, verso Concord dove si conosceva l'esistenza di un importante deposito d'armi, l'esercito regio fu fermato nei pressi di Lexington, il 19 aprile 1775: la strada era interrotta dalla milizia rivoluzionaria del Massachussetts. Lo scontro fu inevitabile. Dopo diverse scaramucce gli inglesi raggiunsero Boston, che a quel punto venne assediata dai ribelli. La Rivoluzione Americana era cominciata.

La Rivoluzione Americana
Il 10 maggio 1775 a Philadelphia si riuniva il secondo Congresso continentale, nel quale si decise la difesa militare delle colonie. Al comando supremo delle forze ribelli - 20.000 uomini - fu posto, il 15 giugno, un giovane comandante di nome George Washington: questi si sarebbe dimostrato, nei sei anni di guerra indipendentistica, un carismatico condottiero ma non altrettanto un abile comandante militare. Washington avrebbe perso diverse importanti battaglie (rischiando, a pochi mesi dalla vittoria finale, la destituzione) ma non l'ultima e decisiva.
La nomina di Washington aveva motivazioni essenzialmente politiche: mettere a capo dell'esercito ribelle un virginiano, ricco piantatore, avrebbe rassicurato i conservatori del Sud riguardo ad un possibile egemonia all'interno delle file rivoluzionarie dei radicali. Per quanto possa sembrare strano oggi, i rapporti con le spinte dichiaratamente indipendentistiche erano ancora in minoranza. "Mentre tutti i delegati erano decisi a preservare i diritti americani - scrive Jones - la maggioranza sperava ancora di poterlo fare nel quadro dell'impero. C'era ancora moto affetto per la Gran Bretagna e una diffusa convinzione che la causa americana godesse di un vasto appoggio da parte inglese. […] Il 5 luglio il congresso approvò l'Olive Branch Petition (la petizione del ramoscello d'ulivo), in cui si professava lealtà verso Giorgio III e ci si appellava a lui perché impedisse ulteriori misure ostili in modo da favorire la stesura del piano di riconciliazione".

La Corona non avrebbe ragito così amichevolmente: il 22 dicembre il
Prohibitory Act avrebbe sancito che le colonie ribelli sarebbero state escluse dalla protezione della Corona e colpite da un embargo commerciale.
Nel frattempo, 17 giugno, sarebbe avvenuto uno degli scontri più sanguinosi della guerra: a Bunker Hill, presso Boston, gli inglesi agli ordini del generale William Howe sconfissero i ribelli dopo tre cruenti attacchi frontali, ma alla fine le giubbe rosse contavano almeno 2500 morti, i ribelli la metà. Londra aveva compreso, dopo molte esitazioni, che la guerra andava affrontata con tutti i mezzi possibili. Vennero così reclutati 30.000 mercenari tedeschi e aumentato lo stanziamento delle truppe regie in territorio americano. Contemporaneamente - seguendo il principio che la penna può fare più vittime che la spada - un libello scritto dall'inglese Thomas Paine a favore degli americani convinceva questi ultimi della necessità di ribellarsi alla corona e perseguire ideali repubblicani. Common Sense - questo il titolo dell'opera - vendette in pochissimo tempo, nel 1776, 120.000 copie.

Il 2 luglio il Congresso americano delle colonie unite approvò all'unanimità la risoluzione di Richard Henry Lee la quale che "queste Colonie Unite sono, e debbono essere di diritto, stati liberi e indipendenti". Questa clamorosa approvazione(il vero 14 luglio degli americani) portò all'approvazione della Dichiarazione d'indipendenza di due giorni dopo. Nascevano così gli Stati Uniti, affidandosi ad un testo scritto dal pugno di Thomas Jefferson, con qualche aiuto da parte di Benjamin Franklin e John Adams. Il testo dava una giustificazione etica e idealistica alla ribellione e sarebbe divenuto il testo libertario più antico della storia dell'umanità. Gli uomini venivano "creati uguali", nel perseguimento della libertà e della ricerca della felicità.

