-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

LA STORIA DEI LONGOBARDI


"Come una spada sguainata queste orde selvagge si abbatterono su di noi e dappertutto
gli uomini cadevano come spighe falciate. Le città furono spopolate, i castelli distrutti, le chiese bruciate,
i conventi demoliti. I campi furono saccheggiati e il suolo piange la sua solitudine
giacchè non vi sono uomini per coltivarlo"
(Papa Gregorio Magno)

(Contributi di Sergio Rossi - Ottavio de Manzini - Mario Veronesi)

Durante la campagna di guerra condotta dal generale bizantino Narsete, contro i Goti, vi erano nell'armata bizantina in Italia 2500 guerrieri longobardi, che si distinsero per valore e ferocia.
Coloro che rientrarono alle proprie sedi in Pannonia avevano bene impresse in mente tutte le caratteristiche di questa terra italica, così pianeggiante, ricca di campi coltivati e coltivabili, di città fiorenti, e allo stesso tempo così indifese e quindi facile da conquistare.

Anche se la pianificazione accurata di un'invasione non faceva parte della prassi militare dei Longobardi né rientrava nei costumi della loro epoca più recente, è inevitabile pensare che il patrimonio informativo costituito dall'esperienza di questi reduci della "visita" in Italia (soprattutto nella Pianura Padana) , abbia inevitabilmente contribuito alla decisione longobarda di invadere l'Italia; cioè alla preparazione ed alla conduzione di una campagna non di saccheggio ma di vero e proprio insediamento. (Anche se ci sono altre versioni sui fatti.  Nacque infatti una diceria che fu Narsete a invitarli a scendere in Italia, per vendicarsi con Bisanzio quando fu dall'imperatore esonerato e richiamato a Costantinopoli per essere processato e esiliato).

La maggior parte delle notizie che abbiamo sui Longobardi, alcune tra le quali spesso contestate dagli storici, sono dovute a Paolo Varnefrido, detto PAOLO DIACONO (n. 720 ca.). Egli studiò a Pavia con Flaviano, alla corte di Rachis. Si ritirò nell'Abbazia di Montecassino e compose, tra il 787 e il 799, la "Historia Langobardorum", alla quale, senza pretese critiche e accademiche, anche noi abbiamo attinto nella stesura di queste pagine. Le altre fonti le citiamo per dovere, ma sappiamo che anche queste sempre riprese dall'opera di Diacono provengono.



I Longobardi si erano stabiliti in Pannonia tra la fine del V e i primi anni del VI secolo muovendosi dalle sedi lungo il basso corso dell'Elba, dove erano stanziati già da quando Tacito li descrisse assieme a quelli che furono poi chiamati tutti indistintamente Germani, mentre questi altro non erano che una delle tante tribù incontrate per la prima volta dai romani. 
Infatti  a parlarne per la prima volta, cento anni prima di Tacito, erano già stati Velleio Patercolo e Strabone al tempo di Augusto e di Tiberio (5 d.C.)
La loro sede originaria era il Bardengau, sulla riva sinistra dell'Elba meridionale. Fu proprio su questo territorio che furono vinti da Tiberio qualche anno prima della battaglia nella foresta di Teutoburgo.

Quando poi Arminio (bravissimo stratega,  e con un grande carisma fra i germani) tentò di unificare tutte le tribù e liberare l'intero paese dai romani che si proponevano di soggiogare la "Germania" intera (dalle Alpi fino all'Elb), fu catturato con un tradimento e condotto a Roma, non proprio come prigioniero ma rispettato e onorato. Quello che temevano i romani era appunto che sorgesse un grande capo che unificasse tutte le tribù germaniche. Ed Erminio con il suo carisma stava compiendo proprio quest'opera; l'unico modo era quello di allontanarlo offrendogli un dorato soggiorno a Roma. Senza di lui avrebbero così affrontato e scompaginato una alla volta i vari gruppi che se presi isolati per il modo arcaico come combattevano, erano presto ridotti ad essere vinti e assoggettati.    
I Longobardi per un breve periodo furono governati da Marobodo, poi da Italico, che era il figlio di Arminio (il capo condotto a Roma) cresciuto nella capitale, ma che un ritorno di sangue lo riportò fra la sua gente.

Con i successivi eventi, i Longobardi nonostante la pressione dei Romani, ma anche da altre tribù confinanti, riuscirono a conservarsi un discreto territorio, mantenendo così per lungo tempo le proprie leggi che ricordano i popoli dei mari del Nord, e conservando le proprie istituzioni primitive anche quando sottomettevano altre tribù. Di altri contatti con i romani ce ne furono pochi. Una segnalazione di un gruppo di Longobardi è registrata in Pannonia nel 125 insieme ai Marcomanni, ma furono respinti dai romani.

Sulla frontiera romana, sul Danubio, nel Norico ci ritornarono trecento anni dopo, nel 487-490, alla grande, con una vera e propria migrazione di massa. Guidati da re Gudeoc, occuparono il territorio abbandonato dai Rugi che si erano però lasciati dietro una terra piuttosto desolata. Forse proprio per questo i nuovi invasori si spinsero a Feld (odierna Ungheria). L'invasione non ebbe grande successo; gli Eruli (popolo insediato nel bacino del Tibisco) che già abitavano questi territori discretamente abitabili, li costrinsero a pagare dei contributi se volevano restarci.
Fu in questo periodo che i Longobardi presero in considerazione l'idea di attraversare il Danubio per emigrare verso i territori ostrogoti che da anni si erano indeboliti per tutte quelle vicende che abbiamo già narrato nei singoli precedenti anni.

Con i Bizantini gli italici non erano contenti per le esose gabelle dei funzionari; le milizie dell'impero bizantino erano poche e sparse nelle varie città e non avrebbero potuto validamente opporsi ad un'invasione; mentre gli Ostrogoti superstiti essendo della stessa stirpe germanica si sarebbero uniti sicuramente ai longobardi. Queste furono le considerazioni.

""" Nell'anno 508 avviene la grande vittoria dei Longobardi contro gli Eruli, sotto ai quali erano stati fino ad allora sottomessi. Pare che i Longobardi sotto i successori di re Godeoc, cioè sotto il figlio Claffone (che regnò poco) e il nipote Tatone fossero costretti ad abbandonare la Rugilandia (che noi possiamo identificare con la Bassa Austria) e a trasferirsi più a oriente in una regione chiamata dallo storico longobardo Paolo Diacono "Feld" (da intendersi come l'odierno Marchfeld a est di Vienna). Solo che secondo Paolo Diacono questo trasferimento fu volontario e Longobardi ed Eruli erano confederati in un rapporto paritario, mentre sappiamo grazie al 'De bello Gothico' di Procopio di Cesarea che i Longobardi erano tenuti -lo abbiamo già accennato sopra- a pagare tributi agli Eruli, e dunque i Longobardi furono probabilmente messi in movimento dalla pressione dei loro potenti vicini.

Fu dunque la volontà di rendersi autonomi dei Longobardi che scatenò il conflitto che portò all'annientamento quasi completo degli Eruli e alla morte del loro re Rodolfo, rendendolo un evento che ancora secoli dopo era vivo nella memoria collettiva dei Longobardi come determinante. Infatti venne fatto un bottino straordinario e furono assoggettati molti Eruli che vennero fusi nel popolo dei Longobardi segnando l'inizio di una grande espansione. E il fatto non va visto come meramente locale: grazie a Cassiodoro sappiamo che Rodolfo era figlio adottivo di Teodorico e apparteneva alla sua rete di alleanze che includeva i Visigoti sbaragliati l'anno prima; faceva tutto parte del disegno bizantino di ridimensionare la potenza gotica attraverso alleanze strategiche con i nemici del grande re ostrogoto. 

Riguardo agli Eruli che non si sottomisero sappiamo da Procopio che una parte si rifugiò in Illirico sotto la protezione bizantina (dove chiesero e ottennero nel 545 un membro della corte bizantina come re) mentre i superstiti della vecchia famiglia reale insieme al loro seguito migrarono a "Thule" (così Procopio chiama la Scandinavia) e si insediarono vicino al popolo della Svezia meridionale dei Gauti.
Esiste una considerevole documentazione archeologica che li collega allo sviluppo della cultura di Vendel, famosa per la ricchezza dei suoi sepolcri. Ad essi si tende ad attribuire lo sviluppo del culto di Odino in Svezia e forse addirittura la distinzione fra le divinità dei "Vani" portate dagli Eruli e quelle degli "Asi" dei primi abitanti. A loro si dovrebbe anche l'introduzione di un'industria del ferro tipica delle culture germaniche più meridionali e la diffusione delle saghe gotiche.

Di particolare importanza il loro collegamento nella nascita dell'alfabeto runico: tutta la Scandinavia é disseminata di iscrizioni runiche con scritto "erilaR" come associato agli incisori di rune (forse per la loro abilità "erulo" e "incisore di rune" erano diventati sinonimi). (questo pezzo è di Alex Ducci) ""


Sulla lontana origine dei Longobardi...

Sempre Paolo Varnefrido (poi più semplicemente chiamato Paolo Diacono, fonte principe delle notizie sul popolo Longobardo del quale faceva parte) sulle origini dei Longobardi, non accenna solo alla Scandinavia, ma che nella penisola vi erano nati, e ci rimanda dunque a una sede ancora più arcaiche o forse solo leggendarie rispetto a quelle di Tacito, Patercole e Strabone. Ci indica come loro culla la stessa  Penisola scandinava e l'antico nome dei Longobardi che l'abitavano: cioè Winnili = guerrieri.
Dalla Scandinavia i Longobardi sarebbero scesi a sud, risalendo il corso dell'Elba e dell'Oder, sotto la guida dei loro capi tribù. Il loro primo re fu AGILMONDO, sorpreso e ucciso in un attacco notturno dei Bulgari, che ne rapirono la figlia. A lui successe, sempre secondo  Diacono, Lamissione.

I Longobardi si stanziarono poi nel Norico e infine, come abbiamo visto, in Pannonia, subentrando ai Goti di Teodorico che in vari periodi erano scesi in Italia. E' anche molto probabile che la loro migrazione sia dovuta alla forte spinta delle popolazioni unne verso occidente. Dalla Pannonia - come abbiamo già letto sopra- penetrati nelle terre dei Rugi non vollero sottomettersi  e li sconfissero nel 512. Poi attaccarono anche i loro confinanti, i Gepidi, ma invece di distruggersi a vicenda arrivarono a un compromesso (527).

 VACONE uno dei potenziali figli eredi del trono Longobardo, sposò Austrigosa, figlia del re dei Gepidi (ma non è che i contrasti si appianarono, soprattutto quando ci furono dei contrasti dentro lo stesso popolo longobardo, fra alcune famiglie più potenti.)

I rapporti fra le due "famiglie" -le fare o farae - un insieme (un "clan") di famiglie imparentate fra loro- le 2 più aggressive e potenti - Beleos e Leth si fecero via via sempre più tesi, fino a sfociare in una guerra fra di loro per la reggenza. Sul trono salì poi TATONE  (della famiglia Leth), poi alla sua morte gli successe proprio il nipote VACONE.  Costui aveva due figlie, una la diede in sposa a un re Franco, e un'altra a GARIBALDO, allora duca di Baviera.

Subito dopo la morte di Teodorico nel 526 si era avuto il primo segno dell'indebolimento della potenza ostrogota: infatti i Longobardi guidati da Vacone penetrano per la prima volta nel territorio parzialmente romanizzato della Pannonia ottenendo una grande vittoria contro gli Svevi che là risiedono (più precisamente nelle due province romane della Pannonia Superiore e della Valeria). Gli Svevi che fino a quel momento erano stati protetti da Teodorico devono adesso sottomettersi ai nuovi dominatori e si fondono completamente con loro.

