PIANETA ISLAM

IRAN ecc. ecc.
(una lunga e intricata storia.... ancora in corso)


La rivoluzione khomeinista


ANTECEDENTI : Henry Kissinger, Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca e segretario di Stato con la presidenza di Nixon e Ford (1969-1976), per aver concretizzato la politica di Nixon che condusse a una conferenza di pace e alla tregua nella guerra del Vietnam (il 23 gennaio 1973 - anche se poi il vero e proprio conflitto terminò nel 1975), ricevette il premio Nobel per la Pace, insieme al vietnamita Le Duc Tho (che lo rifiutò).

Prima ancora che terminasse definitivamente la sciagurata guerra in Vietnam (30 aprile 1975 - seguita dall'evacuazione di tutti i soldati americani) il 13 gennaio dello stesso anno, su "Business Week" comparve una esplosiva intervista di Kissinger, dove avvertiva del "rischio di uno "strangolamento" dell'Occidente, da parte dei produttori di petrolio; pertanto non deve essere escluso il ricorso a un intervento militare". Insomma sta per finire una sciagurata guerra e gìà si pensa - in qualche modo di farne un'altra. Ma contro chi, nessuno lo sa.

Eppure la vera rivoluzione Khomeinista è ancora da venire (1978), la guerra di Saddam all'Iran è ancora lontanissima (1980-88); quella di Saddam al Kuwait pure (1990-91); i virulenti contrasti religiosi islamici devono ancora iniziare; l'Opec (dov'è compresa anche il Venezuela) ha dettato agli Usa le sue legittime condizioni; inoltre l'Iran in questi primi anni '70 è ancora in mano allo scià Riza Pahlavi, che però da tempo ha (opportunistici) strettissimi rapporti con gli Stati Uniti.
Perchè allora questo atteggiamento di Kissinger?
Sembra che indipendentemente dai fatti sopra - che appunto devono ancora accadere - tutto è già stato deciso. E saranno proprio queste decisioni che determineranno in seguito i fatti sopra. Se volessimo citare un detto popolare, potremmo utilizzare quello che dice "non svegliare il can che dorme". Anche perchè in quegli anni da un pezzo era finito l'arrogante vecchio sistema colonialista ("sbarca e prendi"). Perfino i tribali governi dell'Africa nera, hanno lottato e ottenuto la propria indipendenza e cacciato gli occidentali.
Figuriamo quei popoli con una millenaria tradizione alle spalle, come quelli del Medio Oriente, se rimanevano passivi davanti alla minaccia kissingheriana di uno stravolgimento politico e religioso, o se restavano indifferenti davanti al pericolo che correvano le proprie tradizioni.

Possono nascere dentro i popoli contrasti interni e far crollare i governi per difetti statici (vedi appunto lo Scià) perchè ogni Stato può essere rivoluzionato dall'interno anche se ha in comune fra le varie fazioni le tradizioni secolari, ma è anche vero che gli urti dall'esterno possono farlo invece ricompattare un popolo, fargli dimenticare i contrasti, consolidare il proprio governo e ancora di più attingere alle proprie tradizioni religiose secolari (vedi appunto Khomeini che sa come sfruttarle, appellandosi alla atavica maomettana JIHAD).

QUI ORA DOBBIAMO NECESSARIAMENTE ANDARE INDIETRO NEL TEMPO

All'inizio della seconda guerra mondiale, l'Iran (nome poi dato nel 1935 dallo scià Riza Khan - fondatore della dinastia Pahlavi) in sostituzione di quello di Persia (Iran significa "terra degli Arii", nome smaccatamente nazionalistico) anche se aveva proclamato la propria neutralità, apparentemente parteggiava per i tedeschi (fino allora i principali partner commerciali dell'Iran) che nel giugno 1941 avevano invaso l'Unione Sovietica. Quest'ultima divenuta alleata dell'Inghilterra in funzione antinazista, con i propri militari, uniti a quelli inglesi, il 25 agosto 1941, con il pretesto di dare la sicurezza ai campi petroliferi, occupavano le regioni settentrionale e meridionali del Paese; costrinsero (perchè lo scià non volle avallare quell'arbitraria occupazione) abdicare e andare in esilio Riza Khan, e misero sul trono -il 16 settembre- il figlio Riza Pahlavi. Filo-occidentale, opportunista e con ambiziosi programmi, fondati sull'investimento dei proventi del petrolio che lui avrebbe potuto vendere ai paesi occidentali, giocando ovviamente al rialzo visto che sia la Gran Bretagna che l'Urss miravano a fine guerra proprio ai campi petroliferi iraniani esistenti e a nuove concessioni.

Con il nuovo più malleabile scià, gli occupanti Gran Bretagna e Urss, firmarono un trattato (29 gennaio 1942) promettendo che una volta annientati i tedeschi, avrebbero rispettato la sovranità del Paese e che nell'arco di sei mesi avrebbero ritirato le proprie forze d'occupazione. Ma - non essendo la guerra finita - i due alleati oltre che occupare il Paese si riservarono il diritto di utilizzare le vie di comunicazione iraniane, oltre che il petrolio; il che consentì nei successivi tre anni di inviare in Russia imponente materiale per lo sforzo bellico sostenuto dai sovietici contro le armate naziste e dirifornirli di una quantità impressionante di carburante.

Se per lo scià Riza Pahlavi questi patti anglo-russi rispondevano ai suoi ambiziosi progetti ed erano quindi di suo pieno gradimento, non lo erano affatto per la popolazione iraniana, insofferente alla presenza di stranieri nel proprio Paese, ma anche perchè da tempo le varie minoranze etniche (ma anche quelle religiose e quelle ideologiche) avevano durante il governo del vecchio scià espresso spiccate tendenze autonomiste.
La lunga occupazione anglo-russa (ripetiamo durò 3 anni) non fece altro che dare una spinta a queste tendenze, soprattutto dopo l'avvenuta disintegrazione dell'esercito iraniano disciolto dagli occupanti. Tutti soggetti frustrati che andranno così ad ingrossare le file degli scontenti; e più tardi saranno poi seguaci (o comunque non ostili) di Khomeini. Iniziano così le prime rivolte. Cominciano i Curdi in Azerbaigian, il 22 gennaio 1946 proclamano la repubblica curda di Mahabad, presieduta dal giudice Qazi Mohamed. Non è una impresa scellerata o irrazionale, i Curdi nel tracciare i confini della loro repubblica ricalcano - almeno nella parte iraniana- quelli tracciati dal Trattato di Sevres con la Turchia (1920), che - dopo le numerose rivolte kurde nei decenni precedenti- finalmente riconosceva al popolo curdo l'autodeterminazione e l'indipendenza,

Ma a Versailles nel 1919 dove i trattati di pace e le divisioni o unioni di territori si facevano all'ingrosso con il badile, si erano limitati a stabilire un regime transitorio suscettibile di trasformarsi in piena indipendenza. E anche il già citato sopra Trattato di Sevres dell'anno successivo prevedeva che una commissione franco-britannica-italiana elaborasse entro sei mesi un progetto di autonomia per "le regioni in cui domina l'elemento kurdo" entro un area resa però imprecisata dal riferimento alla "frontiera meridionale dell'Armenia, come sarà determinata in seguito". Questo "in seguito" non ci fu mai, anche perchè quell'Armenia prevista dentro i confini ottomani (diversamente da quella sovietica) non vide mai la luce.

La Società delle Nazioni doveva garantire il diritto dei Curdi, ma sia il progetto, sia le garanzie rimasero sulla carta. E i Curdi nella lunga e infinita attesa della nascita del loro Stato, promesso ma sempre negato, rimasero divisi e senza una Patria, fra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Urss (ca. 12 milioni in Turchia, il 24% della popolazione totale turca; ca. 6 milioni in Iran, 12%; 4 milioni in Iraq, 24%, 1 milione in Siria, 10%; mezzo milione in Urss.)
E se per conquistare questa indipendenza, si azzardavano a fare rivolte o dimostrazioni, queste finivano in un bagno di sangue. Repressioni che non fecero altro che alimentare una intermittente guerriglia. Soprattutto verso la Repubblicana Turchia, che ha sempre ricusato l'esistenza stessa dei Curdi, definendoli semplicemente "Turchi di montagna". Ma anche guerriglia contro l'Iran che il governo di Teheran definiva "comunisti", e quella repubblica Mahabad che era sorta, "rossa".
Le cose non migliorarono nemmeno con lo scià Riza Khan fino al 1941 quando -come detto sopra all'inizio- fu destituito dagli anglo- russi, e misero sul trono il più "servizievole" filo-occidentale figlio Riza Pahlavi.

Così sotto la sua guida, anche nelle rivolte indipendentistiche scoppiate nel 1945-1946, il governo di Teheran cercò di reprimere il sogno autonomistico, nonostante la strenua difesa da parte del comandante dei curdi Barzani. L'"avventura" dei Curdi iniziata il 22 gennaio 1946, durò nemmeno un anno, il 15 dicembre il Mahabad kurdo era nuovamente occupato.

