-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

74. LO STATO COSTITUZIONALE - IL MEIJI

 

L'ostinazione a rimanere isolati, con la fine della dinastia dei Tokugawa, che ne erano responsabili e che per due secoli si erano cullati nella falsa illusione che l'impero insulare, recintato dalle onde del mare, potesse tranquillamente continuare a sonnecchiare senza curarsi dell'intero mondo che lo attorniava, ebbe termine.

Inizia il nuovo "nengo" pieno di promesse, il « Meiji» ossia «governo illuminato», che apre nel 1868 il memorabile sviluppo dello Stato costituzionale del moderno Giappone, la cui forma politica con l'abolizione dell'intero vecchio sistema feudale dello sciogunato, trasforma e muta i vecchio impero in uno Stato burocratico, accentrato, con a capo un monarca.

Anche i 271 daimyo liberamente rinunciarono a favore del potere centrale imperiale alle loro prerogative sovrane in cambio di una indennità.
Il giovane imperatore esce del tutto dal suo tradizionale e sacro isolamento, sotto l'influenza sperimentata dei suoi devoti e intelligenti consiglieri, fra i quali spiccano grandemente i due «kughc» dell'antica nobiltà di Corte Sangio (1849-1891) e Iwakura (1825- 1883), e tra i daimyo quelli di Tosa, di Satsuma e di Ecizen oltre ad alcuni benemeriti samurai di questi « clan » e di Cioshu.

La sede del sovrano e del suo governo è trasferita a Yedo (1869), che riceverà poi il nome di Tokyo, cioè «capitale orientale».
In ogni campo si fa di tutto per riparare alle negligenze derivate dall'essersi trovati in ritardo negli ultimi due secoli e per guadagnare in fretta il desiderato vantaggio, che avevano allora le potenze occidentali.
Già nell'anno 1873 avviene l'introduzione del calendario gregoriano, l'abolizione degli editti contro il Cristianesimo e passo a passo, con rapidità addirittura straordinaria, guadagnano terreno molte altre organizzazioni e industrie create in breve tempo dall'apporto tecnologico dell'Occidente, come strade ferrate (già nel 1872 quella Tokyo-Yokohama), telegrafi, giornali, macchine utensili ecc.



In luogo della classe militare, aperta fino allora soltanto ai samurai, si adotta il servizio militare universale e si trasforma l'ordinamento dell'esercito e quello scolastico secondo i modelli classici moderni.
Agli uffici superiori di governo, che risalivano indietro di un millennio, all'epoca delle leggi Taikua, si sostituisce nel 1885 un gabinetto di nove ministeri specializzati, sotto la presidenza di Hirobuni Ito, nato nel 1841 e proveniente dal numero di quei samurai, che avevano partecipato in modo determinante al rinnovamento politico dopo la caduta dello sciogunato; fu questi Hirobuni Ito lo statista più importante del Giappone moderno.

Inoltre nel 1888 si costituisce un Consiglio di Stato, che eserciterà una vasta influenza in molte occasioni. Le classi sociali subiscono una ripartizione completamente nuova; dai daimyo riuniti alla nobiltà di Corte dei kughe proviene l'aristocrazia dei «kuazoku», ripartita per gradi in cinque classi; le 400.000 famiglie dei samurai, spogliate del loro privilegio di portare due spade, e non più escluse dalle professioni, che permettono un guadagno, rappresentano la classe media istruita e capace e sono comprese sotto il nome di «scizoku» ; mentre la grande massa dei cittadini, prima divisi in contadini, artigiani e mercanti sono tutti parificati sotto il nome di «heimin».

Naturalmente tutte queste trasformazioni e parecchie altre ancora, che modificavano profondamente tutte le consuete relazioni sociali, non sempre poterono compiersi del tutto senza contrasto. Oltre alcune resistenze insignificanti, vi fu una sollevazione pericolosissima; fra tutte, quella del «clan» di Satsuma, da sempre particolarmente ostile agli stranieri (1877), guidata dal benemerito maresciallo Takamori Saigo (1827-1877), che aveva comandato vittoriosamente gli imperiali nella guerra contro lo sciogunato e che trovò in questa sollevazione la morte tanto desiderata.