All'alba della guerra la superiorità britannica sembrava schiacciante, eppure diversi fattori (tra cui non bisogna dimenticare la non eccelsa conduzione dell'esercito regio da parte di alcuni generali) contribuirono alla vittoria dei ribelli. A favore degli inglesi c'era senza dubbio il fatto che gli americani non formavano un vero e proprio esercito. I coloni si arruolavano per periodi ristretti di due o tre mesi, non volevano combattere troppo distanti da casa e, clamorosamente, si ritiravano, almeno nei primi tempi, dalle file de combattenti come e quando volevano. Washington non sapeva alla sera quanti uomini avrebbe potuto lanciare in combattimento la mattina seguente, e arrivò a rimanere al comando di una banda di soli duemila uomini. A favore degli americani c'era invece la maggiore conoscenza del territorio e il fatto che, per Londra, non era certo facile mantenere un esercito oltreoceano, con equipaggiamento pesante e rifornimenti continui.
Le prime sconfitte subite da Washington sono per la fine dell'estate del 1776. Il generale britannico Howe sbarcò a Staten Island, nei pressi di New York, per conquistare la città. Lo schieramento militare organizzato dal futuro presidente degli Stati Uniti fu clamorosamente errato e il 27 agosto i ribelli vengono aggirati e sconfitti. La sconfitta totale viene evitata semplicemente a causa della lentezza delle truppe di Howe nell'inseguire gli americani in rotta. New York cadde comunque facilmente in mani inglesi, e non avrebbe più cambiato padroni fino alla fine della guerra. Il generale Howe fu uno dei maggiori responsabili della sconfitta finale poiché, legato alle vecchie tradizioni guerresche, pur avendo in mano tutto il New Jersey ed essendo a pochi chilometri da Philadelphia, preferì, invece che approfittare della contingenza favorevole, acquartierarsi per l'inverno. Una pausa forzata, questa, che Washington non si aspettava e che permise ai ribelli di colpire fugacemente le linee britanniche con tecniche di guerriglia e di recuperare uomini e forze.

Nel Natale del 1776 Washington seppe decimare un'intera guarnigione di mercenari tedeschi assoldati dalle giubbe rosse (a Trenton) e un'altra guarnigione nemica, a Princeton. Nonostante questi mordi e fuggi dei ribelli, il generale Howe attese fino all'estate del 1777 per tornare a muovere i suoi uomini su un campo di battaglia. A settembre, sempre vicino a Philadelphia, l'esercito regio sconfisse due volte gli americani, i giorni 11 e 26, riprendendosi Philadelphia, dove avrebbe posto i suoi nuovi quartieri d'inverno. Washington si ritirava a Valley Gorge, trenta chilometri distante, leccandosi le ferite. Nell'estate successiva, un esercito al comando del generale britannico John Burgoyne, di stanza in Canada, preparò un'offensiva che, dal nord, avrebbe dovuto ottenere il controllo della valle dell'Hudson, isolando la Nuova Inghilterra. "Quando partì dal Canada - scrive Jones - a metà giugno del 1777, [Howe] si sentiva sicuro di riuscirci da solo. Ma aveva sottovalutato le difficoltà di una campagna in un ambiente selvaggio. Appesantito da un enorme seguito di salmerie (trenta carri erano infatti necessari soltanto per lo splendido guardaroba del generale, soprannominato, Gentleman Johnny, e per la sua riserva di champagne), il suo esercito si trovò in difficoltà sempre maggiori nello spostarsi lungo strade bloccate e ponti distrutti.

All'inizio dell'autunno la sua marcia era stata arrestata dalla crescente opposizione americana e dalla mancanza di rifornimenti". E fu così che le forze di Howe, indebolite da diserzioni di coloni lealisti canadesi e di alleati indiani, si ridussero ad appena 5000 uomini (erano partiti dal Canada in 10.000), a più di 300km dai rifornimenti canadesi. Circondato ad est da un grosso esercito di ribelli che andava formandosi sulla costa e a sud dalle truppe comandate dal generale americano Horatio Gates (17.000 uomini), Howe si vide costretto a prendere due opposte decisioni: o ritirarsi verso il punto di partenza a gambe levate o cercare di sfondare le linee nemiche in direzione per raggiungere Albany, a soli 30 km. Howe decise per lo scontro, ma perse. Dopo due tentativi di sfondamento, le giubbe rosse vennero circondate a Saratoga e decimate: il 17 ottobre i soldati inglesi si arrendevano al nemico.

