-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

124. LE CONSEGUENZE DELLA RIFORMA

Abbiamo visto nel precedente capitolo la pace di Augusta garantire sì alcune immunità, consolidando così lo sviluppo delle varie religioni, ma creava anche una scissione non solo religiosa ma anche politica e arrestava d'un tratto i progressi a cui la Germania pareva avviata.

Queste considerazioni dimostrano l'importanza e il significato della profonda crisi religiosa, che travaglia gran parte dell'Europa occidentale all'aprirsi dell'età moderna. La Germania si separa nettamente dai paesi latini, a cui fino allora era stata congiunta, e inizia lentamente un cammino autonomo.

Essa rinuncia, almeno in parte, a un patrimonio d'organizzazione, rinuncia all'odiato diritto romano che pur aveva fatto moltissimo da Carlo Magno in poi e avrebbe potuto fare ancora di più nell'affrettare il suo consolidamento e il suo sviluppo; invece preferì riallacciare alle sue radici etniche e sociali la propria e caratteristica vitalità.

La lotta religiosa segna la fine dell'autorità imperiale, nelle due grandi regioni dell'Europa centrale, fino allora congiunte nell'antico vincolo tradizionale. L'Italia aveva compiuto, sotto questo aspetto, il suo ciclo storico fin dall'epoca dei Comuni; ma aveva mantenuto fino allora, sia pure formalmente, la sua obbedienza all'Impero, non meno che al Papato.
La ribellione religiosa delle piccole unità politiche della Germania, svegliate all'inizio del secolo XVI, non è soltanto contro la Chiesa romana, ma è forse principalmente diretta a liberarsi dal giogo del Sacro Romano Impero, che le impazienze dei giovani Stati tedeschi fanno giudicare insopportabile.

I principi della Germania feudale e le città libere, ricche di traffici, anelano all'indipendenza: la sovranità religiosa, che essi guadagnano con la pace d'Augusta, non è che l'avviamento alla conquista della sovranità politica piena, di cui si faranno arbitri, dopo nuove durissime guerre, che sconvolgeranno ancora per circa due secoli la Germania.

Non meno che l'Italia, anche la Germania sarà, per lungo tempo, campo aperto delle guerre di predominio europeo, e non di meno che in Italia, anche in Germania, saranno gli stessi Stati tedeschi ad invocare l'intervento delle armi straniere, anteponendo l'esigenza inderogabili di queste anelate autonomie allo sviluppo coordinato e sapiente delle proprie forze interne. Lo sviluppo politico della Germania è così ritardato, e gli sconvolgimenti delle guerre religiose, della guerra dei trent'anni, delle grandi guerre di predominio europeo, di cui soprattutto soffrirono la Germania e l'Italia, rappresentano un momento di arresto, in uno sviluppo superbo e fecondo, già evidente nel secolo XV, quando pareva promettere rapidi e brillanti progressi.

Più grave ancora era stato lo sconvolgimento, a cui era andata incontro l'Italia. Questa, che aveva tenuto per molti secoli il predominio del Mediterraneo, si era trovata poi superata, alla fine del secolo XV, dalle forze prevalenti e implacabili delle nuove nazioni moderne. La guerra religiosa era stata un forte incentivo, per i dissidenti e gli eretici, ad invaderla e a prostrarla. Era tramontato il sogno della universalità della Chiesa; tramontava ora quello dell'universalità monarchica dell'Impero.
L'Italia vedeva la sua civiltà sconvolta nella rovina delle armi straniere, che, per più di tre secoli, la straziarono senza pietà. Nella bilancia dei piccoli Stati, che essa aveva saputo faticosamente creare, di fronte ad eserciti più poderosi, ora era impotente a difendersi, doveva cedere al predominio straniero, non senza epiche resistenze, avviando lentamente una nuova preparazione delle forze nazionali, che, sia pure tardi, dovevano ricondurla alla libertà e alla potenza.