Non mancano certo anche in seguito episodi molto pericolosi, come l'uccisione dello statista Okubo (1830-1878), uno dei più attivi, intelligenti e fortunati tra i samurai che si adoperavano a compiere il rinnovamento della loro patria.
Tuttavia, nonostante grandi inconvenienti finanziari temporanei, il governo che sapeva quello che voleva ed era sostenuto dai sacrifici del popolo a lui devoto, riuscì a condurre il paese sempre più avanti e ad accrescere in modo sorprendente le sue forze quasi in ogni campo, mettendo a profitto i progressi dell'Occidente in alcuni settori industriali, in quanto sembravano in qualche modo proprio adatti al Giappone, un Paese piuttosto carente di materie prime. (una scelta che ripeterà con grande successo poco prima degli anni 2000, dedicandosi prima di ogni altro a quel grande mercato mondiale che è l'elettronica, le telecomunicazioni, l'ottica, la telefonia ecc. in una parola alla "miniaturizzazione").

Un altro passo più importante nella via, che condusse allo Stato costituzionale, è nel 1889 la proclamazione di una costituzione, che per lo più si basava sul modello di quella della Prussia e che concedeva allo Stato giapponese una forma di monarchia costituzionale; ad essa seguì nell'anno seguente l'apertura del primo parlamento.

Nei primi decenni del periodo Meiji, così ricco di progressi, gli sconvolgimenti interni, piuttosto estenuanti, avevano per lo più paralizzato l'attività del Giappone verso l'esterno.
Tuttavia ancora nel 1874 aveva allestito una vittoriosa spedizione punitrice contro Formosa, i cui indigeni, non tenuti a freno dalla Cina, avevano fatto crudelmente soffrire dei naufraghi stranieri e con questi anche naufraghi giapponesi.
Era poi stata ottenuta la piena sovranità sulle isole Ryukyu, già sottomesse nel 1609 dal daimyo di Satsuma e rimaste in seguito tributarie non solo del Giappone ma anche della Cina (1879).

Cinonostante il Giappone aveva dovuto rinunciare (1875) alla sua parte di Sachalin a favore della Russia, in cambio del possesso esclusivo delle sterili Curili, che non costituivano proprio per nulla un'indennità adeguata. Quando poi per lo scoppio di ostiltà nella vicina penisola della Corea, dove già da secoli (come abbiamo visto negli altri capitoli) l'influenza cinese e quella giapponese, su quel terreno, stavano con tante ostilità di fronte l'una all'altra, il Giappone si trovò coinvolto in una guerra inaspettata con la Cina (1894-95), gli eserciti del Giappone con armi moderne, con una buona disciplina e con un brillante contegno respinsero, in una serie non interrotta di vittorie per terra e per mare, le forze della Cina incapaci a resistere; occuparono Kinciow e la fortezza di Porto Arturo e conquistarono Cifù nella provincia dello Sciantung.

Nella pace di Scimonoseki del 17 aprile 1895 la Cina dovette riconoscere l'indipendenza della Corea, già suo Stato vassallo, cedere al Giappone l'isola di Formosa con le Pescadores ed anche sul continenente la penisola di Liaotung fino al 40° grado di latitudine e pagare un'indennità di guerra di 200 milioni di tael.
Però al Giappone fu inaspettatamente strappata una parte del frutto della sua vittoria in seguito all'intervento diplomatico pacifico delle tre grandi potenze, Russia, Germania e Francia, a favore del principio stabilito da queste dell'integrità della Cina continentale.
In cambio di un'indennità di altri 30 milioni di tael, il Giappone dovette rinunziare al Liaotung con Porto Arturo, però con grande ed intima rabbia, che ebbe pochi anni dopo gravi conseguenze, contro quelle tre potenze continentali, alle quali il solo Giappone non si sentiva naturalmente in grado di opporre una seria resistenza.

Tuttavia con una forte determinazione l'impero insulare, consapevole dei suoi fini, preparò l'esercito e la flotta per la guerra imminente. Con l'aiuto dell'indennità di guerra cinese, giunta in utile soccorso, il Giappone riuscì finalmente assestare efficacemente la stringente situazione delle sue finanze ed anche condurre a termine (1897) l'adozione della valuta aurea, misura che favorì non di poco il credito dello Stato all'estero.
Inoltre dopo decenni d'inutili sforzi gli riuscì di ottenere un gran successo diplomatico, una revisione ad esso favorevole dei vecchi trattati oppressivi con le potenze estere, nella quale fu abolito il diritto di extraterritorialità degli stranieri, inteso questo in Giappone (quel muoversi da padroni nei loro mari!!) come un insulto alla loro nazione.