Fu in questi anni che probabilmente a contatto con le popolazioni bavaresi, i Longobardi abbracciarono il cristianesimo nella sua versione ariana.
(Anticipiamo: la figlia di Garibaldo (duca della Bavaria) , sposò poi re Autari. Lei era Teodolinda. Venerata a lungo come santa. Sepolta al Duomo di Monza. La ritroveremo più avanti).

Il re Longobardo Vacone rovescia la sua politica di alleanza con i Turingi e ne stringe una con i loro acerrimi nemici Franchi: infatti da in sposa al re Franco Teodeberto sua figlia Visegarda e dopo la morte precoce di questa fece sposare sua sorella Valderada con il figlio di Teodeberto Teodebaldo. Quest'alleanza sarà fatale per i Turingi che fra il 531 e il 534 verranno assorbiti dai Franchi.
 
Con questi due matrimoni Vacone si considerò contemporaneamente amico e alleato dell'imperatore romano (bizantino); amico e alleato dei Franchi (che però razziavano in territori bizantini); e ovviamente amico dei Gepidi essendo già sua moglie la figlia del loro re. 

Nel 'De bello Gothico' Procopio ci informa di un fallimentare tentativo del re Ostrogoto Vitige di stringere un'alleanza militare con il re Longobardo Vacone contro Giustiniano: Vacone risponde di essere vincolato da una precedente alleanza stipulata proprio con i Bizantini.

Nel 540 muore  Vacone; al trono succede il figlio ancora infante Valtari, per cui esercita le funzioni di reggente Audoino della stirpe dei Gausi. 

Nel 547 muore ancora minorenne il re Longobardo Valtari; il reggente Audoino ne approfitta per farsi proclamare re ignorando i diritti dei consanguinei di Valtari ancora viventi. Ma Audoino trova subito un alleato potente in Giustiniano che gli offre col titolo di "foederati" le due province della Savia e del Norico Mediterraneo. Erano province di grande importanza dal punto di vista strategico perchè comandavano le comunicazioni fra i Balcani e l'Italia.

Ma i bizantini avevano anche un altro scopo oltre a quello di far salvaguardare regioni su cui avevano scarso controllo: volevano mettere i Longobardi in attrito con i Gepidi (che controllavano l'importante fortezza di Sirmio, chiave per il controllo delle regioni balcaniche) secondo il consolidato principio romano del "divide et impera". E il conflitto esplose subito con i Longobardi che avrebbero dovuto avere secondo un accordo ben 10.000 soldati bizantini in appoggio: ma la diffidenza riguardo ai reali interessi di Giustiniano portò a una temporanea pacificazione che ebbe come conseguenza l'abbandono della causa del contendente al trono Longobardo Ildechi che dovette nuovamente fuggire fra gli Slavi.

Ma alla diplomazia bizantina si deve anche il matrimonio di Audoino con la figlia del re Turingio Ermanafrido ucciso nel 534 dai Franchi, come pure era figlia di Amalaberga, una nipote di Teodorico portata a Costantinopoli nel 540. Questo matrimonio da un lato metteva i Longobardi in urto con i Franchi dall'altro metteva in difficoltà il nuovo re Ostrogoto Totila il quale non aveva nessuna parentela con gli Amali, la stirpe regia fra i Goti.

Salito sul trono AUDOINO, in pochi anni cambiò radicalmente politica. Fu proprio lui (nel 548) con una spedizione - approfittando della confusione ostrogota-bizantina (la guerra greca-gotica in Italia)-  ad attraversare  per la prima volta il Danubio, occupando l'Ungheria sud-ovest, il Norico e la Stiria meridionale. Nello stesso anno c'era anche confusione nel regno Franco di Austrasia con la morte di Teodoberto e la salita al trono dell'inetto Teodebaldo.
Mentre con i Gepidi, Audoino concluse una tregua di due anni e in parte si insediarono sul loro territorio.

Costantinopoli non reagì, anzi  Giustiniano acconsentì a questo insediamento, e nel 550 prima fomentando attriti fra i due popoli, poi perfino aiutandoli diede il suo contributo ai Longobardi per far guerra contro i Gepidi.
Aiuto ricambiato quando nel 552, dovendo rafforzare la spedizione decisiva di Narsete in Italia contro Totila, i Longobardi fornirono a Giustiniano 2500 terribili "guerrieri" (questo era del resto il vero nome dei Longobardi - Winnili = guerrieri) con altri 3000 uomini armati al seguito, non meno guerrieri dei primi.

Furono di grande aiuto a Narsete, soprattutto per la loro ferocia; ma poi il generale bizantino dovette prendere le distanze perché la loro aggressività non era rivolta solo ai nemici, ma anche agli amici quando c'erano delle contese sui bottini. Essendo audaci, erano sempre loro i protagonisti della vittoria finale, e quindi pretendevano di più degli altri.
 Narsete dopo la battaglia conclusiva, non vide l'ora di rimandarli a casa, erano troppo indisciplinati e piuttosto pericolosi averli dentro l'esercito.

Nel frattempo sul loro territorio dei Gepidi, morto Audoino (560) era salito sul trono suo figlio: ALBOINO.
Il giovane re, alleatosi con gli Avari nel 567 conquista con loro definitivamente tutto il territorio dei Gepidi.

Il Re dei Gepidi  CUNIMONDO venne ucciso in battaglia dallo stesso Alboino, poi fatta prigioniera anche sua figlia ROSAMUNDA la obbligò a sposarsi con lui.
Una macabra leggenda (che riporta Diacono) narra che Alboino abbia costretto la ragazza a bere da una tazza fatta col cranio del padre.

I Longobardi e gli Avari erano così divenuti effettivi e potenziali padroni di tutto il territorio compreso tra la Sava e la Drava, che mette in contatto l'Europa orientale con quella centrale e si affaccia all'Adriatico e all'Italia attraverso il Friuli. Giova ricordare che lo spazio racchiuso tra questi due fiumi è sempre stato considerato una zona di grande rilevanza strategica, da parte di possibili attaccanti fino alla seconda metà del XX secolo; e ancora oggi.

L'alleanza con gli Avari fu tuttavia di breve durata (un anno). Poi il loro dominio nella regione che si erano divisa in due, iniziò ad essere costantemente insidiata dagli Avari medesimi, più aggressivi degli stessi Longobardi. Fu certamente questa una delle cause che indussero i Longobardi a lasciare il territorio e a muovere verso l'Italia con uomini, averi e armenti. Sembra che fecero dei patti, gli Avari offrirono mandrie di bovini, pecore, capre e maiali purchè se ne andassero in un altro posto. 
Il miraggio di Alboino era quel paese più bello e più ricco che molti di loro nella campagna con i bizantini già conoscevano per averlo percorso in lungo e in largo con il generale Narsete, che però proprio in questi anni era caduto in disgrazia..

Infatti  esiste anche un'altra versione sulla motivazione di questa emigrazione di massa dei Longobardi. Ed è quella che Narsete dopo essere stato esonerato (e umiliato come Belisario) e richiamato nel 565 a Costantinopoli da Giustiniano accusato di cospirazione e mandato in esilio a Napoli, per vendicarsi abbia tradito l'imperatore chiamando in Italia proprio gli aggressivi Longobardi.
Non dimentichiamo che lo stesso Giustiniano morì subito dopo la condanna di Narsete, il 14 novembre dello stesso anno, lasciando una eredità molto complessa al nipote Giustino II. E fu lo stesso Giustino a riabilitare Narsete lo stesso anno dell'invasione Longobarda. Purtroppo Narsete visse ancora qualche settimana, poi morì a Roma. Se veramente aveva un piano diabolico non riuscì a portarlo a compimento.
C'è di certo, che nonostante la saldissima organizzazione difensiva ai confini, i Longobardi varcarono il limes friulano con i suoi numerosi massicci castelli con quasi nessuna reazione dei romani. E questo è molto strano.

Ma torniamo all'invasione, DI ALBOINO



Narra Paolo Diacono: Habitaverunt autem in Pannonia annis quadraginta duobus. De qua egressi sunt mense Aprili, per indictionem primam alio die post sanctum pascha, cuius festivitas eo anno iuxta calculi rationem ipsis Kalendis Aprilibus fuit, cum iam a Domini incarnatione anni quingenti sexaginta octo essent evoluti. ("Erano rimasti quindi in Pannonia per quarantadue anni. La lasciarono il giorno dopo la Pasqua, che in quell'anno, secondo il calcolo, era caduta il 1 aprile, nell'anno 568 dall'incarnazione del Signore, indizione prima").
Con Alboino c'era un gran numero di alleati: Svevi, Ostrogoti del Norico, Gepidi, Sarmati, Bulgari, Turingi, qualche Avaro e circa 20.000 Sassoni tributari dei Franchi di una Austrasia in crisi.
Secondo fonti più tarde, l'esercito di Alboino era composto da circa 300/400.000 uomini; dietro seguivano donne, bambini, vecchi, circa 100.000, con i carri e con tutte le masserizie e una mandria di bestiame con 30.000 capi di bovini, 10.000 maiali, 10.000 fra pecore e capre.

Giunsero in Italia lungo la Via Postumia, attraverso la Valle del Vipacco; la leggenda narra che ALBOINO si sia soffermato a guardare il panorama del territorio che si accingeva a conquistare dalla vetta di un monte che da allora, fino alla metà del XX secolo fu chiamato Monte del Re, o Monte Re, oggi noto come Nanos, nella accezione slovena.

Giunti alle pendici meridionali delle Alpi occuparono la Venezia Giulia. Alboino affidò la città militarmente più importante, Forum Julii, Cividale, al migliore dei suoi generali, Gisulfo, che divenne Duca del Friuli (la prima dinastia ducale longobarda in Italia), poi proseguì l'avanzata occupando e distruggendo Aquileia; tutti i maggiori centri, ma trascurando le città troppo ben difese e le regioni costiere. Dell'acqua i Longobardi ebbero sempre la fobia. Con la loro dominazione scomparvero nella penisola quasi tutti i cantieri marittimi. 

 Furono poi occupate: Altino, Codroipo, Ceneda, Treviso, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, Milano (il 4 settembre 569), in seguito Modena, Lucca, Chiusi, Camerino, Spoleto, Benevento (572), Pavia (572), Bologna. 
Mentre Padova ben difesa, Monselice dentro le sue poderose mura e Mantova fra le acque riuscirono a resistere più a lungo.


Ticinium (Pavia)  fu presa soltanto dopo un lungo assedio (tre anni); cedette solo per fame, le mura resistettero ad ogni attacco.
(Non per nulla che i longobardi la scelsero poi come capitale)

Poi i Longobardi ebbero le porte aperte fino alle Alpi, ad Aosta, poi oltre le Alpi fino a Marsiglia e in Borgogna,  e infine per tutto il resto d'Italia, fino a Benevento, ma non sempre ad opera del grande ex esercito regio (che si divise subito per occupare le città), ma ogni duca, o i loro aiutanti con i propri uomini andarono in giro per l'Italia a conquistarsi -dove potevano senza tanta fatica- ognuno il suo territorio.
Non fu molto difficile. I funzionari nelle città o i grandi proprietari di campagna negli ultimi anni erano tutti fuggiti o erano stati uccisi. Solo i coloni (i servi, gli schiavi, i vari lavoratori) erano rimasti allo sbando nelle campagne e nei piccoli paesi; anche questi pochi a causa della lunga guerra, per le carestie e le epidemie erano in gran numero rimasti vittime . 

Quando cominciarono i duchi longobardi a occupare i grandi centri (poi sede dei loro ducati) non fecero altro che sostituirsi all'amministrazione imperiale, e i coloni dovettero a loro versare non solo i tributi, ma anche sottomettersi a fare i loro servi. Non avevano altra alternativa. Ogni podere, ogni attività, ogni proprietà veniva confiscata dai nuovi arrivati.