Tuttavia, superando i piccoli contrasti religiosi, essa trovava nella Controriforma diretta dal Papato le basi per una sua salda disciplina, che salvò tutto quando poteva essere salvato della sua grande civiltà pienamente sviluppata.

Come già detto il concilio di Trento si chiuse il 4 dicembre 1563. Il 13 novembre papa Pio IV con la bolla "Iniunctum mobis" diede il rissunto schematico del dottrinale del Concilio di Tridentino, che costituì la formula dei giuramenti di fede cattolica nelle più solenni circostanze, ed è detta la "professio fidei tridentinae". Il papa per rimuovere dubbi sull'interpretazione degli atti conciliari, demandò la interpretazione autentica ad una apposita Commissione da lui creata e composta di otto cardinali, la Congregazione del Concilio.
n egli atti del concilio si distinguono dunque due parti, una dognatica e l'altra disciplinare. La parte dogmatica fu accettata da tutti gli Stati cattolici e fu prumulgata per mezzo dei sinodi provinciali; con qualche difficoltà in Germania che voleva indulgere ancora verso i protestanti.
La parte disciplinare invece incontrò maggiori difficoltà presso i diversi Stati, i quali non ne permisero che la parziale pubblicazione.

Nell'opera di restaurazione e per tracciare le linee del Tridentino, i pontefici si avvalsero molto degli Ordini religiosi che fiorirono nel periodo numerosi. E se la riforma protestante in Germania sconsacrava la vita claustrale e scioglieva dai loro voti frati e suore, in Italia la Chiesa contrapponeva la rifioritura della vita religiosa, maschile e femminile non solo richiamandosi agli antichi Ordine ma nel fondarne moltissimi nuovi.

Ciascun Ordine ebbe le sue glorie ed una speciale missione, e tutti insieme esercitarono nella vita sociale una influenza benefica e purificatrice.
Ma nella lotta contro il protestantesimo sopra tutti si distinse la Compagnia di Gesù, che il cavaliere spagnolo Ignazio di Loyola (1491-1550) aveva fondata. Anche lui, al pari di Lutero, improvvisamente aveva abbandonato la vita del mondo per consacrarsi tutto al servizio di Dio. Nell'anno in cui Lutero lanciava la sfida del ribelle al papato, Ignazio si macerava nei digiuni e nella penitenza nella Grotta di Manresa.
All'università di Parigi incontrò compagni ardenti e generosi, coi quali istituì la sua nuova milizia che pose a disposizione della Santa Sede, come un battaglione d'assalto. Diffondere la dottrina cattolica nelle varie parti del mondo, estirpare la eresia, obbedire con disciplina militare al sommo pontefice: ecco i fini; il confessionale, il pulpito, la scuola: ecco i mezzi. L'allora papa Paolo III accolse e approvò (1538 e 1540) la piccola schiera, che andò rapidamente moltiplicandosi, con le sue istituzioni in tutte le parti del mondo.
Di loro parleremo ancora nel prossimo capitolo.

I migliori teologi al Concilio di Trento provenivano dai Gesuiti: Pietro Canisio compilava il suo Catechismo, che divenne da allora il compendio ufficiale della dottrina cristiana.
Il popolo cattolico istruito con miglior cura, assistito materialmente e spiritualmente dai numerosi Ordini, si rinnova nei suoi costumi. Tolti di mezzo gli scandali che scendevano dall'alto, la vita del popolo diventa morigerata, il fervore religioso rinasce. L'autorità dei sommi pontefici cresce nella stima dei fedeli; gli ordini della Santa Sede sono accettati con ossequio: la disciplina è ristabilita in tutti i gradi.

Certo che per estirpare i mali estremi, si ricorse ai mezzi estremi, all'Inquisizione ! e il sostenitore fu un papa - di cui parleremo più avanti - un pio uomo, che era l'essenza di un buon monaco anche se era diventato papa, capace di convincere con l'esempio. Purtroppo poi alcuni usarono questi mezzi ne più nè meno come li avevano usati i più fanatici luterani. Ma sappiamo come sono gli uomini pii e non pii, spesso si trasformano in giustizieri.

