-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

GENGIS KHAN
IL SIGNORE DEI MONGOLI
(1155(?) - 1227)


IL FONDATORE DEL PIU' GRANDE IMPERO CHE LA STORIA RICORDI



LA DINASTIA - LE CONQUISTE - LE DISTRUZIONI -  I SUCCESSORI -  L'ORDA D'ORO -  TAMERLANO
L'ORGANIZZAZIONE SOCIALE - LA RELIGIONE - GLI USI - I COSTUMI - L'ALIMENTAZIONE

di Mario Veronesi

All'inizio del XII secolo numerose tribù turco-mongole vivevano nell'altopiano stepposo dell'Asia centrale, simili per lingua e cultura, nomadi per necessità e costumi di vita, questi gruppi si erano uniti in piccoli clan per lo più famigliari, indipendenti tra loro, armati e decisi a difendere i loro pascoli e le mandrie.
Tra questi spiccavano per importanza e ricchezza d'armenti quelli dei Keraiti, dei Tartari e dei Naimani.

Generalmente prive di contatti stabili, e definitivi tra loro, si erano uniti saltuariamente in comune, per opporre una resistenza efficace contro i minacciosi Kirghisi, e contro i Tungusi Liao abitanti, le regioni settentrionali della Cina. Si trattò di una breve e sporadica alleanza, essendo totalmente privi di una comune volontà politica o dinastica.
Queste tribù non essendo autosufficienti, per integrare il sistema di vita nomade (abiti, derrate alimentari, oggetti artigianali ecc.) compivano, saltuarie incursioni nei ricchi e vicini territori cinesi.

La Cina per difendere i propri possessi, reagiva sia sul piano militare sia su quel politico, sfruttando abilmente le discordie tra i vari capi clan, concedendo titoli onorifici, provviste di cibo ad alcune tribù mongole in cambio di una vigilanza ai confini.
Questa politica cinese durò sino alla fine del XII secolo, in questo periodo Temujin (Gengis Khan) erede del potente Yesughei Khan, capo incontrastato d'alcune tribù minori riunite sotto il nome di Manghol (mongoli).

Gengis nell'anno della Tigre 1206, era il dominatore assoluto di tutto il territorio abitato dai Mongoli, le popolazioni Tartare si riunirono a Gengis Khan e gli conferirono il titolo d'Imperatore.
Durante questa grand'assemblea, furono poste le basi del futuro stato mongolo, fu riorganizzato l'esercito, fu imposta una legislazione fiscale, istituito una rete postale di stato e creata anche un'organizzazione burocratica, composta prevalentemente di (Uiguri) un popolo di cultura superiore, abitante il Sinkiang settentrionale, arresosi senza resistenza al conquistatore mongolo.

Temujin impose ai suoi parenti, agli ufficiali dell'esercito, ai dignitari di corte d'imparare a leggere e scrivere nel linguaggio degli Uiguri, che divenne la lingua ufficiale del nascente impero.
Creata la struttura dello stato, il sovrano mongolo diede inizio alla grande stagione delle conquiste, in quindici anni di guerra, sottomise il regno dei Si Hisa (1205-1209), devastò quello dei Kin (1211-1215) occupando Pechino la capitale, attaccò la Corasmia spingendosi fino all'estremo occidente (1219-1223).
Alla sua morte avvenuta il 18 agosto 1227, l'impero fu diviso tra i suoi quattro figli: Giutsci, Giagatai, Ogodei e Tului.

Ogodei dopo aver vinto l'opposizione dei fratelli, divenne nel 1229 Gran Khan, il terzogenito del "flagello di Dio" appena giunto al potere riorganizzò l'esercito, completando la conquista della Cina centro-settentrionale e della Persia.
Decise una nuova spedizione verso occidente nel 1235, affidando il comando al nipote Batu, travolgendo i Cumani, i Bulgari, gli Ungheresi e i Polacchi. Batu si ritirò nei territori "dell'Orda d'Oro".
Morto Guyuk successore d'Ogedei nel 1248, sali al trono Mongha (1251-1259), che dopo aver delegato ai fratelli Qubilai (gran khan dal 1260 al 1294) e Hulagu i problemi militari, si occupò dell'organizzazione amministrativa del grande impero.

Mentre Hulagu conquistava la Persia, fondando il regno degli Ilkhan, Qubilai "amministratore militare e civile dei territori cinesi a sud del Gobi, attaccò nel 1258 il regno dei Sung sottomettendolo definitivamente 19 anni più tardi.
Dopo tale vittoria l'erede di Gengis, trasferiva la sua capitale a Pechino nel 1260, e dopo alcuni fallimenti di conquista verso l'arcipelago giapponese, si dedicò interamente all'organizzazione politica e militare delle vaste terre cinesi.
La Cina fu divisa in dodici province, e la popolazione in quattro classi: Mongoli (dignitari e possessori terrieri esenti da ogni tassa), asiatici continentali (turchi ed europei addetti all'amministrazione ed al commercio), cinesi del nord e coreani (piccola borghesia), cinesi sung (barbari privi d'ogni diritto ed esclusi dal commercio).

Subito dopo la morte di Qubilai avvenuta nel 1294, comparvero i primi segni di decadenza nel grande impero, le province dell'Asia centrale ed occidentale da un lato, quelle russe dall'altro, cominciarono a distaccarsi dal governo centrale di Pechino.
Nel 1368 il movimento unitario cinese, nato dal malcontento della popolazione rurale, guidato da un monaco buddista (Tsiu Yuan-tsciang) fondatore della dinastia Ming, costrinse l'ultimo imperatore tartaro Toghan-Temur, a fuggire in Mongolia.
La dominazione Mongolo-Tartara era finita e il vastissimo impero di Gengis Khan definitivamente diviso.

Gengis Khan a differenza di Maometto, non portò la guerra nel mondo per motivi religiosi, né come Alessandro, Giulio Cesare, o Carlo Magno per motivi personali o politici, ma per necessità. Si cercavano nuovi pascoli per la sopravvivenza del suo popolo, per questo si servi della guerra che condusse con determinazione, inflessibilità, crudeltà e violenza.

Chi era dunque: un nuovo Davide o il flagello di Dio?

Disse di lui Marco Polo: "fu uomo di grande valenza, di senno e di prudenza, e tenea signoria bene e francamente".

L'Europa gioì quando Jacques de Vitry vescovo di Tolemaide, inviando dalla terra santa lettere aperte ai re cristiani, lodò questo nuovo Davide, che venuto dall'India e di fede cristiana aveva vinto il re di Persia, e si apprestava ad abbattere il Gran Califfo dei musulmani, per giungere a Gerusalemme e ricostruirla.
Vana speranza, poco dopo l'Europa, riconosceva in Gengis Khan quel Gog signore di Mogol, di cui parlano il profeta Ezechiele, l'apocalisse di San Giovanni e il Corano: "Da una razza di turchi della regione di Gog e Mogol, dietro le montagne dell'Asia, verrà una razza impura cui e consuetudine il non bere vino e il non porre sale nelle vivande"
Ripeteva anche Ruggero Bacone: "verrà l'anticristo a mietere l'ultimo spaventoso raccolto, verrà perchè il mondo paghi i propri peccati".