Dall'invasione fino al 590 (con AUTARI) seguendo la loro arcaica tradizione, ogni capo banda, capo di una farae  (poi "duca") -cioè ogni capo guerriero- aveva il diritto a una parte del bottino razziato o del territorio conquistato. Di questi capi banda ce n'erano 35;  diventarono perciò tutti proprietari di piccoli o grandi territori insediandosi con la propria farae . Poi allo stesso suo interno, per prodezze o per carisma fra gli uomini, nascevano altri capi, altre farae. Quindi altre proprietà confiscate in luoghi vicini o lontani dal primo insediamento.

Di grande importanza fu anche l'occupazione di Verona. Occupata l'intera Val d'Adige, tutta la zona fu poi (direttamente o indirettamente) riunita alla Baviera. I matrimoni successivi di AUTARI  con TEODOLINDA figlia di Garibaldo duca germanico della stessa Baviera, e di un'altra figlia anch'essa data in sposa al longobardo duca di Tridentum (Trento) Evino, consolidarono questa alleanza. - Quando poi in Italia duecento anni dopo cadde il regno Longobardo, l'intero Alto Adige e il Tirolo rimasero per 1500 anni alla Baviera, sotto i principi o i vescovi germanici. (Nota: la moglie di Garibaldo era anch'essa di origine longobarda, del gruppo-famiglia Leth, era infatti sua madre, la figlia di re Vacone che abbiamo conosciuto all'inizio, andata in sposa a Garibaldo). 

L'intera offensiva dei Longobardi all'inizio pur essendo disordinata e senza alcun schema ebbe grande successo; non così la fallimentare e disordinata difensiva degli imperiali. Questi ultimi pensavano che questa invasione era una delle tante estemporanee scorrerie barbariche.
Alboino invece stava entrando con una migrazione biblica, inoltre entrando a Milano - incontrando per arrivarci poca resistenza-  aveva già deciso, dichiarando che l'Italia con i suoi 35 "duchi" (in pratica questi erano i capi delle rispettive farae, che guidavano i loro parenti l'avrebbe conquistata facilmente tutta.

Ma dopo appena tre anni, nel 572, ALBOINO non riuscì a godersi questa gloria. Soccombe assassinato nel suo letto da una congiura ordita da ROSAMUNDA (desiderosa di vendicare il padre)  con il fratellastro dello stesso Alboino, l'ambizioso ELMICHI
Alboino venne sepolto a Verona, sotto la scala del palazzo reale.

L'intenzione di ELMICHI era quella di salire sul trono del fratellastro sposando Rosamunda.
 Ma dopo l'assassinio i due non ottennero l'appoggio di tutti i longobardi (in opposizione ai Lethi c'erano i Beleos) anzi qualcuno stava già tramando di eliminarli. Vista la mala parata, per salvare almeno la vita, i due assassini presero il tesoro della corona e fuggirono a Ravenna. Ma qui la diabolica Rosamunda tentò di sbarazzarsi di Elmichi, per sposare LONGINO prefetto bizantino d'Italia. Elmichi (secondo la leggenda) accorgendosi di essere stato avvelenato, costrinse Rosamunda a finire la coppa di vino con il veleno, morirono così entrambi.

 CLEFI (573-574) - Morto Alboino, fuggita e morta Rosamunda con il suo complice, fu eletto re Clefi, della famiglia Beleos. Durò poco più di un anno il suo regno, poi venne ucciso anche lui.  
Dalla morte di Alboino fra Longobardi era così venuto a mancare un autorevole re e queste morti violente erano già il sintomo e la conseguenza della debolezza dell'istituto monarchico longobardo ancora poggiante su una base tribale.

ANNI DI ANARCHIA (574-584) -Dopo la morte di Clefi inizia un periodo decennale di indipendenza dei vari "duchi ("duces" non nel significato romano, ma un valoroso capo di un gruppo (o stessa "famiglia", che era a capo di un settore dell'esercito, scelto personalmente dal re)
Infatti fu proprio in questo periodo di dieci anni che ognuno di loro separandosi dal grande gruppo, inizia con i suoi uomini ad agire indipendentemente, invadendo per conto proprio le terre e le province per insediarvi il "suo" ducato, viverci dentro, disinteressandosi degli altri. Un atteggiamento questo di chiusura e di non cooperazione che non poteva durare a lungo. Ma questo era il loro costume, non avevano di certo la concezione di uno stato, erano nomadi.

Se al Nord le piccole ex province -attenendosi alle vecchie amministrazioni imperiali- non mutavano confini, e passavano così com'erano interamente  in mano longobarda, più difficile era nel centro e nel sud d'Italia, dove (escludendo Roma e Napoli) i territori erano molto più vasti, non divisi, quindi facili a conquistarsi per poi riunirli in un vasto "granducato". Come infatti avvenne con Spoleto e Benevento che come ducato ebbero una origine e poi un ordinamento molto diverso dal settentrione.

Su quest'ultimo, oltre ad essere già molto esposto per le varie "visite" di altri barbari che scendevano dalle Alpi dai tre punti cardinali a fare razzie, alcuni piccoli emergenti capi longobardi pur di insediarsi in una provincia non avevano esitato a tradire la propria gente e a unirsi ai locali o agli ex esarchi bizantini con dei compromessi. (Più tardi quelli di Benevento si unirono ai bizantini per combattere contro quelli che erano dello stesso sangue ma non con le stesse pragmatiche idee politiche).
 
In questi dieci anni si crearono molti attriti fra le "famiglie"; venne a mancare una unione; mancava un re; e del tutto assente era il potere centrale e il potere militare che ovviamente (dal giorno che erano entrati) andò a causare una dispersione di forze. Capaci forse singolarmente -chiudendo ognuno la propria fortezza- di sventare un attacco di predoni, ma non di certo in grado di respingere un grande esercito invasore che prima o dopo sarebbe arrivato.
Il grande allarme suonò per tutti quando appresero che Bizantini e Franchi si erano alleati per eliminare questi arroganti  usurpatori longobardi dall'Italia. I Franchi proprio nel 584 iniziarono a scendere le Alpi da ovest, mentre da est presto sarebbero ricomparsi anche i Bizantini, nonostante i tanti problemi che avevano in casa.
Davanti al pericolo i Longobardi presero la decisione di riunirsi sotto la guida di un re.

Scelsero AUTARI come sovrano unico, come lo era stato Alboino; anzi lui cercò di far di meglio, mutuando in parte il precedente sistema imperiale bizantino.
Le fondamenta di questa nuova monarchia, almeno secondo le scarse informazioni che abbiamo di questo periodo, poggiavano su una struttura  molto ben diversa da quella precedente. 
I vari duchi concessero (o il re impose) metà delle loro terre per ricevere protezione da questa nuova unità statale monarchica, in modo che il potere centrale che così sorgeva amministrava politicamente e difendeva militarmente i territori ducali (il dominio) al pari di quelli statali  (il demanio) amministrati dai preposti  gastaldi reali).
 Nell'ordinamento sociale la classe più elevata, dopo quella dei duchi già in essere, era quella degli uomini liberi, gli arimanni, fra i quali si distinguevano i nobili adalingi, segnalati per stirpe, per ricchezza o per merito d'armi.
Al di sotto degli arimanni vi erano gli aldii  o liti, che non godevano di diritti politici in quanto non erano membri dell'esercito (dovevano essere questi gli ostrogoti precedentemente assoggettati). 
In fondo alla scala sociale erano gli schiavi, con mansioni e gradi d'importanza diversi.
In pratica schiava era tutta la popolazione precedente sottomessa.
Strumento regio per poter esercitare il re i suoi diritti di mundio, erano, lo abbiamo detto,  i gastaldi: una categoria di funzionari imperiali.

AUTARI (584-590) - Era figlio di Clefi. Salito sul trono su designazione dei duchi, benchè non fosse riconosciuto da Costantinopoli assunse il titolo romano imperiale di Flavius ed excellentissimus, lo stesso già adottato da Teodorico.  
Autari con questa veste, riorganizzato un esercito regio, torna a fare subito conquiste territoriali a danno dei Bizantini; cerca poi di attenuare i contrasti col Papato;  riduce fortemente le tendenze autonomistiche dei "duchi"
più ribelli  per così far fronte - con una unione solida- alle minacce dei Franchi; ma poi con questi ultimi cerca di intavolare trattative di pace (promette perfino un eventuale fidanzamento con la sorella di re Childeberto- Che andò però in fumo).

Risalendo da Verona la Val d'Adige i Longobardi avevano costituito un ducato nel Trentino ma dovettero fermarsi nella stretta gola di Salorno (un confine che non sarà mai più cancellato) perchè dall'altra parte durante lo stesso caos italico, dalla valle Isarco e dalla Pusteria erano scesi i Bavari ad occupare Merano e Bolzano.
Fu una lotta tanto lunga quanto inutile, perchè i Bavari, anzichè andarsene, riuscirono a consolidare in modo definitivo il loro stanziamento nella zona settentrionale.
Alla fin fine, i due litiganti si misero d'accordo. Autari sposò la figlia del re bavarese Teodolinda.
  
Le due popolazioni sia quella trentina che quella altoatesina erano entrambe romanizzate da circa sei secoli, Merano e Bolzano erano sede di due castri romani molto importanti, situati sulla famosa via Claudio-Augusta che da Aquileia portava le legioni romane attraverso la Val Venosta e quindi dopo il passo Resia, fino alla città di Costanza e terminava ad Augusta.
Non solo, ma a Glorenza (Città per decreto imperiale) posta al bivio di Spondigna-Malles, c'era la strada del sale, millenaria, questa partendo da Salisburgo, passa da Passo Resia, scende a Malles e sale in Val di Tubre mettemdo in comunicazione la grande valle Engadina, e quella del Rodano fino a Martigny (sotto il Passo Gran S.Bernardo) e di qui verso Parigi.
I confini italici erano dunque quelli naturali delle Alpi.

Ma con questa discesa dei Bavari, il confine di Salorno determinò per tutti i secoli successivi una nuova divisione del territorio.
A sud di Salorno, i Trentini ex romani, e i nuovi arrivati longobardi, andarono a costituire quell'insieme di popolazione che attraverso vari secoli è rappresentata, oggi, dalla popolazione che parla l'italiano-trentino.

A nord di Salorno, invece i Bavari costituirono quella popolazione che parla la lingua tedesca (che però  non è un tedesco puro (poco a che vedere col Prussiano) ma è un insieme di idiomi, con qualche termine ancora romano, di romancio (di Costanza), di Engadinese, di Tirolese. Inoltre molti riti e tradizioni agricole ancora oggi sono legati e spesso individuabili con moltissime ascendenze pagane romane dell'era imperiale. Basti pensare che ancora oggi "andare a bettole" si usa il baccanale trimalcionesco "andare a Turgulem" (Plinio). I matrimoni è ancora usanza celebrarli  nel periodo del Carrus-Navalis di Dionisio (carnevale). E il Natale in alcune valli è ancora chiamato Sonnerfest, la "Festa del Sole" (Sole invictus). Gli stessi famosi Schutzen, hanno uno statuto che proviene da un ordine militare emanato da Druso e poi da Tiberio e Claudio. (una specie di protezione civile distribuita lungo la importante via Claudio-Augusta).
Ma anche la stessa Bavaria era stata chiamata così dai romani; dal latino BOIARIA da "boarius" per la grande quantità di buoi al pascolo nella zona.