Il pontificato romano ridiventa il centro unificatore e vivificatore del cattolicesimo, il quale ci presenta il sublime spettacolo dell'unità la più compatta, di fronte al frazionarsi, al polverizzarsi degli eretici in chiese e chiesuole. Dopo il Concilio di Trento incomincia una nuova epoca per la Chiesa e per il papato. «Sotto la guida di valorosi pontefici (scrive l'HERGENROTHER), con l'aiuto di vescovi eminenti e di zelanti religiosi, la Chiesa venne attuando contro la falsa riforma protestante la vera riforma cattolica, e contrappose al protestantesimo un così valido riparo, che non fu più superato; anzi giunse fino a riacquistare molti dei paesi perduti. L'albero, che a molti pareva morto, si liberava dei rami e dei tralci inariditi: rimetteva nuovi fiori e nuovi frutti maturi. Nuove grandi istituzioni sorgevano; una scienza schiettamente cattolica rifioriva, e a lei l'arte religiosa si ravvivava»
(vol. VI, pag. 298).

A far aumentare la stima dei cattolici verso il papato furono anche i sei anni di pontificato di PIO V (1566-1572) che sale e resta sul soglio in un modo singolare che ci piace qui ricordare, perchè compie dei gesti molto significativi per il radicale cambiamento.
Dopo la morte del battagliero Pio IV, terminate le funzioni di suffragio, i cardinali entravano in conclave. E perché non si ripetessero gli scandalosi incidenti seguiti in Roma dopo la morte di Paolo IV, si erano impartiti ordini severissimi. Ma la Città era già di per sé tranquilla, e nessun sfregio fu fatto alla memoria del papa Medici.
Parteciparono al conclave del dicembre 1565 ben cinquantatré cardinali; la clausura fu rispettata con serietà, di modo che i cardinali erano liberi dalle influenze e dalle pressioni delle potenze politiche. Anche questo nuovo ambiente era una conseguenza del benefico movimento riformatore.

Il cardinale nipote di Pio IV, Carlo Borromeo era naturalmente il più influente nel conclave, perché la maggior parte dei cardinali gli era vincolata da sentimento di gratitudine, essendo stati elevati in dignità da suo zio. Il Borromeo però si guardò bene dall'imporsi e fece intendere ai cardinali che li lasciava pienamente liberi nella scelta. Furono ventilate diverse candidature; il cardinale Morone, il Farnese, il Sirleto, ma il candidato del cuore del Borromeo, per quanto non lo manifestasse sulle prime, era il pio domenicano Michele Ghislieri, detto comunemente il cardinale Alessandrino, perché era nato il 17 gennaio 1504 a Boscomarengo (Piemonte).

Da molti cardinali si credeva anzi che il Borromeo dovesse essere contrario al Ghislieri per riguardo ai sentimenti dello zio pontefice defunto. Ma gli interessi della Chiesa prevalevano nell'animo del cardinale Borromeo su ogni umana e personale considerazione.
Il Ghislieri era stato piuttosto messo in disparte da Pio IV; la sua elezione quindi sembrava umanamente meno opportuna, perché non avesse a compiere delle vendette. Ma era così alto il concetto che si aveva di lui, che fu lo stesso Borromeo a proporlo ai suoi amici.

Appena ebbe sentore il Ghislieri che si voleva eleggerlo, ritenendosi incapace, pregava il cardinale Pacheco, suo amico, che gli allontanasse quel pericolo. Gli fu risposto che il Signore darebbe le forze necessarie a chiunque sarebbe uscito dal conclave eletto. Nella sua umiltà il Ghislieri si rattristò molto, e si chiuse nella sua cella a pregare in attesa degli eventi.
"Il 7 gennaio 1566 (scrive FUENMAJOR nella vita del pontefice), tutti i cardinali andarono alla sua cella, per metterlo in quel luogo consacrato dove é costume adorare gli eletti pontefici; ma egli si rifiutò, confessandosi inabile a sopportare sì gran peso. Tutti insistettero fino a tirarlo per le braccia e per le vesti, ed egli, rivolti alquanto gli occhi al cielo, come chi li serrasse a mille inconvenienti, con sembiante di obbedire per forza, disse : Ora andiamo».

L'esaltazione al pontificato del cardinale Alessandrino, che era conosciuto da tutti per la rigidezza dei costumi e lo zelo per la purezza e l'integrità della fede, segnava il definitivo trionfo nel collegio cardinalizio del partito della riforma ecclesiastica, che voleva ora veramente l'attuazione del Concilio Tridentino.
Da Giulio III il Ghislieri era stato nominato commissario generale della Suprema Inquisizione; da Paolo IV nel 1556 era stato fatto vescovo di Sutri e Nepi, e l'anno seguente cardinale; da Pio I V era stato trasferito al vescovado di Mondovi.
La sua franchezza d'animo era davvero ammirevole. Quando Pio IV creò cardinali Ferdinando de' Medici e Federico Gonzaga, il Ghislieri diede voto contrario per rispetto alle nuove disposizioni del Concilio di Trento, e quando, secondo il costume, presentarono i loro ringraziamenti al Ghislieri papa, egli rispose: «Non accetto i vostri ringraziamenti, perché sono stato contrario alla vostra promozione, dettandomi così la mia coscienza».
E forse per vincere ogni segreto risentimento verso il predecessore, volle assumerne il nome e si chiamò Pio V.

Pienamente convinto del principio che chi vuol riformare la Chiesa deve anzitutto operare la riforma di se stesso, Pio V volle continuare, per quanto era compatibile, l'antico suo tenore di vita. Le somme di danaro, già destinate a festeggiare la sua incoronazione, le fece distribuire ai poveri.
Anche da pontefice non smise mai di indossare il rozzo saio domenicano, e quando era costretto a mettere gli abiti pontificali, questi li metteva su quelli. Invece del monumentale letto, il suo era un modesto pagliericcio, su quello aveva sempre dormito e su quello anche come papa volle terminare la sua esistenza .

Si alzava di buon mattino, senza far distinzione tra la stagione rigida e quella torrida. Nel vitto era estremamente parco e sobrio; a mezzogiorno pane bollito con due uova e mezzo bicchiere di vino; a pranzo minestra di legumi, insalata, alcuni crostacei e frutta cotta; due volte alla settimana mangiava carne. Lettura e silenzio claustrale durante i pasti. Assai di rado si permetteva qualche breve svago, e ciò nonostante il suo conversare era piacevole.

Nell'allocuzione ai cardinali, che tenne il 12 gennaio 1566, dopo essere stato eletto, espose esplicitamenteil suo programma: "eseguire alla lettera i deliberati del Tridentino". Disse ai cardinali che intendeva trattarli non come servi, ma come fratelli; osservava però che la cattiva condotta degli ecclesiastici era stata non ultima causa del sorgere e del diffondersi dell'eresia; li pregava quindi a voler riformare prima se stessi e i propri familiari.
In politica dichiarò che non aveva che un'aspirazione, mantenere la pace fra tutti i prìncipi cristiani, e organizzare la resistenza contro l'avanzata dei Turchi.
Il primo suo atto, dopo l'incoronazione, fu di bandire dal palazzo Vaticano il buffone di corte di Pio IV, piccolo gesto significativo di radicali cambiamenti.

Per la riforma del clero secolare di Roma istituì una Commissione cardinalizia formata da Borromeo, Savelli, Alciati e Sirleto doveva vigilare sui costumi e sull'istruzione di tutti i preti. Abolì il diritto di asilo di cui godevano i palazzi cardinalizi, e dispose che la giustizia potesse mettere le mani addosso ai colpevoli, persino nel palazzo apostolico. I diversi tribunali e dicasteri pontifici furono alleggeriti dal personale parassitario. Il papa in persona partecipava alle sedute specialmente del Tribunale dell'Inquisizione: al giovedì e alla domenica dava udienza per dieci ore continue alla povera gente, e tutti accoglieva paternamente.
Dietro insistenza dei cardinali, nominò cardinale il nipote Michele Bonelli, perché fungesse da intermediario nelle relazioni ufficiali con i principi. Ma il pontefice non si lasciò mai dominare dal nipote, che trattava con severità. Avendogli una volta improvvisamente fatto visita nel suo appartamento, nel guardarlo vestito tutto di seta, gli ricordò che non erano proprio necessari e che quegli abiti facevano solo molta cortigianeria.

E con eguale rigore trattò tutti i suoi congiunti, non permettendo che uscissero dalla loro modesta condizione sociale con i denari della Santa Sede. Il padre del cardinale, giunto a Roma a visitare il figlio e forse con la segreta speranza di rimanervi con chissà quale prestigioso incarico, ebbe l'ordine dal pontefice di ritornarsene quanto prima al suo paese. Si prese però cura dei nipoti giovani, ma solo affinché potessero avere una buona educazione presso i Gesuiti. Ad un figlio di suo fratello permise che venisse a Roma a far servizio militare, avendo già altrove dimostrato il suo valore. Nel maggio 1567 fu nominato comandante della guardia del corpo. Ma appena lo zio si accorse che conduceva segretamente vita scorretta, lo fece chiamare dinanzi a sé, e dall'addetto al tribunale fiscale gli fece leggere questa sentenza: «Paolo Ghislieri perde tutti i suoi uffici e le entrate e sotto pena di morte deve lasciare entro due giorni il Vaticano, entro tre Borgo, entro dieci lo Stato pontificio». E nessuna intercessione valse a far revocare quel bando.

Pio V emanò severissime ordinanze contro l'immoralità così molto diffusa in Roma; a mali estremi, estremi rimedi. Stabilì pene severe contro i bestemmiatori e i profanatori dei giorni festivi. Impose un limite al lusso, ai bagordi e allo spreco in occasione di sposalizi. Furono vietati del tutto i combattimenti con i tori, perché giochi indegni per i cristiani; nel carnevale fu proibito agli uomini di andare in maschera con abiti femminili. Le cortigiane e le meretrici, che infestavano la città, furono bandite e siccome qualcuno gli fece osservare che erano troppo numerose e la città rimarrebbe spopolata, rispose: « Allora rimanete voi con queste disgraziate, io mi sceglierò un'altra città». Poi si prese a cuore la conversione di quelle povere donne, e come era pronto a soccorrerle di danaro appena cambiavano vita, così faceva segregare le incorreggibili in un apposito quartiere. Perseguitò a morte la piaga dell'adulterio, giacché voleva risanare moralmente le famiglie.

Per crescere le nuove generazioni secondo lo spirito della riforma, Pio V si impegnò affinché alla gioventù e ai fanciulli venisse impartita l'istruzione religiosa. Nel 1568 i parroci di Roma ricevettero l'incarico di obbligare i genitori, sotto gravi pene in caso di trascuratezza, di inviare i figlioli nel pomeriggio della domenica ai corsi di Dottrina Cristiana. Per coadiuvare i sacerdoti nell'insegnamento della Dottrina, si organizzarono dei gruppi di laici volenterosi, che nel 1571 si costituirono in Confraternite della Dottrina Cristiana, arricchite spiritualmente dal pontefice di speciali indulgenze. I vescovi furono invitati a crearne di simili nelle rispettive diocesi. Nell'insegnamento prescrisse che tutti seguissero il Catechismo Tridentino, redatto in lingua latina, sotto la vigilanza del Borromeo, e dato alle stampe nel 1566 per ordine dello stesso Pio V, che nel 1571 lo fece anche tradurre in diverse lingue, e pure una edizione in volgare per tutti i parroci (molti non conoscevano il latino!) stampata da Aldo Manuzio a Venezia (Cronologia ne ha una copia originale, ed è quella, che in apertura abbiamo riportato il frontespizio).

Pio V teneva moltissimo all'stituzione dell'inquisizione, perché la riteneva indispensabile per conservare l'unità della fede in Italia, e decise di costruire un nuovo palazzo, molto vasto, che doveva contenere, oltre gli uffici e gli archivi, anche le prigioni. Il 2 settembre 1566 fu gettata la prima pietra: i lavori procedettero febbrilmente, poiché furono sospesi perfino i lavori della basilica di S. Pietro per avere disponibile un maggior numero di muratori. Nel 1569 Pio V poteva porre sopra il grande portone di ferro la sua arma e l'iscrizione latina, con la quale dichiarava d'aver costruito quell'edificio affinché haereticae pravitatis sectatores cautius coercerentur a fundamentis in augmentum catholicae religionis.
"Nessuna cosa stava tanto a cuore a Pio V quanto l'Inquisizione; popolo e clero ne avevano un sacro terrore, perché in questa materia aveva richiamate in vigore le severe disposizioni di Paolo IV. Il Tribunale dell'Inquisizione fu posto al di sopra di ogni altro tribunale. Inorridito dei delitti e dei disastri, che funestarono la Francia per le discordie e le guerre di religione, Pio V voleva ad ogni costo preservare l'Italia da quelle sciagure. Con l'infliggere pene tremende ai pochi isolati, intendeva salvare tutto il popolo. Egli quindi agiva con la sicurezza e con la risolutezza di un chirurgo esperto, che taglia e brucia per salvare la vita al paziente" (Castiglione, op. cit.)

Mentre tutto questo avveniva in Italia, l'idea della riforma in Europa guadagnava nuove fortune. Non soltanto gli Stati luterani della Germania, ma interi paesi dell'Europa civile si erano staccati dalla cattoliciesimo. La Danimarca, la Norvegia, l'Islanda, la Svezia, sospinte dalle classi dirigenti e dai principi, ansiosi di svincolarsi da ogni soggezione, avevano distrutto i vescovadi cattolici, avevano incamerato i beni ecclesiastici e avevano abbracciato le facili e attraenti dottrine della riforma protestante.

Nella dieta di Copenaghen (ottobre 1536), Cristiano III, re di Danimarca, Norvegia e Islanda, dieta da cui furono esclusi i cattolici, proclamò decaduta la religione cattolica e compiuto l'incameramento dei beni.
Un luterano di Wittemberg, Giovanni Bugenhagen, diresse, per incarico regio, l'ordinamento della nuova religione, che in sostanza fu politicamente imposta.

Così nella Svezia, Gustavo Wasa, dopo la separazione di questo Stato dalla Danimarca, faceva proclamare, in una dieta (1537), il luteranesimo religioso dello Stato. Nella Polonia, rimasta cattolica, si sparsero tuttavia ugualmente le radici della Riforma, pur combattuta accanitamente dall'Ordine dei Cavalieri Teutonici. Ed anche l'Ungheria, rimasta fondamentalmente cattolica, ebbe forti correnti di calvinismo e di luteranesimo.

Abbiamo già più volte accennato alle fortune del calvinismo e del luteranesimo nei Paesi Bassi e in talune province della Francia, dove la nuova religione doveva trovare, fra breve, travagliati e tragici eventi.

Nell'Inghilterra, dopo una breve restaurazione cattolica, sotto il governo di Maria Tudor (1553-1558), la Riforma, sotto la concezione politica anglicana, ritornava prepotente e veniva restaurata come Chiesa di Stato.
Queste fortune rivelavano l'importanza della nuova religione, che, sulle basi pur inesauribili della grande dottrina cristiana, era stata consolidata, dopo lunga preparazione, in Germania, con intenti complessi, insieme religiosi, intellettuali, morali, sociali e politici.

Se la nuova religione non proclamava il principio di una libertà religiosa, che non era ancora matura, tuttavia, essa ne preparava le basi. E d'altra parte essa contribuiva a sviluppare le radici del sentimento religioso, che sotto il cattolicesimo erano appena affiorate, contribuendo alla formazione di una nuova coscienza, che non sarà senza rilievo per la creazione della civiltà moderna.

Grandi erano così le conseguenze della nuova dottrina religiosa. La stessa Controriforma la si può guardare, in gran parte, come una conseguenza del movimento luterano. Sotto la guida del Papato romano, che rivelava così la sua prodigiosa vitalità, si fondavano nuovi Ordini religiosi, si riformavano gli antichi, si dava, col Concilio tridentino, una nuova e coraggiosa disciplina alla Chiesa cattolica. Il Concilio di Trento, più volte interrotto, portava a termine, pochi anni dopo la pace di Augusta, la sua grande opera (1564); la Chiesa trovava, nella Riforma protestante, una salutare lezione, da cui, tra danni incalcolabili, derivava anche vantaggi.

Per tutti questi avvenimenti, la Riforma era stata cardine centrale. Il grande dramma storico, che si svolge tra gli anni 1517 e 1555, è tutto accentrato sulla rivoluzione religiosa. I paesi protestanti, che si divincolano dalla soggezione cattolica, e i paesi latini, che, sotto la direzione della Spagna, resistono all'ondata rivoluzionaria e la controbattono con le armi, sono tutti scossi dall'idea religiosa, che era stata agitata, per la prima volta in modo vigoroso e inconciliabile in Germania.

In questo grande sommovimento, affiorano nuovi princìpi e nuove forme, che avranno poi, tra altri spargimenti di sangue, ulteriore sviluppo, ma che qui trovano le prime radici.
L'idea delle nazionalità, il principio della libertà di culto, l'approfondimento della coscienza religiosa sono tutti fenomeni che si legano, più o meno direttamente, alla Riforma protestante. I tempi non sono ancora maturi allo sviluppo di questi germi: il secolo XVIII li accoglierà e li farà fruttare.

Ma bisogna riconoscere che molte di quelle idee trovano già la loro espansione nel movimento libero ed incessante d'opinioni, di programma e d'azione che si svolge in questo breve, ma intenso spazio di storia.

D'altra parte, come si è avvertito, non si deve nemmeno esagerare l'importanza della Riforma. L'idea delle nazionalità moderne, l'idea della libertà religiosa, l'invito all'esame profondo della coscienza interiore non sono certo prodotti del movimento protestante. Anzi il paese, che aveva dato origine alla Riforma, penò più d'ogni altro a formare la coscienza della sua nazionalità; lo spirito d'intolleranza religiosa non fu forse mai così ardente come nei petti luterani; questo perchè l'educazione dell'esame intimo della coscienza ha avuto inizi remoti e non è certo privilegio della Riforma.

La Signora Storia purtroppo (ma forse sa quel che fa, e a noi ancora sfuggono le sue regole) si muove lentamente e faticosamente (così almeno a noi sembra) tra il gioco delle cupidigie umane. Gli eccessi temporalistici del cattolicesimo avevano trovato la reazione protestante, e la reazione protestante condusse a nuovi eccessi. La legge della misura si compone, con grave sforzo, e non sempre completamente, tra moti disordinati e quasi inconsapevoli delle azioni umane.
Ma una nuova idea religiosa era nata, su nuove basi sociali e politiche, e quella idea religiosa introdusse, necessariamente, una nuova azione di contrasti e una nuova legge di equilibrio, in un organismo più vasto, che pareva avviato, in parte almeno, ad un destino meno disarmonico, sulle basi della civiltà antica.

Evidentemente, i tempi non erano maturi per la Signora Storia; tuttavia la società europea guadagna, da questi contrasti, nuove forze e nuove idee per i suoi ulteriori destini. Forse anche questo rientrava nelle - a noi sconosciute e inesplorate - regole della Storia.

La Storia ci sembra che qualche volta indugia, sembra fermarsi,
sembra che perde qualche minuto, ma non è così,
essa poi riprende il cammino e le ore le batte tutte.

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