Papa Innocenzo IV inviò tra i mongoli, Giovanni da Pian del Carpine che ne lasciò la prima dettagliata e preziosa descrizione: "Non esistono borghi o città, ma ovunque terreni sterili e sabbiosi, il luogo è spoglio d'alberi e adatto per il pascolo degli armenti, l'Imperatore stesso, i principi e tutti si scaldano e cuociono il cibo, facendo fuoco con sterco, il clima è tutt'altro che temperato"

Il paese dei quattro deserti

Dalla notte dei tempi una lunga e disagiata via, ha tenuto legati i due mondi l'Oriente e l'Occidente, le sete e le ceramiche cinesi, tentarono la fortuna nei mercati mediterranei, e in senso opposto l'arte greca, i monaci buddisti, i commercianti romani, a sud di questa "via della seta" popoli sedentari, si aprirono a civiltà splendide, eressero templi e regge fastose, coltivarono, produssero e crearono.

A nord si estende il paese delle steppe, e dei quattro deserti flagellato da venti furiosi, con zone che conoscono i 38 gradi sopra lo zero in estate, e i 42 sotto lo zero d'inverno, una continuità di territorio che va dai mari della Cina, ai pascoli d'Ungheria.
Popolata fin dalle origini di nomadi cacciatori o pastori, gente barbara e feroce, in tempi antichissimi vi scorazzarono, da ovest ad est: Sciti e Sarmati di razza e lingua iraniana, poi ad ondate successive le invasioni da est ad ovest, degli Unni, Avari, Turgusi, Turchi, infine i Mongoli di Gengis Khan, barbari modellati dalle continue lotte interne, dal bisogno e dal gelo, cavalieri eccezionali sempre in sella, abili nello scoccare la freccia galoppando, abituati a marce ininterrotte di settimane.

Piccoli con gli occhi a mandorla, con la pelle dorata e cotta dal sole estivo, unta di grasso puzzolente d'inverno, seguendo il bestiame e spinti dal bisogno, giungono al limitare dei paesi civili, e vi girano intorno come lupi, non a caso il lupo è il loro (Totem), finchè su quelle terre fertili e civilizzate, irrompono proprio come un branco di lupi, razziando, uccidendo, devastando, sembra che il loro unico desiderio fosse di distruggere la civiltà e che la terra ritorni alle origini, (incolta) e quindi buona per i futuri armenti.

Temujin - (detto GENGIS KHAN)

Anche la data esatta della sua nascita non è certa, nel 1155 secondo fonti persiane, nel 1162, 1167 o 1176 secondo altre.
Temujin figlio di Yesughei, come consuetudine tra i popoli della steppa, al nuovo nato era imposto un nome, che rammentasse una gloriosa impresa appena compiuta dal genitore, il padre aveva appena sconfitto due capi tartari, uno dei quali si chiamava Temujin.
Il bimbo crebbe forte e robusto, sveglio nella mente, quando ebbe nove anni il padre ritenne giunto il momento di trovargli la futura sposa, come voleva il costume mongolo i due si misero in viaggio per visitare i clan più lontani, visitarono i Kin e furono ospiti di Dai Sescen capo dei Qongghirat, la leggenda vuole che Temujin ospite di Dai Sescen s'innamoro della bella figlia del capo Borte di dieci anni, più probabilmente ciò rientrava nella politica unionista di Yesughei, il quale offri il proprio stallone nero al capo, e lascio al campo Temujin perché lavorasse gratuitamente per un certo numero d'anni per il futuro suocero, e fornisse prova di se prima del matrimonio, sempre secondo il costume mongolo.

Soggiorno profittevole per il giovane, le frequenti visite al campo di mercanti cinesi gli permisero di conoscere i costumi delle genti di là dalla grande muraglia, si informò delle città, degli arredi, degli armamenti e dell'arte di far la guerra.
Un giorno giunse al campo un parente di Temujin, Munlik reclamando un momentaneo ritorno del giovane, non era nella tradizione mongola, ma il ragazzo aveva fornito prova di fedeltà che Dai Sescen acconsentì.
Sulla via del ritorno Temujin, fu informato che suo padre era stato avvelenato da una tribù tartara, giunse al campo che il padre era spirato, e con lui il sogno d'una pacifica alleanza dei clan mongoli.
Non appena la notizia della morte di Yesughei si sparse nell'"Ordu", i capi clan si affrettarono a partire, seguiti dagli schiavi e dal bestiame, l'unità mongola si sbriciolava, chi avrebbe mai dato retta ad un ragazzo, o piegato il ginocchio dinanzi a lui, ora ognuno voleva la supremazia, la propria libertà assoluta.

L'inizio della primavera trovò cosi il giovane capo della famiglia, attorniato solo da donne e bambini che avrebbero sofferto la fame, a poco a poco l'esigua mandria crebbe, le cacce si fecero più abbondanti, tornò il coraggio per cavalcare nei pascoli degli Urynghat, o addirittura in quelli dei clan dissidenti.

Targhutai capo dei Taiciuti voleva lo stendardo reale, radunò sotto le proprie insegne gran parte dei clan un tempo fedeli a Yesughei ed attacco il campo di Temujin, questi lascio tutto e si rifugiò sulle montagne, Targhutai lo inseguì con i migliori cacciatori, catturato fu trasportato di tenda in tenda come un trofeo tra le risa dei Taiciuti.
Una notte Temujin riuscì a fuggire, raggiunse l'impervio monte di Burkan Kaldun, qui radunò la sua famiglia, possedevano nove cavalli, due montoni e preparò la sua rivincita.
Molti giovani figli di vecchi compagni del padre, lo raggiunsero sul monte, Temujin allora organizzò piccole razzie, e iniziò a saccheggiare piccoli gruppi di Taiciuti, lasciando in vita chi si fosse unito al suo gruppo.

Temujin si reca al campo di Dai Sescen per il matrimonio con la sua promessa Borte, è accolto festosamente e la cerimonia dura due giorni poi il commiato, la sposa porta con se molte tende montate su carri di legno servi e schiavi, "l'Ordu" del giovane capo diventa più numeroso, nel frattempo inizia a trovare alleati, dona il prezioso mantello di zibellino a Togril Khan re dei Keraiti, rammentandogli l'antico patto di fratellanza stretto con suo padre, il re lo chiama figlio e gli affida un proprio nato come palafreniere.
Nel frattempo il suo campo è attaccato dai Merkiti, uomini delle foreste del nord barbari fra i barbari. Vent'anni prima Yesughei aveva rapito la sposa promessa a uno di loro e questa era la vendetta, al suo arrivo Temujin trova solo tende vuote e molti cadaveri, ed una brutta notizia la moglie Borte caduta prigioniera.
Toghril fornisce a Temujin un buon numero di soldati, altri clan mandarono aiuti, tutti temevano la calata dei Merkiti, ed intendevano ricacciarli al nord, il campo nemico fu attaccato e distrutto, Temujin ritrova la moglie Borte, con un neonato tra le braccia il loro primo figlio, cui fu imposto il nome di Giutsci, (l'ospite, l'accettato).
Del ricco bottino non ne volle sapere, "ho trovato quello che cercavo" dichiarò e impedì agli armati d'inseguire il nemico, fu il primo atto della sua volontà riformatrice, dettato dalla considerazione che il fuggiasco di oggi può diventare l'alleato di domani.