Ma i romani che abitavano questa zona dell'Alto Adige dove finirono con la lotta Longobardi-Bavaresi?  Alcuni si integrarono, altri scesero nel trentino o nel veronese, e solo due piccolissimi gruppi preferirono andarsene anzichè sottostare agli invasori bavari, ma non andarono molto lontano: si rifugiarono in due inaccessibili e inospitali valli, chiuse da un bastione di monti circostanti. E lì vissero isolati per oltre 13 secoli.
Una era la Val Gardena-Badia, l'altra la Val di Fiemme-Fassa. Così isolati da italiani e bavaresi che conservarono un dialetto italico-latino (romano), oggi noto come Ladino.
Che queste popolazioni siano vissute in un isolamento totale di sola pastorizia arcaica e senza la minima cultura e in un completo e generale analfabetismo ce lo attestano i reperti storici, e le tardissime documentazioni amministrative dei due territori.

Nessuna attestazione scritta appare in Val Gardena fino al sec. XVIII: Intendiamo una scritta civile,  escludendo quelle monastiche o di confraternite. La popolazione era una piccola comunità ripartita nei 3 villaggi (Ortisei, Selva, e Santa Cristina) che contava (ancora al censimento catastale austriaco di uomini, bestie, case e poderi, del 1825) 165 casali tutti in legno (nessuno in muratura) e, incredibile ma vero, contava solo 1250 individui. Una popolazione che si era mantenuta con alti e bassi, su questi valori per quasi 1400 anni, e quasi fino al 1900; ancora nel 1940  il Melzi dava un totale di 3396 abitanti in tutta l'intera valle.
Non diversa la storia della Val di Fassa-Fiemme, dall'anno 600 al 1400 gli abitanti erano una piccola pseudo-comunità di circa 1000 individui in tutta la lunga valle che terminava sotto i bastioni del Sella e del Pordoi, che vivevano non in villaggi,  ma erano dei clan sparsi e isolati per proprio conto sul territorio. Sempre nel 1825 si contavano in tutto: "96 masserie, 30 casali, 839 abitanti e una massaria di Corte austriaca dove presta un servo d' ufficio che fa la giusticia ed è retribuito con un minello di Segala" (...) ....lo allevamento del bestiame è una delle principali occupazioni e lo sostentamento delli abitanti; lo numero contato in tutta la valle è di 4000 bestie bovine, 5000 pecore e 1000 capre; altri abitanti che non hanno nessun sostentamento vannosi a Bolzano a fare i facchini dei tirolesi".

  Nessuna iscrizione di carattere pubblico o privato fino al sec.XVIII, escluse quelle del clero che per la prima volta  nomina questa valle e questa popolazione ufficialmente negli atti del principe-vescovo di Bressanone nel 1403. Ma un vero "servo d'ufficio" per derimere le liti religiose e civili, fu inviato formalmente per la prima volta su richiesta degli abitanti nel 1607.
Per la spartizione del legname o il diritto di pascolo fra gli abitanti c'era il "Banco de la Rason", a Cavalese, un tavolo di pietra all'aperto nel Parco della Pieve, all' ombra di cinque tigli secolari. Tutt'oggi esistente.
(Prima dei Bavaresi, Trento, Bolzano erano tre popolose e fiorenti città romane, e Merano era l'Aosta prealpina della Val d'Adige, prima del gran balzo degli eserciti romani oltre i monti. Il bellissimo (e integro) ponte romano sul Passirio è ancorà lì a testimoniarlo.)

Con il loro parentado bavaresi e longobardi si misero d'accordo e ignorarono i confini naturali. Instaurando così una forte egemonia sul territorio con il confine a Salorno. Una divisione che dopo 200 anni divenne ancora più forte quando (dopo la pausa franco-carolingia) la sede dell'impero si trasferì in Germania e quando Ottone I desiderando assicurarsi l'intero possesso della valle dell'Adige fece della regione una marca tedesca con i Conti (in Alto Adige) e i Principi-Vescovi (nel Trentino); l'ultima  marca verso sud del Sacro Impero Romano, che di romano non aveva più nulla.

Il territorio a nord fortemente germanizzato  con tutti gli eventi che seguiranno non cambierà più da questo momento in avanti, sia come etnia che politicamente, che via via più tardi, secondo gli interessi di chi governava venne considerato o territorio austriaco o territorio italiano (più recentemente, Napoleone, poi guerra 1914-18, e solo oggi quasi interamente autonomo ma con una vocazione alla totale indipendenza).

AUTARI insomma (non mantenendo la promessa fatta ai Franchi) sposerà nel 588, Teodolinda, figlia di Garibaldo duca dei Baviera (una donna che avrà grande influenza sul marito e i suoi successori).
Ma anche con i bizantini il nuovo re dei longobardi tenta di fare una pace: l'esarca bizantino in Italia, Smaragdo,
sapendo di essere militarmente molto debole accetta di concludere un armistizio di tre anni (ma nello stesso tempo fa alleanze con gli (irritati) Franchi,  sperando nell'obiettivo di contrapporre, secondo la abituale tattica bizantina degli ultimi decenni, barbari contro barbari).

Ma anche Autari fa le sue manovre e tenta di porre le basi di un regno esteso su tutta la penisola, fino a Reggio Calabria.
Secondo una leggenda, Autari prendendo visione di tutto il territorio italico, sembra che arrivò proprio fino a Reggio, fino all'ultimo lembo bagnato dal mare poi, entrato dentro nei primi flutti con il suo cavallo e piantando la sua  lancia affermò "Questo sarà il confine del regno longobardo".

I Longobardi tuttavia nè con Autari nè con i suoi successori, non riuscirono mai a realizzare l'unità territoriale della Penisola, sia a causa della presenza bizantina lungo le coste, sia a causa dei possedimenti della Chiesa (che erano di fatto, anche se non esisteva ancora un vero e proprio stato)  nell'Italia centrale. In tutto il periodo del dominio  i contrasti tra Papato e Impero d'Oriente con i nuovi "barbari" non furono mai forti per il timore che i Longobardi incutevano a entrambi. 

Però con la sua decadenza, quando la forza di Bisanzio , si andò riducendo, la Chiesa trovò il modo di incrementare la sua forza, stringendo anch'essa ambigue alleanza; con i Longobardi e contemporaneamente anche con i Franchi ma con maggiori risultati; e nonostante tanti altri successivi avvenimenti, anche drammatici, questo sodalizio era destinato a durare fino al 1870 con Napoleone III. 
Una "forza" questa che sta nascendo ora dentro la Chiesa  e che contribuì fortemente al rafforzamento dell'effettivo potere temporale del Papa e alla nascita dello Stato Pontificio.

I Longobardi portarono in Italia un tipo di dominazione ben diversa dai Goti, come quella di Teodorico, che nonostante "barbara" (e che Bisanzio detestava) godeva pur sempre di una reale legittimazione bizantina.
La sovranità dei Longobardi dipendeva invece ora unicamente dalla forza delle armi ed era ispirata alle usanze ancora fortemente "barbariche" che li caratterizzavano; gli appartenenti alla popolazione delle varie città, con il terrore  sottomesse, erano considerati alla stregua di schiavi, e non possedevano quindi alcun diritto.

I vincitori  si mantenevano separati dai vinti anche negli insediamenti: la città costituiva per i longobardi un luogo fortemente insicuro e preferivano (da perfetti nomadi) risiedere in campagna, in spazi aperti, o eccezionalmente in quartieri ad essi riservati, fortemente difesi (le curtis, poi castelli) muniti di sotterranei; le loro residenze erano quindi dei "covi". (cfr. Manzoni, Adelchi, coro dell’Atto III: "le note latebre del covo cercar...").

Quando elessero Pavia capitale, lo fecero unicamente perchè era la città più fortificata d'Italia; avevano impiegato tre anni per farla capitolare e non con le armi ma per fame.

Questa economia chiusa del sistema cosiddetto  curtense, centro di una vita economica  autonoma, impediva scambi commerciali e culturali, che evidentemente spegnevano ogni stimolo al progresso. I Longobardi dominarono due secoli ma non lasciarono tracce di nulla di quello che noi chiamiamo "progresso"; pur insediandosi su un territorio che in quanto a progresso e civiltà era straordinariamente superiore a qualsiasi altro territorio dell'intero pianeta.

L'impostazione sociale era anch'essa di tipo a grandi linee militaristico: le "fare" (farae) costituivano a un tempo le unità di quello che oggi chiameremmo un organico militare ("regime di colonnelli"), ma che come già accennato era null'altro che un  raggruppamento di famiglie aventi la medesima origine ("tribù", "clan", "stirpe") dimoranti in un territorio che a tale gruppo era stato assegnato o si era da solo conquistato vivendo assieme ai locali abitanti tenuti però con disprezzo in disparte. Il parallelo con le "sippe" germaniche o con le "stanize" dei Cosacchi può fornire un'idea sufficientemente precisa.

Non riteniamo di dover qui ripetere gli altri concetti che caratterizzavano la società longobarda come per esempio la faida ed il guidrigildo (ne daremmo qualche accenno alla fine).
La violenza, il saccheggio anche tra di loro, e la faida erano per essi una prassi fondata sulla tradizione, facevano parte della loro "cultura" (dei goti, così i Vichinghi), come anche la considerazione del ruolo femminile, in cui la donna era vista solo come procreatrice di eredi e totalmente soggetta prima al padre, poi al marito.
Un addolcimento di tali caratteri bellicosi e violenti si ebbe tuttavia con la progressiva conversione al cattolicesimo, che fu promossa, non a caso, da una donna, sia pure di stirpe reale: Teodolinda.

Le tristi condizioni dei vinti, aggravate anche da una pestilenza e da carestie di alcuni anni, le orrende ed incivili usanze dei Longobardi, il loro disprezzo per le popolazioni rese schiave, e per la loro bassa cultura, sono state forse eccessivamente sottolineate dagli storici.
La figura del Longobardo violento, invasore, stupratore e rozzo è dovuta a molte cause quali l'instaurazione e la giustificazione del potere Temporale della Chiesa, fin da quando essi dominarono l'Italia, poi venne la polemica anti-imperiale dei Comuni, poi il Risorgimento ed infine la sottolineatura della contrapposizione tra romanità e barbari nella prima metà del secolo scorso (Mussolini, prima dell'alleanza con Hitler, quando l'Italia doveva essere Romana e Imperiale: "avevamo Cesare e Virgilio, quando loro vivevano ancora nella foresta". M.)

I Longobardi ebbero una propria "cultura": certo, erano Barbari e in tale contesto vanno inseriti e studiati, indipendentemente da valutazioni etiche: il resto è guelfismo e neoguelfismo contemporaneo.

Tutto il dominio longobardo in Italia è caratterizzato da alcuni elementi di base, che assumono diversa rilevanza nei diversi periodi. Essi si possono così elencare:

a) conflitto tra le rivendicazioni autonomistiche dei Duchi e politica centralizzante dei Re; (il più disastroso di tutti questo conflitto)
b) gestione dei rapporti con i popoli sottomessi, in cui si alternano posizioni etnocratiche con tentativi di integrazione;
c) conflitto religioso tra i maggiorenti longobardi, divisi tra cristiani ariani e romani; 
d) rapporti, spesso conflittuali, con la Chiesa;
e) rapporti, quasi sempre di ostilità, con Bisanzio;
f) rapporti, prevalentemente conflittuali, con i Franchi.

Il tentativo dei Re longobardi di unificare la Penisola, estromettendo i Bizantini, stabilendo rapporti pacifici con la Chiesa e rafforzando il Regno per ottenere un equilibrio di forze rispetto ai Franchi, era destinato a fallire proprio a causa degli elementi di conflittualità. E furono proprio questi che portarono poi alla sconfitta i Longobardi ad opera dei Franchi.