Ma il governo di Teheran in questa repressione fu ostacolato dalle autorità sovietiche, che i fermenti autonomistici etnici (e soprattutto quelli ideologici, ovviamente di sinistra) li vedevano di buon occhio, volendo far sbarcare il comunismo anche in Iran. Ed essendo i russi fino al '46 ancora presenti nell'occupazione dei territori, erano stati loro a incoraggiare la nascita di Repubbliche autonome in Azerbagian, nel Kurdistan, oltre che la nascita nel resto del Paese di gruppi politicizzati di sinistra contro i nazionalisti di matrice liberale. La compagine che vantava la più lunga attività era la Tudeh (letteralmente "le masse") di ispirazione marxista, fondata fin dal 1921, che declinò solo quando alla fine del '46 i sovietici evacuarono dall'Iran settentrionale, perchè la Tudeh fu colpita dalla dura repressione governativa di Riza Pahlavi.

I russi con una decisione dell'Onu furono invitati a lasciare l'Iran, e loro che avevano sperato di ottenere alcune concessioni petrolifere se ne tornarono a casa con le pive nel sacco. Gli inglesi invece rimasero per difendere le loro compagnie con qualche appoggio internazionale; ma non dagli USA, che anzi per far perdere l'egemonia petrolifera agli arroganti inglesi, fin dal 1933 aveva iniziato a inviare una montagna di miliardi ai russi per mettere in ginocchio l'Inghilterra; fino a far diventare l'Urss il secondo produttore mondiale di petrolio. ( relazione del 1936, fatta da Giovanni Bellincioni del Consiglio Nazionale delle Ricerche ).

Ma purtroppo per loro alla fine del grande conflitto gli inglesi militarmente e anche politicamente non contavano quasi più nulla (pur essendoci in Iran le varie compagnie petrolifere da anni presenti - come l'Apoc, Anglo Persian Oil Company, poi AIOC, Anglo Iranian Oil Company) e trovatisi gli inglesi in difficoltà nel reprimere i vari moti, autonomistici, etnici, politici e religiosi, lo Scià (con tempestivo opportunismo) chiese l'appoggio dell'Onu e degli Stati Uniti, e con i consiglieri militari e finanziari inviati da Washington a Teheran, Riza Pahlavi riuscì con la loro mediazione a far abbandonare il territorio ai sovietici e a ristabilire progressivamente la sovranità nell'intero Paese, anche se per ottenerla scatenò una massiccia repressione in quelle zone settentrionali considerate "rosse" (i ribelli della Tudeh). Ma ne approfittò anche per dare il benservito agli inglesi e buttarsi nelle braccia degli americani.

Perchè questo improvviso declino degli inglesi? La causa: furono loro stessi, per la loro ingordigia e la loro arroganza. Torniamo al 1933; quell'anno avevano negoziato con il vecchio Scià le concessioni petrolifere su una base potenziale, più che effettiva; allora non erano ancora stati scoperti i grandi pozzi; nè il petrolio nel '33 era prezioso e vitale come all'inizio degli anni '50. Ma anche per l'Iran era ormai diventato il petrolio la vitale risorsa principale del Paese, pur prendendo le briciole perchè non avevano avuto fino allora alcuna possibilità di controllare i conti forniti dall'AIOC. Le royalty versate dagli inglesi infatti non superavano il 12%, una vera elemosina, fra l'altro senza conoscere il governo iraniano le effettive quantità estratte. Che a fine guerra mondiale si stimavano in dieci volte di più di quelle negoziate nel '33. E se così veramente era, gli iraniani incassavano come royalty in termini monetari poco più dell'1 % del petrolio estratto dagli ingordi inglesi.

Nel 1951, proprio su questi controversi punti, la situazione si fece tesa. Il nuovo premier iraniano Mohammed Mossadeq, con l'entusiastico favore delle masse, decise di nazionalizzare l'AIOC, la holding che sfruttava per quattro soldi gli sterminati giacimenti petroliferi.

Era quella di Mossadeq una prova di forza e gli inglesi risposero con altra prova forza esibendo le cannoniere al largo di Abadan e impedendo alle petroliere di tutti i Paesi di rifornirsi del greggio iraniano, diventato sotto il nuovo regime conveniente, perchè non più in mano agli inglesi. Ma questi oltre la prova di forza, si spinsero oltre, fecero abbandonare ai loro numerosi tecnici gli impianti d'estrazione, congelarono nelle loro banche in Inghilterra tutti i depositi iraniani, dichiararono sui mercati internazionali che il petrolio iraniano era sotto il loro controllo, e minacciarono ritorsioni contro chiunque lo avesse acquistato direttamente da Teheran.

Ma gli inglesi pur facendo vedere i muscoli e promuovendo il boicottaggio, non riuscirono a risolvere la situazione. E videro in un intervento dei cugini americani le speranze per una rinascita dell'AIOC. Ma sbagliarono di grosso a fare questi conti "senza l'oste". Gli Iraniani di Riza Pahlavi, per risolvere la propria situazione, di rivolgersi agli americani ci avevano già pensato prima, se non altro perchè gli statunitensi in Venezuela messi nella stessa situazione nel 1947, (affamati di petrolio com'erano) avevano già rinegoziato le concessioni e aperto la propria borsa concedendo al Paese gli aumenti delle royalty.

Gli americani colsero al volo i contrasti fra Iraniani e Inglesi, e più ingordi di loro, in sordina si erano già attivati; in un ufficio del Dipartimento di Stato di Washington, con la benedizione di tutti gli autorevoli presenti (Allen Welsh Dulles, direttore della Cia; suo fratello Jhon Foster, segretario di Stato; il generale Bedell Smith, sottosegretario di Stato; Charles Wilson, segretario alla Difesa; Loy Henderson, ambasciatore americano a Teheran e Kermit Roosevelt il regista) avevano varato in gran segreto l'"OPERAZIONE AIAX".
Nel frattempo lo scià, per non farsi condizionare dalla politica di Mossadeq fin dal 1949 aveva preferito andare in esilio. Dove? guarda caso negli Stati Uniti. Eccolo a fare il cow boy in Arizona, mentre a Washington veniva concepito il "piano Aiax".

Per prima cosa in Iran scoppiarono delle rivolte, una specie di "strategia della tensione", tesa a dimostrare che il governo di Mossaddeq era incapace di mantenere l'ordine. E un primo tentativo di destituirlo ci fu, ma fallì. Le rivolte si susseguirono per mesi e mesi, e Mossaddeq salutato all'inizio come un "salvatore" dell'economia iraniana dalle fasce più emarginate, iniziò stranamente a perdere influenza tra gli strati popolari; anche perchè lui conservava un'idea aristocratica del potere e continuava a governare "dall'alto", pur non avendo né organizzazione di partito nè altri mezzi per partecipare al duro scontro politico (figuriamoci poi in quello militare).
La destra invece pur in minoranza, con l'appoggio organizzativo e finanziario della Cia (come oggi viene confermato anche da fonti statunitensi) organizzò grandi demagogiche manifestazioni popolari contro il primo ministro iraniano accusato di ogni nefandezza, ma soprattutto indicandolo come un servo dei Russi, e che questi miravano a quel petrolio che dicevano demagogicamente era "il dono più grande che Allah avesse fatto a tutto il popolo iraniano" (ricevendo però solo l'1% di royalty !!! )
Non servì a nulla il tardivo appoggio del Tudeh, che aveva finalmente deciso di sostenere con la sua forza organizzativa la nazionalizzazione. E pagò caro questo tardivo appoggio, perchè al ritorno dello scià il Tudeh fu poi messo fuorilegge proprio per questo appoggio. Sui "rossi" si scatenò una dura repressione.

Nell'estate del 1953, mentre lo scià era ancora nel dorato esilio-vacanza, con un golpe affidato a un suo fedele generale filo-nazista Fazlollah Zahedi, il 19 agosto la "Operazione Aiax" era nella sua prima parte pienamente conclusa. Fu rovesciato il governo di Mossadeq, lui lo arrestarono, fu poi condannato a tre anni di isolamento seguiti dagli arresti domiciliari fino alla morte.
Tre giorni dopo - il 22 agosto - lo scià rientrava a Teheran, deciso ad avviare con i denari delle nuove royalty, un rinnovamento del Paese - stile occidentale - in chiave nettamente capitalistica e mirante a privilegiare l'emergente borghesia locale, oltre che le proprie sostanze.

A Riza Pahlavi piaceva l'occidente. Fra una rivolta e l'altra, o meglio fra una fuga e l'altra, era spesso in Europa e negli Stati Uniti, facendo riempire intere pagine di giornali e riviste che si occupavano di cronache mondane. Soprattutto per le sue avventure sentimentali e matrimoniali
Era nato a Teheran nel 1919, e le avventure le aveva già iniziate a 19 anni quando il 15 marzo del 1939 si era sposato con la principessa Fawzia, sorella di re Faruk d'Egitto (guarda caso, poi abbandonato dagli Usa, ad opera dello stesso "regista" Kermit Roosevelt - perchè divenuto non più utile. La stessa sorte toccherà poi allo scià, ma lui non lo sa ancora). L'unione, dalla quale nacque una bambina, sembrò tra le più felici, quando improvvisamente, nel 1949, annunciò la sua decisione di divorziare, rimandando a casa del fratello la bellissima sposa.

Uscito indenne da un fallito attentato il 4 febbraio dello stesso anno (che attribuì frettolosamente ai comunisti, che criminalizzò mettendoli bando i Tudeh, e fece modificare la costituzione per acquisire il diritto di sciogliere il Parlamento), cominciò di nuovo a viaggiare e a fare lunghi soggiorni all'estero, al quale si disse non fosse estranea l'intenzione di cercarsi una nuova sposa.