Pochi anni dopo tredicimila tende avanzavano sotto la sua guida, durante una sosta molti capi clan si radunarono a consiglio (Kurultai) e offrirono a Temujin il titolo di: "capo supremo nelle battaglie e nelle cacce" proclamandolo Khan, allora Temujin assunse il titolo di Gengis Khan e iniziò ad organizzare la sua gente dandole, a poco a poco ordinamenti e leggi.

Costituì una guardia privata (Kascik) e una truppa disciplinata, secondo una suddivisione che Giovanni da Pian del Carpine cosi descriveva nel 1248: "alla testa di dieci uomini uno si pone a capo, che da noi si chiamerebbe decurione, alla testa di dieci decurioni uno ne mette a capo del migliaio, alla testa di dieci migliaia se ne mette uno ancora, e questo numero si chiama "Tuman".
Dieci cavalieri: un plotone, dieci plotoni uno squadrone, dieci squadroni un reggimento, dieci reggimenti un "Tuman". Il loro ordinamento militare era espresso in numeri decimali.
La fanteria non esisteva, così Giovanni da Pian del Carpine descrive il loro equipaggiamento: ogni cavaliere aveva due o tre archi, tre farete piene di frecce, una scure, e corde per trascinare le macchine da guerra, i cavalieri più ricchi hanno inoltre spade aguzze che tagliano solo da un lato.

Anche i cavalli portano l'armatura ed è divisa in cinque parti, in modo che l'animale sia protetto da tutti i lati. Le armature degli uomini sono di cuoio, il loro elmo è nella parte superiore di ferro o d'acciaio, ma la parte che protegge il collo e la gola di cuoio.
Le lance hanno la punta ad uncino, serve per tirare giù il nemico dalla sella, la lunghezza delle frecce e di circa 75 centimetri, i ferri delle frecce sono molto appuntite e taglienti in ambo i lati, i soldati portano sempre con loro una lima per affilarle, usano anche altri tipi di frecce larghe tre dita, per tirare agli uccelli, alle bestie e agli uomini senza difesa.

Gengis partecipò a numerose guerre locali, in tal modo riuscì a sconfiggere molti clan rivali ed a ingrossare il suo esercito.

Si racconta che ferito da una freccia al collo, dopo la vittoria catturò il suo feritore che gli disse: "se mi uccidi sporcherai solo un palmo di terra, ma se mi prendi con te avrai un tiratore d'arco, che ti conquisterà la terra fin dove la sua freccia, che ben conosci giungerà.
Gengis ne fece uno dei suoi paladini dandogli il soprannome di "Gebe la freccia", e sarà proprio Gebe a portare i mongoli sulle rive dell'Adriatico.

Dopo la vittoria sui Naimani, l'annientamento di Taciuti e la dispersione delle forze di Giamuqa, Gengis volle liberarsi definitivamente, d'ogni pericolo all'est attaccando i tartari nemici tradizionali dei mongoli.
Prima della battaglia ordinò alle sue truppe, di non gettarsi al saccheggio in caso di vittoria perché tutto sarebbe stato diviso in parti uguali, assaliti i Tartari l'organizzazione e la disciplina imposta da Gengis, ebbero il netto sopravvento sulla combattività disordinata dei Tartari.
Per suo ordine ogni maschio nemico, che superava in altezza il mozzo di un carro fu ucciso, i sopravvissuti a quella carneficina furono distribuiti fra le varie tribù, e Gengis stesso sposò le due principesse nemiche Yasui e Yasukhan.

I Tartari come razza a se, avevano cessato di esistere.

Altre genti ai confini si unirono spontaneamente, come i Kirghisi dell'alto Ienissei e gli Oriati, il bianco stendardo di Gengis Khan sventolava ora su tutto il territorio della Mongolia unita per la prima volta. Nel 1206 l'anno della pantera, Gengis radunò tutti i capi che lo elessero in forma solenne e definitiva:
"Signore di tutte le genti che abitano nelle tende di feltro".
Ora il suo potere si estendeva dalla Grande Muraglia ai monti Targabatai per millecinquecento chilometri, e dal deserto dei Gobi, alle propaggini della Siberia per mille chilometri, circa trentadue popoli s'inchinavano davanti a lui, ed egli li divise in tre grandi gruppi (del centro, della mano destra e della mano sinistra) nello stesso ordinamento che avrebbero assunto le truppe da loro fornite.

Tradizionali rimasero le classi sociali: la famiglia gengiskhanide o famiglia d'oro (altan uruk), quindi i condottieri (bahadur), i generali (noyat), gli uomini liberi (nokud), il popolo (arat) e i servi (unaghan), con mano di ferro e con diplomazia si sbarazzò del grande sciamano Tab Tangri Kokosciu, che dopo averlo eletto tentava d'intromettersi negli affari di stato, affidò l'organizzazione amministrativa e l'educazione dei figli all'uiguro Tata T'onga, e nominò giudice supremo il figlio adottivo Scigi Qutuqu.
Dettò le ordinanze (Yasa o Giasaq) cui si aggiunsero le sentenze (Biliq) cercando le leggi nella tradizione, costumi e credenze del suo popolo, grazie ad esse un impero immenso fu retto con giustizia ed equità.

Nella primavera del 1211 Gengis radunò tutto il suo esercito, circa duecentomila guerrieri, il deserto dei Gobi fu attraversato e giunsero al confine dell'impero dei Kin per tentarne la conquista; Temujin aveva provveduto a spianarsi la strada, sperimentando le proprie forze contro i Si hsia popolo stanziato nel Kansu nella Cina di nord-ovest e li aveva sottomessi nel 1209, s'era poi assicurato la complicità dei turchi Onguti sparsi lungo la Grande Muraglia, e con il loro aiuto aveva comperato alcune guarnigioni cinesi che presidiavano le porte del vallo ciclopico, costoro aprirono i varchi ai Mongoli che invasero la Cina.
Gengis provvide a rimettere sul trono del Liao il pretendente legittimo Liu-Ko conquistandosi la sua lealtà, e sguarnendo così anche la frontiera cinese di nord-est.