AUTARI morì  il 5 settembre 590, forse avvelenato, nel palazzo reale di Pavia, i duchi concessero alla vedova (Teodolinda figlia di Garibaldo duca dei Baviera - Autari l'aveva sposato due anni prima) di scegliere il successore; e la sua scelta cadde su Agilulfo duca di Torino.
Due mesi dopo Agilulfo otteneva la corona e sposava la vedova Teodolinda

AGILULFO fino al 616, con accanto Teodolinda,  proseguì la politica del suo predecessore. Nel tentativo di rafforzare il potere regio, cercò di stabilire, anche se lui era Ariano (ma fortemente influenzato da Teodolinda che del resto ha scelto lei come re e sposo) rapporti di convivenza con il Papato, ed in particolare con papa Gregorio Magno (che sale sul soglio proprio quest'anno).
 Un assedio a Roma Agilulfo lo fece, ma poi lo sospese quando Gregorio acconsentì a pagargli una grossa indennità pur di non inimicarselo.

Durante tutto il suo regno Agilulfo condusse una politica ambigua: di avvicinamento ai Bizantini e al Cattolicesimo, che avrebbe dovuto assicuragli quest'ultimo la neutralità (se non anche il favore del Papato - che però sembra giochi su due fronti) nella lotta contro i Bizantini per la conquista dei territori ancora in loro possesso.

Lo Scisma dei Tre Capitoli, che il Re sperava costituisse un'occasione favorevole per tale politica, si rivelò invece un'arma a doppio taglio, perchè rallentò la conversione dei Longobardi. Ciò avvenne perché due grandi Diocesi del Nord, Milano e Aquileia, la cui influenza si estendeva a zone ben più ampie degli effettivi confini diocesani, aderirono allo Scisma.
Agilulfo tentò di volgere la situazione a proprio vantaggio (non prima di essersi incontrato con Teodolinda alla rocca di Lomello)  proponendosi quale mediatore e promuovendo con Colombano (*)  la convocazione di un Concilio che ponesse fine allo scisma. Ma la sua morte nel 616, interruppe tale "conciliante" tentativo.
(*) Colombano era un monaco benedettino irlandese, poi Abate di Bobbio (PC). Proprio a Bobbio, con una concessione di Agilulfo, fondò un imponente monastero, creando un importante centro di diffusione culturale. Alcuni storici scrivono anche centro di evangelizzazione cristiana, mentre da altri fonti sappiamo che Colombano per tutta la sua vita  si trovò sempre in contrasto con Roma sulle questioni dogmatiche. Quando morì tutti i monaci del monastero emigrarono nell'ortodossia, ma forse anche perchè furono premiati; infatti furono sottratti alla giurisdizione del vescovo di Tortona, che non sopportavano).

Alla morte di Agilulfo,  nel 616 la regina Teodolinda assunse la reggenza in nome del figlio ancora tredicenne Adaloardo. Lei cattolica, nonostante il primo marito Autari  non aveva mai consentito che fossero battezzati i bambini longobardi col rito cattolico, poi era riuscita con il secondo marito, a far battezzare il figlio Adaloardo a Monza da uno scismatico.

ADALOALDO (616-626) - Poco significativo è il Regno di questo ragazzino salito appena tredicenne sul trono. Ma era la madre TEODOLINDA che regnava di fatto, e fu lei a proseguire una politica di forte avvicinamento alla Chiesa Romana; del resto quando era in vita Papa Gregorio, con lui aveva mantenuto sempre una fitta corrispondenza.  
Diede così un forte sostegno nella lotta contro gli ariani (in pratica contro una buona parte della stessa sua gente che governava; ma non dimentichiamo che lei era bavarese ed era già cattolica).

ARIOVALDO (626-636) Duca di Torino, depone improvvisamente  Adaloardo quest'anno già maggiorenne appena salito sul trono (di fatto, prima reggente era la madre).
 Ariovaldo era suo cognato avendo sposato sua sorella GUDEMBERGA. Lui è un esponente della corrente Ariana, e non è più disposto a tollerare la politica filo-cattolica inaugurata da Agilulfo, continuata e sostenuta dalla vedova Teodolinda reggente di suo figlio Adaloaldo.
L'usurpatore riuscirà a far durare il suo regno dieci anni,  caratterizzato però da una forte instabilità, a causa delle lotte per il potere e delle discordie religiose fino al punto da ripudiare la stessa moglie GUDEMBERGA relegandola in un monastero.

Ariovaldo  durante il suo regno aveva riportato la capitale da Monza a Pavia, e aveva ripristinato il culto ariano aiutato dai nobili tradizionalisti.
Alla sua morte i duchi liberarono dal monastero e concessero alla vedova GUDEMBERGA di scegliere il successore come nuovo re e come nuovo marito. Il prescelto fu Rotari duca di Brescia, già sposato, ma che abbandonerà la moglie per impalmare la vedova e diventare re dei Longobardi.

ROTARI (636-652). Anche lui era un esponente della fazione ariana ma sposa tuttavia la cattolica bavarese GUDEMBERGA.  La sua politica si rivolse essenzialmente nella direzione delle conquiste territoriali per l'ampliamento dei domini Longobardi e per l'inglobamento di quelle "isole" bizantine ancora presenti all'interno o ai confini del suo regno.
Rotari riuscì a togliere ai bizantini la Liguria, la Lunigiana e gli ultimi possedimenti sulle coste venete e friulane (esclusa Venezia che in questo periodo non è ancora sorta, ma è in lenta formazione nella inaccessibile laguna). 

Dobbiamo a questo Re  la prima effettiva emanazione di un codice legislativo longobardo, il noto...

 Editto di Rotari.

Rotari è ricordato come un grande legislatore, per questo editto emanato a Pavia nel novembre del 643; una prima organica raccolta scritta di leggi longobarde, fondata sulle antiche consuetudini germaniche, ma influenzate però dal diritto romano, compresa la scrittura; fu infatti redatto in latino ovviamente avvalendosi di funzionari-legislatori romani.
L'editto infatti risente di molti moduli romani, ma ultimamente gli studiosi hanno dimostrato che ha strette affinità con quello sassone, anglosassone e scandinavo. Questa è la dimostrazione che i longobardi pur partiti dall'Elba cinque secoli prima serbarono immutate nella sostanza le loro leggi consuetudinarie tramandate oralmente, e nel compilarle scritte, le inclusero.

L'editto conta di 388 capitoli. L'estensione maggiore è data al diritto penale; base di esso non è più la vendetta o faida barbarica che si tramandava fino alla settima generazione, ma la composizione, cioè il compenso che il reo è tenuto a corrispondere al danneggiato o ai suoi parenti.
La pena di morte è limitata a reati speciali, quali il regicidio, la diserzione, il tradimento, i delitti contro la sicurezza dello stato, l'ordine pubblico e l'uccisione del marito.

Per gli altri delitti si applica una pena in denaro, (guidrigildo - questo già di tradizione romana). Viene stabilito il prezzo del sangue che varia secondo la qualità dell'ucciso, quindi proporzionale al valore sociale della persona. Così anche per il ferimento.
Vale la pena citare alcune di queste sanzioni:
art 48 - Se qualcuno avrà fatto perdere un occhio a un altro, costui sarà valutato come morto...secondo la qualità della persona, e quegli darà a lui una composizione uguale alla metà della valutazione medesima.
art 49 - Se qualcuno avrà tagliato il naso a un altro, dovrà come sopra, una composizione uguale alla metà del prezzo di lui.
Per consentire un raffronto, la tariffa del risarcimento e del valore sociale delle diverse classi, era per un aldio ucciso 60 soldi d'oro; un capraio, pecoraio valeva 20, un aiuto capraio, pecoraio valeva 16.
. La capacita' di acquisto di un soldo era piuttosto elevata. Sappiamo che nel 750 due cavalli furono pagati 50 soldi, un oliveto 8 soldi nel 718, un orto 9 soldi nel 726 e una porzione di fabbricato 9 soldi nel 729. 
 
Severissimo l'editto contro i ladri, i liberi e i servi fuggiti; il ladro sia servo o libero è tenuto a pagare il (novigildo) cioè nove volte il valore della cosa rubata, e la stessa multa è inflitta al ricettatore.
Minuziosamente contemplati sono i reati contro la proprietà campestre, la tutela della vita degli animali, la caccia e la pesca.
Nell' art 337 - Se uno al cavallo di un altro avrà fatto cadere l'orecchio o un occhio... riceva il cavallo leso e ne renda uno simile.


Caposaldo del diritto civile longobardo è il mundio o tutela, supremo mundialdo è il re; il figlio atto a portare le armi, può uscire dalla tutela paterna e costituire un'altra famiglia, chi non può invece liberarsi dal mundio è invece la donna.
Si regolano le donazioni, e le successioni, i servi non hanno personalità giuridica, ma possono migliorare la propria condizione, passando da un grado ad un altro, ed acquistando anche la cittadinanza.

Tutto ciò può sembrare rozzo se paragonato ai codici romani, ma già la presenza scritta di una legge era un passo avanti verso una concezione meno "barbarica" del diritto.

Rotari muore nell'anno 652. Fu sepolto a Pavia nella basilica di  S. Giovanni Battista.


RODOALDO (652-653) Fu brevissimo il periodo del figlio di Rotari. Sei mesi. Fu ucciso da un longobardo al quale lui aveva violentato la moglie. La nuova legge c'era, ma in questo caso la faida ebbe di nuovo il sopravvento, anche se il violentatore era il re. 
Con la morte di Rodoaldo torna  a prevalere nuovamente il partito cattolico con un nipote di Teodolinda. E'...

ARIPERTO (653-661) che appena insediatosi (e Teodolinda non è estranea) tornò a proclamare religione ufficiale quella cattolica. Dandosi anche molto da fare. Costruì infatti presso Pavia la Basilica del S. Salvatore, con anche un'altra funzione, quella di farne un mausoleo per la sua famiglia. 
Il primo ad inaugurarlo prima ancora di essere terminato fu proprio lui.
Alla sua morte il regno fu diviso tra i due figli adolescenti, questa volta secondo l'uso dei Franchi: BERTARIDO si stabilì a Milano-Monza e GODEBERTO a Pavia.

BERTARIDO e GODEBERTO (662) - La giovane età dei due scatenò l'ambizione di due duchi.

GARIBALDO (stirpe bavarese) duca di Torino persuase GRIMOALDO duca di Benevento (un altro ribelle) a usurpare il trono per dividersi il territorio e aggiungerlo al proprio. Ma è quest'ultimo, dopo aver lasciato il suo ducato al figlio Romualdo, che sale a Pavia con un suo esercito rinforzato dal duca di Spoleto e di Capua;  assedia e occupa la capitale longobarda, uccide il fanciullo e si fa eleggere re dei Longobardi. Bertarido temendo la stessa fine, lascia Milano e va prima a rifugiarsi presso gli Avari, poi dai Franchi.
(Se i bizantini e il papa non aspettavano altro che i barbari eliminassero altri barbari, non potevano che gioire; ora erano gli stessi longobardi a eliminarsi a vicenda).

GRIMOALDO (662-671) Che ha sposato fra l'altro proprio la sorella di Bertarido, durante il suo regno -che durò 9 anni- aggiunse alcune leggi all'editto di Rotari. Appena salito sul trono dovette lottare contro i Bizantini. L'8 maggio 663 vinse la battaglia di Siponto in Puglia alle falde del monte Gargano aiutato secondo la leggenda dall'apparizione dell'Arcangelo Michele.


Il portale della Basilica di S. Michele a Pavia, dove furono incoronati tutti i re Longobardi, 
i re italici e gli imperatori germanici poi: L'ultimo che ne uscì re fu Federico I Barbarossa nel 1155.