E se prima i giornali dedicavano al principe iraniano alcune distratte pagine, da quel momento le pagine dei rotocalchi del mondo che si occuparono di lui diventarono migliaia. E le non proprio tanto indiscrete avventure sentimentali furono altrettante, a migliaia, sciorinate a destra e a manca. Fra le aspirante candidate allo "Scia di Persia" (così veniva ancora chiamato e non "dell'Iran" - il primo faceva più effetto nell'immaginario collettivo delle sue spasimanti) le più note furono una stellina di Hollywood, Selene Walters; poi la bionda Grace Kelly che da lui durante una visita a New York ricevette un favoloso anello di diamanti; poi la ex miss Universo 1948 la venezuelana Nancy De Scaffa; poi Ala, la bellissima figlia dell'ambasciatore iraniano a Washington, e tante tante altre; a turno riempivano le cronache, poi passava un mese e le aspirante al trono del pavone dopo l'avventura rientravano nell'anonimato, lasciando alle successive candidate qualche giorno di notorietà sui rotocalchi.

Fin quando Riza Pahlavi, sempre oggetto di desiderio di tante attricette, ereditiere, principesse, sposò Soraya. Ma poi ritardando a dargli un erede, ripudiò pure questa. Ricominciò la corsa delle aspiranti dell'ambito trono iraniano. Mattei che pure lui era in corsa per le concessioni petrolifere in Iran (vedi più avanti) fece approcci per favorire un matrimonio dello scià con una ex principessa italiana di casa Savoia.

Infine Riza Pahlavi sposò Farah Diba. Entrambe le due storie, quella della ripudiata Soraya e della nuova sposa Farah Diba, diedero vita a una telenovela infinita, strappalacrime. La errabonda tristezza della prima (che compariva nei vari salotti mondani di tutta Europa con grandi occhiali scuri perchè si diceva dagli occhi sgorgavano perenni lacrime), si alternava con le radiose felici immagini della seconda, smagliante al matrimonio celebrato a Teheran in una cornice da "Mille e una notte"; poi felice nei boulevard di Parigi, gioiosa sui campi di sci di Sant Moritz, sempre raggiante in tutte le manifestazioni mondane di mezzo mondo.

Dopo il golpe, dopo la fine di Mossadeq e il rientro in Iran, i rapporti di Riza Pahlavi con gli Usa si fecero sempre più stretti, fino al punto che l'Iran divenne il "Gendarme del Golfo" per conto del governo americano, che non lesinò aiuti economici e militari per fermare innanzitutto l'Urss ai confini dell'Iran o per neutralizzare la sua massiccia propaganda comunista all'interno del Paese.

Già nel 1955 Iran e Usa avevano stipulato un patto di alleanza (24 febbraio 1955) - in funzione antisovietica, con il Regno Unito, la Turchia, il Pakistan e...l' Iraq. Poi nel 1959 ci fu un vero e proprio accordo militare bilaterale. Tutta l'antica influenza britannica sia militare che economica in Iran, fu smantellata e sostituita da quella americana. Apparentemente (con un contentino) furono lasciate al governo dello Scià, possibilità commerciali (principalmente parliamo di pozzi petroliferi, concessioni per nuovi sfruttamenti, ecc. ecc.) di stipulare "convenzioni alternative" e concorrenziali. In queste, il presidente dell'Eni italiano, Enrico Mattei, cercò di sfruttare alcune opportunità che le si offrivano, e nel '57 riuscì a stipulare un contratto con condizioni talmente favorevoli, da suscitare l'allarme delle "Sette Sorelle" , del governo degli Stati Uniti e anche della stampa americana che espresse commenti poco lusinghieri per l' ingrata Italia. Nel New York Times - all'Italia gli si rimproverava di "non mantenere i patti stipulati nel dopoguerra" e rimproverava direttamente Mattei di "...avere rotto gli equilibri del mercato dei prodotti petroliferi, scavalcando e danneggiando con la sua egoistica autonomia non solo gli interessi delle grandi compagnie (le 7 sorelle), ma anche compromesso futuri equilibri politici".


Infatti Mattei con i suoi contratti rompe l'abituale misera percentuale offrendo prima il 50%, fifty -fifty, poi il 75 %. Ma fa ancora di più, perchè Mattei non è estraneo ad un avvenimento politico ed economico di importanza planetaria: la nascita, il 9 settembre 1960, dell'OPEC, Organisation of Petroleum Exporting Countries, cui aderiscono Iran, Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Venezuela. L'OPEC infatti è la riprova di una nuova presa di coscienza del proprio ruolo da parte dei Paesi produttori di petrolio, e Mattei ha giocato un ruolo fondamentale dimostrando loro che i "diktat" delle 7 sorelle non erano inconfutabili. Quando pochi mesi dopo, nel 1961, la prima petroliera piena di greggio proveniente dall'Iran attraccava al porto di Bari, questo sbarco rappresentò un grosso successo personale di Mattei. Ovviamente poco gradito commercialmente dalle 7 sorelle e politicamente dal governo statunitense.

Ma oltre agli "attacchi" degli Usa, nascono anche invidie in Italia. Troppo potere, troppo denaro, troppi onori, risultato: Mattei si fa tanti nemici.
E questi ultimi aumentano quando Mattei vola nel Mediterraneo e all'Est, con il suo personale aereo, e va a fare altri contratti con il Marocco, la Libia e perfino con l'Urss. Wall Street si allarma. Mattei sta facendo crollare quelle posizioni commerciali dominanti che sembravano ormai consolidate. Facendo vacillare pure quelle politiche.
Ma accade subito dopo un fatto: alle 18,55 del 27 ottobre 1962 l'aereo personale di Enrico Mattei, in avvicinamento all'aeroporto di Linate proveniente da Catania, si schianta al suolo vicino a Bascapé, in provincia di Pavia.
Mattei muore carbonizzato. Una fine tragica la cui dinamica non è stata mai chiarita. Una fine però che non sorprese nessuno, tanti erano i nemici. Fu accertato il sabotaggio ma le responsabilità rimasero un mistero. C'e' chi avanzò le ipotesi della Mafia siciliana collegata a quella americana (ricordiamo qui, che la Sicilia era stata esclusa da Mattei dal Piano Energetico Nazionale), e chi avanzò ipotesi politiche fra i suoi avversari. Del resto lui stava dirigendo uno dei piu' delicati settori dell'economia come le fonti energetiche. Quindi Mattei condizionava molto la politica italiana. Quando non erano ancora nati i grandi gruppi della "razza padrona" era lui l'incontrastato occulto finanziatore dei partiti, quelli che lui "gradiva", e se non li gradiva erano però ugualmente "utili" al suo scopo (famosa la sua spregiudicata frase in merito ai partiti:"io li prendo come i taxi, me ne servo, e a fine corsa scendo e pago").

Torniamo in Iran. Gli stretti legami commerciali e militari del Scià con gli Usa e le apparenti "convenzioni alternative" portarono molto denaro nella casse personali di Riza Pahlavi, ma non soddisfecero proprio per nulla il popolo iraniano. Solo quelli vicini alla corte ne trassero vantaggi. Quando poi su consiglio di esperti statunitensi, lo Scià varò una riforma agraria, con alcune espropriazioni, anche qui i vantaggi - i risarcimenti - andarono a pochi ricchi proprietari terrieri che si tenevano ben stretti i terreni fertili e cedevano a peso d'oro pezzi di deserto, dimenticando quelli che di terra veramente avevano bisogno per viverci (la stragrande maggioranza). Fra l'altro l'espropriazione non toccò (lui che doveva semmai dare l'esempio) i possedimenti dello Scià (che rappresentavano il 10% dell'intero territorio iraniano); inoltre diede vita a una Fondazione (Pahlavi) un ente che occupandosi di assistenzilismo sociale, consentiva allo scià di investire con discrezione anche all'estero i proventi del petrolio ; cioè di fare "affari" fuori dal Paese, che però gli oppositori chiamavano "sporchi affari"; alludendo a presunte sottrazioni di proventi versati estero-estero dalle compagnie, per il proprio arricchimento personale. Gli avversari insomma insinuavano che all'estero vi erano depositati degli ingenti tesori dello scià (che invece appartenevano agli iraniani - non era stato detto che il petrolio era il dono più grande che Allah avesse fatto a tutto il popolo iraniano?).

Lo scià fu quindi duramente avversato dal Fronte nazionale e dalle sinistre, che già nel 1963 iniziarono imponenti proteste. Ad affiancarsi a queste ribellioni anche i notabili religiosi, che si sentirono colpiti non soltanto dalle espropriazioni dei loro terreni e poderi -considerati beni religiosi- ma vedevano in quei rapporti sempre più stretti con gli Usa una minaccia alla loro stessa tradizione religiosa. Su questa soffiarono sul fuoco, cominciando a riesumare le "guerre sante". E la minaccia straniera fu ancora più evidente, quando fu varata la nuova legge sulle elezioni amministrative, in cui (orrore) non era più obbligatorio che i candidati fossero musulmani.
A proporre - con chissà quali fini e quali appoggi - questa legge, sicuramente non fu un musulmano, nè uno sciita, nè un sunnita e tantomeno un iraniano.