Saratoga ebbe una grande importanza propagandistica nelle file dei ribelli e di coloro che stavano pensando a supportarli. Come i francesi, desiderosi di prendersi una rivincita dopo le sconfitte del recente passato. Gli spagnoli furono, invece, per un atteggiamento di neutralità, ma certo confidavano come i francesi in una limitazione del potere britannico sul continente. Dopo Saratoga la Francia scende in campo accanto agli americani, grazie ad un efficace poltiica diplomatica di Benjamin Franklin a Parigi.
Il 6 febbraio 1778 venivano stipulati due trattati franco-americani, uno commerciale, l'altro un'alleanza a scopo difensivo. Nel giugno dello stesso anno la Francia entrava in guerra ufficialmente: Francia e Stati Uniti avrebbero combattuto fino alla vittoria (e cioè fino all'indipendenza americana) e non avrebbero firmato una pace unilaterale. L'anno seguente la Spagna entrò in guerra con la Gran Bretagna ma senza supportare gli americani, bensì i francesi, poi seguirono gli olandesi, mentre Russia, Svezia e Danimarca si proclamavano neutrali, ma in chiave anti-inglese.

Londra, isolata, intravide l'ombra della sconfitta. Per gli americani, invece, il problema fu di genere opposto: la vittoria, sembrando vicina, fiaccò le file dei ribelli. Gli uomini di Washington facevano la fame a Valley Forge, gli uomini di Horatio Gates se ne tornavano a casa, certi che il più era stato fatto. Per la primavera del 1778, comunque, le file dell'esercito americano tornarono ad ingrossarsi: un ricco riequipaggiamento , ma soprattutto un efficace addestramento delle truppe da parte del barone Frederick Von Steuben - un comandante tedesco simpatizzante, idealista filo-americano - si erano rivelati fondamentali. Contemporaneamente, la Francia cominciava a guadagnare spazio anche nei mari, limitando il potere britannico.
A Sud si combatterono le ultime battaglie importanti per la vittoria finale. Anche in questo caso, furono gli inglesi a partire bene: a Savannah (29 dicembre 1778) e Charleston (12 maggio 1780) l'esercito regio aveva ottenuto due importanti vittorie, estendendo il proprio potere su tutta la Georgia e su gran parte del South Carolina e del North Carolina. A questo punto però gli inglesi fecero l'errore di credere che questi due ultimi stati fossero saldamente nelle loro mani, mentre invece la resistenza si era solo riorganizzata: una volta entrati in Virginia, le due Caroline si risollevarono. Le truppe regie, al comando del generale Cornwallis, si trovarono così isolate, e sul punto di essere attaccate dalle truppe agli ordini di Washington, supportate dai francesi. Bloccato nella penisola di Yorktown con soli 7000 uomini, Cornwallis decise, il 19 ottobre 1781, di deporre le armi.

Con la resa di Yorktown la guerra di indipendenza era praticamente finita. "Dal canto suo - scrive Jones - Londra si accontentava di restare sulla difensiva in America, pur riconquistando il dominio dei mari e il sopravvento in altre parti del mondo con vittorie tardive. L'opinione pubblica britannica era ormai disposta a concedere l'indipendenza agli americani. La guerra aveva paralizzato i commerci ed era rovinosamente costosa. L'Irlanda, prendendo esempio dagli americani, ribolliva di malcontento; in India la posizione inglese era precaria; in Europa la Gran Bretagna era pericolosamente isolata. Convinta dell'inutilità di ulteriori sforzi, la camera dei comuni votò nell'aprile 1782 la rinuncia all'imposizione della forza".

Un nuovo destino si presentava quindi di fronte agli americani e alla nazione che avevano creato. Gli uomini che guardavano partire dai porti della costa orientale, in quei giorni convulsi del dopoguerra, i centomila e più lealisti che avevano scelto la fedeltà alla Corona dirigendosi in Inghilterra e in Canada, non sapevano cosa li aspettasse. Ma sapevano che lo avrebbero affrontato da uomini liberi.

FERRUCCIO GATTUSO

Bibliografia
* Storia degli Stati Uniti, dalle prime colonie ai giorni nostri, di Maldwyn A. Jones, pp. 630 - Bompiani Editore, 1999
* America - La storia di un popolo libero, di Allan Nevins & Henry S. Commager, pp.563 - Giulio Einaudi Editore, 1947
* Storia degli Stati Uniti, di Allan Nevins & Henry S. Commager, pp. 576 - Giulio Einaudi Editore, 1960

Questa pagina
(e solo per apparire su Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net

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