Attaccò le guarnigioni dell'entroterra, conducendo per due anni una guerra di razzia, distruggendo quattro armate cinesi, campi e raccolti, tentando a volte di conquistare città fortificate facendo deviare corsi d'acqua e costruendo macchine d'assedio, prima d'allora del tutto ignote al popolo della steppa.
Impadronendosi infine della regione del Siuan-hua, divise le truppe in tre armate che si spinsero in ogni direzione nel regno dei Kin, per riunirsi cariche di bottino sotto le mura di Pechino.
Sconfitte altre due armate cinesi, l'imperatore Kin trattò la pace con Gengis che gli costò tutto il tesoro imperiale, e migliaia di prigionieri, dal momento che l'estate rendeva ormai impossibile la traversata del deserto del Gobi, Gengis si sbarazzò dei prigionieri facendoli decapitare tutti, e si acquartierò con il suo esercito nell'oasi di Dolon, poi inviò alcuni messaggeri nella Cina del sud retta dalla dinastia Sung.

L'imperatore cinese Wu-tu-pu volle ravvisarvi un pericolo, e spostò la corte da Pechino a Tien (oggi Kaifeng), Gengis considerò l'atto come una rottura del trattato di pace, assalì Pechino e la distrusse "non più un trillo d'uccello" cantò un poeta fuori delle mura silenziose "le fosse delle mura sono colme di cadaveri e di sangue" era l'estate del 1215.

Un anno dopo Gengis tornava all'accampamento sulle rive del Kerulen lasciando la Cina, per la continuazione della conquista lasciò un contingente di venticinquemila uomini, a cui se ne aggiunsero altrettanti fra alleati, federali e vassalli locali al comando di Muquali.
Mentre Gengis conquistava la Cina del nord, a oriente il suo nemico di un tempo Kutscilug fuggito presso i Qara Khitai, sposava la figlia del loro re, quindi s'impadroniva del trono con l'aiuto dello sciah della Corasmia e si diede a perseguitare i musulmani, poi assalì e uccise un capo confinante, vassallo di Gengis, questi ordinò a Gebe di marciare contro Kutscilug con ventimila uomini e di restaurare la religione musulmana.
La popolazione di fede maomettana accolse i mongoli come liberatori, secondo gli ordini espressi i conquistatori mongoli non saccheggiarono ne fecero bottino, il fuggiasco Kutscilug fu catturato sulle pendici del Pamir e giustiziato.
Con l'annessione del regno dei Qara Khitai vasto come la Mongolia stessa, Gengis si trovava ora a confinare con una delle zone più civili e più cariche di storia, la Persia e L'Afghanistan entrambi due territori musulmani; era l'anno 1218.

Una carovana diplomatico-commerciale di Gengis Khan giunta a Otrar piazzaforte dello sciah Sul Sir Daria fu saccheggiata dal governatore della città, che mise a morte gli ambasciatori mongoli, i quali chiesero riparazione per l'offesa, e al rifiuto dello sciah, Gengis radunò sulle rive del Baikal duecentomila uomini, e si affrettò a compiere uno dei più difficili viaggi lungo tremila chilometri.
Lasciata a uno dei suoi fratelli la reggenza della Mongolia, iniziò la grande marcia attraverso monti, pianure, e deserti, toccando anche passi della catena dell'Everest il tetto del mondo.
Nell'autunno del 1219 giungeva a Otrar, città dove i suoi ambasciatori erano stati trucidati, la cittadella fu assalita e conquistata da Giagatai e Ogodei figli di Gengis, poi fu la volta delle altre guarnigioni di frontiera.

Nel febbraio del 1220 Gengis cingeva d'assedio Bukhara, la città abbandonata dalla guarnigione fu saccheggiata e incendiata, toccò poi a Samarcanda tempestata di otri incendiari con le catapulte; i suoi fossati furono riempiti di prigionieri portati da Bukhara e uccisi a frecciate sul posto. Dopo una dura resistenza Samarcanda capitolò e tutta la popolazione fu trucidata, nel frattempo Gebe e Subotai inseguivano lo sciah Muhammad che fuggiva verso la città di Balkh.
I mongoli occuparono città dopo città, caddero Thus, Damghan, Semnan, di Rayy celebre centro per le sue ceramiche; non restò vivo un solo abitante ad eccezione di un centinaio di artigiani condotti schiavi in Mongolia.

Poi fu la volta di Zendgian e di Qazwin sempre più a ovest, a Hamadan lo sciah fu raggiunto la sua guardia uccisa, ed egli costretto a fuggire verso il mar Caspio dove morì di stenti, era l'inverno del 1220.
Gebe e Subotai ne inviarono la notizia a Gengis e continuarono la loro marcia verso occidente.

Gengis con il grosso dell'esercito attaccò Urgenc capitale della Corasmia, che cadde dopo un lungo assedio. I mongoli avevano usando baliste a lunga gittata, per riversarvi a migliaia otri di pece infuocata, vinta infine l'eroica resistenza del generale Timur Malik presero la città, e uccisero tutti gli abitanti poi si ritirarono.

La Transoxiana era nelle mani di Gengis, toccava ora al Khorassan che fu occupato dal figlio minore di Gengis, Tului, che assali la città di Merv e seduto su di un trono d'oro, fece sgozzare davanti a se la popolazione divisa fra i suoi soldati, che ammucchiavano le teste e le orecchie destre in macabre piramidi, risparmiò solo quattrocento artigiani.

Poi assali Nisciapur altro celebre centro ceramico, e perchè nessuno si fingesse morto fece recidere la testa anche ai cadaveri, la medesima sorte toccò a Herat; distrutta la popolazione fece incendiare o abbattere i più begli esempi d'architettura musulmana in Persia, fra i quali il mausoleo e la tomba di Harun al Rascid, una dopo l'altra furono distrutte duemila moschee.
Conquistata la Persia Gengis, si trovò davanti uno dei più fieri avversari di tutta la sua vita: l'Afghanistan, paese di montagna abitato da popolazioni bellicose e intrattabili.
A Ghazni s'era rifugiato il figlio dello sciah Muhammadh, il valoroso Gelal ad-Din, Gengis si diresse con Giagatai e Ogodei verso quella città, attaccò la guarnigione agfana di Bamyan, il centro più fiorente e produttivo della regione.

Gli assedianti uccisero il nipote prediletto di Gengis, Mutugen figlio di Giagatai; gli furono tributati funerali sontuosi, poi i mongoli assalirono con furore la città, Gengis non volle fare bottino, ma ordinò di distruggere tutto quello ch'era vivo: uomini, animali, uccelli anche gli insetti e tutta la vegetazione.
Parte dell'esercito marciò verso Kabul per scontrarsi con Gelal ad-Din, lo scontro fu terribile i mongoli furono sconfitti, questa di Perwan (a nord di Kabul) fu la sola grande sconfitta di Gengis che gli annali mongoli ricordino.