(l'attuale basilica è di fondazione longobarda, ricostruita dopo il 1117)
Maturata la definitiva conversione dei Longobardi al cattolicesimo con Teodolinda, la chiesa episcopale trasportata nel cuore della città, il vescovo pavese ottenne il privilegio della diretta consacrazione pontificia (dei Re?) e la chiesa pavese conseguì la sua piena indipendenza dalla diocesi milanese.
Quanto alle "incoronazioni", sembra che i re longobardi non conoscessero tale cerimonia, prima venivano nominati con l’acclamazione da parte dei Duchi guerrieri. Tuttavia Liutprando nei suoi 31 anni di regno, fondò molte chiese, tra le quali San Pietro in ciel d'oro (dove è sepolto), Sant'Anastasio a Corteolona e una dedicata al San Salvatore, all'interno della reggia.


Dopo la battaglia contro i Bizantini, la Basilica di S. Michele in Pavia, per lo scampato pericolo di Grimoaldo, ebbe lasciti e favori dal re e dai suoi successori. I re Longobardi, i re italici prima e i germanici dopo, furono tutti incoronati in questa chiesa, l'ultimo fu Federico Barbarossa nel 1155.

Cos'era accaduto in Puglia (che allora si chiamava Calabria)? Che i Bizantini guidati dallo stesso imperatore Costante II erano sbarcati in Italia compiendo delle spaventose scorrerie in Sicilia, Sardegna e in Calabria. Si erano spinti fino a Napoli, poi a Roma. Che però  lasciarono quasi subito, temendo la reazione dei Longobardi che in questa circostanza furono chiamati dal papa.

Presso Refrancore (Asti) Grimoaldo sconfigge anche i Franchi che tentavano, sollecitati dal fuggiasco Bertarido una invasione dell'Italia. Altro tentativo di ribellione  quella del duca di Cividale. Per domare il ribelle Grimoaldo chiese aiuto agli Avari, per poi pentirsene subito quando sarà costretto a cacciarli per le devastazioni che stavano compiendo in Friuli.
Una devastazione la compì invece lui, quando devastò Forlimpopoli, non risparmiando nemmeno le chiese.
Grimoaldo  morì in Pavia per una ferita di caccia, anche se non è escluso il sospetto di  veleno.
 Lasciò il regno al figlio ancora fanciullo GARIBOLDO, partorito da sua moglie che è poi sorella di Bertarido (il fuggiasco esautorato). 

GARIBOLDO - (671) - Regna soltanto tre mesi. Infatti dopo la morte di Grimoaldo, si era già precipitato a Pavia lo zio, fratello di sua madre, cioè il fuggiasco BERTARIDO. Depone Gariboldo e recupera il regno.

BERTARIDO (671-679 -688) - esponente della fazione cattolica, regnò effettivamente da solo 7 anni, poi altri dieci con il figlio Cuniberto fino alla morte.  Stipulò un trattato di pace con Bisanzio, ma non riuscì a sedare la ribellione del Duca trentino, ALACHI e del friulano AUSFRIDO, entrambi Ariani.
Sua moglie Rodelinda fondò la Basilica di Santa Maria in Pertica.

CUNIBERTO (679- 688-700) - La politica filo-cattolica di Bertarido viene proseguita da suo figlio che riesce a sconfiggere Alachi. La sua politica porta alla conclusione dello Scisma dei Tre Capitoli, realizzando così finalmente il tentativo di Autari.
Alla morte di Cuniberto si apre un nuovo periodo di instabilità ancora tra gli stessi Longobardi, durante il quale si succedono quasi contemporaneamente:

LIUTPERTO  (700-702) Regna poco più di un anno sotto tutela di ANSPRANDO, 
RAGIMPERTO (700-701), figlio di Godeperto (il deposto) (morì nello stesso anno) 
ARIPERTO II (701-712). Dopo undici anni di regno, morì annegato nel Ticino (sembra per il troppo oro che aveva addosso, mentre cercava di fuggire nel territorio dei Franchi.)

LIUTPRANDO (712-744) - Era figlio di Ansprando. Il suo fu uno dei più lunghi regni longobardi, 31 anni. Con Liutprando prevale definitivamente il partito cattolico, che sosteneva l'autorità regia in opposizione all'autonomismo dei Duchi ariani. Il nuovo Re si impegna infatti a rafforzare il Potere Centrale, a reprimere le spinte autonomistiche, ed a cercare di eliminare quella discontinuità territoriale nell'Italia centrale, che egli identifica (e non aveva torto) come elemento di vulnerabilità per il proprio potere. Cerca anche di trarre vantaggio dalla Crisi iconoclastica, che contrappone la Chiesa di Roma ai Bizantini. Attacca infatti con decisione le tradizionali roccaforti bizantine dell'Esarcato. Il Papa all'inizio è soddisfatto, sta al gioco, ma di fronte al pericolo di un eccessivo rafforzamento dei Longobardi, si schiera decisamente con l'Impero; Liutprando è costretto a recedere da buona parte dei territori conquistati, per la pressione non tanto militare, quanto per un'autorità spirituale (le cosiddette influenze del Papa) della quale anche i fieri Longobardi ormai devono tener conto.
Liutprando dopo aver sottratto ai Bizantini molte terre  della Romagna, imposta l'autorità regale ai riottosi duchi di Spoleto e  di Benevento, e dona al Papa il feudo di Sutri che aveva espugnato ai Bizantini.
Con questa donazione ebbe inizio la prima sovranità temporale dei papi. Il papato si inserisce nella lotta feudale, e diventa anch'esso feudale.

Liutprando oltre questo dono, pagò anche una forte somma per avere le ossa di Sant'Agostino e  le trasportò a Pavia, nella Basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro, alla sua morte fu sepolto con il  padre nella Basilica di Santa Maria in Pertica, poi traslato proprio in S. Pietro in Ciel d'Oro. All'interno della basilica una targa sulla colonna di destra ricorda  la sepoltura del grande re.

ILDEBRANDO (744) - Fu il successore di Liutprando, ma regnò per pochi mesi, dal gennaio all'agosto del 744. Fu deposto dai duchi che misero poi sul trono Rachis.

RACHIS (744-749) - Era duca del Friuli. Durante il suo regno contrassegnato da una politica debole, tentò un assediò a Perugia, ma poi rinunciò e si recò in  pellegrinaggio a Roma. Questo atipico cedimento causò una sollevazione dell'esercito; abituati alle conquiste probabilmente fu deposto dai nostalgici  di Liutprando, preferendogli il più agguerrito fratello Astolfo. Lui non reagì, anzi si  fece monaco e si ritirò a Cassino; trascinando nella sua vocazione anche la moglie Tassia, che andò a fondare un  monastero femminile. 

ASTOLFO (749-756) - Fratello di Rachis, viene quindi posto sul trono che mantenne per 7 anni. Durante il suo regno emanò nuove leggi che differenziarono il popolo in  categorie sulla base del censo.

Cattolico, ma piuttosto ostile al Papato, oltre che riprendere l'iniziativa militare contro i bizantini, conquistando Ravenna, iniziò a minacciare Roma con un assedio, non conquistandola ma cercando di imporre un tributo. Tali azioni provocano però l'intervento dei Franchi, il cui aiuto è stato invocato da Papa Stefano. Pipino il Breve, re dei Franchi sceso in Italia sconfigge i longobardi a Susa, poi pose l'assedio a Pavia. 
  Astolfo è costretto a restituire i territori conquistati (Pentapoli). Parte di essi, furono poi donati dai Franchi al Papa e costituiranno il primo nucleo territoriale del futuro Stato della Chiesa e di quel Potere Temporale del Papa, che la Francia riuscì a sostenere fino al 20 settembre 1870. Ma, cosa ben più grave per i Longobardi, da questa alleanza coi Franchi deriverà neppure vent'anni dopo la fine del loro regno in Italia ed addirittura la loro estinzione.
Non si sa da chi sollecitato se dai longobardi o dallo stesso papa, ritornò sul trono Rachis per pochi mesi (cadde  da cavallo e morì nel dicembre del 756), ben presto sostituito da...

DESIDERIO (756-774) - Lui era duca di Torino.  Appena salito al trono fu costretto a cedere al papa anche l'esarcato di Ravenna. Del resto Pipino aveva promesso al papa (così sosteneva e pretendeva il pontefice) tutti i territori che i longobardi avevano sottratto ai bizantini, e i Franchi volevano mantenere la parola.
Desiderio si barcamenò per circa 14 anni cercando di non provocare altri conflitti. Con i Franchi cercò di fare un'alleanza con dei matrimoni, mentre a Papa Stefano II promise la restituzione di altri territori. Ma alla morte del Papa, Desiderio non mantenne le promesse per cui il successore, Papa Paolo I iniziò a recriminare fino ad essere ostile al Re, che purtroppo rimase solo, e inutilmente cercò di fare altre alleanze.

Infatti con l'appoggio di BERTRADA, vedova del Re franco Pipino, Desiderio inaugura una politica matrimoniale coi Franchi e dà in sposa le sue due figlie (Ermengarda e Gorberta) ai due figli di Pipino, CARLO e CARLOMANNO. In questo modo vorrebbe tutelarsi dai Franchi nel suo conflitto con il Papa. Ma è proprio l'inconsistenza di una linea politica e diplomatica che ha visto ormai anche troppe oscillazioni, ad affrettare la fine dei Longobardi.

Desiderio dà in sposa anche un'altra sua figlia al Duca di Benevento, suo tradizionale oppositore, ed un'altra ancora al Duca di Baviera, per assicurarsi così  il sostegno di altri due alleati. 
Ma, alla morte di CARLOMANNO, questo castello di carta della politica matrimoniale crolla: i due figli, ognuno rivendicando la successione al padre, si rifugiano presso la corte longobarda di Desiderio, che si inimica così anche CARLO , che è ormai unico Re dei Franchi. 

Desiderio  tenta di sostenere il diritto successorio dei suoi due protetti, ricorrendo proprio al Papa (che non ha dimenticato la sua inadempienza), che ovviamente rifiuta a dargli aiuto; anzi avvia delle intese proprio con Carlo. Desiderio al diniego commette l'ulteriore errore di minacciare Roma. E lui è a sua volta minacciato di scomunica dal papa. Desiste dal proposito ma attacca nuovamente i domini bizantini, senza più alcuna linea politica e militare precisa, dato che è ormai solo.

Re Carlo chiamato in aiuto dal Papa, scende in Italia e sconfigge Desiderio, che si rinchiude a Pavia, mentre suo figlio ADELCHI, che sta regnando assieme al padre dal 759, va a difendere la roccaforte di Verona.

Pavia capitale del regno longobardo dal (637 al 774) cade il 6 giugno del 774 dopo nove mesi di resistenza  vinta dalla fame e dalla peste.

Ma la battaglia decisiva era già avvenuta il 12 ottobre 773 nei pressi di Mortara  (PV); si afferma che la città prese il nome proprio dell'epico scontro tra  Longobardi e Franchi.
Secondo la tradizione i morti furono oltre 70.000 ed il luogo della  battaglia prese il nome di Mortis Ara (altare della morte), da qui Mortara.

A questo avvenimento si riferisce anche la leggenda di Amico e Amelio, due notissimi cavalieri franchi, amici per la pelle, morti nella battaglia ma seppelliti in due chiese diverse, poi ritrovati il giorno successivo nello stesso sepolcro uniti nella morte  come lo furono nella vita.
Il luogo della loro sepoltura, in seguito divenne l'Abazia di S.  Albino alle porte della città, frequentato da pellegrini francesi che  venivano a pregare sulla tomba dei due amici.

Desiderio dopo la caduta di Pavia fu preso prigioniero; trasferito poi in Francia finì i suoi giorni nel monastero di Corbeia.
 Mentre Adelchi abbandonò Verona e si rifugiò a Bisanzio, dove l'Imperatore di fronte all'eccessivo rafforzamento dei Franchi, gli concesse solo il titolo di patrizio Bizantino ma non fece altro.