Principale avversario della monarchia (ma anche del nazionalismo laico), promotore dei moti e delle manifestazioni anti governative, che prepararono la successiva rivoluzione islamica, era un uomo, già ultrassessantenne, il figlio di un religioso ucciso durante la rivoluzione del 1905-07, nato nel 1900 a Qom, dove compì gli studi teologici fino a diventare ayatollah. Per il suo carisma fu subito definito un "intermediario tra il Profeta Maometto e la gente", il "maestro", l'"interprete del Corano", cioè l'ayatollah dei musulmani sciiti: RUHOLLAH KHOMEINI. Questa funzione di suprema guida politico-religiosa del paese la mantenne incontrastata fino alla morte, avvenuta nel 1989.

Nella dura protesta antimonarchica svoltasi a Teheran, promossa proprio da Khomeini, lui fu arrestato, e le successive manifestazioni (5 giugno 1963) dei suoi seguaci, che si svolsero per chiederne la liberazione, vennero represse nel sangue. Khomeini fu poi liberato nel '64, ma esiliato prima in Turchia poi in Iraq. Ma nel frattempo il suo carisma e le persecuzioni subite lo portarono ad essere la guida del movimento fondamendalista -progressivamente sempre più numeroso- di opposizione religiosa allo Scià, distaccandosi nettamente dalle irrequiete formazioni laiche di ispirazione liberal democratica, nazionalista e di sinistra, ma anche dalle correnti del modernismo islamico. Solo in seguito Khomeini (in funzione antioccidentale, e quindi utili) riuscì a riunirle..

Khomeini nei successivi anni divenne pericoloso anche in esilio e, su richiesta del governo di Teheran, fu espulso dall'Iraq. Si trasferì in Francia, e nei quindici anni di esilio a Parigi, fece di tutto per essere al centro dell'attenzione della stampa mondiale, diffondendo continuamente appelli contro il regime e per la costruzione di uno stato islamico totalmente svincolato dagli Usa, ma non per questo vincolato all'Urss. Dell'ideologia sovietica -il collettivismo- a Khomeini non piaceva proprio nulla, e si scontrò duramente con le organizzazioni della sinistra (i Fedayyin-e Khald - volontari del popolo, che consideravano i Tudeh perfino troppo moderati) anche perchè Khomeini e i suoi seguaci erano favorevoli alla proprietà privata che è sancita dallo stesso Corano.

Dunque lo scontro con il governo dello scià (pur con la sinistra ormai divisa, con una fazione favorevole al lavoro politico, l'altra alla lotta armata) era ormai sui binari religiosi e non più politici. L'esule Khomeini diffondendo i suoi incandescenti proclami religiosi ("Allah lo vuole" che ricordavano un po' quel famoso occidentale "Dio lo vuole" lanciato da Urbano a Clermont Ferrand nel 1095 promuovendo la Prima Crociata, mutuando da Maometto perfino il nome di "guerra santa") ben presto diventa il capo indiscusso della rivoluzione islamica in Iran, ma anche del fondamentalismo islamico nel mondo. Inizia a costituire un Consiglio rivoluzionario con i suoi seguaci, organizza le "guardie della rivoluzione" (gli "immortali") , e dopo aver inquadrato le masse, queste all'inizio del 1978 (7 gennaio), diedero il via a violenti insurrezioni, che si protassero per l'intero anno, fin quando in una spirale di violenza inarrestabile, il 16 gennaio 1979, lo Scià che aveva pochi giorni prima costituito un nuovo governo (di Shapur), fu costretto di nuovo ad abbandonare e fuggire dal Paese.

Ecco i fatidici comunicati diffusi dalle agenzie stampa mentre la rivoluzione islamica nel Paese sanciva il trionfo di Khomeini.

"16 GENNAIO 1979 - Teheran - Lo Scià dell'Iran ha lasciato oggi il paese. La notizia è ufficiale"
(Ansa, ore 11,24)
"La partenza dello Scià, che segue la formazione di reggenza instaurato il 13 gennaio, segna la conclusione di un periodo di aperta insurrezione, cominciato il sette gennaio dello scorso anno; da quella data, la spirale di violenze, scontri, manifestazioni, incidenti, scioperi (con grandi perdite di vite umane) è andata aumentando, e nulla è servito fermarla, nè l'esercito nè le concessioni fatte dallo Scià"
(Ib. ore 11,45).

"Lo Scià non ha voluto dire quale sarà il suo itinerario, ma molti credono che approderà alla fine negli Stati Uniti, dove si trovano già numerosi membri della famiglia imperiale. La partenza del sovrano, che ha governato il paese per 38 anni, è avvenuta alla chetichella. Non appena si è diffusa la notizia della partenza, migliaia di automobilisti a Teheran hanno fatto suonare i loro clacson e acceso i fari in segno di giubilo, mentre la gente scendeva in strada gridando "Lo scià è partito, viva Khomeini" (ib. ore 14,25).

Khomeini rientra dall'esilio. Oltre 6 milioni di persone lo acclamano scendendo in strada nella capitale iraniana al grido di "Dio, Corano, Khomeini!"

"1 FEBBRAIO 1979 - Teheran - L'ayatollah Khomeini ha fatto oggi un trionfale rientro in patria dopo 15 anni di esilio impostogli dallo scià ed ha promesso di creare "una società senza violenza" in Iran" (Ib. ore 07,03).
"Una folla valutata per ora ad un milione di persone, fa ala al corteo di Khomeini lungo il percorso per raggiungere il grande cimitero di Teheran, dove sono sepolte centinaia di vittime di 15 mesi di sanguinosi disordini. Cinquantamila sostenitori dell'Yatollah si sono assunti il servizio di sicurezza per l'arrivo del capo religioso sciita. Khomeini ha più volte dichiarato di voler rimuovere l'attuale governo di Shapur, da lui definito illegale, e di voler instaurare una "repubblica islamica". La folla al passaggio di Khomeini, ha scandito più volte slogans come "Il diavolo se ne è andato, l'angelo è arrivato"
(Ib. ore 08,07).


L'"Angelo" fin dal suo primo discorso riafferma la volontà di tenere in pugno le sorti del Paese, sulla strada ormai di un regime confessionale. Fedele interprete del Corano, Khomeini proibisce le bevande alcoliche, chiude le case da gioco, mette al bando la prostituzione, fa fucilare i lenoni e gli omosessuali, riporta il calendario al 1357 dell'Egira. Ed inizia a fare anche "pulizia".

"5 FEBBRAIO 1979 - Teheran- Si apprende da buona fonte che circa 100 personalità politiche, tra cui ex ministri e uomini d'affari, sarebbero state arrestate, accusate di corruzione, abuso di fiducia o implicate in "affari sospetti". (Ib. ore 08,47).
"Il leader religioso ayatollah Ruhollah Khomeini ha nominato oggi Mehdi Bazargan, un teologo, primo ministro di un governo provvisorio incaricato di costituire una "repubblica islamica".
(ib. ore 16.02).

Sta per nascere una nuova "Guerra Santa"?; in nome della fede islamica?

Un corrispondente così commentava sullo stesso giornale:

"Non c'era bisogno d'esser un gran profeta per vedere che lo Scià l'estate scorsa, era già politicamente morto, Nè per rendersi conto che l'esercito non poteva costituire una forza politica indipendente. Non c'era bisogno d'essere veggente per constatare che la religione non era una forma di compromesso, ma una forza reale; quella che poteva far sollevare un popolo non solo contro il sovrano e la sua polizia, ma contro tutto un regime, tutto un modo di vivere, tutto un mondo.....
...Gli americani che sembravano veramente temibili, hanno invece ceduto. Per impotenza ed anche per calcolo: piuttosto che sostenere un potere morente (quello dello Scià - Ndr.) e con cui erano troppo compromessi, preferiscono lasciare che si sviluppi una situazione di tipo cileno, che si acuiscono i conflitti interni, e poi semmai intervenire.
...ma le cose sono ancora stranamente ambigue. L'esercito passato dalla parte dei religiosi, senza essersi davvero spaccato, avrà un peso importante
... l'Islam - che non è semplicemente religione, ma modo di vita, appartenenza ad una storia e a una civiltà- rischia di costituire una gigantesca polveriera, formata da centinaia di milioni di uomini. Da ieri ogni stato musulmano può essere rivoluzionario dall'interno, a partire dalle sue tradizioni secolari".

Passarono alcuni mesi poi in novembre il fattaccio:

"4 NOVEMBRE 1979 - Teheran - Varie centinaia di manifestanti sono penetrati nell'ambasciata statunitense e hanno preso in ostaggio tutti i funzionari. Ne ha dato l'annuncio la radio di stato, precisando che i manifestanti - "studenti islamici" - chiedono l'estradizione del deposto scià, il quale si trova a New York per cure mediche.
(4 novembre, comun.
Ansa ore 12.13)
"In un comunicato, diffuso attraverso il sistema di altoparlanti dell'ambasciata, gli occupanti hanno affermato di tenere in ostaggio un centinaio di americani, tra uomini, donne e bambini. Essi sono stati rinchiusi con gli occhi bendati e le mani legate in un edifico annesso alla cancelleria. Gli occupanti hanno fatto sapere che "la totalità dei locali dell'ambasciata è stata occupata dopo tre ore di resistenza da parte dei mercenari americani che si sono difesi facendo uso di bombe lacrimogene". Si ritiene che i "mercenari" siano i marines di guardia. (ib. ore 15.57)
" Una dichiarazione del ministero degli esteri pubblicata questa sera dall'agenzia Pars afferma: "L'iniziativa odierna di un gruppo di nostri compatrioti è una naturale reazione all'indifferenza del governo americano verso gli offesi sentimenti del popolo iraniano per la presenza del deposto scià negli Stati Uniti sotto il pretesto della malattia. Se le autorità americane avessero rispettato il sentimento del popolo iraniano e compreso la profondità della rivoluzione iraniana, perlomeno non avrebbero dovuto consentire al deposto scià di entrare nel paese e avrebbero dovuto restituire le sue proprietà". Nel corso di una conferenza stampa tenuta all'interno dell'ambasciata, il portavoce degli "studenti islamici" hanno espresso la loro intenzione di liberare gli ostaggi soltanto in cambio del ritorno dell'ex scià e il suo tesoro (ib. ore 23.58).