Finalmente il Giappone, anche se prima ed unica fra le potenze asiatiche non cristiane, si vide con orgoglio riconosciuto quale membro con uguali diritti nelle relazioni internazionali. Era questa la chiave di volta di un edificio grandioso, sorto - per molti - in modo sorprendente, e che ha un esteso riscontro in altri capitoli di quest'opera ("Ingresso dell'Asia orientale e dell'America del Nord nella politica mondiale").

Le fatali agitazioni in Cina nell'anno 1900, alla cui vittoriosa repressione l'impero insulare ebbe tanta parte insieme alle grandi potenze occidentali, offrirono al Giappone l'occasione di confermare il suo diritto di essere parificato agli altri, anche con l'opera e la disciplina delle sue truppe, che si guadagnarono la riconoscenza generale.
Uscita dalla caotica Cina, sorse poi per il Giappone nella Corea, considerata come suo indispensabile mercato e campo d'influenza, la concorrenza ben più pericolosa del gigantesco impero russo, semi-europeo e semi-asiatico.

Non solo la Russia, ad onta del bel principio dell'integrità continentale della Cina e di tutte le tante precise promesse, col pretesto della protezione dei suoi interessi ferroviari, non sgombrò la Manciuria, occupata nell'occasione delle turbolenze dei «boxer» e minacciò di chiudere al commercio questa preziosa provincia; ma anche nella Corea la Russia andò a insidiare l'influenza giapponese.
Anzi con l'apparenza di una semplice impresa commerciale, cioè della «Compagnia russa per l'industria del legno nel lontano Oriente», fondata da spregiudicati speculatori, con l'aiuto del vice-imperatore Alexeiew e di altri personaggi, per lo sfruttamento delle foreste sul fiume di frontiera Yalu, le truppe russe innalzarono perfino stabilimenti fortificati sulla riva coreana di questo fiume.

A causa di questi eventi, già da lungo tempo nel Giappone aveva preso piede in misura sempre maggiore una disposizione degli animi ostile alla Russia.
Questa tendenza era stimolata da una lega antirussa, della quale erano l'anima sette professori dell'università di Tokyo, accesi d'entusiasmo nazionale, ed una lega patriottica, la «To-a-bun-kuai» (Società per la difesa comune dell'Asia orientale), che mirava ad una unione fraterna della Cina e del Giappone ed aveva per capo l'autorevole statista principe Konoye (1862 1904), presidente della Camera dei Signori.

In contrasto con la pubblica opinione da costoro piuttosto eccitata, il governo giapponese, consapevole della sua grave responsabilità, cercò tuttavia a lungo per mezzo di passi diplomatici a Pietroburgo di raggiungere il suo scopo grazie ad accordi pacifici con la Russia, come dimostrano i 51 numeri dello scambio diplomatico di dispacci da esso pubblicati, che vanno dal 28 luglio 1903 fino al 6 febbraio 1904, giorno in cui fu interrotta ogni relazione.

L'apertura effettiva delle ostilità, come tutto il corso della guerra, considerata già da lungo tempo nel Giappone come inevitabile e quindi preparata a fondo, doveva produrre molta sorpresa in Europa e in America, a causa della loro insufficiente conoscenza delle vere condizioni del Giappone; infatti fino allora gli occidentali si erano occupati molto più della sua arte e dei suoi divertimenti che degli sforzi rivolti al lato serio della vita.

Animati dall'alto pensiero di lottare per l'esistenza stessa della loro nazione, i Giapponesi, avendo saputo assicurarsi fin dall'inizio il vantaggio strategico di assalire, avanzarono continuamente di vittoria in vittoria, nonostante la più vigorosa resistenza, fra tremende battaglie, inaudite fino allora per la durata, per l'estensione del campo della lotta e per il numero dei combattenti.

Degli avvenimenti più rilevanti di questa poderosa lotta fra due popoli, descritta più estesamente in un'altro capitolo di quest'opera ("La lotta per il predominio nell'Asia orientale") ricordiamo qui la morte eroica del valoroso ammiraglio russo Makaroff, saltato in aria con la sua nave di battaglia Petropawlowsk (13 aprile 1904), il passaggio dello Yalu (1° maggio), la battaglia di Nanscian presso Kinciow e la presa di Dalny (fine di maggio), inoltre le battaglie di Liaoyang (dal 23 agosto al 1° settembre), dello Sciaho (10-19 ottobre 1904) e di Mukden (1°-10 marzo 1905), la resa di Porto Arturo, già trasformato in una fortezza marittima quasi inespugnabile (2 gennaio 1905) e la distruzione dell'ultima flotta russa nella memorabile battaglia nello stretto di Tsushima (27-28 maggio 1905), paragonata a quella di Trafalgar.
E vale la pena raccontarla.