 

QUANDO GENGIS KHAN DISTRUSSE 
LA CIVILTA' PERSIANA
 


Gengis Khan era calato in Corasmia con poco più di duecentomila uomini, e non si era trovato davanti un esercito superiore per numero e mezzi; lo sciah persiano aveva commesso l'errore di dividere le sue truppe lungo la frontiera indebolendosi; inoltre la rapidità dei cavalieri mongoli, i minuziosi e precisi preparativi di Gengis avevano compiuto il resto.
Ora gran parte della terra fertile di Persia era devastata, i canali d'irrigazione gioiello dell'ingegneria musulmana erano stati colmati di macerie o rotti, ove un tempo orti e giardini attorniavano le città prospere e attive, il puzzo degli incendi e dei cadaveri ammorbava l'aria.
Fra le rovine di molte città non si vedeva né un cane né un topo, messi a morte anch'essi.
I mongoli avevano anche un interesse "amministrativo" a far tornare la terra alla "dignità della steppa" perchè cosi potevano amministrarla con un numero minore di forze.

Per conquistare una città, i mongoli catturavano prigionieri nei dintorni e vestiteli con abiti mongoli li facevano salire a cavallo (ogni soldato era sceso in Persia con cinque cavalli), e si presentavano sotto le mura spingendo in prima fila i prigionieri per farsene scudo, contro i colpi nemici o per riempire i fossati.
La loro tattica abituale fu l'uccisione in massa per decollazione di tutti i prigionieri, condotta con metodicità organizzata. L'esecuzione della popolazione di Merv richiese una settimana, e il terrore era tale che quanti avrebbero potuto fuggire non tentarono neppure.
Fu così che nell'Iran e nell'Afghanistan, Gengis uccise la terra e decimò le genti, avversò l'Islam perché obbligava all'abluzione rituale, mentre i mongoli non si lavavano mai, nè lavavano i propri indumenti in acqua corrente, e consideravano debole e indegno fare il bagno.

Così s'arrestò in Asia il progresso islamico

Nell'estate del 1222 Gengis mandò messaggeri veloci, per scoprire un passaggio attraverso il Pamir e il Tibet, sconsigliato di seguire questa strada si apprestò a trascorrere l'inverno a Samarcanda.
Nella primavera del 1223 richiamò a se Giagatai e Ogodei che si apprestavano a nuove battaglie, e riprese la via del ritorno, giunto ai confini della sua terra natale, l'attendevano i principi Qubilai e Hulagu figli del suo figlio minore Tului, il primo avrebbe ampliato le conquiste a levante, il secondo quelle a occidente.
Si racconta che dopo la terrificante carneficina di Merv, Gengis avrebbe chiesto ad un saggio musulmano: "Credi che questo fiume di sangue scorrerà eterno nella memoria degli uomini" il saggio rispose "se continui così nessun persiano rimarrà vivo per ricordarlo".

I suoi generali conquistano l'occidente. 

Gebe e Subotai dopo la morte dello sciah, avevano proseguito verso occidente devastando le terre dell'Azerbaigian e del Kurdistan, si scontrarono nel febbraio del 1221 con l'esercito crociato di Georgia, già pronto per partire alla conquista di Gerusalemme al comando di Giorgio III Lacha, era il fior fiore della cavalleria georgiana. Fu attirata in un imboscata e distrutta.
Passarono per la Georgia distruggendo un altro esercito, valicarono il Caucaso al passo di Derbent, e si scontrarono poi nella valle del Terek con un esercito poderoso: infatti, gli Alani, i Lezghieni, i Circassi e i Cumani si erano uniti per arginare l'avanzata mongola.
I mongoli con ricchi doni e ricche promesse s'allearono i Cumani, che d'altra parte erano turchi Qipciap, cioè simili a loro, attaccarono le altre nazioni e ne fecero strage, poi si rivolsero contro i Cumani e li sterminarono riprendendosi i doni fatti.
Parte delle famiglie cumane superstiti fuggirono in Grecia, e chiesero asilo all'imperatore bizantino che le stabilì in Tracia e nell'Asia Minore, e parte valicò il Prut e si stabilì in Ungheria.

Arrivarono in aiuto i principi russi di Kiev, di Cernigov e di Smolensk, lungo il fiume Dnepr nella piana di Koristka; le forze russe si prepararono alla battaglia, ottantamila uomini freschi e armati contro ventimila mongoli, questi ultimi finsero una scaramuccia e si ritirarono fino ad un ansa del fiume Kalka, attaccarono l'una dopo l'altra le armate dei principi russi, scannandone circa il novanta per cento, era il 31 maggio 1223.
Saccheggiarono quindi gli empori genovesi di Sudak nella Crimea, abbeverarono i loro cavalli nelle acque del Volga presso l'odierna Volgograd, batterono i bulgari della Kama, i turchi Qangli degli Urali, riprendendo il cammino del ritorno solo per essere presenti al "Kurultai" che Gengis Khan stava indicendo.
Quest'orda aveva seminato morte, distruzione e terrore lungo un percorso di circa seimila chilometri.
Il Khanato dell'Orda d'Oro si estendeva dall'attuale Usbekistan, all'odierna frontiera tra Ucraina e Moldavia, non comprendendo i territori della Russia centro-settentrionale, ma per oltre due secoli i principi Russi dovettero riconoscersi vassalli dei mongoli.

Nel 1505 Ivan III Zar di Mosca, vendicando tutti i popoli sottomessi, li cancellò dalla storia.

Grazie alla loro posizione l'Orda d'Oro, dominava e controllava le principali vie di comunicazione tra l'Europa e l'Oriente, per questo motivo le città costiere della Crimea acquisirono nel XIII secolo, grande importanza come centri di scambio, i genovesi prima e i veneziani poi vi organizzarono depositi e empori.
Le loro navi facevano ininterrottamente rotta dalle due repubbliche marinare a quei lontani porti, dove le merci europee erano scambiate con quelle provenienti dalla Cina, Persia e India.

Gengis tornato dalle campagne d'occidente si riposò per pochi mesi sulle riva della Tula; a quelle campagne avevano partecipato tutti i suoi vassalli tranne i Tanguiti del regno di Si Hsia, il loro re aveva voluto dimostrare la sua indipendenza, negando a Gengis il contingente di truppe dovuto.
Nell'autunno del 1226 Gengis parti con centottantamila uomini, una dopo l'altra le città Si Hsia caddero e la popolazione cercò invano scampo sui morti, e nelle grotte.
Durante l'assedio della capitale nemica Ning-hsia Gengis ammalatosi e sentendo vicina la sua morte dettò le ultime volontà.

Predispose le campagne contro la Cina del sud, scelse il proprio successore Ogodei, e nel quindicesimo giorno, del secondo mese dell'anno del maiale (18 agosto 1227) morì.