Che cosa è accaduto a Teheran ?


Che un gruppo di studenti islamici - ignorando le prerogative diplomatiche - hanno assaltato e occupato l'ambasciata americana (chiamata il "nido delle spie"), bruciato la bandiera e preso in ostaggio cinquantadue persone, dichiarando che le avrebbero rilasciate soltanto contro l'estradizione dagli Usa dello scià per sottoporlo a processo.
Comincia per gli Stati Uniti e durerà per 444 giorni, la più grande umiliazione della loro storia (ma i grandi giornali occidentali diedero poco risalto alla cosa - era più facile saperlo dai giornali di provincia).
Per liberare gli ostaggi americani trattenuti nell'ambasciata Usa occupata, il presidente Carter autorizza una folle impresa con 90 soldati scelti che alcuni aerei trasportano nel deserto di Tabas e che dovrebbero addirittura arrivare fino a Teheran, da cui distano 250 miglia.
Ma l'operazione fallisce miseramente e drammaticamente.

" Washington - 25 APRILE 1980 - La Casa Bianca ha annunciato che un'operazione in corso per cercare di liberare gli ostaggi nell'ambasciata statunitense di Teheran è stata annullata dopo che due aerei in essa impegnati sono entrati in collisione sulla pista di un isolato aeroporto iraniano. (ib. ore 08.37)
"La Casa Bianca ha precisato che nell'incidente otto uomini di equipaggio dei due aerei sono rimasti uccisi e altri feriti. Gli americani coinvolti nell'operazione sono stati evacuati dall'Iran e i feriti, sottoposti a cure mediche, non sono in gravi condizioni. Il comunicato mette in rilievo che l'azione "non è stata dettata da ostilità verso l'Iran o il popolo iraniano" e che "non vi sono state vittime iraniane". "Il tentativo di salvataggio - aggiunge - è stato preparato per motivi umanitari".
(ib. ore 08.18)

"New York - Il fallito tentativo di liberare gli ostaggi americani con un'azione di forza, dopo 173 giorni dall'inizio della loro prigionia, ha colto di sorpresa gli ambienti americani ed internazionali. Tutti gli esperti militari avevano puntualmente cercato di dimostrare l'impossibilità pratica di un'operazione di questo tipo, dopo la perdita del fattore sorpresa fin dai primi giorni della crisi fra Usa e Iran. Una possibilità si era presentata fra il 4 e il 6 novembre, quando il governo israeliano, memore del proprio successo ad Entebbe, offrì di mettere a disposizione un proprio "commando". Ma Washington, timorosa delle ripercussioni negative di una connivenza con Israele, rifiutò. Carter cercò di risolvere la crisi, facendo ricorso unicamente a misure di indole pacifica, in primo luogo sanzioni economiche...."
(Ib. ore 14.20)

Ma se Carter ha fallito, il suo successore per liberare i 52 ostaggi farà di peggio.
Appena insediatosi sulla poltrona di Carter, dopo aver vinto le elezioni, Donald Regan il 21 gennaio 1981, dà l'annuncio della liberazione degli ostaggi.

La liberazione fu presentata così, ma in realtà la sua "forza" fu quella di aver pagato 10 miliardi di dollari per la liberazione, oltre il resto che però non viene riportato sicuramente dai giornali.
Ma lo si verrà a sapere solo nel 1986-87 (lo scandalo la stampa lo chiamerà "Irangate''), quando cioè da tempo era in corso la guerra tra l'Iraq e l'Iran e gli americani nell'occasione non nascosero la loro simpatia e i loro aiuti in armi e munizioni a Saddam Hussein.

Le rivelazioni dell'Irangate, sono inquietanti. Si scopre che otto anni prima la Casa Bianca, di nascosto allo stesso Dipartimento di Stato, oltre il pagamento di 10 miliardi di dollari, ha inviato armi all'Iran: 60 convogli navali danesi zeppi di armi americane sono transitati in porti italiani, greci e israeliani, per consegnare infine la loro merce, nel porto iraniano di Bander Abbas. E si viene anche a sapere che i proventi di questo traffico d'armi, non regalate, sono state segretamente usati per finanziare gli oppositori nel Nicaragua a nel Salvador, aggirando il divieto posto dal Congresso.



"Altro che lotte al terrorismo!!"

Lo scandalo coinvolge il presidente Ronald Reagan e il vicepresidente George Bush, già direttore della CIA durante la precedente amministrazione Carter.
Il capo dello staff della Casa Bianca, all'indagine del Congresso depone a porte chiuse. Si cambia anche la Commissione d'indagine. Reagan chiede al Congresso l'impunità per i "rambo" che non vogliono parlare. Si scopre e resta una incredibile ragnatela di strategie e inganni; ma non tutto viene a galla, perchè stranamente scompaiono i dossier, e qualcuno muore in corcostanze piuttosto oscure.

Kissinger difende il Presidente affermando che "Reagan è assai emotivo e che se ha messo mani e piedi dove non doveva metterli è perchè ha cercato di aiutare le famiglie degli ostaggi; insomma è stato un eccesso di affetto e di partecipazione. Una manifesta e incontrollata sensibilità per la liberazione degli ostaggi".

Lo scandalo - nel complicato intreccio Iran-Iraq- coinvolge anche l'Italia con la Banca Nazionale del Lavoro; si scopre infatti che la sua agenzia di Atlanta, in Georgia, diretta da un giovane direttore, Cristopher Drogoul - subito licenziato e denunciato - all'insaputa (sic !) dei dirigenti centrali della banca, si è imbarcato in una vasta serie di lettere di credito e di finanziamenti a favore di aziende americane ed europee (comprese quelle italiane) che hanno contratti di esportazioni con l'Iran. Si parla di traffico d'armi e di tre miliardi di dollari di finanziamenti (fatti da un giovane direttore, all'insaputa dei dirigenti ? sic !!)
Ovvie ripercussioni anche in Italia, dove Guido Carli ministro del tesoro, accetta le dimissioni del presidente della Bnl, Nerio Nesi. La cosa sia in America che in Italia finisce lì. Anzi in America Bush nel successivo 1988 viene eletto Presidente degli Stati Uniti.
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Ritorniamo al 1980. Al dopo fallito tentativo di liberazione degli ostaggi compiuto maldestramente da Carter.
Pochi ne prendono coscienza, ma è iniziata una nuova guerra del Petrolio, questa volta americana,
anche se a cominciare -e a dar loro una mano- è l'Iraq di Saddam Hussein (e questo mentre gli ostaggi a Teheran sono ancora in mano dei khomeinisti). Gli scopi del rais di Baghdad quali sono? Religiosi, politici, finanziari? O di sudditanza agli Usa? Resta un mistero, mai risolto.

Infatti nel settembre dello stesso 1980 l'Iraq attacca l'Iran in un momento in cui il governo di Teheran si trova in difficoltà. Saddam Hussein come pretesto prende spunto da vecchie contese confinarie, appoggiandosi alle tradizionali rivalità religiose fra mussulmani sunniti e mussulmani sciiti che esistono da oltre dieci secoli, ma in realtà - ma questo lo dicono i giornali occidentali per giustificare un eventuale conflitto iracheno-iraniano - sembra che il venale Saddam voglia solo conquistare il controllo delle rotte petrolifere e diventare la maggiore potenza del Golfo Arabico. Il fatto che lui dica (o è invitato a dire) sia una contesa di confine, permette alle grandi potenze di restare ai margini del conflitto, e di liquidare la crisi come una questione puramente interna dei due Paesi. Ai margini sì, ma non assenti.

Saddam è convinto - con gli aiuti che riceve e con la flotta statunitense presente nei mari del Golfo - che la guerra che sta per iniziare durerà poco; durerà invece otto anni, senza nessun effetto pratico, e i morti, dall'una e dall'altra parte, saranno più di un milione. È una guerra di cui si parlerà poco nel mondo e che non mette in movimento né le grandi diplomazie né le alte istanze internazionali. Questo perchè tutti pensano che Saddam Hussein sia meglio di Khomeini.
Anche se molti pensano che quello che lui vuole (i pozzi petroliferi) non è solo lui a volerlo, e che chi lo sta aiutando lo sta solo usando come "cavallo di Troia" per abbattere la rivoluzione khomeinista in Iran, che potrebbe estendersi pericolosamente in altri Paesi del Medio Oriente, e quindi dopo averlo usato, fare poi la guerra a Saddam stesso e occupare il ricco (di petrolio) Iraq.


