-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

129. I POTENTI CONDOTTIERI TEDESCHI

Come abbiamo appena narrato del precedente capitolo, l'8 novembre 1620, nella battaglia "della Montagna Bianca", nello spazio di una sola ora le truppe dell'esercito boemo, nello scontro con i reggimenti di lanzichenecchi dell'imperatore, cedette, si sfasciò e in piena rotta si diede alla fuga alla volta di Praga.

Re Federico non vi aveva personalmente partecipato ma era rimasto a Praga, ma quando nella tarda mattinata i suoi generali sconfitti, Anhalt, Thurn ed Hohenlohe rientrarono in città e lo misero al corrente delle drammatiche sorti della giornata, non gli ci volle molto per capire che per lui quella giornata era la giornata della sua catastrofe.

Protetto da alcuni drappelli di cavalleria e accompagnato dai suoi consiglieri, generali e da molti ufficiali boemi, l'infelice Federico nelle prime ore del pomeriggio lasciò con sua moglie il Hradschin per mettersi al più presto possibile in salvo in territorio slesiano. Al danno si aggiunse la beffa, e questa volta immediata e pungente. Il povero re fuggitivo divenne un argomento preferito per gli autori dei numerosi libelli ed epigrammi che furono allora messi in giro.

Dopo la battaglia, non molto distante da Praga, nè i generali imperiali né Massimiliano poterono tenere a freno i loro soldati vittoriosi. Praga fu invasa e saccheggiata e nel saccheggio vi furono dei lanzichenecchi tedeschi che si impossessarono di veri tesori, perché prima della battaglia molti ricchi possidenti dei dintorni avevano caricato su carri le loro cose più preziose e le avevano avviate dentro la città fortificata depositandole in alcuni cortili custoditi. I saccheggiatori trovarono pertanto a portata di mano uno straordinario e scelto bottino.
Né vennero risparmiati i sontuosi palazzi di Praga e le case dei ricchi patrizi, finché i capi riuscirono a ricondurre fuori della città la soldataglia. Ma poi gli stessi il saccheggio lo fecere loro legalmente, mandando al patibolo centinaia e centinaia di praghesi, ma non perchè la pensavano diversamente come religione, ma perchè quello era la giustificazione per spogliarli dei beni. Uno dei capi condottieri tedeschi, Wallenstein riusci a incamerare 57 possedimenti confiscati.

Delle personalità compromesse nell'insurrezione, alcune temendo il peggio erano fuggite; ma molte rimasero nelle loro case, nella ferma convinzione che non sarebbe loro accaduto nulla di spiacevole. Esse dovettero ben presto disilludersi amaramente (vedi più avanti).
Dopo la rapida ed umile sottomissione dei Moravi e dopo che gli Slesiani si furono anch'essi sottomessi dietro promessa di rispetto della libertà religiosa, vale a dire dopo che non ci fu più da temere una resistenza armata, il governo di Vienna poté senza ostacoli procedere all'attuazione dei suoi disegni di organizzazione assolutistica dei domini absburgici.

Il programma fu che la potenza della rappresentanza degli stati, per il momento già stremata, non dovesse più risorgere; con la sparizione di questo potere, la volontà dell'imperatore doveva divenire l'unica e suprema legge.
L'assolutismo era così fondato.

Vittorie e dispotismo che iniziarono a preoccupare gli Stati vicini; un assolutismo sentito particolarmente dalla Danimarca luterana di re Cristiano IV (1588-1648) come una minaccia; di modo che intervenne nel conflitto con l'appoggio finanziario dell'Olanda e della Francia (leggeremo più avanti i particolari)
Terminata una guerra in Boemia durata sette anni, ne iniziava quindi un'altra.
Ma anche la Svezia e la stessa Francia erano preoccupate; la prima perchè vide avanzare le truppe imperiali fino alla Pomerania danese; la seconda - pur avendo un sovrano cattolico - era timorosa della prospettiva di una egemonia europea dei due rami degli Asburgo di Spagna e d'Austria poste una a ovest e una est, pronte a stritolarla. Non bisognava perdere tempo, bisognava fare nuove alleanze in funzione antiasburgica.
Ma di questo come abbiamo detto sopra parleremo più avanti e nel successivo capitolo.

Diamo invece uno sguardo ai protagonisti di questa ultima guerra Boema che si concluse con degli orrori che i vincitori si resero colpevoli. Altro che religione!!! Con le forche diedero spettacolo davanti alla cattedrale di Praga, con la immancabile croce !!!

Fin dal primo giorno della conquista di Praga diritti e privilegi non vennero più rispettati. In luogo dei tribunali ordinari fu istituito il 13 marzo 1621 un tribunale eccezionale. In primo luogo i compromessi con l'insurrezione, emigrati o rimasti in patria, furono condannati alla confisca di tutti i beni, e questa misura in Boemia volle significare molto di più che la condanna a morte dei capi ed istigatori della rivolta, perché la conseguenza prima fu la distruzione della nobiltà boema, e, pur senza che vi fosse un proposito preordinato di germanizzazione, si ebbe l'infiltrazione dell'elemento germanico nel paese al posto dei possessori spogliati dei loro beni.

Poco dopo cominciò l'espulsione dei predicatori evangelici; prima furono cacciati i calvinisti e si lasciarono indisturbati i pochi luterani presenti in paese per riguardo al principe di Sassonia che aveva promesso a loro alcune garanzie di sicurezza.
Quando poi Ferdinando fu sicuro del predominio anche in Germania, venne la volta anche di questi pochi luterani, i quali furono espulsi dietro pressioni del legato pontificio cardinale Caraffa. I seguaci della confessione protestante dovettero lasciare tutti l'insegnamento all'Università di Praga.

Conseguenze d'ordine economico: le più gravi furono i già accennati procedimenti di confisca dei beni. Dal momento che il tribunale speciale allo scopo istituito ebbe in sostanza istruzioni tali da poter condannare anche per la più lontana e indiretta partecipazione alla rivolta, furono ben pochi i benestanti di confessione evangelica che poterono sfuggire all' accusa; di modo che nel breve periodo di due anni avvenne una quasi generale spoliazione di costoro salvo qualche insignificante indennizzo in denaro (per di più svalutato).

Anche in condizioni normali una simile enorme messa in vendita di beni avrebbe provocato la svalutazione dei terreni, anche i migliori. Na dato che avvenne in contemporanea ai tempi di una sistematica svalutazione della moneta s'intromise nella faccenda la speculazione provocando una crisi economica terribile.
L'imperatore infatti si propose di lucrare sui beni confiscati, facendo coniare moneta pessima per pagare gli indennizzi agli espropriati e tenendo accantonati i beni per rivenderli in tempi migliori a condizioni molto più vantaggiose. Ma s'ingannò perché non poté impedire che i capitalisti di corte si servissero della loro potenza ed influenza per ricomprare quei beni dal tesoro imperiale con moneta ancor più svalutata (abbiamo già ricordato Wallnstein che se ne accapparrò 57 - di lui parleremo ancora più avanti).