Per suo ordine la sua morte fu tenuta segreta, sino alla capitolazione di Ning-hsia i cui abitanti furono tutti trucidati.
La salma di Gengis Khan deposta su di un carro, fu trasportata sino alle pendici del Burkan Kaldun, e lungo la strada la sua guardia fedele uccideva quanti incontrava, uomini e animali perché andassero a servire l'Imperatore nell'altro mondo.
La sua tomba, dopo quasi novecento anni è avvolta ancora nel mistero.

I mongoli, scriveva Ivo di Norbona (XIII secolo) al vescovo di Bordeaux: "sono uomini inumani, la cui legge è essere senza legge, sono ira e strumento del castigo divini, devastano terre enormi, muovendosi come fiere e sterminando con il ferro e il fuoco tutto ciò che si trovano davanti, sono gli alleati dell'anticristo".
Il severo giudizio del sacerdote francese era giustificato dai terribili racconti fatti dai profughi ungheresi scampati alla furia mongola. I mongoli dopo aver sconfitto i nemici, non permettevano ai superstiti di fuggire, rapidi come avvoltoi inseguivano e uccidevano tutti quelli su cui riuscivano a mettere le mani.
Eliminati i soldati nemici, si dedicavano al saccheggio delle città e all'uccisione sistematica della popolazione civile; ultimate le operazioni preliminari entravano in azione le "squadre di carnefici", che armate di scuri a doppio taglio, uccidevano senza pietà tutti i prigionieri.

I Successori

A Giutsci primogenito di Gengis Khan, toccava il dominio d'occidente, ma morendo prima del padre, il suo successore fu suo figlio Batu che nel 1238 seguì le orme di Gebe e di Subotai, devastando prima le steppe a nord del mar Nero espugnando Kiev e razziando la Rutenia.
Diviso l'esercito, ne mandò una parte contro Boleslao re di Polonia sconfitto il 18 marzo 1241 a Chmielnick. L'altra parte annientò i tedeschi, polacchi e cavalieri teutonici agli ordini di Enrico il Pio di Slesia a Wahlstatt presso Liegnitz il 9 aprile 1241.

Affrontarono poi il massiccio esercito di Venceslao re di Boemia che cadde sul campo; sconfissero ancora una coalizione di magiari, croati, tedeschi, e templari francesi comandati dal re Bela, giungendo poi presso Vienna nel luglio del 1241.

Nell'inverno dello stesso anno, Batu traversò il Danubio ghiacciato e prese Graz, mentre i suoi generali giungevano all'Adriatico, devastando Cattaro e Spalato e puntando su Udine.
La morte di Ogodei in Mongolia e la convocazione del "Kurultai" (riunioni dei maggiorenti), il 4 gennaio 1242 richiamò Batu in Mongolia e salvò l'Europa da morte e distruzioni.
Hulagu nipote di Gengis Khan, dopo aver conquistato la Persia nel 1251, vi fondò il regno degli Ilkhan, pose fine alle scorrerie degli "assassini" l'invincibile setta ismailita. Partito dalla sua capitale Tebriz assalì le loro fortezze, (veri nidi d'aquile), espugnandole tutte.

Il gran maestro degli "assassini" Rokn ad-Din Kursciat, carico di catene, morì sulla via per la Mongolia, poi il Khan fervente buddista, attaccò il califfo di Baghdad, capo spirituale di tutti i musulmani, e nel novembre del 1257 entrò in Baghdad senza colpo ferire poiché il califfo non aveva eserciti; il 10 novembre iniziò la carneficina della cittadinanza che durò tre giorni interi, durante i quali si calcola fossero uccisi circa novantamila musulmani, quindi la città fu saccheggiata per diciassette giorni e infine incendiata, solo i cristiani per richiesta della moglie del Khan, furono risparmiati.

Hulagu si alleò poi con re Hethum I d'Armenia e con Boemondo VI d'Antiochia per combattere gli Ayyubidi della Siria; caddero Aleppo e Damasco nel febbraio del 1260, i cristiani di Siria salutarono allora il Khan e sua moglie come "il nuovo Costantino e la sua Elena".
I mongoli erano in marcia verso l'Egitto, quando la notizia della morte di Mangu Khan avvenuta 11 agosto del 1259, causò notevoli conflitti nell'impero mongolo, suo fratello Kublai che rappresentava i mongoli moderni e cinesizzati, si trovò a dover affrontare i mongoli tradizionalisti, capeggiati dal fratello minore Arik-Boke.
Separatamente i due fratelli convocarono grandi raduni di capi, Kublai a Shang-tu nel maggio del 1260, Arik-Boke due settimane dopo a KaraKorum, entrambi furono eletti Khan (capi supremi).

Kublai richiamò Hulagu in Oriente, e l'Egitto fu salvo.

Insieme attaccarono il fratello e occuparono Karakorum, che si arrese nel 1264 dopo essere stato sconfitto da Kublai Khan.
I Mamelucchi d'Egitto, ebbero il tempo di prepararsi e nel 1260 ricacciarono i mongoli dalla Palestina e dalla Siria.
Dalla cronaca di Rascid ad-Din si riporta il racconto della distruzione di Bagdad e della fine del califfato abbasside:

Dopo la distruzione del quartiere di Basrah, domenica 4° giorno del mese di safar, dell'anno dell'Egira (636) il califfo e la sua corte si presentarono dinanzi ad Hulagu, il quale con dolcezza e benevolenza gli ordinò di far uscire gli abitanti della città per un censimento, la popolazione fiduciosa venne a gruppi a consegnarsi ai mongoli, i quali li massacravano immediatamente.
Il mercoledì 7° giorno del mese di safar, Baghdad fu interamente abbandonata all'eccidio e al saccheggio.
Venerdì 9° giorno dello stesso mese Hulagu Khan entrò in città per visitare il palazzo del califfo, fu fatto il censimento di tutte le persone che formavano l'harem del califfo, si contarono settecento mogli o concubine e mille eunuchi.
Mercoledì 14° del mese di safar, per sottrarsi all'infezione che appestava l'aria, Hulagu lasciò Baghdad e andò nei villaggi di Wafk e Gelabieh, dove il califfo fu messo a morte, (avvolto in un tappeto fu calpestato dalla cavalleria mongola) insieme con il figlio primogenito, e cinque eunuchi che non l'avevano abbandonato.

Così ebbe termine il regno dei califfi Abbasidi succeduti agli Ommiadi, e che occuparono il trono per 525 anni

Tamerlano (IL SOVRANO TURCO)

Nell'aprile del 1336 nasceva a Kech, vicino Samarcanda, Timur (Timur lo zoppo) cioè TAMERLANO, colui che avrebbe rinnovato le gesta di Gengis Khan, non era mongolo ma turco, del clan Barbas di cui era un piccolo capo, proclamandosi discendente diretto del grande mongolo; era musulmano conservatore, non aveva la pazienza di pensare all'amministrazione civile come fece Gengis Khan.
Tamerlano ereditò le strategie militari e la tecnica di manipolazione degli avversari proprie dei mongoli, e proprio queste caratteristiche rendevano i Turchi un popolo preparato, esperto e addestrato per le future spietate conquiste.