Si svolse in quel tratto di mare compreso fra le isole Tsushima e la costa giapponese, all'ingresso meridionale del Mar del Giappone.
Le forze in campo furono per quei tempi notevoli e agguerriti, mai visti prima.
Da parte giapponese: 4 corazzate, 8 incrociatori corazzati, 16 incrociatori, 21 cacciatorpediniere, 57 torpediniere, con 17.000 uomini comandati dall'ammiraglio Togo.
Da parte da parte russa: 11 corazzate, 1 incrociatore corazzato, 10 incrociatori, 9 cacciatorpediniere e varie navi ausiliarie, con 13.500 uomini, comandati dall'ammiraglio Rojestvensky.

La squadra russa, proveniente dal Baltico, dirige su Vladivostok attraverso lo stretto di Tsushima dove l'attende, con la flotta giapponese, l'ammiraglio Togo, che ha intuito il piano avversario.

(Ma da una trafiletto, sul giornale "Il Pungolo" n. 50, viene riportata questa notizia. "A bordo delle navi giapponesi erano installate apparecchiature telegrafiche Marconi. Tramite queste sono stati intercettati i messaggi delle navi russe anch'esse dotate di Marconi-telegrafia; così l'ammiraglio Togo potè conoscere l'esatta ubicazione della flotta, intuire i movimenti, aspettarla al varco").
( Sempre sullo stesso giornale apprendiamo, che "alcuni incrociatori giapponesi sono stati costruiti e forniti dall'Italia").

 

II 27 maggio, prima del mattino, i giapponesi sanno dove sono le navi russe. L'ignaro Rojestvensky manovra e assume la linea di fila per muoversi, poi, nel primo pomeriggio, manovra ancora per prendere la linea di fronte. Ma prima che ciò avvenga, la flotta di Togo è davanti a loro e sorprende i Russi nel disordine del cambiamento di formazione.
Alle 14 circa ha inizio la battaglia: il duello delle opposte artiglierie si fa presto accanito. I cannonieri giapponesi, favoriti da un miglior addestramento e dall'ottimo materiale, risultano subito più precisi ed efficaci; ma anche i russi si battono con grande valore. L'ammiraglia russa, corazzata Suvarov, assai danneggiata abbandona la linea di combattimento; Rojestvensky è gravemente ferito. Successivamente viene trasportato sul cacciatorpediniere Buiny. Quando è ormai sera i russi hanno già perduto 4 corazzate e 3 navi ausiliarie; molte altre navi sono danneggiate, più o meno seriamente. I russi pensano a una sospensione delle attività, invece nella stessa notte la battaglia continua con attacchi delle torpediniere giapponesi: i Russi perdono altre 2 corazzate. La flotta russa si disperde. II mattino dopo la divisione dell'ammiraglio Nebogatov, circondata dall'intera squadra di Togo, si arrende.
Continuano nella giornata del 28 combattimenti isolati. Colpito (e poi affondato) il cacciatorpediniere Buiny, Rojestvensky, in stato di incoscienza, viene trasbordato sul cacciatorpediniere Biedovy. Questo, all'insaputa dell'ammiraglio, si arrende ai Giapponesi nel tardo pomeriggio. Delle navi russe sfuggite all'affondamento o alla cattura, 2 finiscono sulla costa, 7 riparano in porti neutrali e solo 3 raggiungono Vladivostok.
Perdite: da parte russa 7 corazzate affondate, 4 catturate; 4 incrociatori affondati; 5 cacciatorpediniere affondati, 1 catturato; 4 navi ausiliarie affondate; 2 navi ospedale catturate, 4.830 caduti, 5.917 prigionieri (fra i quali gli ammiragli Rojestvensky e Nebogatov).
Da parte giapponese i danni furono 3 torpediniere affondate, 8 fra cacciatorpediniere e torpediniere seriamente danneggiati, altre navi danneggiate, 117 caduti e 583 feriti.
- Conseguenze: l
a battaglia fu decisiva per la guerra. I russi dopo la disfatta, sono costretti a mettere fine alle ostilità. Per la cronaca l'ammiraglio Nebogatov, fu mandato sotto processo per essersi arreso, e dal consiglio di guerra condannato a morte (anche se poi fu graziato).