Nel frattempo la guerra proseguì. Il principe di Sassonia, che nel settembre 1620 aveva preso Bautzen, si assoggettò nel corso dell'inverno l'alto e basso Lausitz. Dampierre respinse felicemente l'attacco di Betlen Gabor sul Danubio, ma poi rimase ucciso in uno scontro presso Presburgo. La guerra acquistò importanza internazionale con la marcia degli spagnoli sul Reno e il loro ingresso nel Palatinato; erano 16.000 fanti e 3.000 cavalieri al comando del valente condottiero marchese Spinola. Non si ebbero combattimenti perché l'Unione con i suoi 9.000 fanti e 3000 cavalieri si sentì troppo debole per opporsi all'avanzata delle esperte truppe spagnole, e Spinola da parte sua non andò a cercare il nemico ma badò prima d'ogni altro a stabilire sicure comunicazioni col Lussemburgo e coi Paesi Bassi, per crearsi, come si creò, una eccellente base di operazioni.

Ma anche l'Unione non lesinò quanto a conferenze ed assemblee, ma, ad eccezione di Giorgio del Baden e di Maurizio d'Assia, nessuno dei suoi membri si dimostrò disposto a fare grandi sacrifici per la prosecuzione della guerra.
Disposizioni diverse regnavano dalla parte della Danimarca e degli Stati generali. La prima aspirava da tempo in un ampliamento del proprio territorio in Germania e le sue mire si appuntavano particolarmente sui vescovadi di Brema e di Verden che avrebbero dovuto servire di appannaggio al principe Federico.
Ma proprio queste aspirazioni misero in allarme i paesi del circondario della Bassa Sassonia, giacché una simile estensione dei dominii danesi minacciava la loro indipendenza ed in particolare la libertà di navigazione. Stava anzi per scoppiare quasi la guerra con Amburgo perché re Cristiano IV di Danimarca quale duca dell'Holstein pretendeva il dominio assoluto dell'Elba nel tratto che bagnava l'Holstein; ma in seguito si venne ad un accordo ed il re acconsentì alla libera navigazione dell'Elba anche sul territorio dell'Holstein.

Quanto poi agli Stati generali, essi erano costretti a prevedere di dover affrontare la ripresa della guerra con la Spagna, perché questa aveva proposto condizioni di pace inaccettabili: libertà di esercizio del culto cattolico nel territorio della repubblica, rinunzia degli Stati ad essa appartenenti al commercio con le Indie orientali ed occidentali, apertura della Schelda a favore di Anversa. L'accettar condizioni simili avrebbe infatti significato la decadenza economica della giovane repubblica. Così gli stati generali come la Danimarca aspettavano aiuti dall'Inghilterra; ma questa non si decise a dare sicuri affidamenti, nè di voler prendere parte attiva alla guerra.

Quand'ecco un atto dispotico dell'imperatore venne a mutare la situazione. Ferdinando, a corto di denaro, si trovò a dover pensare come indennizzare Massimiliano di Baviera delle spese di guerra da lui sostenute, spese che egli fino alla fine del 1620 ammontavano a 3 milioni di fiorini. Non potendo e non volendo cedergli in compenso di tale somma l'alta Austria che il duca aveva in pegno a garanzia del suo avere, decise di indennizzarlo col Palatinato superiore, staccandolo dal Palatinato renano.

Questa decisione era di grave importanza politica in quanto implicava la spoliazione di Federico V dei suoi possedimenti e di grave importanza religiosa in quanto consegnava una regione protestante ad un principe cattolico. Per giustificare la messa al bando dell'impero di Federico, l'imperatore ricorse alla pubblicazione di una raccolta di atti diplomatici sequestrati a Praga che conteneva fra l'altro la corrispondenza col duca di Savoia e innegabilmente - secondo lui - rivelava l'esistenza di alto tradimento.
Ma questo gesto di Ferdinando non venne accolto favorevolmente e persino i suoi più fedeli alleati come Massimiliano di Baviera si guardarono bene dal riconoscere la legalità del bando con una qualsiasi manifestazione di consenso.

Filippo di Spagna si rifiutò di cooperare alla distruzione del Palatinato perché non volle provocare l'Inghilterra alla guerra. Re Giacomo riprese subito la sua opera di mediazione, inviando allo scopo una missione a Vienna; gli stati della bassa Sassonia furono in procinto di entrare in campo a favore di Federico e sospesero l'arruolamento delle truppe solo perché non era ben chiaro come si sarebbero contenuti i maggiori principi territoriali, dopo il completo sfascio dell'Unione, per la difesa dei loro interessi confessionali.

D'altro canto Federico V, se era un re senza regno, non era completamente privo di truppe. Al suo servizio stava tuttora il conte di Mansfeld con due reggimenti di fanteria e sei squadroni di cavalleria che occupavano ancora Tabor nel bel mezzo della Boemia ed alcune altre piazze. Era il residuo di quel rispettabile corpo d'esercito che Mansfeld aveva arruolato per conto degli stati generali e che aveva tenuto insieme finché aveva potuto. Dopo la disfatta alla "Montagna Bianca" e la resa di Pilsen (26 marzo 1621) la sua posizione in Boemia era diventata insostenibile, e Mansfeld dovette provvedere a concentrare le sue forze disperse nel Palatinato Superiore. Qui si riaccesero le ostilità.
Tilly non riuscì a snidare Mansfeld da Waidhaus, e il duca Massimiliano che aveva occupato Cham intavolò poco dopo nuove trattative col valente generale. Ma questi approfittò della prima occasione per ritirarsi sul Reno e concorrere alla difesa del Palatinato Renano. Tilly gli tenne dietro con 11.000 uomini, mentre Massimiliano non trovò più ostacoli per occupare il Palatinato superiore.

È assai verosimile che Mansfeld non abbia mai preso sul serio le sue trattative con i leghisti, perché non si sarebbe mai più adattato a subordinarsi al comando supremo di un altro e non poteva guerreggiare in altro modo che conservandosi autonomo. Così egli divenne il primo esemplare di quei condottieri tedeschi che da ora in avanti esercitarono una influenza sempre più profonda sulle sorti della Germania.

Questi piccoli eserciti, nei quali si sviluppò uno spirito di corpo tutto particolare, aumentarono in ultimo di numero fino a raggiungere le proporzioni della famosa armata di Wallenstein che per breve tempo ebbe la stessa importanza di una grande potenza europea.
Se Federico V non avesse trovato alcuno disposto a spezzare una lancia in difesa dei suoi diritti sul Palatinato, la guerra sarebbe, per il momento almeno, cessata, perché Massimiliano di Baviera, per quanto buon cattolico, non era uomo da perseguire una politica di fanatismo e non avrebbe acconsentito al suo partito di pretendere condizioni inattuabili, ma si sarebbe accontentato di quel tanto che era necessario ad assicurare le conquiste già fatte. Se non che le cose andarono diversamente e considerevoli forze militari entrarono in campo contro la Lega.

Mansfeld aveva mostrato come delle truppe potessero mantenersi anche da sé requisendo denaro e viveri dove potevano imporre la loro volontà, e come un generale potesse costituire una specie di potenza belligerante autonoma, anche non essendo, come egli non era, un sovrano territoriale.
Il suo esempio fu seguito in breve anche dai principi tedeschi; all'inizio da quel margravio di Jagerndorf che era stato messo al bando dall'impero insieme con Federico del Palatinato, poi da due duchi di Weimar, da un duca di Lauenburg, e soprattutto dal margravio Giorgio Federico del Baden, il quale in un processo pendente dinanzi al consiglio dell'Impero era in pericolo di perdere il suo marchesato di Baden-Baden. La sua fervida fede evangelica ne faceva un nemico inconciliabile della causa cattolica. Egli si dichiarò solidale con Federico V, cedette il suo dominio al suo primogenito e divenne anch'egli una potenza belligerante a sé.