Le sue guerre sono state barbare come quelle mongole, e iniziarono quando aveva venticinque anni e la carica di Visir dell'Orda Bianca (canato di Chagatai),; guidò i suoi uomini alla conquista della Transoxiana e del Turkestan (regione dell'Asia centrale tra il mar Caspio e il deserto dei Gobi).
Nel 1369 Tamerlano era il capo riconosciuto di tutte le tribù turche, al suo comando l'Islam riconquistò la supremazia militare e concluse la guerra in Transoxania, in un bagno di sangue.
Tra il 1375 e il 1380 ebbe il dominio del canato dell'Orda Bianca, occupando tre quarti del suo territorio, quindi si dedicò alla conquista della Persia, raggiungendo l'Eufrate nel 1387.
Nel 1392 le sue truppe attraversarono l'Eufrate e portarono morte e distruzione in Georgia, Azerbaijgian e gli stati russi meridionali.

Come i mongoli, le sue truppe avanzarono verso il Mediterraneo e conquistarono: Baghdad, Damasco, Aleppo, sconfisse Bayazid I sultano ottomano e conquistatore dell'Asia Minore nel 1402.
All'età di 66 anni Tamerlano fece ritorno a Samarcanda, programmò con cura l'invasione della Cina, ma morì durante il viaggio il 19 gennaio 1405.
La sua dinastia detta dei (Timuridi) durò per un secolo.

I suoi successori combatterono e lottarono sino alla loro distruzione nel 1507, per opera degli Uzbechi comandati da Sciaibani Khan.
Un successore di Tamerlano, Baber (leone) discendente di quinto grado per parte di padre da Tamerlano, e di quattordicesimo grado per parte di madre da Gengis Khan, fu re di Fergana all'età di 14 anni, ma il trono gli fu usurpato dai parenti.
Nel 1524 il governatore del Punjab, implorò il suo aiuto per governare Kabul e difendersi dal fratello sultano di Delhi, Ibrahim Lodi;  Baber riunì i suoi alleati afgani e sconfisse un'armata indiana nei pressi di Lahore.
Baber poi proseguì con 25.000 uomini verso la conquista dell'India; si scontrò con l'esercito di Ibrahim Lodi forte di 40.000 uomini a Panipat il 21 aprile 1526.

L'esercitò di Ibrahim attaccò, ma fu bloccato dalla linea difensiva di Babel: 700 carri legati assieme come un anello, l'esercito di Babel (il primo fuori dall'impero Ottomano dotato di fucili) sferrò il suo attacco, sbaragliando e mettendo in fuga il nemico, catturato lo stesso Ibrahim, fu ucciso.

Babel mandò in avanscoperta il figlio Humayun ad assediare il tesoro di Agra e giunse a Delhi il 25 aprile 1526, fece leggere la "Khutba" a proprio nome nella moschea e divenne imperatore Moghul (Gran Mogol) dell'Industan (la piana del Gange in India settentrionale).
Nel 1528 conquistò Gwalior e nel 1529 ciò che rimaneva della dinastia Lodi e dei suoi alleati afgani.

Baber morì nel 1530 e fu sepolto nel suo giardino preferito a Kabul.
I suoi discendenti ebbero il compito di conquistare il resto dell'India.
Tre secoli dopo, nel dicembre del 1858 l'ultimo gran Mogol, Mahadur sciah consegnò l'impero delle indie alla corona britannica

I mongoli, l'organizzazione sociale

Le classi dei servi e dei nobili rimasero abbastanza stabili, mentre quella degli uomini liberi (nokud e arat) subì con Gengis Khan una profonda trasformazione, diventando sempre più asservita all'aristocrazia.
Tale cambiamento, si era già delineato nel XI secolo, quando i principi mongoli presero l'abitudine di cedere ai propri vassalli (nokes amici) insieme alle terre da pascolo, anche le famiglie contadine che le rendevano produttive.
Gengis Khan, proibendo agli (arat) sotto pena di morte, di trasferirsi da un noyan all'altro, abolì praticamente la classe dei liberi e consegnò agli aristocratici le leve del potere economico.

In tal modo i nobili, un tempo custodi della ricchezza pubblica (gli armenti erano di proprietà comune di tutto il clan tribale), divennero dei grandi proprietari terrieri, dominatori assoluti d'una economia primitiva, in cui il bestiame era l'unica vera fonte di reddito, e servì per lungo tempo da moneta legale.

L'economia mongola, grazie agli intensi traffici dei mercanti cinesi e musulmani, si sviluppò verso forme più evolute, si giunse all'adozione come mezzo di scambio, di carta moneta, garantita nel suo valore reale dal tesoro del Gran khan.
La carta impiegata era prodotta, trattando gli strati più interni della corteccia del gelso, le banconote erano nere e portavano come prova della loro autenticità, il sigillo dell'imperatore.
Se una banconota si rovinava, il possessore poteva cambiarla presso la zecca imperiale, pagando per il servizio il tre per cento del suo valore nominale.
Alberghi, mercati, posti di frontiera e strade erano sottoposti ad un particolare controllo, onde evitare l'infiltrazione di elementi sovversivi capaci di turbare la pace e l'ordine pubblico.

La religione

Non sembra che Gengis Khan fosse particolarmente religioso, non attribuì mai le proprie vittorie ad elementi soprannaturali. Diceva di se: " Come vi è un unico sole nel firmamento, e un'unica potenza nel cielo, così io solo devo regnare sulla terra".
Dio poteva esistere ma non doveva interferire nei suoi piani di conquista.
I sudditi, invece oltre a venerare le forze celesti, tributavano un culto speciale ai propri defunti, ai quattro elementi naturali, aria, terra, acqua, fuoco, al sole e alla luna. Un saluto rituale e caratteristico imponeva il saluto ai punti cardinali.
Custodi e sacerdoti di questo naturalismo religioso erano i "Beki" o come oggi si definirebbero (sciamani), questi aiutati da narcotici e dal ritmo dei tamburi, durante le cerimonie sacre cadevano in "trance", e in questo stato comunicavano ai presenti le sensazioni provate prima di perdere completamente i sensi.

La religione professata dai mongoli prevedeva riti e forme di culto curiosi e superstiziosi: il sacro rispetto per l'acqua era tale da vietarne praticamente l'uso, salvo soddisfare la sete.
L'unico mezzo consentito ed usato per fare il bagno, era quello di raccogliere l'acqua con la bocca e quindi spruzzarsela addosso.
Nella casa di ogni principe, un focolare sacro era custodito in continuazione da un apposito funzionario, in segno di rispetto al fuoco, era proibito vibrare colpi di scure vicino alla fiamma, spingervi dentro il combustibile con i piedi, mescolare la cenere con l'immondizia.
La religiosità delle tribù mongole, si completava con il culto dei morti, considerati come (dèi) domestici, protettori di ciascuna famiglia.