Una vittoria questa dei Giapponesi di gran misura, che scosse l'Europa e tutto il mondo occidentale. Mai una potenza orientale aveva vinto una potenza occidentale, e questa non era un piccolo Stato ma la grande Russia degli Zar!

Le trattative di pace incominciate in seguito alla proposta del Presidente Roosevelt, accettata dai due avversari, condussero al trattato di pace di Portsmouth del 30 agosto 1905.
Contro ogni aspettativa il vincitore dovette però rinunciare all'elevata indennità di guerra a cui sicuramente sperava, un disinganno accolto non senza agitazioni in Giappone, la popolazione del quale aveva per la guerra volontariamente offerto tante vite umane. Tuttavia quanto ai risultati, il Giappone conseguì i fini più essenziali, per i quali aveva impugnato le armi.

La Russia si ritrasse dalla Manciuria; i suoi diritti di affitto sulla penisola di Liaotung con Porto Arturo passarono in possesso del Giappone con l'annesso tronco ferroviario, importante non solo sotto l'aspetto strategico ma anche sotto quello commerciale. La Russia cedette inoltre al Giappone la parte di Sachalin, situata a mezzogiorno del 50° di latitudine e riconobbe in Corea il predominio del Giappone.
A questo si aggiunse ancora che alla Russia, privata quasi interamente della sua flotta e turbata al suo interno da pericolose sollevazioni e guerre civili (in seguito poi sfociate nella Rivoluzione Russa) e inoltre senza porti (quasi tuti a nord) liberi dai ghiacci, fu impedito per dei decenni di riprendere nell'Asia orientale una situazione che ponesse in pericolo la sicurezza del Giappone.

Finalmente lo splendido corso dell'intera guerra significò per il Giappone un successo indiscutibile, e ormai messo sulla via per divenire una grande potenza nel concerto mondiale dei popoli, risultato che fu non poco apprezzato, dato l'orgoglio nazionale dei Giapponesi così fortemente sentito.

Dunque improvvisamente il lontano paese del sole levante si vide con sua massima soddisfazione posto nel centro dell'attenzione universale nel vecchio mondo come nel nuovo, posizione che da quel momento iniziò a mantenere non senza destare rivalità, ostilità e gelosie di ogni genere, che trovarono nella caratteristica espressione occidentale in uno frase-slogan piuttosto esagerata: cioè che bisognava guardarsi dal «pericolo giallo».

Dopo la conclusione della pace il Giappone poteva bene sperare di andare incontro a una serie di anni di fecondo benessere, nel quale gli fosse concesso di riparare i gravi danni subiti e specialmente di far fronte ai forti carichi finanziari, che la guerra gli aveva imposti.
Questo si poteva tanto più sperare, essendosi esso sforzato con buon successo di assicurare la sua posizione internazionale, soprattutto col rinnovare ed ampliare il 12 agosto 1905 il trattato di alleanza, concluso nel 1902 con l'Inghilterra, e con lo stringere accordi amichevoli con altri Stati, come per es. la Francia.

Tuttavia la situazione complessiva della politica mondiale e il forte risveglio della tendenza all'espansione, repressa artificialmente per due secoli dai Tokugawa e quindi dopo gli eventi sopra accennati, sorta di nuovo per l'agognata supremazia nel Pacifico, costrinse anche il Giappone, al pari appunto di altri Stati già giunti a un grande sviluppo, ad accrescere le spese per gli armamenti, che dopo i rilevanti sacrifici fatti nella guerra contro la Russia dovevano gravare doppiamente sul paese.

In Corea, sul cui sfruttamento economico si erano poste altissime speranze, grandi difficoltà aspettavano il Giappone. L'alta sovranità di questo sullo Stato protetto Coreano, la cui indipendenza ed integrità nel 1904 aveva garantito per trattato, era stata certo ampliata dall'accordo del 17 novembre 1905, secondo il quale il traffico della Corea con gli altri Stati fu diretto dall'ufficio degli esteri di Tokyo e fu istituito nella capitale coreana di Seoul (pronuncia Ssaul), quale rappresentante del governo giapponese un «tokan», una specie di vice imperatore o di residente generale.
Questo importante ufficio, dotato di poteri quasi illimitati, così negli affari esteri come nell'amministrazione interna, fu affidato a un uomo di valore come il principe Ito, allo statista giapponese più rilevante, alla cui sorprendente carriera vittoriosa doveva porre poi improvvisamente un termine prematuro la palla omicida di uno di quei fanatici patriotti coreani, accesi dall'odio per l'indipendenza della loro patria perduta (26 ottobre 1909).

Il malcontento di persone, un tempo più potenti e poi private dalle nuove istituzioni della loro precedente influenza politica ed economica, condusse a ripetute sollevazioni contro i Giapponesi e all'invidia di una delegazione, che si pretese appoggiata dall'imperatore, per protestare contro il trattato del 1905 dinanzi al congresso della pace dell'Aia.
In seguito a questi fatti, l'imperatore nel luglio 1907 dovette abdicare in favore del figlio. Soltanto lentamente e con un considerevole sforzo di armi il Giappone riuscì a reprimere negli anni successivi le numerose sollevazioni, sciogliendo l'esercito coreano, che vi aveva preso parte, e ad avviare al progresso, con riforme moderne nell'amministrazione, nel commercio e nell'insegnamento, la popolazione rimasta miseramente indietro.

Minacciavano inoltre di divenire ancora più pericolosi gli attriti inerenti alla forte emigrazione giapponese, specialmente negli Stati Uniti dell'America settentrionale; senza la fredda prudenza degli uomini di Stato responsabili da ambe le parti, questi attriti avrebbero condotto nel 1907 quasi allo scoppio di una guerra, per la quale (a dire il vero) il Giappone avrebbe avuto carenza di denaro ma anche gli Stati Uniti carenza di forze navali disponibili, e fra l'altro non era ancora stato compiuto il canale di Panama (terminato nel 1914).

Nelle isole Hawai, soprattutto poi nelle colonie inglesi, nel Canadà e nell'Australia, la preoccupazione per la concorrenza del «pericolo giallo» destava sentimenti ostili contro gli alleati della madre patria britannica.
Ma anche all'interno dello stesso impero giapponese, ad onta dei grandi successi, che non negavano nemmeno i suoi più accaniti avversari, non mancarono del tutto le critiche, specialmente nel campo materiale.

Con tutti i numerosi ed utili progressi, che il Giappone apprese affrettatamente dall'Occidente, si sono naturalmente a poco a poco introdotti anche gli inconvenienti ad essi paralleli, come un grave carico d'imposte, il rincaro di tutti i generi necessari alla vita, il gran valore dato all'apparenza esteriore, ecc.

Col progredire dei sistemi industriali in un paese, che poco prima conosceva soltanto l'esercizio di mestieri casalinghi e di quello dell'agricoltore, giunsero drammaticamente (come del resto stava avvenendo in Europa) in prima linea le difficoltà di sciogliere la «questione sociale».
Anche quindi in Giappone, contro l'unità della famiglia, cresciuta sul terreno del culto degli antenati, che compenetra l'intera storia del Giappone, con i suoi benefici per la collettività come con la sua tirannia verso l'individuo, si rivolge ora - come in occidente- l'interesse personale dell'individuo stesso, riconosciuto nei suoi diritti dallo Stato costituzionale moderno, e si vanno maturando manifestazioni e trasgressioni prima sconosciute, mentre sono spinte nell'ombra le celebrate virtù tradizionali del «Buscido».

Nel primo decennio del secolo XX, sembrava vicino la chiusura del periodo agitato di transizione, nel quale il Giappone si trovava da mezzo secolo; ma gli attenti osservatori non nascosero future sorprese di vario genere. Che infatti poi si verificarono.
Se però si apprezzano senza preconcetti i progressi indubbiamente meravigliosi di questo breve periodo di tempo e si abbraccia con lo sguardo tutto l'andamento di uno sviluppo storico di due millenni, si dovrà riconoscere in esso una parte certo memorabile della vita della razza umana in genere.

Al paese del sole levante, segnalato non solo per la sua amenità, ma (e in misura non minore) per la serietà delle sue aspirazioni, attribuiremo perciò una parte molto rilevante ed efficace nella storia dei popoli nel secolo XX e anche oltre, e quindi potremo giudicare la conoscenza esatta della sua storia come un compito ricco d'insegnamenti, vantaggioso ed anzi indispensabile.

Terminiamo qui con l'inizio del XX secolo, la storia del Giappone,
ma ci riserviamo di andare oltre,
con altri capitoli di storia contemporanea,
in un prossimo lavoro.

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