Finalmente anche il principe Cristiano di Braunschweig-Wolfenbüttel trovò che nulla meglio rispondeva al suo spirito irrequieto che di impugnare la spada e ghermire tutto ciò che le mutevoli vicende della Germania avrebbero messo a portata di mano. Denaro egli non ne ebbe da nessuno; Federico V non gli rilasciò che un brevetto di autorizzazione ad arruolare truppe.

Il 6 maggio 1622 avvenne a Wimpfen sul Neckar il primo urto tra le truppe bavaresi leghiste al comando di Tilly, più gli spagnoli al comando di Cordoba e il Margravio del Baden. I cattolici erano superiori per numero, ma il margravio disponeva di un'artiglieria più forte. All'inizio la battaglia si svolse con un discerto vantaggio di quest'ultimo; ma poi una fallimentare carica della cavalleria badese che si infranse sui battaglioni bavaresi e spagnoli e la susseguente fuga disordinata dei cavalieri mutò le sorti della giornata che si chiuse con la sconfitta del margravio.

Tilly e Cordoba non trovarono dopo la battaglia forze sufficienti per intraprendere subito l'inseguimento del vinto, ma si prepararono per impedire il congiungimento di Cristiano d'Halberstadt con Mansfeld e col margravio. Cristiano aveva felicemente fatto progressi fino al Meno ed era in procinto di attraversarlo presso Hóchst, allorché i cattolici con una marcia forzata lo raggiunsero e dopo breve lotta lo misero in fuga. E non solo la sconfitta peggiorò la situazione delle truppe protestanti, ma anche e principalmente le grandi perdite di materiale e l'indisciplina che imperversò nelle schiere, già del resto insubordinate, dell'Halbertsadt. Ma siccome i leghisti anche questa volta indugiarono nell'inseguire il nemico, Cristiano riuscì con i resti del suo esercito unirsi con Mansfeld.

La guerra dei condottieri era per il momento finita. Un principe della serietà e della elevatezza morale del margravio di Baden non poteva avallare col proprio nome un genere brigantesco di guerra come quello che era già entrato nelle abitudini dei mercenari tedeschi. Quindi subito dopo la battaglia di Hóchst egli congedò le sue truppe.
Anche Mansfeld comprese che per ora nel Palatinato renano non vi era speranza di successo e risolse di restituire le sue truppe agli stati generali. Con una ardita marcia attraversò tutta la Lorena senza incontrare ostacoli. Solo a Fleurus lo raggiunse Cordoba e lo costrinse ad impegnarsi in una battaglia che ritardò la sua ritirata e ridusse la sua gente in condizioni anche più deplorevoli di prima. Tuttavia rimasero 6000 uomini che Mansfeld riuscì a inizio di settembre a ricondurre al principe Maurizio d'Orange, e benché fossero cenciosi e affamati, tuttavia la loro presenza bastò per indurre il generale spagnolo Spinola a toglier l'assedio da Bergen op Zoom. Le orde dell'Halberstadt si erano disperse ed lui stesso era rimasto gravemente ferito a Fleurus.

Le truppe inglesi che ancora occupavano le fortezze di Heidelberg e Mannheim nel Palatinato, dovettero capitolare di fronte a Tilly e tornarsene in patria. La sola Frankenthal si mostrò pronta a sostenere un prolungato assedio.
Bethlen Gabor, dopo la battaglia di Rakowitz aveva intavolato trattative con l'imperatore. Ma le condizioni di pace propostegli furono troppo svantaggiose perché egli potesse accettarle, senza contare che accogliendole avrebbe sacrificato il partito nazionale ungherese che combatteva per la libertà del paese. Quindi si ritirò a Kaschau, dove gli imperiali non poterono seguirlo, e dove, dietro sua richiesta, lo raggiunse il margravio di Jagerndorf, che del resto non poteva più sostenersi nella Slesia ove si trovava, dopo che gli slesiani avevano fatto pace con l'imperatore.

Mentre l'esercito ungherese si riorganizzava a Kaschau, l'imperatore subiva il grave colpo della morte del suo migliore generale, il conte di Bouquoy, che perdette la vita in una banale scaramuccia dinanzi alla fortezza di Neuhaufl presso il Danubio. Eppure la sua grande prudenza e avvedutezza, che spesso gli fu più volte rimproverata, aveva ripetutamente salvato la causa imperiale in momenti pericolosi.
La morte di Bouquoy costrinse il piccolo esercito imperiale che non aveva un comando proprio autonomo a ritirarsi nell'isola di Schütt. Qui venne ripetutamente attaccato dagli ungheresi e costretto a combattimenti che gli arrecarono grandi perdite. Tutto sommato però né l'imperatore né Bethlen Gabor si sentirono di persistere nella guerra.

Bethlen non sapeva dove trovare il denaro per pagare in futuro i mercenari di Jagerndorf e le sue truppe ungheresi non erano in grado di misurarsi con i soldati tedeschi in una battaglia campale. Da parte sua l'imperatore dovette cedere alle pressioni di Massimiliano di Baviera che insisteva perché pensasse piuttosto ad aiutarlo nella lotta coi partigiani del conte palatino. Oltre a ciò i gesuiti che circondavano Ferdinando si persuasero che non era ancor giunto il momento per poter attuare con successo in Ungheria la stessa violenta reazione cattolica attuata in Boemia, e perciò i padri confessori chiamati a consiglio espressero il parere che nel caso presente l'imperatore poteva promettere tolleranza anche a degli acattolici.

La conclusione fu che l'imperatore accordò questa tolleranza ai protestanti ungheresi con apposito diploma in data 6 gennaio 1622 e contemporaneamente concluse con Bethlen la pace di Nikolsburg. In compenso della rinunzia al trono d'Ungheria e della consegna della corona ungherese, Bethlen ottenne il possesso vita natural durante di sette comitati ungheresi, i principati di Oppeln e Ratibor trasmissibili ereditariamente insieme col titolo di principe dell'impero, una indennità di guerra e un contributo annuo per la manutenzione delle fortezze ungheresi.

Dopo il ristabilimento della pace nel Palatinato e dopo la provvisoria, per quanto difficilmente duratura, sistemazione delle cose in Ungheria, il maggior interesse di Ferdinando era quello di provvedere al formale conferimento dei promessi compensi al duca di Baviera. Egli convocò allo scopo a Regensburg una deputazione, vale a dire una assemblea dei principi elettori allargata mediante la partecipazione degli altri signori territoriali più potenti.
Apertasi questa dieta il 7 gennaio 1623, gli umori dei principi elettori devoti all'imperatore si rivelarono così mutati che svanì ogni speranza di una concorde soluzione della questione del Palatinato.
Né il principe di Brandenburgo né quello di Sassonia si recarono alla dieta, giacché né l'uno calvinista, né l'altro luterano potevano assistere senza opposizione alla rovina del protestantesimo sistematicamente attuato in Boemia.

Ma arrivato a Regensburg, l'imperatore, che aveva già preso le sue risoluzioni, decise di fare a meno degli oppositori della dieta e di infeudare senza indugio di motu proprio e di propria autorità il duca di Baviera nella dignità di principe elettore palatino. E lo fece il 25 febbraio 1623 con particolare solennità. Ma dalla cerimonia si astennero tanto i deputati protestanti, quanto lo spagnolo Onate. La lega cattolica, immediatamente dopo la dieta di Regensburg, prevedendo che si sarebbe riaperta la lotta, deliberò contributi mensili dei suoi membri per il mantenimento di un contingente di 12.000 fanti e 3.000 cavalieri.