I Longobardi così sconfitti, in poco tempo scompaiono anche come popolo. Qualche anno dopo, nel 788, Adelchi partecipa ad una spedizione in Italia, ma l'esercito bizantino, sbarcato in Calabria, viene sconfitto dai Franchi e dagli stessi Longobardi di Benevento, cioè da quell'antico Ducato ribelle, ormai assoggettatosi opportunisticamente ai Franchi. Del resto questo ducato fin dalla sua origine non era nato come i ducati nel settentrione, ma da alcuni ribelli all'interno delle "nobili famiglie", durante i dieci anni di anarchia, anche se avevano poi fatto nel corso di due secoli varie (ma spesso ambigue) alleanze, come vedremo più avanti.

Anche il fatto che Benevento coniasse una sua moneta sta a dimostrare quanto era indipendente, oltre che pragmatico.

La diversa importanza
delle vicende del Ducato longobardo di Benevento. 


Mentre il Regno longobardo, al Nord, si impegnò in una politica di unificazione e centralizzazione di ampio respiro, e che non riuscì proprio per questo a realizzare, i Beneventani, seguendo la linea autonomistica degli altri ribelli Ducati, riuscirono a ottenere un'effettiva indipendenza dal potere regio. Essa fu insidiata solo a tratti dai tentativi militari di Liutprando o da quelli matrimoniali di Desiderio. Guardando la cartina a fondo pagina, si può notare che la continuità territoriale dei possessi longobardi in Italia era interrotta dai domini bizantini che andavano da Ravenna a Roma oltre a certi capisaldi presenti anche nel Sud. Fu questa interruzione la fortuna del Ducato di Benevento (detta anche Longobardia minore), che si vide libero di impostare una propria politica di equilibrio. Infatti il Ducato sopravvisse alla sconfitta del Regno perchè le sue mire di sovranità territoriale erano molto meno pericolose di quelle dei Longobardi del Nord.

Il Ducato era stato fondato nel 571 da ZOTTONE; successivamente AGILULFO designò come successore ARECHI, appartenente alla famiglia dei Duchi del Friuli, al quale segui' GRIMOALDO, che fu re dei Longobardi. Gli successero prima il figlio ROMOALDO (662-686), poi il figlio GRIMOALDO II (686-689), che ebbe in sposa la figlia del Re OERTARITO: Vigilinda.
Alternando momenti di fedeltà al Regno e spinte autonomistiche (come quella di GODESCALCO che sostenne il Papa Gregorio III durante il regno di Liutprando) si sussegirono: GISULFO I (689-706), ROMOALDO II (706-731), GREGORIO (732-739), GODESCALCO (739-742), GISULFO II (742-751), LIUTPRANDO (751-758) e ARECHI II (758-787). Dopo una spedizione dei Franchi, Benevento divenne Principato con Arechi II (774-787) e il figlio di questi, GRIMOALDO III (788-806), dopo essere stato ostaggio dei Franchi nel 787, successe al padre (788). Con mezzi diplomatici e militari riusci' ad evitare l'occupazione da parte dei Franchi. A tal fine Grimoaldo si alleò coi Bizantini. 
Il successore, GRIMOALDO IV, dovette però cedere ai Franchi Chieti, che per i suoi predecessori era stata la roccaforte contro i tentativi dei Franchi di spingersi a sud. Ciò però condusse alla pace coi Franchi (812) e permise al Principato di svolgere una politica di potenza locale, a danno di Napoli. Nell' 817, Grimoaldo IV fu vittima di una congiura che portò al potere SICONE (817-832), al quale succedette il figlio SICARDO (832-839). Seguirono RADELCHI (839-853) e ADELCHI (853-878) e successivamente si può assistere allo smembramento del Principato in due parti: Salerno e Benevento ad opera di Ludovico II, Imperatore e successore di Carlo Magno. 

Succedono poi GAIDERI, RADELCHI II e AIONE, ma ormai costoro non hanno più nulla di Longobardo, tranne la tendenza alle congiure di palazzo.... ammesso che siano una caratteristica longobarda. E nemmeno l'antica lingua del popolo di Alboino si parlò più.

L'assimilazione etnica e culturale dei Longobardi con gli italici era avvenuta (si dice) all'inizio molto rapidamente. Ma avvenne per necessità, perchè nonostante forti e temerari i Longobardi si dovettero per un certo verso adattare (se volevano mangiare) e perchè in un altro verso forzatamente costrinsero i locali ad adattarsi, anzi a sottomettersi. Si modificarono però in meglio i Longobardi e non certo i locali che avevano una storia e una civiltà già millenaria alle spalle. 
 
Erano i Longobardi, quando entrarono in Italia con Alboino circa 500.000; ma non dimentichiamo che si frazionarono a macchia di leopardo (soprattutto durante l'anarchia dei dieci anni) nell'intera penisola che doveva contare allora circa 8-9 milioni di abitanti.
 Nella loro avanzata i nuovi venuti si spostavano in linea retta, ma spesso lungo il percorso rinunciavano a impadronirsi di quelle città o fortezze che resistevano, e puntavano e dilagavano subito su un'altra città meno difesa che poi occupavano lasciandovi un duca con la "sua" "famiglia". 
Questo spiega come mai i possedimenti, i ducati e i granducati, finissero per risultare molto dispersi nel territorio.

Alla fine, senza mai riuscire a costituire una unità organica, una unione perfetta, un vero stato longobardo, risulta che per alcuni cambiamenti sul territorio italico non fu la differenza etnica e culturale a modellare la geografia e la storia della futura Italia, ma piuttosto la diversa organizzazione che nulla aveva a che vedere con la "radice etnica longobarda". 

Fu una organizzazione politica così diversa fra gli stessi Longobardi, che riuscì alla fine della loro quasi istantanea scomparsa (per sconfitta o per  accettazione del nuovo corso) a dividere l'Italia in tre parti: il regno della Chiesa, quello di Benevento (che di fatto era tutto il meridione esclusa Napoli) e quello del Settentrione.
E che è così (che non incise l'etnicità e la cultura) ne abbiamo la testimonianza con l'esempio Lombardia e Meridione.
Anzi quest'ultimo dovrebbe essere più longobardo della Lombardia stessa perchè la dominazione longobarda su Benevento fu, come secoli, più del doppio e sotto altre forme ebbe anche un seguito; l'intera struttura feudale-monarchica non subì quasi nessuna modifica territoriale nemmeno con gli angioini, gli aragonesi e i borbonici.

Fu invece l'organizzazione a dividere in tre parti e a tenere separata l'Italia per oltre mille anni; fino al 1860-70.

In quanto alla Lombardia (prese questo nome solo nel 629 con un territorio molto più esteso di quello attuale) c'erano già i "lombardi"! anche se non si chiamavano ancora così; erano Celti (nulla a che vedere con i Goti) e Liguri  una delle più antiche popolazioni europee. Come dinamicità e ingegno pari agli antichi fenici e ai cartaginesi (non dimentichiamo che si schierarono con Annibale contro Roma), come intraprendenza, realismo politico, economia di mercato cosmopolita, e inoltre grandi "navigatori" in mare come in terra. Una grande via commerciale esisteva nel 1600-1200 a.C. che dal Po risaliva il Ticino (Ticinum-Pavia anch'essa con un bi-millenario insediamento) e dalla regione dei laghi si dirigeva verso la valle del Rodano; vie commerciali che diedero una grande prosperità alla regione. 

Nel 222 a.C. Milano era già il principale centro dell'Insubria. Capitolò ai romani ma divenne nella tetrarchia poi, anche capitale d'Italia, e con Teodosio-Onorio, pure capitale dell'Impero d'Occidente.
Insomma la "razza" "lombarda", non era nè romana, e tanto meno era in attesa dei Longobardi per doversi modificare o cambiare carattere.

LE ARMI DEI LONGOBARDI

L'armamento tipico del guerriero longobardo era costituito dalla spada (spatha) in ferro a due tagli che si portava legata al fianco con un  cinturone, in un fodero di legno o di cuoio, la lama era larga circa 5 cm e  lunga 65/100, l'impugnatura era di cuoio, legno o corno.

La sciabola (scramasax) corta circa 30/50 cm a un solo taglio incurvata in  punta, era usata per il combattimento a cavallo, il fodero conteneva spesso  anche un coltellino.

Lo scudo circolare del diametro di 60/70 cm di legno, era ricoperto di cuoio  e con parti di metallo.

La lancia era l'arma offensiva più usata, sia dai cavalieri che dalla  fanteria, di legno con cuspidi e puntali metallici, la lunghezza era molto  variabile.

Elmo e corazza, dalla metà del sec. VII i nobili longobardi, cominciarono a  usare le armature e gli elmi (lamellari), di raffinata fattura e di origine  orientale. Le più antiche sono state ritrovate nella Russia meridionale e in  Iran, da qui si diffusero sino in Svezia e in Giappone.

Quest'armamento entrò in uso con l'avanzata dei popoli delle  steppe, gli Avari in particolare, cavalieri e fabbri d'eccezione,  imposero un nuovo tipo di combattimento a cavallo.

L'elmo si componeva di piastre di spessa lamina di ferro, legate con  lacci di cuoio passati in appositi fori, una piastra frontale copriva il  naso e le sopraciglia, all'interno vi era un'imbottitura di  cuoio e di pelo.

La nuca era coperta da una fitta maglia di ferro, le corazze lamellari erano  composte di 600-700 piastre di ferro, sovrapposte in strati orizzontali e  collegate con strisce di cuoio, una parte inferiore copriva il bacino e le  cosce, mancavano le maniche.

Arco frecce erano le armi della fanteria, l'arco e la faretra erano  appesi alla cintura, di solito l'arco era di legno.

Le cinture erano fondamentali nell'abbigliamento del guerriero, sia  per portare le armi, sia per il loro valore magico e protettivo, decorata  con pezzi e borchie metallici, di solito cinque, i motivi decorativi 
raffigurano solitamente animali, o disegni geometrici o floreali.

Furono i popoli nomadi delle steppe a perfezionare l'arte del  cavalcare, e a mettere a punto una serie di finimenti completi per il  combattimento a cavallo, alle coperte o alle semplici selle in cuoio, andò 
sostituendosi la sella a bordo rialzato, di legno ricoperto in cuoio.

Nel corso del sec. VII, sono stati ritrovati ornamenti a placche d'oro  di selle di grandi personaggi, i cavalieri usavano morso e briglie, un solo  esemplare di staffe è stato ritrovato in Italia, comune era l'uso  degli speroni.

Al momento della conquista dell'Italia l'esercito Longobardo era  composto in prevalenza da fanteria appoggiata da nuclei di cavalleria  leggera.

Dalle leggi emanate da re Astolfo, possiamo dedurre che nel 750 i  Longobardi, avevano una cavalleria pesante e una leggera, la fanteria era  relegata a un ruolo d'appoggio, ed era armata di archi e frecce, i 
grandi scontri di fanteria erano divenuti rari, dopo le guerre sostenute  contro la cavalleria pesante bizantina.

I Longobardi usavano insegne e stendardi, lance che sorreggevano vessilli di  stoffa, code di cavallo, raffigurazioni di animali totemici delle fare,  uno di questi era la vipera, sembra che lo stemma dei Visconti (il biscione)  derivi proprio da un'insegna militare d'origine longobarda.