Sulle tombe si pregava, e si offrivano numerose offerte: pupazzi in feltro rivestiti di stoffe preziose, raffiguranti defunti segnalatisi in vita per la loro bontà o per la loro malvagità, ad essi offrivano cibo per ricevere in cambio, protezione o quanto meno non avere nessun danno.
Quando avviene un decesso, lo piangono urlando con veemenza, e non pagano più tasse per un anno, se qualcuno assiste alla morte di un adulto, per un anno non potrà entrare nella dimora del sovrano. Se il morto è un fanciullo, non potrà entrarvi sino alla fine della lunazione.
Quando un grande è malato, si mettono guardiani tutt'intorno alla sua dimora, i quali non consentono a nessuno di passare oltre. Temono, infatti, che un cattivo spirito o il vento maligno, penetri con i visitatori.

Attribuivano molta importanza ai sogni.

La morte per i mongoli, era come un viaggio, l'ultimo della loro vita di eterni viandanti, e come annota Giovanni da Pian del Carpine, anche per questa partenza preparavano tutto con scrupolo e precisione:
Dinanzi al morto si dispone la mensa con un vaso di carne e una coppa di latte di giumenta, con lui vengono sepolte una giumenta con un puledro, e un cavallo bardato con la sella e il freno, mentre un altro è macellato e mangiato.
Riempiono un cesto con strame e lo pongono in alto, perché il defunto abbia nell'altro mondo una casa dove abitare e una giumenta che gli fornisca del latte e metta al mondo altri cavalli, sui quali poter cavalcare.
Con il morto seppelliscono anche oro e argento, ed il carro sul quale egli é condotto è infranto, e nessuno osi più pronunciare il suo nome fino alla terza generazione.
La tomba è poi ricoperta con zolle, così che non sia più possibile ritrovarne la posizione.

Le dimore delle tribù mongole si muovevano

I sudditi di Gengis Khan nomadi, abitavano in grandi tende (Yurte) montate stabilmente su carri, un'anticipazione delle moderne (roulotte). La tenda era in feltro, generalmente bianca o spalmata di terra chiara o di polvere d'ossa, perchè risplendesse maggiormente al sole.
Un'intelaiatura di bastoncini intrecciati, convergenti verso l'alto, le conferiva la forma di cono, la sommità accoglieva decorazioni di vario tipo e davanti alla (porta) pendeva un drappo dipinto con: vigne, alberi, uccelli o altri animali. All'interno una mobilia molto semplice, letti con materassi imbottiti di lana grezza e grandi pellicce per coperte, pochi sedili, ma molte casse di vimini ove riporre le armi, gli abiti e le suppellettili.
Su questi guardaroba si sbizzarrivano con decorazioni brillanti e vivaci sul feltro usato come fodera e reso impermeabile da uno strato di sego, o da un trattamento a base di latte di pecora.

Oltre agli enormi carri tenda, possedevano altri veicoli da trasporto trainati da cammelli e muniti di alte ruote, in modo di poter guadare i fiumi senza danno per il carico.
Durante le soste notturne, il carro tenda era girato con la porta verso sud e tutt'attorno si disponevano i veicoli da trasporto (diventando un frangivento e mura di cinta per un castello di feltro).
Quando fermavano le tende, la prima moglie poneva la propria dalla parte ovest, e le altre le ponevano di seguito secondo il loro rango, in modo che l'ultima aveva la sua ad est, mentre la distanza di una dimora all'altra era di un lancio di una pietra.

I mongoli erano poligami, ma questo fatto non si risolveva in forme di vita umilianti per le donne, come la segregazione o l'harem; la prima moglie, il cui rango era considerato superiore a quello delle altre, questa distinzione non aveva grandi conseguenze pratiche, tanto è vero che non esistevano differenze tra i vari figli, fossero delle altre mogli o delle concubine.
Ognuna di queste donne aveva una sua tenda, dove viveva con la famiglia e un proprio patrimonio costituito da più carri e da diversi servitori.
I matrimoni erano combinati dagli anziani delle due famiglie; quando si erano accordate, il padre della ragazza offriva un gran banchetto, mentre la promessa sposa correva a rifugiarsi presso dei parenti; lo sposo aiutato da alcuni amici, doveva scovarla e il rapimento che ne seguiva era, di fatto, la cerimonia nuziale.

Il cibo, conoscevano il latte in polvere

Assenti: pane, olio e legumi, i mongoli quando potevano mangiavano carne, tagliata a pezzettini e condita con acqua e sale, oppure essiccata al sole, carne di ghiro, lepre, volpe, gatto selvatico ed altra cacciagione, non dispiaceva neppure il topo, con le interiora degli animali domestici si preparavano salcicce.
Se la carne scarseggiava, non mancava il latte di cui i mongoli erano grandi consumatori, e sapevano trattarlo in mille modi, ottenendo diversi prodotti; dal latte di mucca, di cammella o di cavalla, ricavavano un ottimo burro che conservavano in pelli di montone, ed era un elemento basilare durante il rigido inverno.
Ciò che restava del latte dopo la lavorazione del burro, lo lasciavano inacidire, bollire e cagliare. Quando era cagliato lo facevano seccare al sole, in modo che diventasse duro, infine lo chiudevano in sacchi per l'inverno.

Durante l'inverno, quando il latte non era più sufficiente, mettevano in un otre quel (burro) coagulato che chiamavano (griut), vi versavano sopra dell'acqua calda e lo sbattevano fortemente, finchè diventava liquido e perso tutta la sua acidità,  poi lo consumavano.

Il piatto tipico, onnipresente sulle loro tavole era il (kumyss o cosmo) unico ingrediente: latte di cavalla appena munto, versato in un otre e quindi sbattuto con un grosso legno, così trattato cominciava a bollire e ad inacidirsi (fermentare), e continuavano a sbatterlo fino a ricavarne burro, lo assaggiavano e quando era un poco piccante lo consumavano.
A tavola non usavano tovaglie né tovaglioli, e quando mangiavano se si sporcavano le mani, se le pulivano sui propri gambali o con dell'erba. Durante i banchetti mentre passava il vassoio con la carne, chi non voleva consumarla subito, la riponeva in una borsa apposita, non era maleducazione portarsi a casa anche le ossa, che non erano gettate ai cani prima d'averle svuotate anche del midollo.

I mongoli producevano in proprio una bevanda, ottenuta dalla combinazione del riso con il frumento, il miglio e il miele fermentato, mentre il vino e la birra ed altri alcolici li ricevevano dalle nazioni conquistate o vassalle; lo bevevano in corna di montone che lo svuotavano e si ubriacavano allegramente ritenendo un tale stato "assai onorevole".


Mario Veronesi


Bibliografia
I grandi della storia (Gengis Khan) Enzo Orlandi, Ed. Mondadori 
Dizionario delle Guerre - Di George C. Kohn
Grande Storia Universale, Curcio
Storia del Mondo Antico, Cambridge, ed. Garzanti

 

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