"22 SETTEMBRE 1980 - Teheran - Tre aerei Mig iracheni hanno bombardato l'aeroporto di Mehrabad, danneggiando la pista e distruggendo un 'Boeing 701" dell'aeronautica militare iraniana; il bombardamento segue mesi di scontri di frontiera fra Iran e Iraq per questioni confinarie. (ib. ore 15.00).
"Baghdad - Un comunicato del consiglio iracheno della rivoluzione, firmato dal presidente del consiglio e comandante in capo delle forze armate, Saddam Hussein, annuncia che le forze armate irachene hanno ricevuto l'ordine di dirigere "attacchi deterrenti" contro obiettivi militari iraniani per "sventare i tentativi messi in atto dal regime razzista iraniano, al fine di minare la sovranità dell'Iraq". (ib. ore 16.01)

Molti, in tutto il mondo, si chiedono cosa farà ora gli Stati Uniti. Interverranno?
La risposta viene subito da Carter che dichiara il....


23 SETTEMBRE 1980 - San Francisco "Gli Stati Uniti intendono rimanere neutrali nel conflitto Iran-Iraq e daranno il loro appoggio alle iniziative di pace del segretario dell'Onu Kurt Waldheim. Gli Stati Uniti hanno tre preoccupazioni che li inducono alla neutralità: la vicenda degli ostaggi in Iran, la possibilità di mosse separatiste dei Curdi dell'Iran che indurrebbe l'Urss ad intervenire con il ruolo di stabilizzatrice, la minaccia che la guerra fra i due paesi costituisce per le esportazioni di petrolio in Occidente. (ib. ore 19.00)

Contemporaneamente nello stesso giorno, tre ore dopo,
viene lanciato nel mondo questo comunicato, diffuso dalle agenzie stampa italiane:

"Baghdad - Un portavoce ufficiale del governo ha comunicato le condizioni poste dall'Iraq per far finire le ostilità: l'Iran deve rispettare la sovranità terrritoriale irachena ai confini, la sovranità irachena sullo Shatt el Arab e le tre isole vicine allo Stretto di Hormuz, la grande e la piccola Tomb e l'isola strategicamente importante di Abou Moussa. (ib. ore 22.30)

Due giorni dopo arriva la risposta iraniana:

" 25 SETTEMBRE 1980 - Teheran - Il presidente del parlamento Rafsanjani ha annunciato la mobilitazione dell'esercito del popolo, composto da circa 20 milioni di volontari iraniani pronti a morire; e ha accusato l'Iraq di attaccare solo obiettivi non militari. (ib. ore 18.00).

Ha inizio la guerra. Che durerà 8 anni. Senza tanti clamori. Infatti quello che si spera - senza esserne palesemente coinvolti- è che i due Paesi si distruggano a vicenda. E da come abbiamo visto sopra ("Irangate") si danno aiuti ad entrambi.
Fin quando il ....

"18 LUGLIO 1988 - Teheran - L'Iran ha annunciato oggi con un messaggio al segretario generale dell'Onu Javier Perez de Cuellar l'accettazione della risoluzione 598 dell'Onu per la cessazione del fuoco" (Ib. ore 12.45)


Dopo 8 anni di guerra, e fino a tre mesi prima, nessuno dei contendenti sembrava capace di avere la meglio nei combattimenti di terra e di mare, nè con i raid aerei, nè con i combattimenti nelle città. Ma alla metà di aprile del 1988 le forze irachene (per nulla decimate e con in dotazione armi modernissime) in un formidabile scontro con la flotta iraniana sul Golfo, dopo averla distrutta, hanno iniziato una serie di offensive devastanti.
Il rovescio del fronte iraniano, la crescente difficoltà di approvvigionamento di armi, il morale fiacco delle forze armate, fanno decidere Teheran a prendere la decisione di accettare la cessazione del fuoco proposta dall'Onu.
Menashè Amir, responsabile delle trasmissioni per l'Iran della radio israeliana, dai microfoni di Tel Aviv, così spiega al mondo la sofferta decisione di Khomeini. "Le cose erano giunte al punto che il regime - l'Islam nell'ottica di Teheran - era in pericolo. Si tratta del più spettacolare rovesciamento di posizioni in 30 anni di storia del Komeinismo, ma non di una capitolazione. E' solo l'accettazione di un negoziato che dovrebbe portare alla fine del conflitto ed al quale gli iraniani intendono arrivare con le armi in mano"
(comunicato ritrasmesso anche in Italia dall'Agenzia Ansa, alle ore 21,13 del 18 luglio 1988).

Inoltre fin dal 3 luglio la popolazione iraniana era ancora sotto shoc, sconvolta da una tragedia. 15 giorni prima dell'accettazione del cessate il fuoco - un Airbus con 289 persone (tra i passeggeri 66 bambini e 55 donne) diretto a Dubai era stato abbattuto da due missili americani lanciati da un incrociatore della flotta americana dislocata nello stretto di Ormus. Flotta impegnata a difendere il Golfo Persico da attacchi iraniani.
Saddam - dunque !!! - poteva appunto contare su questo non indifferente appoggio.

Reagan, da Washington, ha riconosciuto che le navi da guerra americane hanno commesso un grave errore, e si è detto dispiaciuto e profondamente rattristato per le perdite di innocenti vite umane.

A meno di un anno dal negoziato e dalle "perdite di innocenti vite umane", l'Iran perde anche la sua guida spirituale. Il 4 giugno 1989, all'età di 88 anni, muore Khomeini a seguito di un intervento chirurgico per arrestare una emorragia al tratto intestinale.
Un impressionante corteo formato da milioni di persone il 6 giugno dopo aver vegliato la salma dentro un sudario nell'immensa piazza della moschea di Mosallah, accompagneranno la salma dell'ayatollah al cimitero. Nel percorso e nei pressi della fossa, si svolgono scene di fanatismo, con l'assalto alla bara, e apertura della stessa per rimettere a nudo i resti di Khomeini e venerarlo.

Il primo atto politico del dopo Khomeini viene dalle forze armate, che proclamano il loro sostegno al presidente Rafsanjani e, uniti ai guardiani della rivoluzione, hanno dichiarato di "essere pronti a difendere sotto il suoi comandi i valori della repubblica islamica fondata dall'ayatollah".
Ma l'Iran è in crisi. Dall'inizio della guerra con l'Iraq, è precipitata nel totale isolamento in campo internazionale. Non ha la forza e i mezzi per proseguire la lotta. Non ha più la guida della "guerra santa" proclamata da Khomeini, nè questo ha lasciato un valido successore.

E Saddam Hussein che ha sferrato l'attacco decisivo alla flotta iraniana sul golfo e ha messo fine alla guerra ?
Terminato il conflitto, il suo Paese, l'Iraq, è gravato da debiti ingenti, non è in grado di provvedere alla propria ricostruzione, e neppure intende smobilitare le truppe, un milione di uomini, che andrebbero a incrementare la disoccupazione a causa della recessione economica. Questo perchè appena terminato il conflitto, il Kuwait e gli Emirati Arabi aumentando unilateralmente le vendite oltre i limiti fissati dall'Opec, avevano provocato un notevole ribasso del greggio. Fra l'altro Saddam era pure carente di tecnici e maestranze per lo sfuttamento dei suoi giacimenti.

Con pressioni diplomatiche, Saddan Hussein aveva ottenuto un rialzo dei prezzi e anche un prestito di 10 miliardi di dollari dal Kuwait e dall’Arabia Saudita. Ma in cambio il Kuwait reclamava una revisione delle frontiere. Ma anche Saddam voleva una nuova demarcazione dei confini, e a vario titolo la cancellazione del debito.
Forse l'I
raq di Saddam faceva sicuramente affidamento sulla neutralità americana in caso di conflitto, poiché da anni - come abbiamo visto- esisteva l’alleanza Iraq-Stati Uniti in funzione anti-iraniana. E Saddam non era ancora il "dittatore", il "macellaio", il "mostro", come subito dopo fu presentato, perchè fino allora aveva fatto ottimi affari con tutto l'occidente. E anche l'occidente li aveva fatti con lui.

Ancora nel 1974, Jacques Chirac (neo primo ministro dal 27 maggio dello stesso anno) si recava a Baghdad e consolidava con Saddam Hussein un rapporto e un’ "amicizia particolare", come disse il francese. Può sembrare scomodo ricordarlo, ma Jacques Chirac fu senza dubbio il più zelante sostenitore delle ragioni irachene in campo nucleare ("Faremo di voi la nazione più progredita del Medio Oriente"). Nel novembre del 1975 veniva firmato a Baghdad un accordo di collaborazione nucleare franco-iracheno e il 12 agosto 1976 l’Iraq firmava un contratto di un miliardo di franchi con un nutrito consorzio di società nucleari francesi: Technicatome, Constructions Navales et Industrielles de la Méditerranée, Comsip, Société Bouygues, Saint Gobain Techniques Nouvelles (la già citata SGN). Ne nacquero i reattori Tammuz I e Tammuz II. Chirac per molti anni considerò il contratto con l’Iraq come una delle migliori mosse economiche del proprio governo. Non bisogna dimenticare che gli anni 1973-76 furono gli anni della crisi energetica in Europa e che lo scambio petrolio-tecnologia costituì un necessario sbocco naturale.
Ovviamente tutto quello che fece Chirac, non era di sicuro ben visto dagli Usa. Anzi li indispettiva.


Sbocchi, affari e scambi anche in Italia. Nel 1975 il governo di Saddam ebbe rapporti con il CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare). Quest’ultimo contattò la SNIA che si occupava di impianti. Gli iracheni richiedevano fornitura e installazione di attrezzatura per quello che definirono un "laboratorio di radiochimica" (più di due milioni di dollari), in pratica l’installazione di celle radioattive. Nel 1976 fu firmato l’accordo. Nell’ambito dell’accordo l’Ansaldo avrebbe fornito macchinari e attrezzature. Ne nacquero quattro laboratori "a freddo".

Saddam insomma, durante, ma anche dopo la fine della guerra all'Iran, si sente forte e protetto dall'occidente. E decide di agire a suo pro. Prima minaccia il Kuwait, poi il 1° agosto del 1990 interrompe i contatti diretti tra rappresentanti dei due paesi, e il giorno dopo, poco prima dell'alba, le sue truppe invadono il Kuwait.
Gli Stati Uniti, però, non si schierano a favore dell’Iraq, anzi fanno subito sapere che non intendono rimanere neutrali. E si rivelerà pure inutile il tentativo iracheno di rompere l’ampia coalizione formatosi sotto il controllo dell’ O.N.U. con la minaccia di una escalation del conflitto.

Del resto Bush, nella sua sortita alla vigilia del nuovo conflitto, aveva fatto una vera e propria dichiarazione di guerra, con niente retorica, ma solo realismo "...è in gioco la sicurezza nazionale degli Stati Uniti: dobbiamo proteggere il nostro futuro". (stessa frase udita nell'intervento nella Prima guerra mondiale, nella Seconda, in Corea, e in Vietnam). E quando va a visitare il primo contingente sbarcato nel Golfo dice loro "Non siamo qui nè per delle esercitazioni, nè per delle manovre. Non ce ne andremo finchè la missione non sarà compiuta".

La "missione" è quella di liberare il Kuwait, ma anche quella di eliminare Saddam; e perchè no? Se possibile anche occupare l'Iraq ( non ci riuscirà lui, ma suo figlio sì, dieci anni dopo, anche se non è ben chiaro il motivo che lo hanno spinto a questa decisione. Forse improvvisazione o cattivi consiglieri, che nulla sanno di storia e del mondo islamico in particolare).

Con gli Stati Uniti, nel gennaio del 1991, 28 nazioni (cosiddette democratiche) scendono in campo per difendere il Kuwait, un Paese monarchico assoluto, senza alcuna democrazia nè un parlamento (sciolto nell'86), dominato dalla famiglia regnante dello sceicco  Saad Abdallah, che trattiene per sè il 25% degli introiti di tutte le società petrolifere estere (prevalentemente americane) che sono nel suo Paese, dove esiste il 20% del petrolio mondiale; e quello estratto corrisponde all'incirca a buona parte del consumo energetico dell'Occidente. 
Significa - questo è il timore degli occidentali ma anche degli stessi paesi arabi produttori che offrono le loro basi- che se l'Iraq si annette il Kuwait fa crollare in tutto il mondo il prezzo del petrolio. Bush si é indubbiamente immedesimato negli interessi del Texas, il suo Stato adottivo (che però da qualche tempo preme per riavere l'indipendenza e di gestirsi da solo il suo petrolio - una Iraq in casa !).
Gli avversari del Presidente fino alla vigilia del "Desert Storm", accusandolo di essere un politico senza spina dorsale, lo avevano sempre perseguitato con il nomignolo "wimp", ("pappamolla"). Negli ultimi mesi del suo mandato questo nomignolo stava dilagando anche fra quelli che lo avevano votato.

"In questa vigilia c'erano le nuove elezioni; si moltiplicavano le discussioni sul declino degli USA (metà degli americani affermava di crederlo); il Paese era attanagliato da un male oscuro (i giapponesi stavano comprando a pezzi e a bocconi le grandi società Usa); era la nazione più debitrice del mondo;  un sistema scolastico a pezzi; i ghetti cittadini a livelli da Terzo mondo; recessione alle porte se non già cominciata; e come ciliegina finale un Kohl e Gorbaciov che stava incombendo su gli Usa  con l'unificazione della Germania (nuovo temibile e potenziale concorrente sull'Europa tutta). -  In conclusione si stavano accentuando le ansie di emarginazione a livello mondiale"
(Era Giovanni Forti, da New York, che faceva questa analisi).

Ma questo tipo di informazione non raggiungeva l'Italia, e quella che c'era ha finito per presentare frettolosamente questa guerra tra musulmani e non musulmani, che insomma era una guerra di religione, di civiltà, dimenticando che c'erano schierati contro l'Iraq truppe egiziane, saudite, siriane e altri Paesi musulmani. Prenderà lucciole per lanterne, come leggeremo (vedi anno 1991) anche Cacciari.  Lui infatti parla di contrasti ideologici religiosi, ignorando i grandi interessi in gioco, o fa finta di ignorare che pochi mesi prima i contrasti religiosi erano addirittura opposti, Saddam combatteva in sintonia (o comunque aiutato) CON gli Usa contro l'Iran, mentre questa volta combatteva contro il Kuwait non per motivi e contrasti religiosi (anche se la chiama "guerra santa") ma perchè il Kuwait aveva abbassato il prezzo del greggio, facendo crollare il prezzo del petrolio iracheno). E che dire dell'intervento di Casini e di tanti altri ?

Ma questa è tutta un'altra storia, che raccontiamo in altre pagine.

Il fatto più inquietante è che fatta e terminata la prima guerra del Golfo, iniziata e non finita la seconda, in entrambe con l'unico scopo di eliminare Saddam e quindi occupare l'Iraq, i risultati ottenuti non sono stati molto felici. Sono anzi andati a far risorgere la rivoluzione khomeinista. E non solo questa: sono spuntate fuori decine di formazioni "miste" senza alcuna connotazione religiosa, che puntano solo alla conquista di quel potere che con il terrore, Saddam da 25 anni deteneva.
Il fondamentalismo estremo che per un lungo periodo di tempo era rimasto isolato e sempre nemico di Saddam, dopo averlo quest'ultimo la coalizione liquidato (o fatto liquidare), ha rialzato la testa, fino al punto -cosa impensabile fino a ieri sotto il regime di Saddam- di riuscire a riunire quasi tutti sotto la stessa bandiera sunniti e sciiti, in funzione anti-occidentale.

Alla luce dei recenti fatti (2004-5-6, sembra che la nuova guerra a Saddam sia stato per i khomeinisti e per le formazioni estremistiche "miste" (politiche e alcune criminali) un gradito regalo.


Il fondamentalismo, che ormai andava spegnendosi ha ritrovato nuova forza e vigore, si è potuto congiungere  al nazionalismo arabo ( che è movimento diverso e per molti tratti antagonista), e ha innalzato la bandiera della resistenza all’invasione, della lotta contro i “crociati” (secondo la incauta definizione  della guerra suggerita proprio da Bush). E ha perfino trovato ampia comprensione nella sinistra  occidentale (che invece per il fondamentalismo islamico è -paradossalmente- il “male” in assoluto).


Le prossime vicende - e speriamo non drammatiche- ci diranno fino a che punto che "regalo" è stato per gli iraniani e per i fondamentalisti l'invasione dell'Iraq.

Quel che è certo è che la "polveriera chiamata Islam" è di nuovo in ebollizione.
"All'attacco dell'Iraq gli estremisti erano poche centinaia, sei mesi fa erano un migliaio, all'attacco di Falluja erano già 20.000, ora sarebbero diventati più di 100.000, con decine e decine di capi indipendenti"
(secondo le dichiarazioni del generale Myers, Capo di Stato Maggiore americano)
E l'aria che tira in Iran, non è per nulla pacifica. E forse qualcuno sta sbagliando strategia: sta svegliando "il can che dorme".

Un commento è arrivato da chi non è certo un "estremista":
"Dobbiamo ancora capire perchè gli Stati Uniti hanno attaccato l'Iraq"
ha detto sette volte sui giornali l'ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti.

E a proposito, l'Italia che ruolo ha?
"Nella Risoluzione 1483 dell'Onu il ruolo della coalizione (indi compresa l'Italia) viene riconosciuto "come potenza occupante". (in Italia, "missione umanitaria" di "pace" (però si spara se ci sparano - ma non sempre chi spara per secondo è ancora vivo)
Nella annunciata prossima "grande offensiva" se ci sarà, anche l'Italia dovrà combattere il "terrore".
Come, non si sa; con chi, sicuramente (salvo tornarsene a casa) assieme agli alleati, trasformando Baghdad in una futura nuova "Stalingrado".
E una volta terminato il "lavoro" a Baghdad, c'è anche in prospettiva una nuova "missione di pace" a Teheran? Se questo accadrà, quel giorno Andreotti non capirà "perchè gli Stati Uniti hanno attaccato l'Iran".

Se non ha capito glielo spieghiamo subito:

Già l’8 Febbraio del 2003, il «Sole 24Ore» pubblicava un articolo dal titolo: «Eni, si apre la via ai pozzi iracheni». Si leggeva «...il pieno sostegno del Governo Berlusconi alle posizioni degli Usa e della Gran Bretagna sulla guerra in Iraq… potrebbe generare importanti ricadute economiche a favore dell’ENI….se la guerra si dovesse fare, si porrebbero le condizioni per l’ingresso del cane a sei zampe in territorio iracheno..».
Il settimanale «Carta» nella seconda settimana di marzo del 2003 scriveva: «Che il Governo italiano cerchi di emulare la Casa Bianca anche nella difesa armata degli interessi petroliferi nostrani?».

Il 15 aprile 2003 il parlamento italiano autorizza la missione italiana in Iraq.
«I militari italiani presidieranno probabilmente il sud del Paese, a Bassora»
(L’Arena 23 Aprile 2003).
«I soldati italiani verranno inviati a fine giugno nella zona di Bassora»
(Corriere della Sera 4 Maggio 2003).
«Il Ministro della Difesa, Antonio Martino, conferma che gli uomini impiegati saranno 3000 e che l’area delle operazioni sarà quella di Bassora»
(La Repubblica 15 Maggio 2003).
«L’ENI è molto interessata alla possibilità di entrare in Iraq.. la situazione è in divenire, ma la seguiamo giorno per giorno». Lo ha detto Vittorio Mincato numero uno del gruppo, rispondendo alla domanda degli azionisti sull’interesse della società per il petrolio iracheno.
(Adnkronos 30 Maggio 2003).
«I soldati italiani in Iraq hanno sostituito i marines del 25esimo Reggimento nella provincia di Dhi Qar, nel governatorato di Nassirya»
(Istituto Affari Internazionali 23 Luglio 2003).

"Il muro del silenzio si è crepato, l’attacco agli italiani a Nassirya, con morti e feriti ha scosso le coscienze. (2 dei caduti avevano oltre 50 anni - mentre una circolare dell’Arma nella quale si specificavano i requisiti per ottenere l’idoneità alla spedizione, fissava a non oltre 45 anni l’età dei militari da impiegare. Nessuno si è accorto di questo?)
Il 5 marzo 2004, sulla rivista Orizzonti Nuovi, viene pubblicato un articolo a quattro mani di Elio Veltri e Paolo Sylos Labini. Il titolo è eloquente: “Il vero motivo della presenza italiana a Nassiriya”. I due autori, citando Benito Li Vigni, entrato all’Eni con Mattei e rimasto nel gruppo fino al 1996, in posizioni di grande responsabilità, scrivono che “La presenza italiana in Iraq, al di là dei presupposti ufficialmente dichiarati, è motivata dal desiderio di non essere assenti dal tavolo della ricostruzione e degli affari. Questi ultimi riguardano soprattutto lo sfruttamento dei ricchi campi petroliferi. Non a caso il nostro contingente si è attestato nella zona di Nassiriya dove agli italiani dell’Eni il governo iracheno, pensando alla fine dell’embargo, aveva concesso – fra il 1995 e il 2000 – lo sfruttamento di un giacimento petrolifero, con 2,5-3 miliardi di barili di riserve: quinto per importanza tra i nuovi giacimenti che l’Iraq di Saddam voleva avviare a produzione”.


Polemiche per un video girato nell’agosto del 2004 a Nassirya, durante la cosiddetta terza battaglia ‘dei ponti’: gli scontri sostenuti dai militari italiani con i guerriglieri iracheni che tentavano di prendere le infrastrutture di Nassriya, in cui furono impegnati i carabinieri paracadutisti del reggimento Tuscania, elementi della seconda brigata mobile e dei bersaglieri. E’un documento inedito, realizzato dall’interno di una postazione militare italiana impegnata nella battaglia contro gli insorti al di là del fiume. Il video mostra i ‘nostri ragazzi’, i dispensatori di caramelle, mentre sparano sui miliziani, s’incitano ad ‘annichilirli’ e si congratulano tra di loro quando ‘ne fanno fuori uno’. In realtà c’è poco da stupirsi: i soldati sono in guerra e combattono. E spesso si spara anche prima, per non far la fine degli altri.
Tutto diventa surreale nell’ottica della missione di pace.

Insomma "Non a caso le migliori truppe di invasione americane in Iraq hanno presidiato immediatamente gli edifici del ministero del Petrolio. E Quelle Italiane presidiato Nassirya (Bassora)"( Corriere della Sera 8 gennaio 2007).

"L'industria estrattiva potrebbe rendere 100 miliardi di dollari all'anno. Cifre da capogiro, con il greggio che attualmente viene venduto a 70 dollari al barile, mentre in Iraq i costi medi di estrazione al barile si aggirano sui 2 dollari. E si calcola che le riserve irachene ammontino a 115 miliardi di barili, senza contare la possibilità di trovare altri giacimenti". ( Corriere della Sera 8 gennaio 2007).

"Il governo di Bagdad (l'attuale, gradito agli americani) sta discutendo di appaltare lo sfruttamento degli immensi giacimenti del Paese alle grandi multinazionali straniere. La prima mossa concreta per cercare di gestire la questione più spinosa dall'ultima guerra e che ha accompagnato tutto il dibattito sull'intervento militare straniero nel Paese sin dai mesi seguenti l'invasione irachena del Kuwait nell'agosto del 1990.
Non mancheranno i critici. Per i critici della guerra la nuova legge non può essere altro che la conferma delle previsioni più fosche: l'invasione non aveva nulla a che vedere con il desiderio di "importare" la democrazia in Iraq, quanto piuttosto di impadronirsi delle sue risorse petrolifere"
(Corriere della Sera 8 gennaio 2007).

"Dai tempi della decolonizzazione (1972) le multinazionali potrebbero tornare in Iraq alla grande (ma anche in Iran, appena ci saranno validi o pretestuosi motivi per invaderlo). (Corriere della Sera 8 gennaio 2007).

All'orizzonte è nuovamente comparso (ma guarda un po', come quella famosa esplosiva intervista citata all'inizio su "Business Week") Henry Kissinger: Questa volta non per il petrolio:


Insomma in previsione ... un'altra guerra.
Come ormai tutti sappiamo, se il nucleare è utilizzato da "Stati canaglia" è un potenziale "arma di distruzione di massa", ma se lo utilizza chi queste tecnologie le possiede già, è una semplice "arma nucleare tattica", un deterrente della guerra, cioè fino a ieri, un mezzo per far la pace con quelli che ce l'hanno (vedi ieri Russia).
Così devono aver pensato da qualche tempo i Russi di Putin, che hanno investito (fino al 2020) una montagna di soldi in Iran, con prospettive rosee per il futuro dell'industria nucleare russa non solo in Iran ma anche in Cina.

Problemi di scontro di civiltà, di religione? balle !! Lo scontro è petrolio-nucleare!
Il grave pericolo dell'esaurimento dei pozzi americani e quindi l'inizio della corsa verso altre regioni per accaparrarselo iniziarono gli inglesi nel 1927 quando allora erano i più forti colonialisti del mondo.

Ma è anche palesemente piuttosto pretestuosa la "voglia" iraniana del nucleare per produrre energia, visto che lo stesso Iran è il paese che detiene il potenziale 20% delle risorse mondiali del petrolio.

Il medio oriente contiene   le maggiori riserve di petrolio del mondo: non solo l’America  (come spesso superficialmente  si dice)  ma tutto il mondo ha interessi vitali  in  quelle terre che invece sono politicamente oltremodo instabili. Di fronte a una crisi petrolifera   i paesi MOLTO  ricchi (USA) avrebbero  DELLE difficoltà, i paesi pure industrializzati (Italia) avrebbero  GROSSE difficoltà, i paesi EMERGENTI (est asiatico) RICADREBBERO miseramente nel sottosviluppo, e per ultimo per  i paesi  sottosviluppati sarebbe la CATASTROFE.

Francomputer

aggiornamento:
24 GIUGNO 2005 - IRAN: BALLOTTAGGIO, MAHMOUD AHMADINEJAD ELETTO PRESIDENTE. Si svolge il secondo turno delle elezioni presidenziali. E' il primo ballottaggio nella storia della Repubblica islamica. Votanti 59,8%. Secondo i dati definitivi non ufficiali, Mahmoud Ahmadinejad, l'ultraconservatore sindaco di Teheran, e' eletto presidente con il 61,7% dei voti. Il suo rivale Akbar Hashemi Rafsanjani ottiene il 35,9%. Il nuovo presidente Ahmadinejad, e' il primo laico, cioe' il primo non appartenente al clero sciita, ad assumere questa carica dal 1981. Vale a dire da quando l'allora presidente Abolhassan Bani Sadr, eletto l'anno prima, fu deposto dall'ayatollah Khomeini con l'accusa di tradimento e dovette fuggire dal Paese.



26 GIUGNO 2005 - IRAN: AHMADINEJAD SI PRESENTA ALLA STAMPA. Prima conferenza stampa del neopresidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, presso la sala del Consiglio comunale di Teheran. Ahmadinejad afferma che il suo governo operera' con ''moderazione e pace'' e in politica estera sarà guidato dal principio della coesistenza. Per Ahmadinejad l'Iran ha bisogno della tecnologia nucleare e continuerà a svilupparla. L'Iran - secondo il neopresidente - non ha ''una reale necessita'' di avere legami con gli Stati Uniti e aggiunge ''lavoreremo con qualsiasi paese che non mostrera'' animosita' verso l'Iran''. - E chi sono questi Paesi? Immaginatelo.

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