L'ECONOMIA 

Con la caduta dell'impero d'occidente, l'intera l'economia già aveva  subito una grande crisi; si erano drasticamente ridotti gli scambi fra le varie province, tra  città e città, e tra città e campagna.
Poi vennero le guerre; quella ostrogota e infine quella greca-romana diede il definitivo colpo di grazia (oltre che alla popolazione) anche alle infrastrutture in quasi tutti i territori della penisola.
 Le strade oltre che insicure per la  presenza di numerosi briganti, iniziarono con le intemperie a essere danneggiate in più punti; carenti di  manutenzione crollarono anche i ponti.
Le città più popolose, come Milano, Napoli e soprattutto Roma, vennero quasi svuotate di abitanti, la campagna, spopolata anch'essa, restava incolta e i grandi proprietari (quelli non uccisi subito) andarono in rovina per essersi schierati di volta in volta o con i bizantini, o con i romani, o con gli ostrogoti.

L'economia intera e il commercio era già quindi in gravi difficoltà. Poi con l'insediamento dei longobardi (dopo Alboino ne seguitarono ad entrare altri  per alcuni anni) l'intero territorio fu tutt'altro che florido e le condizioni dei vinti furono eccezionalmente dure.
Del resto il carattere violento dei Longobardi rendeva impossibile l'inserimento degli stessi nelle strutture giuridiche preesistenti. Su quelle culturali nemmeno parlarne; non conoscevano la scrittura, non avevano una storia alle spalle, e l'unica scienza che possedevano era quella del nomadismo.

Non è che quando entrarono in Italia distrussero tutto, anche perchè non avevano nessun interesse a farlo. I Longobardi essendo nomadi fino a pochi decenni prima (qualcosa avevano già imparato in Pannonia e in Bavaria, come le costruzioni usando i laterizi) non erano agricoltori, quindi non sapendo sfruttare la terra, avevano estremamente bisogno della popolazione locale per godere i frutti che la terra dava.
Ma essendo anche dei grandi cacciatori, non solo non fecero proprio nulla per allargare le culture agricole esistenti, ma semmai spopolarono vaste zone -un tempo coltivate- che ben presto si trasformarono in brughiere incolte e selvagge.

L'unica attività che incrementarono - dando grande spazio nella parti che non erano completamente devastate - fu quella dell'allevamento del bestiame, soprattutto bovini e maiali. Una vocazione che nel territorio centro-padano poi rimase per sempre.
I duchi nelle loro conquiste avevano costituito dei ducati con le terre pubbliche, ma anche ogni libero guerriero longobardo aveva diritto a una parte del bottino, e nelle terre sottomesse diventavano perciò anche loro proprietari terrieri. In questo modo il frazionamento fu massiccio, ovviamente subentrando ai vecchi proprietari fuggiti o uccisi, e mettendo i preesistenti coloni a proprio servizio.

I Longobardi  erano anche del tutto incapaci in una qualsiasi attività marinara; e non solo non utilizzarono per i commerci i grandi porti di Genova e Pisa pur essendo in loro possesso, ma anche quelli piccoli li mandarono in rovina; tutti inattivi cadendo in decadenza si trascinarono dietro anche tutte quelle attività dell'indotto che fanno da cornice a un porto. Si salvò solo Comacchio che allora aveva il commercio del sale. Con una particolare concessione, solo i suoi natanti potevano risalire il Po fino a Piacenza.  E solo attraverso questa via d'acqua transitavano ancora quelle poche merci (data la sua vicinanza con Ravenna) che provenivano dall'Oriente.
Il Mediterraneo una volta chiamato Lago di Roma, tornò ad essere un Oceano Pacifico, non più solcato da migliaia di navi di quell'impero del tempo che fu.

Con queste condizioni nel periodo longobardo si consolidò sempre di più la cosiddetta "economia  curtense", cioè autarchica, i prodotti erano soltanto quelli locali e lo scambio commerciale all'interno della stessa curtis  non era più basato sulla moneta, del tutto inutile, ma solo sul  baratto. Sono infatti rarissime le monete; i Longobardi fecero sparire del tutto il denaro per gli scambi. 

Le cortis erano in pratica dei poderi agricoli, che gravitavano intorno a una abitazione fortificata, ed erano suddivise in appezzamenti chiamati "masi",  coltivati dai coloni locali, ex romani, ex ostrogoti (ricchi o poveri) cioè quella moltitudine di individui che era diventata sotto i longobardi tutta gleba a loro servizio.
Ogni ducato dunque, poi perfino ogni castello, costituiva un mondo quasi autosufficiente.

 

I COSTUMI

Così Paolo Diacono ne descrive i costumi dell'epoca:
" Si rapavano la fronte e si radevano tutt'intorno sino alla nuca,  mentre i capelli divisi in due bande, spiovevano ai lati sino  all'altezza della bocca".
Vestiti ampi per lo più di lino, come quelli degli anglo sassoni, ma balze  più ampie e variopinti, calzari aperti sino all'alluce con lacci di  cuoio intrecciati, in seguito per andare a cavallo indossarono una specie di  calzoni di panno rossiccio (moda presa dai romanici).

Le tombe hanno fornito informazioni sul corredo dei Longobardi, gli uomini  erano sepolti con le loro armi, le donne con i gioielli (collane di pasta di  vetro con oro, orecchini, bracciali, aghi e fermagli) nelle tombe di  entrambi i sessi si trovano coltellini, forbici, recipienti di terracotta,  metallo e vetro, amuleti portafortuna.

LA RELIGIONE

Da principio i Longobardi veneravano il dio Guerriero Odino (wotan), il cui  animale totemico era l'aquila, altri dei erano Thor o Tonar dio  del tuono e del metallo, il cui culto prevedeva la decapitazione di una  capra.

Il vescovo ariano goto Wulfila intorno al 350, oltre ad aver introdotto l'arianesimo, aveva tradotto la Bibbia dal greco in  lingua gotica, inventandosi e costruendo lui la lingua tedesca, una traduzione non solo letterale, ma una trasposizione di  significati per adattarla, alle credenze e ai modi di pensare dei popoli  nordici.

Il simbolo di questa nuova spiritualità è raffigurato in pietra in tutte le  loro chiese, e continua a vedersi nelle chiese romaniche, la chiesa  cattolica non potendo cancellare tutte le abitudini pagane ne convertì  molte.

Lo sciamanesimo proveniva dalla cultura delle steppe, trasmessa ai germani  proprio dai popoli della steppa.

Ci racconta Paolo Diacono, che quando un guerriero moriva in terra lontana,  i suoi parenti piantavano in suo ricordo una pertica, sormontata da una  colomba con la testa rivolta al luogo dove era scomparso il loro caro

Da questa usanza sarebbe nato il nome, della Basilica di Santa Maria in  Pertica, chiesa fondata a Pavia dalla regina Rodelinda, sorta proprio sul  cimitero dei guerrieri, oggi scomparsa.

Il cristianesimo conosciuto dai Longobardi in Italia, presentava tre volti: a) l'arianesimo (che negava tra le altre cose la natura divina di Cristo - quella che gli era stata insegnata da Wulfila), b) lo scisma dei (tre capitoli) che non accettava la conclusione del  quinto concilio (Costantinopoli 553), sostenuto dal patriarca  d'Aquileia e dal vescovo di Como; c) Il cattolicesimo romano, con i suoi missionari celto-irlandesi (Es. Colombano)

L'ultimo vescovo ariano Anastasio, si convertì al cattolicesimo poco  dopo il 653, e divenne in seguito vescovo cattolico.

Lo scisma dei "tre capitoli" ebbe fine nel 698, in un sinodo convocato presso  il palazzo reale di Pavia dal re Cuniberto.

PATRIMONIO ARTISTICO E LINGUISTICO

L'unico settore delle arti che dimostri, in questo periodo longobardo durato due secoli è una certa vitalità è quello delle arti figurative. Una influenza barbarica si fa sentire su tutte le arti figurative, salvo la pittura che è del tutto assente (salvo un paio di affreschi nell'VIII sec.), e l'architettura ma con forti influssi bizantini, come nella chiesa di San Salvatore a Brescia costruita verso la fine del regno nel 753 o come a Cividale nel tempietto longobardo di Santa Maria in Valle assai noto per la complessa decorazione a stucco degli interni, e per una scultura dell'altare, e il sarcofago di Teodota nella chiesa di San Martino.
In Meridione, altra pregevole arte longobarda, la chiesa di Santa Sofia, fatta costruire da Arachi. Le strutture architettoniche associano elementi bizantini e gusto longobardo. Si trova qui anche uno dei rarissimi affreschi.

Questa architettura longobarda determinò il sorgere e il definirsi, di  quello che sarebbe stato chiamato (stile romanico), che avrebbe accolto  anche influssi orientali di provenienza armeno-caucasica.
I campanili furono introdotti nell'architettura occidentale proprio  dai Longobardi, come i (menhir) e gli obelischi, essi rappresentano il tema  maschile, la virilità puntata verso il cielo.
Nell'architettura religiosa longobarda di grande importanza è la  creazione della (cripta), sacello sotterraneo ubicato nella parte più sacra  dell'edificio, che corrisponde all'elemento femminile, come  (ventre) depositario di ogni segreto e di ogni fertilità.
Nell'arte longobarda il serpente ebbe sempre un simbolo altissimo, si  ritrovano questi simboli nelle decorazioni delle chiese romaniche.
L'espressione più caratteristica dell'arte lombarda è però l'oreficeria, espressa con lavori di sbalzo e cesello. Imponente testimonianze di quest'arte è oggi conservato nel duomo di Monza.  Fa parte di questo tesoro anche la Corona Ferrea in oro ornato di gemme e smalti.


(ferrea perché cerchiata all'interno da un anello di ferro che secondo la leggenda contiene un chiodo della croce su cui fu crocefisso Gesù Cristo).

LINGUA

Nella provincia di Pavia, sono testimoniati diversi nomi di luoghi di  origine longobarda, nel pavese e in Lomellina questi nomi sono collegati al  termine fara (un insieme di famiglie) mentre in Oltrepò si ricollegano per lo più a sala, nome passato nelle  lingue moderne proprio dal termine longobardo che indicava la residenza famigliare (nel senso di una stirpe, piuttosto numerosa).

Si ricorda: Siccomario (alle porte di Pavia) che deriva da sigmar, vincitori  di paludi (monaci che realizzarono le bonifiche) quindi (le paludi vinte).
Saldasole in Lomellina da sculdahis un grado dell'amministrazione  territoriale longobarda.
Berguardo da wara-walda, caposaldo, testa di ponte sul fiume, o da wara-hardhu, forte, protezione.
In Umbria è usato il toponimo gualdo da wald bosco.

Nel linguaggio comune, secondo i linguisti (Migliorini, 1961) noi adoperiamo circa 280  vocaboli di origine longobarda.
Ecco alcuni termini piuttosto comuni: strale, spalto, spada, spiedo, panca, scaffa, scaffale, gruccia, spranga, greppia, trogolo, trappola, guancia, schiena, nocca, milza, anca, stinco, ciuffo, zazzera, sberleffo, grinza, zanna, strozza, grinfia, stambecco, taccola, sterzo, stecco, biacca, sguattero, sgherro, manigoldo, spaccare, strofinare, spruzzare, baruffare, graffiare, arraffare, scherzare, russare, smacco, scherno, tanfo, tonfo, gramo, ricco, stracco.

Essi sono, assieme forse ad alcuni geni, ormai sparsi e "annacquati", e a rarissime monete, tutto ciò che ci resta oggi dei Longobardi.
Infatti per più di due secoli  i Longobardi nella loro dominazione fecero a meno anche della moneta.
Tutta l'economia fu basata su scambi in natura; scambi e baratti che avevano la loro sede dentro nelle curtis; l'unità economica di tutto l'alto Medio Evo; cioè una economia chiusa; e PROPRIO PER QUESTO FALLIMENTARE.

FINE

Contributi di Sergio Rossi -
Ottavio de Manzini -
Mario Veronesi -
Francomputer

 

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE