-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

109 h - LE SCOPERTE NELLE REGIONI NORDICHE

Gli stupefacenti successi dei popoli iberici destarono l'attenzione delle nazioni nordiche e stimolarono il loro desiderio di partecipare ai guadagni. Esse peraltro non avrebbero potuta conquistarsi il diritto di utilizzare le vie marittime scoperte a sud se non a prezzo di lunghe lotte, perché i portoghesi e gli spagnoli avrebbero certamente impegnato tutte le proprie forze per conservare il monopolio del commercio delle droghe.
Il principio della libera concorrenza allora non era stato ancora scoperto; il monopolio, che secondo Houston Stuart Chamberlain costituisce l'aspirazione fondamentale dell'anima della razza ariana, era ovunque ambito; si faceva ogni sforzo per conquistarselo e, ottenutolo, poi mantenerselo.
Solo nel 1609 apparve lo scritta rivoluzionario dei giovane Grozio intorno alla libertà delle vie oceaniche.

Parve quindi più conveniente considerare un'altra possibilità; che, cioè, come si era rivelata esistente a sud una via marittima per le Indie e per l'America. così ne esistesse una a nord che passasse attorno all'Europa ed all'Asia da un lato ed attorno alla Groenlandia dall'altro. L'uso di una via simile sarebbe stato più agevole per le nazioni dell'Europa centrale che le erano, più vicine, e COSì esse poi avrebbero avuto la propria strada per le Indie orientali ed il Pacifico, senza dovere aver a che fare con spagnoli e portoghesi.

La prospettiva era così attraente che tutti e tre i popoli principalmente interessati: olandesi, francesi ed inglesi, e accanto ad essi persino i russi e i danesi, concorsero a cercarne la realizzazione, e se non collaborarono nel senso vero e proprio, neppure all'inizio si osteggiarono. Le inimicizie sorsero, soltanto più tardi, quando fu trovata qualche cosa, che se non erano paesi ricchi di droghe, perle e gemme, erano regioni ricche di balene e di costose pellicce.
Anche qui, come nel caso della scoperta della via del Capo e delle Antille, furono gli italiani ad aprire la marcia, ed anche qui furono condannati a lavorare, non per il proprio paese, ma per gli stranieri. Per i primi i due Caboto posero a servizio del nuovo ideale la loro abilità come marinai ed il loro, fors'anche maggiore, talento per gli affari.

Il nome della famiglia, comunemente noto - quello di Cabot - suona inglese, ma si tratta di una semplice anglizzazione dell'originario nome italiano. Giovanni Caboto, genovese, era diventato nel 1490, cittadino di Bristol, allora la seconda città britannica per numero di abitanti, che provvedeva i paesi iberici della loro principale vivanda di magro, lo stoccafisso. Muovendo da Bristol, egli nel 1496 eseguì un viaggio d'esplorazione nel Nord America che, secondo l'opinione di studiosi recenti, lo condusse nella Nuova Scozia.
Uno dei suoi figli, Sebastiano, proseguì i tentativi del padre e spese tutta la sua lunga e movimentata vita a cercare una via per girare attorno al continente americano. Egli era una testa irrequieta, più progettista che esploratore, un soldato mercenario della geografia, che, non diverso in un certo modo da Colombo, cercò di mettere in moto e quindi coinvolgere l'Inghilterra, la Spagna e in Italia Venezia.

Il più esperto conoscitore di quei, tempi, l'americano Harisse, ha dato di lui un giudizio non troppo favorevole. Egli fece dei tentativi tanto nel Nord-America quanto nel Sud-America per cercare un passaggio verso l'India, ma naturalmente non lo trovò. Morì nel 1557. Malgrado non abbia ottenuto risultati positivi, gli si deve attribuire il merito di aver risvegliato l'interesse per le esplorazioni d'oltremare in paesi che sino allora si erano mostrati freddi nei riguardi di simili avventure e iniziative per compierle.

Risultati più seri conseguì il fiorentino Giovanni da Verrazzano, che fu preso al suo servizio da Francesco I di Francia. A lui si deve il primo rilievo diligente delle coste atlantiche del Nord-America e, da osservatore colto qual'era, egli ha arricchito di molto il patrimonio di cognizioni geografiche con giuste osservazioni. Così si deve ricondurre a lui la prima chiara constatazione del contrasto fra il clima solare ed il clima fisico, spesso tanto sensibile. Il suo viaggio lungo le coste americane cade nel terzo decennio del XVI secolo; pare che egli sia morto nel 1528 in Brasile. La sua scoperta più notevole fu l'accertamento della struttura insulare di Terranova.

Qui si recò nel 1534 Jean Cartier di Saint Malo, forse in origine al solo scopo di esercitare l'industria della pesca in quella zona già nota ai francesi. Ma ad ogni modo egli rivolse la sua attenzione al gran fiume S. Lorenzo, esplorò tutt'intorno l'isola di Anticosti situata dinanzi alle sue foci, e risalì il corso del fiume tanto a nord che poté toccare il villaggio indiano di Quebec e più tardi avvistare una montagna che chiamò «reale». Là dove si erge questo monte, si stende oggi la popolosa città commerciare di Montreal (Mont Royal).

Quando due anni dopo Verrazzano redasse una relazione del suo viaggio, le informazioni da lui date circa la nuova regione del Canadà, che da lui viene chiamata Nova-Francia, suscitarono il massimo rumore, tanto che gli fu dato l'incarico di procedere alla colonizzazione di quel paese che veniva considerato già come possedimento francese.

Verrazzano si mise all'opera e nel 1541 stabilì una colonia a Quebec, che però non poté reggersi, dar momento che nel 1544 Cartier dovette ritornare per ricondurre i coloni in Francia. Cartier pertanto non ebbe momentaneamente successo; ma egli ad ogni modo preparò il terreno alle future più fortunate imprese della Francia nella regione del San Lorenzo, e la geografia per merito suo dovette prendere nota della voce che questo fiume gigantesco prendesse le sue acque da una catena di grandi laghi posti nell'interno in direzione ovest.

Tutti questi tentativi avevano già posto in chiaro che non era cosa facile, navigando verso ponente trovare una via di passaggio al Pacifico e raggiungere poi le isole delle droghe. Ma quel che pareva impossibile dal lato di ponente poteva forse ottenersi nella direzione opposta. Anche qui fu l'irrequieto Sebastiano Caboto che per primo lanciò tale idea nel mondo e così diede l'impulso ad una nova importantissima fase della storia delle scoperte.

Si sapeva con una certa sicurezza che la punta più settentrionale d'Europa, il capo Nord, era ancora lontana dal circolo polare quasi venti gradi, e la più alta autorità nelle questioni artiche, il dotto vescovo svedese Olaus Magnus, aveva espresso la propria convinzione che anche la punta settentrionale dell'Asia, che allora si credeva di riconoscere nel capo Tabin (secondo ancora Plinio) non si spingeva eccessivamente nel nord. Così si formò sotto la direzione di Caboto una società commerciare, che nel 1553 fece il serio tentativo di attuare il novo disegno.

La si denominò Compagnia Moscovita, perché il territorio costiero al di là della Norvegia si considerava soggetto allo Zar di Russia. Ancora pochi decenni prima si aveva di questo sovrano e del suo dominio una scarsa idea, ma da qualche tempo l'oscurità che regnava nei riguardi delle steppe orientali era stata alquanto diradata. Frequenti ambascerie avevano fatto la spola fra la Germania e Mosca, ed uno di questi inviati, Paolo Giovio, per primo nel XV secolo, fece un po' meglio conoscere la Russia e la sua popolazione.
Molta maggiore importanza ebbero al riguardo i due viaggi fatti in Russia da Sigismondo von Herberstein, un nobile della Carniola che aveva il gran vantaggio di sapere lo sloveno (slavo) e il tedesco, di modo che poté senza grande fatica comprendere il russo che agli altri inviati diplomatici era rimasto completamente ignoto.

Herberstein fu a Mosca due volte, nel 1517 e nel 1526, ed i suoi «Rerum Moscovitarum Commentari», stampati a Vienna nel 1549, costituirono per più di mezzo secolo, la principale fonte delle conoscenze riguardo all'Oriente europeo. Tuttavia alcune delle cose che egli aveva accertate in Russia erano in giro già risapute; il che spiega come due dotti, il canonico di Cracovia Matteo Miechow ed il professore di Ingorstadt Giovanni. Eck, il noto teologo, abbiano potuto fin dal 1518 pubblicare due piccoli scritti «De rebus Sarmaticis» che delineavano esattamente nei suoi tratti principali la natura fisica della Russia settentrionale.

D'allora in poi sparì dalle carte la pretesa catena dei monti Rifei corrente da Ovest ad Est, la cui esistenza era stata ostinatamente sostenuta dai geografi convinti dell'infallibilità degli antichi autori, e si seppe che il Dnieper (Boristene) e il Don (Tanai), sboccavano nel Mar Nero mentre il Volga (Rha ovvero Stiria) andava a mettere la sua foce nel Caspio.
Così pure ora appaiono sulle carte i fiumi Mesen e Pesciora, gli Urali, e persino ad oriente di essi il gran fiume Ob col suo affluente Irtsch. Era assodato che il fiume Ob sboccava nel Mar glaciale, e con ciò era tracciato un primo itinerario e assegnava una prima meta alla Compagnia Moscovita.
Si trattava di raggiungere anzitutto re foci dell'Ob per poi procedere oltre verso Est. Vero, è che questa meta non fu potuta raggiungere nel XVI secolo, né d'altra parte poteva avvenire diversamente nelle circostanze del momento.

Tre navi salparono nel 1553 per forzare i passaggi nordici: Ugo Willoughby, Riccardo Chancellor e Stefano Burrough le comandavano. Di esse ne tornò indietro una sola, quella di Chancellor che aveva a bordo anche Burrough. L'intraprendente Chancellor era riuscito a penetrare nel Mar Bianco, di cui aveva raggiunto la costa meridionale in vicinanza del famoso monastero di Cholmogory, trovando anche modo di avviare vantaggiosi scambi commerciali con gli abitanti del luogo. «È una nave mercantile ed ha trovato attraverso i ghiacci la via per arrivare sino a noi», annunzia - nel «Demetrio» di Schiller - il piccolo pescatore alle monache che ascoltano stupite.
Però l'accorto marinaio non si limitò agli accennati baratti con i pescatori della costa, ma cercò di avviare relazioni future più lucrose. Trovò la via per raggiungere Mosca, riuscì ad accattivarsi lo Zar e concluse una specie di trattato di commercio che garantiva agli inglesi una maggior libertà di movimento sul vasto territorio russo.

In grazia di questa convenzione James Jenkinson, un rappresentante della Compagnia, poté azzardare un viaggio sul basso Volga, che si estese nel 1558 sino alla costa orientale del Caspio e nel 1562 perfino alla Persia, il cui Scià fece al commercio inglese condizioni non meno favorevoli dei russi.
Questo abile negoziatore era pure pratico dell'uso del quadrante e col suo aiuto poté disegnare una carta più precisa dei paesi da lui attraversati, la quale é assai migliore di quella di v. Herberstein ed é difettosa soltanto nei punti dove egli non vide personalmente le cose, ma dovette ricorrere ad altre fonti.

Chancellor ritentò la fortuna nel 1556, ma naufragò e perdette la vita. Solo nel 1580 salpò una nuova spedizione guidata da Carlo Jakman e Arturo Pet. Essa girò le isole di Vaigat e penetrò nel Mar di Cara; ma, intimorita dalle masse dei ghiacci galleggianti che in certi anni qui si formano, ritornò indietro. Durante il viaggio di ritorno Jakman perì, mentre Pet, dopo disagi d'ogni genere, riuscì a rivedere la patria e scrisse una notevole relazione delle due avventure.

Qui per il momento si arresta la partecipazione degli inglesi ai tentativi di scoprire il desiderato passaggio a nord, e al loro posto subentrano gli olandesi. Questi avevano già nel 1565 disteso il loro primo tentacolo, giacché Oliere Brunel si era recato nel nord della Russia e lo aveva percorso allo scopo di allacciare relazioni commerciali. Benchè i russi, influenzati dalle gelosie inglesi, gli creassero non poche difficoltà, riuscì tuttavia a stabilire una colonia sulla costa della penisola di Cola, e notevole pure fu la cooperazione di Brunel alla fondazione nel 1584 della città di Arcangelo nei pressi del monastero di Colmogory.

Successivamente Brunel fece sotto bandiera danese anche dei viaggi in Groenlandia. E non aveva lavorato invano. Nel 1593 Baldassarre de Moucheron concepì il disegno di cercare una via marittima nord per raggiungere la Cina, e siccome i competenti, soprattutto il cartografo Plancius, espressero parere favorevole al progetto, Maurizio D'Orange si prestò a fornire due navi, cui la città di Amsterdam ne aggiunse due altre.

Le due prime, penetrarono nel Mare di Cara per lo stretto omonimo, ma tornarono quasi subito indietro perché i comandanti di esse credettero di avere esaurito il proprio compito, avendo trovato che il mare, di solito ghiacciato, era invece libero e navigabile. Le navi di Amsterdam arrivarono soltanto fino alla costa della Nuova Semlia. L'opinione pubblica olandese, contrariamente alla credenza dei detti comandanti, giudicò che si trattava di un puro insuccesso, tanto vero che nel 1595 una nova squadra, composta di sette navi, salpò dall'isola di Texel con lo stesso programma di «trovar la via per raggiungere dal nord i regni della Cina e del Giappone».
Ma in quell'anno particolarmente freddo il Mar di Cara si rivelò quel gran deposito di ghiacci impraticabile che per tanto tempo era stato ritenuto. E la spedizione fece ritorno senza avere ottenuto risultati meritevoli di menzione. L'unico che potrebbe citarsi é quello di esser venuti a sapere dagli abitanti della costa che ad oriente dell'Ob sboccava nel mar glaciale un altro fiume, il Gilissi (Jenissei) e che tra le foci dei due fiumi si svolgeva un commercio regolare.

Da questa notizia mosse Nordenskiôld, allorché cominciò ad elaborare dentro di sé il progetto di circumnavigazione dell'Asia settentrionale.
L'insuccesso della costosa spedizione ebbe un effetto scoraggiante nelle alte sfere dei dirigenti olandesi, e gli Stati generali credettero doversi limitare a stabilire soltanto una cospicua ricompensa per colui che nell'avvenire avesse condotto a termine l'impresa.
Diversamente si comportarono quelli di Amsterdam. Essi non si perdettero di coraggio e allestirono due nuove navi. Jan Corneliszon Ryp e Jakob Hendrikszon Heemskerk ebbero l'ordine di svernare alle foci del Jenissei e di iniziare nella successiva primavera l'ulteriore viaggio verso l'Oriente Asiatico; da ciò si nota come nel frattempo si era imparato a procedere con miglior criterio nelle esplorazioni geografiche.

Nella primavera del 1596 i due capitani salparono ed il 9 giugno Ryp scoperse l'isola degli Orsi, disabitata, ma popolata da gran numero di foche ed orsi bianchi, isola che dal 1603 divenne una méta preferita dai cacciatori inglesi. Otto giorni dopo egli scoprì ancora un gruppo di isole coperte di rocce frastagliatissime ed acuminate, che però i russi avevano già avuto occasione di notare senza tuttavia occuparsene ulteriormente.
Da allora esso prese il nome di Spitzbergen. Qui però la nave di Ryp incontrò una insuperabile barriera di ghiaccio. Il viaggio non era stato sterile di risultati geografici, ma verso lo scopo ultimo non si era compiuto proprio alcun passo.
Detto di passaggio, l'arcipelago di Spitzbergen acquistò da allora una certa importanza. Dal 1597 gli inglesi visitarono con molta predilezione le sue acque costiere formicolanti di animali marini. Da ultimo la caccia alle foche e alle balene resero quelle rocce deserte così note e movimentate, che vi poterono sorgere persino delle colonie permanenti, come la piccola città olandese di Smeerenberg.

Ma tra inglesi ed olandesi ben presto scoppiarono continue contestazioni, cui pose fine solamente un trattato concluso nel 1627 sotto re Carlo I, col quale a tutti i popoli interessati, non esclusi gli spagnoli, vennero assegnati separati distretti di caccia.

Ritornando a Ryp e ad Heemskerk, quest'ultimo seppe mantenere una rotta che per un certo tempo lo garantì da una troppa vicinanza con i ghiacci galleggianti alla deriva. Il 17 luglio raggiunse la Nova Samlja e il 16 agosto gli riuscì di girare la punta settentrionale dell'isola, ma qui fu preso tra i ghiacci e costretto a cercare alla meglio un riparo.
Ben presto il timoniere Barents, che aveva precedentemente comandato le navi di Amsterdam, divenne l'anima dell'organizzazione di questo svernamento che é il primo storicamente noto a così alta latitudine (77 gradi circa). Facendo appello a tutta la sua forza di volontà ed a tutta la sua abilità egli ottenne che i suoi compagni riuscissero nelle loro misere capanne a difendersi dagli attacchi combinati della fame, dello scorbuto e dai feroci orsi.
Ma non gli fu concesso di vedere il felice risultato finale delle sue fatiche. Verso la metà del giugno 1597 gli esploratori, la cui nave si era intanto perduta, lasciarono i loro rifugi su navi da essi stessi fabbricate e si avviarono verso la costa norvegese, dove speravano trovare salvezza, come infatti la trovarono.

Il solo Barents mancava tra i reduci. Egli era stato portato via ammalato su una nave ed era morto durante il viaggio. Barents fu il più distinto fra tutti coloro che prima di Nordanskiold tentarono di forzare il passaggio tra i ghiacci del nord per raggiungere l'Oriente. Anche cronologicamente questa spedizione fu l'ultima di serio rilievo.
Tuttavia nel 1611 Nay e Cat tentarono anch'essi un viaggio verso il favoloso stretto di Anian, ma non arrivarono molto lontano; e con loro si chiude questo primo periodo della storia delle scoperte.

Nel frattempo anche dalla parte d'occidente si era lavorato con molto impegno, ma con altrettanto scarsi risultati. Negli anni dal 1576 al 1578 Martino Frobisher, abbracciando le idee di Caboto, fece tre viaggi a breve distanza di tempo e credette di aver scoperto una via di passaggio allo Oceano Pacifico, mentre in realtà era caduto in un vicolo cieco. Il capo "Meta incognita" un nome datogli dalla Regina Elisabetta, e la baia di Frobisher situata al nord di questa penisola conservano il ricordo di questo navigante poco favorito dalla fortuna.

Tuttavia lo spirito intraprendente britannico non si lasciò arrestare. Un ricco mercante, di nome Saunderson, offrì i mezzi per una più accurata esplorazione delle coste già scoperte e si assicurò l'opera dello sperimentato capitano John Davis per l'impresa da lui tanto vagheggiata.
Davis navigò per molto tempo lungo la costa occidentale della Groenlandia, che non riconobbe a causa della imperfezione delle sue carte e perciò chiamò quelle terre «Desolation Land». Dal suo nome il largo braccio di mare tra la Groenlandia e le isole poste ad occidente si chiama stretto di Davis.
In quel groviglio di isole, che riconobbe esattamente per tali, egli però non credette che sarebbe riuscito a concludere nulla di utile. Né una via fu trovata allorché Frobisher nel 1586 e Davis per la seconda volta nel 1587 si arrischiarono nell'arcipelago suddetto, pieno di ghiacci.
Tuttavia Davis scoprì l'imboccatura dell'attuale stretto di Hudson, senza poter comunque proseguire oltre. Disgraziatamente poi quest'uomo intraprendente perì prematuramente ucciso a tradimento nella lotta contro gli spagnoli sulla costa del Marocco.

La regina Elisabetta d'Inghilterra era stata troppo impegnata da altri gravi problemi per poter prendere un maggiore interesse alle imprese di esplorazione in paesi lontani. Il suo successore Giacomo I fu poi uomo dotato di spirito indubbiamente meno intraprendente di lei; ma a suo tempo vissero due patrioti altrettanto intelligenti quanto operosi ed energici, Sir Thomas Smith e Sir John Wolstenholme, i quali presero a cuore la soluzione del vecchio problema e patrocinarono un nuovo tentativo di procedere oltre sulla via tracciata da Frobisher e da Davis.

Nella persona di Enrico Hudson, il quale aveva già percorso la Groenlandia e determinato sulle carte la situazione geografica del fiume attualmente chiamato Hudson River, fu trovato l'uomo adatto; ed egli infatti riuscì a penetrare in quella vasta e profonda insenatura marittima che da lui porta il nome di baia di Hudson. Ma questa importante scoperta, personalmente, doveva riuscirgli fatale. Costretto a svernare sul luogo, la vita dura e piena di privazioni gli suscitò contro le ostilità degli equipaggi, e quando Hudson volle reprimerle col rigore scoppiò una rivolta, in seguito alla quale egli, il figlio ed alcuni fedeli vennero abbandonati in una barca scoperta in balia di quel mare facilmente tempestoso. Ciò avvenne nel 1611, né da allora si ebbe più notizia di questi due sventurati, malgrado che dalla patria fosse subito inviata una spedizione di soccorso; questa riuscì a raggiungere anch'essa la baia di Hudson, ma dal punto di vista geografico non riportò che la falsa convinzione di una continuità fra il mare di questa baia e l'Oceano Pacifico. Del resto questa baia ha all'interno un mare che è grande pari a metà del nostro Mediterraneo.

Gugliemo Baffin fu, come Barents, un uomo pieno d'abnegazione e senza pretese. Egli conosceva le acque della Groenlandia per esperienza personale ed era un provetto astronomo. Nel 1615, sotto il comando di Bylot, del quale guidava l'ammiraglia «Discovery», ritornò negli stessi paraggi, senza peraltro riuscire ad oltrepassare l'isola di Southampton. Qui però egli fece una osservazione che sconvolgeva tutti i calcoli: la marea cioè non veniva, come aveva affermato Button, dal Pacifico, ma dal lato dell'Atlantico. Sotto l'impressione di questo fatto la spedizione decise di tornare in patria. Tuttavia il disinganno non fu considerato definitivo giacchè, sebbene le speranze riposte nella baia d'Hudson si erano rivelate ingannevoli, pure restava ancora la eventualità che il desiderato passaggio si aprisse più a nord. Noi ora sappiamo che la supposizione coglieva nel vero, e nemmeno era molto distante, ma non era ancor venuto il momento di vederla confermata.

Fu fatto ancora un ultimo tentativo. La «Discovery» al comando di Bylot e Baffin ritornò nelle inospitali acque groenlandesi ed esplorò il largo braccio di mare situato a nord dello stretto di Davis, che ora porta il nome di baia di Baffin; qui la, spedizione trovò mare più libero dai ghiacci e raggiunse il 78° grado di latitudine nord. Retrocedendo poi verso sud, essa passò presso l'isola di North-Devon ed incrociò l'imboccatura dello Stretto di Lancaster, la cui parte occidentale avrebbe rappresentato la via tanto cercata, giacchè essa sbocca nello stretto di Barrow, e da questo il canale di Melville, spesso libero dai ghiacci, conduce nelle acque che bagnano le coste del continente americano a nord delle foci del fiume Mackenzie. E' più che naturale che gli Inglesi non si siano sentiti l'animo di affidarsi al poco promettente imbocco dello stretto di Lancaster, che oltre tutto aveva l'apparenza di semplice fjord; perciò continuarono la rotta verso sud, ma furono presto presi fra i ghiacci galleggianti e portati alla deriva, finché poterono liberarsi dalla stretta all'incirca all'altezza del circolo polare artico.

La « Discovery » tornò felicemente in Inghilterra; ma i suoi comandanti erano ormai saldamente convinti che non conveniva procedere oltre nella direzione sinora seguita, ed anche i connazionali furono del parere dei due audaci navigatori. Una lettera scritta da Baffin a lord Wolstenholme, dal quale prese nome la punta nord-ovest del Labrador, la si può guardare come una netta rinuncia ai disegni vagheggiati con tanto trasporto in Inghilterra da quarant'anni.
Egli scrive assai giustamente: «Io posso con sicurezza e senza vanteria affermare che ulteriori e migliori scoperte non si potranno fare a breve scadenza, se si tien conto delle masse di ghiaccio e delle difficoltà che si incontrano in una navigazione così vicina al polo ne si può a causa della forte deviazione che subisce l'ago magnetico, schizzare con la massima diligenza una carta esatta».

Per due secoli il desiderio di trovare un passaggio a nord del continente americano, rimase un sogno. Solo i cacciatori di balene e di foche visitarono ancora qualche volta quelle pericolose plaghe marittime, e alcuni di costoro, come Fox e James, che vi soggiornarono nel 1631, diedero il loro nome ad un canale e ad una baia delle regioni polari. Solamente nel 1818 la Gran Bretagna, animata da un rinnovato spirito d'impesa, issò ancora la superba bandiera che Baffin, amareggiato, aveva ammainato.

Uomini come John e James Ross, Parry, Jnglefield, Mac Clintsik e John Franklin, il venerando martire delle esplorazioni polari, impegnarono allo scopo le loro migliori energie, finché nel 1851 Mac Clure raggiunse la meta finale tanto ricercata.
Ma si continuò ormai a lavorare, a soffrire ed a sacrificare la vita unicamente per aumentare le cognizioni geografiche; per gli scopi commerciali le vie del nord non vennero più prese in considerazione.

Ci siamo inoltrati negli anni, mentre qui dobbiamo ora fare un passo indietro
e ritornare alle conquiste olandesi.

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