La situazione finanziaria dell'imperatore avrebbe potuto diventare splendida se le confische in Boemia fossero state eseguite nel suo interesse. Ma non fu così; nel suo entourage si formò una silenziosa associazione per l'acquisto delle terre in Boemia cui partecipavano persone che occupavano altissime posizioni, e in prima linea i membri del consiglio segreto e tutti coloro che negli ultimi anni di gravi angustie finanziarie avevano di tanto in tanto prestato del denaro ad alto tasso di usura.
A questa combriccola di personalità austriache si affiliò un uomo che superava tutti gli altri parvenus della corte viennese per pratica ed abilità negli affari, per spirito intraprendente e per ambizione e tenacia nel perseguire le sue mire ambiziose.

Costui, Alberto di Wallenstein (o Waldstein, nome che oggi porta ancora la sua famiglia) era nato il 24 settembre 1583. Precocemente orfano della madre era stato educato da un parente di lei, Enrico Slavata di Chlum nel castello di Roschenberg ed aveva frequentato la scuola di latino a Goldberg (Slesia). Come tutti i suoi parenti, egli era protestante. Il 25 agosto 1599 si iscrisse all'accademia Altorf di Norimberga. In seguito viaggiò in Germania, Francia ed Italia, accompagnato da un amico di Keplero, l'astronomo Paolo Virdung. Nel 1606 passò al cattolicesimo, e a quell'anno risale il suo primo matrimonio con Lucrezia Vickov della famiglia Landeck, ricca ereditiera di confessione cattolica. Divenuto erede della moglie e possessore di forti capitali si diede all'attività affaristica in grande stile. All'inizio non cercò di entrare nella carriera militare e nelle relative imprese finanziarie per quanto fosse sicuro che vi avrebbe fatto fortuna.
Fra gli studi che egli preferì da giovane e proseguì con ardore da uomo era l'astrologia cioè l'utilizzazione pratica delle nozioni astronomiche allo scopo di prevedere avvenimenti futuri, come la sorte delle persone ecc. Egli era convinto della serietà scientifica di queste elucubrazioni ch'erano di moda, ed alle quali per amor del pane dovette pagare il suo tributo persino il grande Keplero. Giacché chi appena poteva, si faceva fare un oroscopo, vale a dire si faceva determinare la posizione delle stelle al tempo della sua nascita e di altri eventi importanti della sua vita perché l'astrologo ne deducesse le previsioni circa il suo avvenire. Keplero nel 1608 trasse l'oroscopo di Wallenstein e ne dedusse che il giovane aveva grande ambizione e forte aspirazione alle dignità e alla potenza; che per questo si sarebbe fatti molti nemici, palesi ed occulti, ma che per lo più avrebbe trionfato su di loro, perché la sua «natività» aveva molte analogie con quella del cancelliere polacco Zamoiski e con quella della regine Elisabetta d'Inghilterra.

Durante il suo primo matrimonio egli si compiacque soprattutto di vivere da gran signore e stordire con il suo lusso i cortigiani viennesi. Entrò in rapporti d'amicizia col granduca Ferdinando e d'un tratto destò rumore e generale sorpresa con un atto inatteso; durante la guerra di Gradisca si pose spontaneamente a disposizione dell'arciduca con 180 corazzieri e 80 moschettieri arruolati da lui e mantenuti a sue spese.
Non abbiamo testimonianze attendibili che in questa occasione egli abbia dato prove di speciale valore ed in genere abbia arrecato contributi importanti alle operazioni militari. Quanto narra il suo biografo Gualdo Priorato é tutta una invenzione, malgrado che tutti gli storici posteriori, non escluso il Ranke, vi abbiano creduto.

Durante l'insurrezione boema Wallenstein parteggiò prima per Mattia e poi per Ferdinando, assunse imprese di arruolamenti, anticipò anche denaro, ma ad ogni modo fece ottimi affari. Per giudicare il suo carattere e le sue idee in materia di diritto di guerra può giovare un fatto che sorprese amici e nemici suoi. Come uno dei rappresentanti della nobiltà alla dieta morava, Wallenstein era pure nel 1619 comandante di un reggimento arruolato per conto della dieta. Tuttavia egli dichiarò che il reggimento lo teneva per conto dell'imperatore, lo condusse ad Olmütz, si impadronì, dopo aver trafitto il tesoriere che si opponeva, di 90.000 talleri della cassa pubblica e portò truppe e denaro a Vienna.
Per quanto in quei tempi di gravi ristrettezze un simile aumento di risorse abbia fatto molto comodo a Vienna, tuttavia sembra che negli stessi circoli dell'imperatore non si sia potuta nascondere l'impressione che quella era il frutto di una vera e propria rapina. Il governatore di Moravia, cardinale Dietrichstein si lagnò amaramente del fatto presso l'imperatore.

Nel campo avversario poi naturalmente Wallenstein fu bollato apertamente di spergiuro, di slealtà e di mancanza d'onore.
Alla guerra boema Wallenstein non partecipò che come impresario arruolatore e organizzatore di grossi corpi di truppe. Difficilmente poté essere presente, come si dice, al combattimento, di Zablat, perché era allora afflitto dalla gotta, dovuta secondo la sua stessa confessione, al troppo bere.

Quando i signori della combriccola viennese ordirono le loro speculazioni relative agli acquisti delle terre confiscate in Boemia, non mancò al banchetto il più accorto fra loro. Carlo Lichtenstein nominò Wallenstein governatore del regno di Boemia, ed egli approfittò della sua posizione per comprare una grande quantità di beni con moneta svalutata e adulterata. Così acquistò i feudi di Friedland, Reichenberg, Gitschin e poi altri cinquantasette possedimenti confiscati, di modo che nel 1624 il complesso dei suoi dominii poteva essere valutato a 4.600.000 fiorini di buona moneta.
Quanto al denaro usato per questi affari di compravendita, come é risultato da apposite indagini, poco si differenziò la sua condotta, da quella di un falsario di monete. Nei rapporti col tesoro imperiale egli divenne sempre più il banchiere; nel 1623 il tesoro gli doveva già 700.000 fiorini d'oro. Gli enormi capitali che si accumularono in tal modo nelle mani di Wallenstein gli dovevano ben presto offrire l'occasione di organizzare la più grandiosa impresa mai assunta da un condottiero.

Solo per breve tempo le classi produttrici, il cittadino e l'agricoltore, poterono accarezzare la speranza che alla dilaniata Germania sarebbe stata ridonata la "pace cristiana". Guardando a quanto era accaduto nelle operose regioni del Palatinato renano, potevano già presagire che cosa avrebbero dovuto patire ove tornasse a regnare l'arbitrio esclusivo della soldatesca sfrenata. E forse questi mali e la guerra sarebbero stati evitati se ciascuna delle parti contendenti avesse rinunziato a qualcosa delle sue pretese ed esigenze. Ma così non fu, ed anzi la situazione si aggravò e complicò a causa dell'intervento straniero.

La Spagna e l'Olanda erano di nuovo in stato di guerra dichiarata. Ambedue credettero vantaggioso tenere occupati dei saldi punti d'appoggio fuori del proprio territorio, anzi ritennero opportuno occupare con le loro truppe intere regioni. Così vi erano guarnigioni spagnole dislocate in Vestfalia. Da parte loro gli stati generali si rifecero impadronendosi della Frisia orientale. Mansfeld fu incaricato dell'operazione. Siccome l'ultimo conte di Frisia, Cuno, era sospetto di intendersela con gli spagnoli, l'intraprendente condottiero si credette autorizzato ad invadere con circa 6.000 uomini il suo territorio, a prenderlo prigioniero ed a formarsi, imponendo al paese abbondanti contribuzioni un cospicuo fondo di guerra che gli doveva servire per arruolare nuovi soldati ed ingrossare il proprio esercito in modo da rendersi autonomo.
Lo raggiunse immediatamente il suo vecchio compagno d'armi, Cristiano d'Halberstadt, che dopo la battaglia di Fleurus, lasciandosi amputare l'avambraccio sinistro, dopo una infezione aveva potuto riacquistare la salute, e ben volentieri accettò ora di servire gli Stati generali come luogotenente di Mansfeld.

La Lega da parte sua inviò un certo numero di reggimenti verso nord, fece occupare Paderborn ed estese il suo schieramento sino alla contea di Mark e al ducato di Berg. I due avversari si trovarono così allineati di fronte sul Weser, pronti alla guerra, ma poco desiderosi di venire effettivamente alle mani, quando scoppiò ai confini meridionali dell'impero l'insurrezione della Valtellina.

Fra il territorio degli allora confederati svizzeri e la contea absburgica del Tirolo si era formato un particolare organismo statale: «die drei Bünden » (le tre leghe, delle quali la lega grigia ha dato il nome all'attuale cantone dei Grigioni). I suoi abitanti erano gente prode, bellicosa, gelosissima della propria indipendenza sopra tutto nei riguardi della Spagna. Dopo essersi annessa la Valtellina, costoro dominavano la strada da Milano a Costanza ed Innsbruck. Questa strada aveva acquistato importanza strategica sempre maggiore a misura che per le due potenze absburgiche era cresciuto l'interesse di poter spostare facilmente le loro truppe dall'Italia in Germania e viceversa.

La Spagna aveva molti sostenitori e manteneva numerose spie ed agenti stipendiati in Valtellina, dove la popolazione era quasi esclusivamente cattolica, mentre lo stato cui la regione apparteneva era prevalentemente protestante.
Siccome il governatore spagnolo di Milano, conte Fuentes, subito dopo la nota congiura di Jacques Pierre a Venezia, si permise vari soprusi contro quello stato e pretese l'assoluta libertà di transito delle truppe spagnole sul suo territorio, la Repubblica dovette preoccuparsi seriamente di questa faccenda, tanto più che da parte del governatore del Tirolo, l'irrequieto arciduca Leopoldo, vi era da temere che ordisse qualche «impresa» ai suoi danni d'accordo con Fuentes.
Nel luglio 1620 venne poi l'insurrezione della Valtellina col massacro di 350 protestanti e la guerra degli insorti contro il loro stato, nella quale essi furono aiutati palesemente o segretamente dalla Spagna e dall'Austria. La lotta finì nel 1622 col trattato di Milano, nel quale la Spagna e il granduca Leopoldo si assicurarono il diritto di tener guarnigioni, l'una in Valtellina e l'altro nella regione adiacente al Voralberg. Venezia si accorse a cose fatte e troppo tardi che Spagna ed Austria l'avevano così accerchiata e che la sua situazione era divenuta molto pericolosa. E il matrimonio dell'imperatore con la principessa Eleonora di Mantova sembrò ribadire il cerchio di ferro che si era stretto attorno alla Serenissima.

Anche la Francia non poteva restare indifferente di fronte alla strapotenza della casa d'Absburgo nell'Europa centrale, tanto più che Armando Duplessis, il futuro cardinale di Richelieu, aveva dal 1624 ripreso l'indirizzo politico di Enrico IV e mirava ad instaurare l'egemonia della Francia in Europa. La Savoia e Venezia perciò trovarono a Parigi orecchie disposte ad ascoltarle allorché proposero di intervenire collettivamente contro la Spagna e l'Austria per cancellare lo stato di cose creato dal trattato di Milano. Si presero accordi per la formazione di più eserciti a spese comuni, si promisero aiuti agli stati generali e si iniziarono trattative con Mansfeld; ma per il momento non si passò ai fatti che dato che Parigi credette di dovere ancora dei riguardi verso la Spagna.
Si passò poi invece ai fatti in un altro lato.

Bethlen Gabor dopo la pace con l'imperatore rimase ben poco tempo tranquillo. Nell'agosto 1623 si mosse alla testa di 20.000 uomini, in massima parte cavalleria leggera, ma quando arrivò ai confini della Moravia apprese che i suoi alleati in Germania erano stati già battuti e che non poteva contare sulla cooperazione di un esercito condotto da Jagerndorf. Era infatti avvenuto questo: Mansfeld, col consenso della bassa Sassonia che si sentiva minacciata dalla vicinanza delle truppe della Lega aveva occupato Osnabrück e il territorio di Munster; il duca di Weimar poi si era unito a lui con alcuni reggimenti arruolati con i contributi in denaro dei suoi vicini di Turingia.
Tilly mosse loro incontro e si venne a battaglia presso Stadtlohn; l'esercito di Mansfeld e Weimar inferiore di numero rimase sconfitto e posto in fuga; il duca di Weimar cadde prigioniero. Mansfeld cedette agli stati generali per 300.000 fiorini le piazze forti della Frisia orientale e abbandonò questa regione recandosi all'Afa.

Per riportare questi successi e mantenere le proprie posizioni nel nord così la Lega come l'imperatore avevano peraltro dovuto fare gli estremi sforzi; e quindi Ferdinando non ebbe risorse sufficienti per impegnare la lotta anche contro Bethlen Gabor. A Vienna pertanto si fu subito disposti ad accogliere la domanda di armistizio avanzata dal principe ed a concludere con lui la pace l'8 maggio 1624.

Nella bassa Sassonia divenne sempre più viva la preoccupazione, già sopra rilevata, per la pericolosa vicinanza dei reggimenti leghisti, i quali, per quanto malandati e diminuiti di numero, erano sempre abbastanza forti per mettere a sacco e a ruba con crescente crudeltà i paesi che occupavano. Tilly a dire il vero personalmente avrebbe amato condurre la guerra con metodi umani e decorosi, ma non fu in grado di arginare la degenerazione e l'indisciplina che si diffusero in modo deplorevole nell'esercito della Lega altrettanto quanto fra le truppe di Mansfeld e di Halberstadt. I sassoni cercarono e trovarono assistenza nella Danimarca per armarsi e tenersi preparati a difendere la propria fede evangelica ed a respingere eventuali attacchi della Lega.

L'Inghilterra avrebbe avuto buoni motivi per intervenire nella guerra contro le potenze cattoliche, e il Parlamento era pronto a concedere i fondi necessari a condizione che la guerra fosse in prima linea condotta sul mare. Ma re Giacomo si mostrò poco disposto ad accettare simile condizione, perché riteneva anzitutto necessario risollevare, con la riconquista del Palatinato, il suo prestigio scosso in Europa.
Egli interruppe pertanto le trattative col Parlamento e morì l'8 aprile 1625 senza averle riprese. Tuttavia il suo successore Carlo I si riaccostò alla Francia. Le due potenze nel giugno 1625 conclusero un trattato che fissò i contributi della Francia e dell'Inghilterra per provvedere alla tutela dell'indipendenza degli stati generali. Inoltre vennero riallacciate le intese tra il Brandenburgo da un lato e la Danimarca dall'altro.

Gustavo Adolfo, che aveva concluso un armistizio con i Polacchi fino al giugno 1625 era disposto ad accedere volentieri ad una grande coalizione che avesse per scopo, non solo di restaurare il conte palatino nei suoi domini, ma anche di distruggere in genere la potenza austro-absburgica, e si dichiarava pronto per parte sua ad iniziare la lotta con una invasione nella Slesia. Fu studiato il piano complessivo per la levata di tutte le forze militari evangeliche e Gustavo Adolfo ritenne di potere per conto suo arruolare 50.000 uomini se gli si fornivano i necessari mezzi finanziari.

L'improvvisa entrata in scena dell'ambizioso re di Svezia decise Cristiano di Danimarca a prendere le armi prima ancora che fosse costituita la grande coalizione. A preparazione di ciò egli convenne con la dieta della bassa Sassonia che gli sarebbe stato affidato il comando supremo delle truppe sassoni, e vennero fissate le condizioni di arruolamento di esse ed il finanziamento (diete di Luneburg, marzo 1625, e di Braunschweig, maggio 1625). Anche Mansfeld procedé alla formazione di un nuovo esercito. Il denaro all'uopo necessario egli lo prese dall'Inghilterra e dalla Francia, ad onta che i due governi gli affidavano due incarichi incompatibili; l'Inghilterra la restaurazione del conte palatino, la Francia il ripristino dello statu quo ante in Valtellina.

Sebbene i fondi a disposizione di Mansfeld fossero molto limitati, tuttavia tornarono ad affluire a lui soldati in numero soddisfacente. I suoi arruolamenti si estesero all'Inghilterra, alla Francia e alla Germania; cosicché l'esercito di Mansfeld perdette il precedente carattere nazionale, come da tempo era avvenuto per l'esercito della Lega. In questo modo egli radunò in Olanda un contingente fra i 12 e i 14 mila uomini. Ma in questo esercito di composizione eterogenea ben presto regnò il difetto in tutto; così quando Mansfeld, dopo aver tentato invano di liberare Breda dall'assedio, si mosse nel luglio 1625 verso la Bassa Sassonia per rinforzare l'esercito di Cristiano IV, non gli portò di certo un rinforzo né di notevole valore, né per numero, nè per coesione organica.

La lega si sentì preoccupata di fronte a tutti questi preparativi. Le sue risorse non bastavano a sostenere una guerra contro una vasta coalizione di potenze; ché anzi in una assemblea tenuta ad Augusta nell'aprile 1624 si era dovuto constatare che le casse erano vuote e i membri della Lega, non escluso il papa, erano in arretrato persino coi pagamenti dei precedenti contributi. Se pertanto la Francia e l'Inghilterra si fossero decise seriamente ad intervenire con le armi in favore del conte palatino e dei suoi fautori, si rischiava di essere sorpresi impreparati e di essere spazzati via.
Massimiliano di Baviera vide benissimo che l'esito della nuova guerra sarebbe stato assai incerto e fece premura presso l'imperatore perché finalmente anch'egli si decidesse a mandare un cospicuo corpo di truppe. Se non che l'imperatore non aveva né truppe (giacché le poche dislocate in Ungheria erano in condizioni miserevoli), né denaro per procedere a nuovi arruolamenti. Di questa situazione imbarazzante dell'imperatore e dell'addensarsi di tanti pericoli da ogni lato approfittò Wallenstein per avanzare la proposta di arruolare a proprie spese un esercito per conto di Ferdinando.
In grazia delle sue seconde nozze con Isabella Harrach, figlia di uno dei dirigenti della politica imperiale, egli era salito in auge alla corte di Vienna ed aveva ottenuto la dignità di principe dell'impero dopo l'erezione del complesso dei suoi possedimenti in Boemia a ducato di Friedland.

L''imperatore accolse la proposta, che del resto non era cosa nuova, e il 25 luglio 1625 lo nominò generale con l'obbligo di arruolare al proprio servizio 6.000 cavalieri e 15.000 fanti.
Il compito fu assolto più rapidamente di quanto si sarebbe creduto, ed un numero di soldati superiore a quello desiderato affluì da tutta la Germania sotto le bandiere dell'imperatore. La guerriglia che da sei anni si era svolta nelle varie regioni germaniche, mentre aveva distrutto molte esistenze di borghesi delle città e contadini, mentre aveva anche troppo dimostrato la nessuna sicurezza della proprietà privata, aveva per contro insegnato quanto bene si poteva campare facendo il mestiere di mercenario.
Se anche il soldo non era pagato spesso regolarmente, si sapeva però che vi era sempre il modo di rifarsi altrimenti. La notoria ricchezza del duca di Friedland e la non meno nota sua spregiudicatezza garantiva del resto che denaro non ne sarebbe mai mancato e che il generale non avrebbe avuto nulla da obiettare se i suoi fedeli soldati se ne procuravano dell'altro con le proprie mani.

La pace di Gyarmat, conclusa il 2 maggio 1625 con i Turchi con la cooperazione di Bethlen Gabor, assicurò la possibilità di impiegare nel nord le truppe di Wallenstein. Nella dieta di Oedenburg, apertasi nell'ottobre 1625, l'imperatore ottenne pure l'elezione di suo figlio Ferdinando (III) a proprio successore in Ungheria, e il giovane re null'altro dovette promettere che la conservazione degli ordinamenti esistenti.
Oltre ad aiutare Tilly, il compito segnato a Wallenstein sin dall'inizio della campagna fu quello di restituire al possibile al cattolicesimo gli antichi vescovadi del nord; queesto perché si progettava in particolare di dare in appannaggio al secondogenito dell'imperatore, Leopoldo Guglielmo, Halberstadt e Magdeburgo.

Questo incarico speciale si conciliava benissimo con gli interessi di Wallenstein perché implicava la necessità che egli non si limitasse a seguire le orme di Tilly, ma potesse agire quale comandante autonomo. Dopo una conferenza con Tilly ad Allendorf an der Warra, egli nell'ottobre, marciò lungo il corso della Leine ed entrò nella bassa Sassonia. Tuttavia non volle provocare un urto con l'esercito di Cristiano di Danimarca, ma mirò unicamente ad assicurarsi i quartieri d'inverno e le contribuzioni.

D'ora innanzi la presenza dell'esercito di Wallenstein in un paese equivalse al suo completo immiserimento. Le sorti delle regioni, teatri di guerra, non furono più decise dall'imperatore, ma dal condottiero del suo esercito i cui poteri erano divenuti assolutamente illimitati; e ciò avvenne non più, come nel caso di Mansfeld e di Halberstadt, col suggello dell'arbitrio illegale, ma in forma apparentemente legale, come una legittima attuazione della volontà imperiale.

Prevalse ora in modo assoluto il principio: l'impero deve mantenere le truppe imperiali, ed il provvedere a questo incombe sempre a quella delle regioni in cui le truppe si trovano. Quali oneri implicasse nei singoli casi la parola mantenimento delle truppe, spettava al solo comandante supremo di deciderlo. In primo luogo doveva rifornirsi quanto occorreva al nutrimento degli uomini e dei cavalli, fabbisogno che veniva calcolato con la massima prodigalità. Spessissimo peraltro i soldati pretendevano assai più di quanto era stato fissato; ma chi poteva rifiutarsi di subire il sopruso se il diniego provocava immediatamente le più atroci violenze?
Le gozzoviglie e l'intemperanza furono d'ora in poi all'ordine del giorno negli eserciti cattolici, e non soltanto in quelli cattolici. Valga ad esempio il caso di quei 200 soldati di cavalleria, i quali, soffermatisi per due giorni nel convento di Hegbach sul Reno, ebbero bisogno in questo breve periodo di 1952 libbre di carne, di ogni sorta di confetture e ghiottonerie, e partendo si portarono via 1000 fiorini in contanti come preteso compenso di quanto i monaci avevano risparmiato per il loro mantenimento.

La paga dei soldati era straordinariamente cresciuta dall'inizio della guerra in poi. Il fante che nel XVI secolo percepiva 4 fiorini mensili, ora ne riscuoteva normalmente nove. Se questo poteva giustificarsi con l'aumento generale dei prezzi, era una spudorata esagerazione che un colonnello ricevesse 500 fiorini ed un comandante di compagnia 100 fiorini alla settimana. Non era già più cosa rara perciò che il piccolo borghese o il piccolo proprietario fondiario, dopo che i soldati alloggiati in casa sua avevano divorato tutto, facesse causa comune con loro, si facesse arruolare e seguisse il suono del tamburo, abbandonando moglie e figlioli.

Al mantenimento della famiglia doveva pensare l'ingegnosità della moglie, all'educazione dei figli, destinati anche essi a diventar soldati, o il maestro di scuola, il quale molte volte partiva volentieri anche lui con gli eserciti.
Nell'inverno tra il 1625 e 1626 gli stati della bassa Sassonia inviarono nuovamente all'imperatore proposte di pace a condizione che fosse loro garantito il possesso indisturbato dei beni ecclesiastici e pagato un indennizzo per i danni sinora ad essi arrecati dalla guerra; l'imperatore doveva congedare le sue truppe prima ancora che essi avessero cominciato la smobilitazione delle proprie; essi avrebbero poi provveduto a che anche Cristiano IV e Mansfeld deponessero le armi.

Si voleva, come si vede, null'altro che il ripristino dello stato di cose anteriore allo scoppio della guerra. A nessuno simile proposta riuscì più incomoda e fece più disappunto che a Wallenstein cui non tornava conto troncare una guerra che nei suoi disegni doveva servire ad accrescere la sua potenza e la sua autorità. Ben per lui dunque che anche Mansfeld avesse il proposito di continuare la guerra finché non si era conquistato un cospicuo territorio e la dignità di principe dell'Impero.

Così giunse la primavera del 1626 senza che si fosse trovata una base idonea ad intavolare trattative di pace. Mansfeld, che d'accordo col re di Danimarca aveva preso posizione sulla bassa Elba, volle rafforzarla mediante l'occupazione della testa di ponte di Rosslau di fronte a Dessau.
Wallenstein intuì a tempo questa sua intenzione, munì il ponte delle necessarie fortificazioni ed attese l'attacco di Mansfeld. Questi sottovalutò le forze e la capacità dell'avversario ed ordinò l'assalto ai trinceramenti di Rosslau, benché ne fosse stato sconsigliato. Subì cpsì una disfatta (25 aprile 1626) che gli costò 4.000 uomini e lo costrinse ad abbandonare le sue posizioni sull'Elba.

La sconfitta di Mansfeld destò naturalmente malumore e provocò scoraggiamento nei suoi alleati e soprattutto nelle potenze che lo finanziavano. Il nuovo re d'Inghilterra, Carlo I, e il suo influentissimo ministro Buckingham sarebbero stati fin dall'inizio disposti a fare i massimi sacrifici per raggiungere il loro scopo, cioè la restaurazione del conte palatino. Ma i rapporti fra re e parlamento non erano sotto il nuovo re migliori che sotto Giacomo I, e si era appena potuto mettere assieme quanto si doveva pagare a Mansfeld per sette mesi con il pattuito sussidio di 30.000 sterline mensili.
Queste somme e i 50.000 fiorini mensili che davano gli stati generali erano in sostanza tutto il denaro contante su cui si poteva contare con sicurezza, giacché Gustavo Adolfo, che si era nuovamente offerto a condurre la guerra su due fronti, contro la Polonia e contro l'imperatore, non portava con sé contributi di denaro, anzi ne chiedeva per arruolare nuove truppe e mantenerle, non volendo comandare dei mercenari che dovessero poi vivere di rapina.

Richelieu aveva all'inizio aveva mandato un po' di denaro a Mansfeld, ma i suoi contributi cessarono allorché scoppiò la guerra con gli Ugonotti guidati da Rohan e Soubise. Per conseguenza quando, dopo la battaglia al ponte di Dessau, Mansfeld e Cristiano di Danimarca si consigliarono sul da fare, furono d'accordo che il miglior partito era di creare complicazioni all'imperatore anche sul fronte orientale. Allo scopo si avvalsero di Bethlen Gabor, il quale dopo ogni pace conclusa non cercava che un'occasione per scattare nuovamente. Le trattative per il suo intervento furono condotte all'Afa, e Gabor fece sapere che aderiva alla coalizione a condizione che gli si corrispondessero 40.000 talleri mensili. Francia, Inghilterra, Danimarca e le province unite si impegnarono a prestar in comune questa somma non appena Gabor si fosse presentato sul teatro della guerra invadendo la Slesia.

D'altro canto nel campo cattolico non regnò concordia sugli immediati obiettivi da perseguire. Gli interessi della Spagna e dell'imperatore, non appena si lasciava il terreno religioso, divergevano subito. La Spagna mirava a distruggere il commercio, e con esso la ricchezza delle Province unite che loro permetteva di provvedere alle spese di guerra. Perciò la Spagna avrebbe preteso che alla guerra si desse il carattere prevalente di guerra marittima e che dal lato di terra il campo delle operazioni si spostasse il più possibile verso i confini olandesi.

Se non che Massimiliano di Baviera diffidava della Spagna che non aveva formalmente riconosciuto il suo acquisto del Palatinato; inoltre la sua situazione divenne nella primavera del 1626 assai difficile a causa della insurrezione dei contadini che le durezze delle autorità cattoliche contro la popolazione tuttora attaccata alla fede evangelica provocarono in Alta Austria.
I successi di questi contadini, eccellentemente organizzati e prodi sino al fanatismo, e sopra tutto la grave disfatta da loro inflitta a Feuerbach al governatore bavarese, costrinsero il principe a trattenere in quella regione più truppe di quanto era previsto. E il venir meno degli sperati rinforzi mise in serio imbarazzo Tilly.

Non meno ambiguo e pericoloso per la situazione dell'esercito della Lega fu l'atteggiamento del governo spagnolo di Bruxelles, il quale in seguito ad alcuni piccoli scacchi militari subiti ad opera del principe Enrico d'Orange e del conte Casimiro di Nassau, trattenne le sue truppe in paese e non mandò a Tilly i promessi rinforzi di soldati spagnoli. Per conseguenza l'estate del 1626 trascorse senza serie operazioni militari. D'un tratto poi in agosto ricomparve sulla scena Bethlen Gabor, e Mansfeld e il duca Giovanni Ernesto di Weimar, con l'ordine del re di Danimarca, marciarono verso la Slesia, per attenderne l'arrivo e unirsi a lui.
I principati slesiani erano completamente spogli di truppe imperiali e la popolazione evangelica quindi, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto opporre resistenza alle truppe invadenti che assommavano pur sempre a quasi 10.000 uomini. A tal punto Wallenstein, dopo breve incertezza, si convinse che una avanzata al nord non era più possibile, né in cooperazione con Tilly, né mediante un'azione propria autonoma, e che la situazione lo chiamava verso Est.

Se Cristiano di Danimarca fosse in questo momento riuscito con uno sforzo estremo a cacciare le truppe della Lega dalla Germania settentrionale, la situazione militare dell'imperatore nella successiva primavera avrebbe potuto presentarsi gravida di pericoli. Ma Cristiano non era uomo di guerra e non aveva neppure dei generali di valore che potessero competere con un soldato sperimentato come Tilly. Questi pertanto, manovrando opportunamente, riuscì a sospingerlo dove volle e ad obbligarlo ad accettar battaglia in posizione svantaggiosa. Lo scontro avvenne questa volta a Lutter, il 27 agosto 1626. Cristiano non ebbe che tre ore di tempo per disporre lo schieramento delle sue truppe e prender posizione; di modo che il tutto riuscì affrettato ed imperfetto ed egli dovette riporre tutte le sue speranze in un poderoso urto delle sue masse di fanteria mandate all'assalto.
E di fatti i primi scaglioni di truppe bavaresi rimasero travolti; ma poi bastò la ferma resistenza di un reggimento di Tilly per arrestare le fanterie danesi e per prenderle fra due fuochi. Queste allora oscillarono, fecero dietro front e si dettero alla fuga. Cristiano rimase senza esercito, perché le sue fanterie andarono quasi completamente disperse o prese prigioniere ed infine tutta la sua artiglieria cadde nelle mani di Tilly.

Nel frattempo Wallenstein col grosso dell'esercito si era diretto verso la Moravia, e con una marcia, per quei tempi ecceziopnale, di soli 25 giorni, riuscì a concentrare le sue truppe ad Olmütz. I suoi avversari si trovavano in situazione assai precaria perché Bethlen Gabor, muovendo dalla Transilvania, era giunto appena nell'Ungheria settentrionale e quindi la sperata congiunzione con lui era ancora di là da venire e per un pezzo non si sarebbe potuta verificare. Se Wallenstein avesse preso l'offensiva con la stessa rapidità con cui era arrivato, avrebbe potuto facilmente raggiungere e battere Mansfeld e Weimar.
Ma indugiò, ed il primo, malgrado che avesse anche lui tardato a ritirarsi, riuscì nondimeno a sfuggire all'inseguimento della cavalleria di Wallenstein ed a raggiungere Bethlen. Ancora una volta Wallenstein trascurò di piombare con una mossa rapida addosso al nemico che non sarebbe stato in grado di resistergli. Bethlen medesimo evidentemente temette appunto una simile mossa, perché retrocesse sino a Magyszombat (Tyrnau).

Poco dopo costui era già nuovamente in trattative di pace con gli imperiali, e nella conclusione effettiva della pace, avvenuta il 20 dicembre 1626 a Presburgo, dava una prova del suo carattere volubile impegnandosi ad abbandonare alla loro sorte le truppe che erano accorse a lui dalla Germania. Queste si ritirarono a piccoli scaglioni in Slesia. Mansfeld, che si era separato da loro, si propose di recarsi a Venezia per procurarsi nuovi sussidi di denaro. Egli si mise in viaggio attraverso l'Ungheria e la Bosnia, accompagnato da pochi amici; ma, essendo già da un pezzo gravemente ammalato, fu colto dalla morte presso Seraiewo.

Per disposizione della Repubblica veneta, che all'inizio era rimasta non poco sorpresa all'apprendere la presenza di Mansfeld sul suo territorio, le spoglie del cavalleresco condottiero, cui nessuno poteva rifiutare un certo grado di stima e di considerazione, furono tumulate nel duomo di Spalato. Pochi giorni dopo di lui morì in Ungheria il suo ultimo compagno d'armi, Ernesto Giovanni di Weimar, che come lui non aveva che 32 anni.

Alla corte di Vienna, dove da tutta la Germania, e così da parte cattolica come da parte protestante, piovevano i reclami sui sistemi di guerra e sulle atrocità delle truppe di Wallenstein, si fece a quest'ultimo una grave colpa di non aver spinto il suo esercito più addentro nell'Ungheria e di non aver dato la caccia a Bethlen. L'odio e l'invidia con cui molte delle famiglie nobili influenti alla corte viennese avevano assistito alla sua ascensione contribuirono naturalmente ad eccitare ogni giorno di più il malumore contro di lui.

D'ora in poi a Vienna si formarono due partiti nettamente distinti: i wallensteiniani e gli antiwallensteiniani, dei quali i rappresentanti della Spagna si valsero per sostenere ovvero per combattere il generale a seconda che lo richiedeva l'interesse del loro paese. Per questo strano stato di cose l'imperatore ebbe a temere di ricevere da un giorno all'altro la domanda di esonero di Wallenstein. Egli la anticipò, incaricando Eggenberg di recarsi a Bruck an der Leitha per avere un colloquio col generale.
Eggenberg, il quale godeva come nessun'altro la fiducia di Ferdinando, pare che fosse rimasto sempre in buoni rapporti con Wallenstein. Ad ogni modo egli riteneva che il fortunato condottiero, la cui rapida carriera tanto assomigliava alla sua, era l'uomo più adatto a realizzare il programma politico di centralizzazione ed assolutismo della casa d'Absburgo in Germania, programma che egli pure sosteneva.

Cosicchè il convegno di Bruck (26 novembre 1926) ebbe per risultato niente di meno che l'alleanza tra l'uomo politico più influente alla corte di Vienna e l'unico generale di Ferdinando II che comandasse un esercito imperiale. Wallenstein sostenne che la politica imperiale dovesse soprattutto imporsi in Germania; gli stati e paesi ereditari degli Absburgo dovevano essere difesi senza loro accollare i pesi della guerra; il miglior modo di raggiungere la pace era quello di lasciar pagare le spese degli eserciti imperiali alla stessa Germania fino a quando l'uno dopo l'altro i principi non si persuadessero a deporre le armi.
Tutto ciò peraltro non poteva attuarsi se non a patto di distribuire in tutta la Germania un grande esercito, di fronte al quale l'Europa dovesse tremare. Questo programma era altrettanto chiaro quanto semplice e pratico; si dice che Wallenstein lo abbia riassunto nella frase: «Io voglio che l'imperatore di Germania sia altrettanto padrone in casa sua quanta lo è il re in Francia»; il che peraltro non poteva raggiungersi se non sovvertendo la costituzione allora vigente.

Ma in verità forse intendeva fare lui l'imperatore e riuscì a detenere così ampi poteri che divenne incomodo, anzi intollerabile, andando così incontro alla catastrofe, anzi alla sua tragedia (ma di questo parleremo molto più avanti).

Eggenberg si lasciò convincere senza difficoltà della bontà di questa idea e ritornò a Vienna col proposito di guadagnare ad essa anche l'imperatore. Ma era Ferdinando l'uomo capace di riformare l'impero germanico e dare un nuovo assetto all'Europa?

Che non fosse tale
lo dimostrano gli eventi immediatamente successivi.

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