-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

136. LA RIFORMA IN INGHILTERRA


Il rientro solenne di Elisabetta

Quando Maria Tudor il 17 novembre 1558 chiuse la sua tormentata esistenza, la sua dipartita segnò pure la fine della reazione cattolica in Inghilterra, anche perchè l'irritazione e il fermento erano arrivati al colmo. Ma lei sinceramente reputava suo diritto e suo dovere estirpare con mano ferrea l'eresia per salvare dalla perdizione il popolo a lei affidato. Credeva di adempiere così al suo più sacro dovere di sovrana e di essere una vera benefattrice dei suoi sudditi.
Ma il popolo non era fanatico come gli spagnoli. E se in seno al popolo inglese il protestantesimo conseguì ben presto piene vittorie, lo si dovette soprattutto all'orrore che in esso avevano suscitato le pene capitali e le fiamme dei roghi.
Ed era stata Maria Tudor a richiamare in vigore le vecchie leggi penali contro gli eretici; e non si trattò di un semplice richiamo a parole; numerosi protestanti vennero arsi sul rogo, e la persecuzione religiosa divenne sistematica eliminando i personaggi più influenti e tutti i sostenitori del movimento di riforma.
Ecco perchè la sua morte fu appresa con generale soddisfazione.


Dopo Maria Tudor, salì sul trono inglese, in età di 25 anni, sua sorella Elisabetta, figlia di quell'Anna Bolena, moglie di Enrico VIII, che (dopo aver fatto tanto per sposarla, e dopo la frattura con il papato, creando una propria personale religione) era stata mandata al patibolo come adultera.
Elisabetta era venuta su in mezzo alle ristrettezze, privata di madre e respinta da suo padre. Il primo uomo che aveva toccato il suo cuore, Lord Tommaso Seymour, era anche lui finito sul patibolo come reo d'alto tradimento ed ella stessa aveva corso pericolo di subire ugual sorte. La vita di tribolazioni e di sospetto che aveva dovuto trascorrere le aveva insegnato la durezza del cuore, l'ipocrisia e il pieno dominio di sé stessa; ma essa aveva cercato tuttavia un sollievo alle contrarietà negli studi, di modo che non solo era versata nella musica e nei lavori femminili, ma conosceva il francese e l'italiano, il latino ed il greco, le matematiche e la filosofia. A tutto ciò aggiungeva le doti naturali della perspicacia e della chiarezza di giudizio.

Dopo il breve regno di suo fratello Edoardo VI, che rappresentò per lei una parentesi confortante, venne al governo Maria, la figlia di quella Caterina d'Aragona che era stata ripudiata per amore della madre di Elisabetta, Anna Bolena.
Cattolica fervente, Maria Tudor odiava Elisabetta come eretica perché si rifiutava tenacemente di andare a messa. La principessa dovette ritirarsi a vivere in campagna. Dopo una insurrezione protestante, nella quale fu ritenuta immischiata, venne arrestata e rinchiusa nella Torre di Londra, l'anticamera del patibolo.

Molti cattolici zelanti e l'imperatore stesso consigliarono di toglierla di mezzo per sempre; ma il popolo e la nobiltà, già allora indignati per la fanatica mania sanguinaria della regina, la costrinsero a rinunziare al supplizio di Elisabetta.
Il suo migliore avvenire si andò poi sempre più delineando, perché la parte più giovane e più colta del popolo inglese concentrò su lei le sue simpatie e lo stesso Filippo II di Spagna la protesse, pensando perfino di sposarla alla morte, attendibilmente non lontana, dall'idropica Maria.
La elevazione al trono di Elisabetta (16 novembre 1558) si effettuò senza ostacoli di sorta.

Colei che era stata bandita, incarcerata, minacciata del patibolo, si trovò d'un tratto regina. Tutto andò liscio perché i protestanti la aiutarono con gioia come una dei loro, come la figlia di Anna Bolena, la martire, e i cattolici furono indotti dalla influenza spagnola a farle omaggio. Se Elisabetta non fosse divenuta regina, la corona inglese sarebbe infatti andata a Maria Stuarda, regina di Scozia e delfina di Francia, e tutto l'occidente europeo sarebbe caduto sotto l'egemonia francese a scapito della Spagna.

In fondo Elisabetta nei riguardi confessionali non aveva convinzione decise. Il suo forte attaccamento all'ordine ed al principio d'autorità, le belle, imponenti e suggestive forme esteriori del rito cattolico, la salda organizzazione gerarchica, la facevano propendere per la Chiesa cattolica. Inoltre lo spirito democratico del calvinismo la spaventava. D'altro canto però essa non intendeva adattarsi ad una soggezione a Roma ed alle sue gerarchie, ad una rinunzia alla indipendenza nazionale e ad un ritorno indietro rispetto alle riforme operate da suo padre.

In passato il papato aveva così decisamente preso posizione contro sua madre Anna Bolena e contro di lei personalmente che essa non si sentiva di potergli essere amica. Altrettanto incerti erano gli umori del popolo inglese. La nobiltà, gli alti funzionari, i cavalieri erano in prevalenza cattolici, e così pure la maggioranza della rimanente popolazione per vecchia abitudine. Ma le persecuzioni perpetrate da Maria avevano reso Roma sospetta a tutto il popolo, e gli elementi giovani, operosi, animati da caldo patriottismo si sentivano portati nettamente al partito di un mutamento di confessione religiosa.

In armonia a questa situazione generale ed al suo stato d'animo personale, nonché alla sua predilezione per i metodi obliqui e gli espedienti tortuosi, Elisabetta adottò nel campo politico e nel campo religioso un contegno cauto e un'attitudine temporeggiatrice. Essa declinò amichevolmente l'offerta di matrimonio di Filippo II (vedovo di Maria Tudor) ed invece acconsentì che avessero corso trattative per una eventuale unione con un arciduca austriaco, almeno pro forma.
In realtà essa non aveva, come non ebbe mai in seguito, intenzione di maritarsi perché temeva di trovarsi un marito anche un padrone, mentre voleva esser lei l'unica depositaria del potere; ma della promessa della sua mano si valeva sempre come di un ottimo e proficuo strumento politico, e nel caso attuale se ne servì per lusingare gli Absburgo e guadagnarsi la tranquillità da parte della Spagna.

Nel campo religioso Elisabetta, convocato un nuovo parlamento, ristabilì d'accordo con questo l'indipendenza della chiesa anglicana da Roma e ripristinò la supremazia ecclesiastica della corona. Ma in seguito andò ancora più in là, giacché rimise in vigore il libro di preghiere obbligatorio di Edoardo VI, per quanto in una edizione depurata di ogni allusione ostile al cattolicesimo, e lo impose a tutti gli ecclesiastici sotto minaccia di pene severe.

Questi suoi atti suscitarono l'opposizione del clero cattolico. Di 14 vescovi tredici rifiutarono di prestare il giuramento di supremazia e vennero incarcerati, Duecento altri ecclesiastici preferirono perdere la loro posizione piuttosto che rinnegare le proprie convinzioni. Ma, salvo ciò, non si ebbero per il momento persecuzioni religiose, alle quali la regina era per principio avversa. Ognuno per ora poté seguire la credenza che volle. Venne bensì vietato l'esercizio del rito cattolico sotto minaccia di multe, ma la legge non fu in pratica applicata. Nelle contee del nord e dell'ovest, dove predominava la popolazione agricola, in genere sempre animata da spirito conservatore, sotto l'influenza dei loro padroni grandi proprietari terrieri, in Irlanda e nel Galles, l'esercizio del vecchio rito proseguì ugualmente senza che Elisabetta osasse intervenire con atti di rigore. Persino nelle Università, questi baluardi della religione dello Stato, si tollerò la promozione di cattolici.

Più intransigente invece si mostrò la regina contro gli zelanti calvinisti puri, i Puritani, che essa odiava e temeva. A causa della sua siampatia per la loro dottrina il primate d'Inghilterra arcivescovo Grindal di Canterbury fu sospeso dall'ufficio e tenuto prigioniero nel suo palazzo. Altri ecclesiastici ed alcuni professori seguaci della stessa dottrina vennero destituiti. Quei puritani che, conformemente allo spirito offensivo e battagliero del loro indirizzo, attaccarono e criticarono troppo apertamente e vivacemente le istituzioni della chiesa anglicana, furono condannati alla berlina e talora anche al taglio delle orecchie o di una mano.
Tutto ciò fece nascere nell'ambiente calvinista una pericolosa opposizione ed una fiera ostilità contro la monarchia nella sua duplice funzione di autorità suprema politica e religiosa. Tuttavia si giunse ad un provvisorio accordo nelle relazioni tra la regina e i puritani, perché Elisabetta fu costretta a scegliersi dei consiglieri propensi a seguire un indirizzo di governo antitetico a quello di Maria Tudor, consiglieri che naturalmente non trovò se non tra i protestanti decisi, e costoro spinsero sempre più avanti la loro sovrana sulla via delle innovazioni.

Il più capace e risoluto fra questi ultimi fu Sir William Cecil. Nato nel 1520, giurista e teologo di valore, era salito già sotto Edoardo VI all'alta carica di segretario di Stato; e il suo grande acume politico, la sua abilità ed esperienza amministrativa, la sua impavidità e risolutezza gli fecero ben presto conquistare il primo posto nel consiglio della nuova regina.
Egli si eresse a campione di una politica interna ed estera decisamente protestante del governo inglese. Egli volle fare del suo Stato la cittadella del protestantesimo nel mondo e nel perseguire simile scopo non arretrò davanti all'uso né dell'astuzia ingannatrice né della violenza illegale.

Elisabetta dentro di sé era ben lontana dall'approvare simili metodi bruschi e sbrigativi; ma essa apprezzava troppo le doti e la fedeltà di Cecil per sacrificarlo all'inimicizia dell'alta nobiltà in gran parte cattolica. «Egli é il mio spirito», diceva di frequente, e lo chiamava scherzosamente «Sir Spirit» (Signor spirito).

Il più fiero nemico personale di Cecil, ma anch'egli calvinista, anzi calvinista più deciso di lui, era il favorito della regina Robert Dudley conte di Leicaster, un giovane avvenentissimo cortigiano per il quale Elisabetta già da principessa aveva concepito una calda passione e che, divenuta regina, aveva colmato di onori, cariche ed emolumenti. Leicester, che era un intrigante senza cuore, del tutto privo di capacità come uomo di governo, formò l'audace disegno di sposare la regina, tanto che riuscì a mandare a vuoto il matrimonio di lei con un principe straniero che i sudditi e i consiglieri più fidati fervidamente desideravano.
E con queste manovre coincise la morte subitanea di sua moglie Amy Robsart; il che suscitò lo stringente sospetto che egli o almeno i suoi fidi avessero tolta di mezzo quell'infelice perchè così libero poteva coronare la sua ambizione di sposare la regina. Ma nonostante tutto egli non raggiunse il suo scopo ultimo; tutta l'alta nobiltà, e tutti i ministri, con a capo Cecil, impedirono lo sconveniente matrimonio.

Ma, se Elisabetta moriva nubile, la corona inglese sarebbe passata di diritto alla regina di Scozia, Maria Stuarda, la quale dal 1559 era anche regina di Francia avendo sposato il 16enne Francesco II di Francia. Perciò il governo inglese aveva ragione di seguire con attenzione sopra ogni altra cosa le vicende di questa principessa.
L'aspro e poco popolato regno di Scozia era dal 1370 sotto lo scettro della casa degli Stuart, la quale però non era mai riuscita a dominare e subordinarsi l'insolente, rozza e potente aristocrazia del paese. Nell'opporsi ad ogni tentativo di instaurazione di una forte autorità centrale si trovarono sempre d'accordo i lords e la borghesia cittadina d'origine anglo-normanna del mezzogiorno della Scozia e i capi delle tribù gaeliche o clans delle aspre e montuose regioni nordiche.

Quasi tutti i sovrani di casa Stuart finirono di morte violenta. Ad onta peraltro delle continue turbolenze e guerre intestine, gli scozzesi avevano potuto conservare la propria indipendenza di fronte all'Inghilterra più potente, più popolata e più ricca, in grazia della secolare alleanza con la Francia che loro era servita di scudo.
Nella loro politica interna i re di Scozia, per arginare la strapotenza dei signori feudali, avevano cercato appoggio nel clero che avevano arricchito eccessivamente; ma nel farlo lo avevano anche reso odioso tanto alla nobiltà quanto alla povera e poco industriosa borghesia delle città.
La Riforma quindi trovò un terreno favorevole alla sua diffusione in questi due ceti; i quali, allorché il clero, sostenuto dalla corona, si diede a perseguitare sanguinosamente gli innovatori, arsero di collera cieca e di desiderio di vendetta, due passioni che erano anche troppo caratteristiche dei ruvidi scozzesi d'allora. Ben presto poi la politica si mescolò nella contesa religiosa.

Mentre l'Inghilterra si alleò con i protestanti, la Francia prese su di sé la difesa del cattolicesimo e della monarchia scozzese. Di modo che l'interesse della situazione si concentrò tutto nel vedere se la Scozia sarebbe stata conquistata dalla riforma e nel tempo stesso si sarebbe riunita al vicino regno d'Inghilterra oppure se sarebbe rimasta cattolica, separata e soggetta all'egemonia francese.

Dal verificarsi della prima alternativa dipendeva ogni possibilità di espansione, ogni possibilità di ascensione a maggior potenza delle isole britanniche. Quindi le lotte svoltesi nella lontana e semibarbara Scozia assunsero in realtà una importanza storica mondiale.

All'inizio la vittoria sembrò arridere alle forze del passato. Dopo la morte precoce di re Giacomo V (1548) la reggenza in nome della minorenne sua figlia Maria Stuarda (nata l'8 dicembre 1542) venne affidata alla madre Maria di Guisa. Dietro le sollecitazioni di costei giunse in Scozia una forte flotta francese, che scacciò dal regno i presidi inglesi e rapì in Francia la giovane regina per allevarla e darla a suo tempo in moglie al suo coetaneo principe ereditario Francesco.
La venuta dei francesi significò per il momento la soffocazione del movimento di riforma in Scozia. Il più ardito propagandista delle muove idee, John Knox (nato nel 1505) fu trascinato in catene in Francia, mentre i suoi seguaci vennero spietatamente arsi sul rogo. Ma durante la lotta con Maria Tudor il Knox fu liberato, tornò in Scozia e vi organizzò una lega per la difesa del protestantesimo (il « Covenant ») che accolse gran parte della nobiltà ostile al clero e avida di appropriarsi i suoi beni.

Ben presto tra i lords e le città protestanti da un lato, la reggente, il clero e i francesi dall'altro si venne a lotta aperta. Elisabetta d'Inghilterra inviò ai protestanti navi e soldati che cacciarono ovunque i francesi. Spogliata di ogni potere Maria di Guisa morì il 10 giugno 1560. La sua morte segnò la completa vittoria dei riformati e del partito anglofilo in Scozia.
La coppia reale francese, impegnata oltre misura nelle lotte interne del proprio regno, dovette adattarsi a concludere con i lords il trattato di Edimburgo che, non solo pose fine all'influenza francese in Scozia, ma destituì di ogni reale potere ed autorità la regina Maria Stuarda.

Era così definitivamente troncata la secolare alleanza tra Scozia e Francia. Fu questo il più importante risultato della riforma in Scozia sotto l'aspetto puramente politico. E nello stesso tempo si rese possibile e si venne preparando l'unione di questo paese con la vicina Inghilterra.


Rimasta precocemente (a 18 anni) vedova del suo giovanissimo marito (Re Francesco morì due anni dopo il matrimonio - 1560) Maria Stuarda anche lei 18enne ritornò in patria ove sbarcò nell'agosto 1561. Essa era bella, avvenente, maestra in tutte le arti della cortesia, finemente educata alla corte dei Valois, piena di penetrazione e di buon senso, ma impulsiva, passionale e moralmente spregiudicata per effetto dell'ambiente in cui era cresciuta. In Scozia essa a tutta prima si comportò con grande prudenza, e pur riservandosi personalmente la libertà di esercizio del culto cattolico, procedette nel resto di buona intesa col partito protestante moderato e con Elisabetta d'Inghilterra.

Elisabetta però, sentendola a malincuore predestinata a succederle, la trattò con diffidenza e non nascose l'avversione che nutriva per lei. Principalmente, allo scopo di non accrescere l'importanza della giovane regina scozzese per l'Inghilterra, cercò di ostacolare in tutti i modi le sue seconde nozze. Allora Maria, mettendo da parte ogni altro riguardo ed ascoltando solamente la voce della passione, sposò un giovane e avvenente gentiluomo cattolico, Henry Stuart lord Darmley, suo cugino e imparentato del resto anche con i Tudor (29 luglio 1565). E avendo poi il capo dei lords protestanti, suo fratello naturale Murray, con l'aiuto finanziario di Elisabetta, levato la bandiera della rivolta contro di lei, Maria domò rapidamente l'insurrezione e costrinse Murray e i suoi amici a fuggire in Inghilterra.

Tutti questi avvenimenti indussero, come era naturale, Maria a cambiare strategia; essa si schierò decisamente con il partito cattolico, cui sperò di procurare la vittoria in Inghilterra e nella Scozia mediante un'alleanza con Filippo II e coi Guisa di Francia e mediante l'appoggio della Santa Sede.
I cattolici d'Inghilterra e gli irlandesi in rivolta fecero lega con lei. Così nell'ambito delle isole britanniche Maria Stuarda ed Elisabetta Tudor vennero ad impersonare i due grandi princìpi che erano ovunque in lotta in quell'epoca.

Ma nel caso attuale tuttavia era una lotta impari, giacché dal lato della regina inglese vi era la superiorità delle forze ed un'arte diplomatica incomparabilmente più scaltra.
In Scozia l'opposizione protestante riuscì a guadagnare alla propria causa il marito di Maria, promettendogli da un lato il riconoscimento della sovranità e dall'altro suscitando la sua gelosia contro la moglie per una pretesa relazione di lei con il suo segretario, il piemontese David Riccio, uomo peraltro insignificante e fisicamente brutto. Egli decise di uccidere Riccio e di imprigionare Maria.

Elisabetta era al corrente di tutto. I congiurati, con Darnley in testa, aggredirono di sorpresa il disgraziato segretario nella camera stessa della regina che allora si trovava nel sesto mese di gravidanza, e lo stesero morto. La regina fu trattata inizialmente come una prigioniera.
Ma essa seppe dividere i suoi avversari. Riuscì infatti a trarre nuovamente a sé quel misero Darnley dimostrandogli che i congiurati se ne servivano come un semplice strumento per raggiungere i loro fini, fuggì con lui dal castello di Edimburgo e chiamò subito a raccolta intorno a sé tutti coloro che disapprovavano l'assassinio che era stato perpetrato.
Gli assassini di Riccio dovettero ancora una volta salvarsi oltre la frontiera inglese. Maria rientrò da vincitrice nella sua capitale; e allorché poche settimane dopo, il 19 giugno 1566, diede alla luce un successore al trono di Scozia e d'Inghilterra, Giacomo, essa acquistò molta maggiore importanza per ambedue i paesi.

L'ira mal contenuta di Maria si riversò sopra tutto sul perfido ed ingrato marito, su quel Darnley, che per i suoi rapidi voltafaccia si era pure reso inviso a tutta la nobiltà cattolica o protestante che fosse. Questa complottò di toglier di mezzo Darnley, e Maria, pur sapendo del progettato attentato, non mosse un dito per salvare il marito. Il braccio destro della congiura era un temerario avventuriero, James Hepburn, conte di Bothwell, la cui alta statura e forza non comune, congiunte ad un carattere audace e dominatore, avevano fatto notevole impressione su Maria. Sicuro del suo amore, Bothwell concepì il disegno di sposarla e con questo mezzo impadronirsi personalmente dello scettro scozzese. Il 9 febbraio 1567 Darnley cadde sotto i colpi dei congiurati e la sua casa fu fatta saltare in aria.

Maria continuò a recitare la parte passiva che aveva sinora rappresentato nella tragedia. Essa si lasciò rapire da Bothwell, e con grave scandalo di tutto il popolo e raccapriccio dei suoi migliori amici sposò l'assassino il 15 maggio 1567, tre soli mesi dopo la morte di Darnley.

Ciò offrì ai lords protestanti il pretesto per una nuova levata di scudi. E tutto il paese prese le loro parti. Gli insorti sconfissero le truppe della regina, incarcerarono costei nella cupa fortezza di Lochleven e costrinsero Bothwell a fuggire in Danimarca, dove però egli venne gettato in prigione morendovi nel 1578. Maria nel frattempo fu obbligata ad abdicare e venne proclamato re suo figlio, Giacomo VI, che contava un anno appena; per lui assunse la reggenza Murray.

La chiesa protestante scozzese venne allora definitivamente organizzata su basi democratico repubblicane. Accanto ai parroci, eletti dalle comunità dei fedeli, funzionava un collegio di anziani laici. Dieci sovraintendenti, posti a capo di altrettante diocesi, esercitavano la vigilanza sul retto andamento della chiesa, assistiti però da un sinodo provinciale misto di ecclesiastici e laici. Assemblea funzionante entro cerchia più ristretta era il presbiterio, che ha dato il nome e servito a contraddistinguere la chiesa scozzese di fronte alle altre.
Di tanto in tanto si adunava un sinodo generale composto di delegati di tutti i collegi di ecclesiastici e di anziani laici. Ad onta però di questo meccanismo misto, l'influenza della classe ecclesiastica divenne ben presto preponderante, e la chiesa presbiteriana, ideata in origine come la più liberale, si trasformò nella intollerante, fanatica, dispotica Kirk of Scotland.

Le sorti del protestantesimo in Scozia corsero ancora un pericolo allorchè Maria Stuarda riuscì ad evadere nel maggio 1568 dalla prigione di Lochleven e chiamò a raccolta intorno a sè i suoi aderenti. Ma Murray sconfisse senza problemi costoro a Langside. Allora Maria per salvare la sua libertà prese la fatale decisione di gettarsi nelle braccia della sua parente Elisabetta, e passò in Inghilterra. Ma i consiglieri della regina inglese ebbero timore dell'ascendente che la bella e giovane erede presuntiva del trono poteva esercitare sul popolo inglese, e specialmente sui cattolici, se la si lasciava circolare liberamente. Parve quindi miglior partito mettere per sempre la pericolosa principessa nell'impossibilità di nuocere. Perciò, sotto il pretesto che essa fosse gravemente sospetta di complicità nell'assassinio di Darnley, la si sottopose, con vergognosa violazione delle leggi d'ospitalità e dei privilegi di una sovrana straniera indipendente, a processo dinanzi ad una specie di tribunale e la si rinchiuse in una prigione.

Fu un atto fatale, giacchè esso provocò per l'appunto quelle agitazioni che aveva mirato a prevenire e spinse Elisabetta proprio sulla via che aveva deliberato di evitare, la via delle ostilità energiche contro la Chiesa cattolica e le potenze cattoliche.

Quasi immediatamente, nell'anno 1569, scoppiò una insurrezione della nobiltà in gran parte cattolica delle contee settentrionali dell'Inghilterra che reclamava la liberazione di Maria. In Scozia nel gennaio 1570 il reggente Murray cadde assassinato, la prigioniera Maria Stuarda fu acclamata regina, e una scellerata guerra civile sconvolse il paese. Alla fine i soldati di Elisabetta domarono la rivolta in Inghilterra e ristabilirono l'ordine per lo meno nel mezzogiorno della Scozia. Ma papa Pio VI il 25 febbraio fulminò la scomunica contro Elisabetta Tudor ed ordinò ai suoi sudditi di rifiutare obbedienza all'eretica.

Era questa la dichiarazione di guerra aperta della chiesa romana alla regina d'Inghilterra. Essa esercitò una influenza profonda sullo stato d'animo dei cattolici inglesi; ciascuno di costoro da quel momento, se non apertamente, almeno in cuor suo, divenne un ribelle della chiesa romana.
La situazione rendeva ormai impossibile perseverare nei metodi accomodanti e conciliativi così cari ad Elisabetta. La questione religiosa, giusta l'espressione di Cecil, divenuto lord Burleigh, si era trasformata in questione politica. Il parlamento dell'anno 1571 ribadì il carattere protestante della chiesa inglese, vietò sotto la minaccia di pene gravissime l'esercizio del culto cattolico e dichiarò delitto di alto tradimento ogni intesa con Roma.

Anche nei riguardi internazionali d'Inghilterra si eresse a campione del protestantismo in Europa, sopra tutto in opposizione alla rappresentante e tutrice della reazione cattolica, la Spagna. L'indirizzo politico di Cecil aveva trionfato su quello preferito dalla sua sovrana.

La mutata condizione di cose costrinse nuovamente i cattolici inglesi ad impegnare inutili lotte contro il governo e contro la stessa regina. Allo scopo essi trovarono un capo in Maria Stuarda che, forte del suo diritto di legittima difesa, dalla sua prigione tramò instancabilmente per giungere alla propria liberazione ed alla punizione della sua nemica Elisabetta, la sua carceriera.

A varie riprese essa suscitò rivolte e ordì congiure contro la regina. Papa Gregorio XIII, Filippo II, i Guisa le fornirono aiuti palesi o segreti. A Douai e poi a Reims fu istituito un seminario, a Roma un collegio, per la formazione di sacerdoti cattolici scozzesi ed inglesi, che poi si insinuarono sotto vani travestimenti in Inghilterra, vi incitarono i timidi e aizzarono i moderati.

L'insurrezione divampò più apertamente che altrove in Irlanda, la cui popolazione, un tempo niente affatto devota alla Santa Sede, divenne per l'avversione contro gli inglesi oppressori la più fervente cattolica del mondo. Dal 1569 l'Irlanda era in istato di permanente rivolta, che alcune volte si propagò fino alle porte di Dublino. Alla fine Gregorio XIII prese a cuore le sorti di questi suoi fedeli irlandesi. Nel 1579 inviò loro abili ufficiali per organizzarli e comandarli, mandò 800 soldati ed un legato con la sua benedizione ed uno stendardo benedetto che servisse loro di incitamento.

Tutta l'isola si sollevò con entusiasmo unanime e persino le famiglie di antica origine inglese si unirono al movimento. La rivolta venne soffocata, solo dopo quattro anni di lotta, nel sangue di centinaia di migliaia di irlandesi; uno spaventevole seme questa strage, che diventata piantina, gettò poi profonde radici nel cuore della nazione irlandese, e fu destinata a maturare per lo spazio di secoli frutti sanguinosi.

Elisabetta, di fronte all'attacco proveniente da Roma, ricorse a misure difensive. Degli ecclesiastici immigrati dal continente, se presi, vennero condannati a morte quelli che si ritenne avessero agito con l'intenzione di sovvertire le istituzioni dello Stato; gli altri che si ritennero spinti da semplice ignoranza o fanatismo religioso se la cavarono con pene più moderate. In complesso sotto Elisabetta vennero giustiziati circa duecento cattolici come rei di alto tradimento.

Tutta la borghesia e la maggioranza dei medi e piccoli proprietarii terrieri abbracciarono decisamente il protestantismo. E l'importanza, la consistenza numerica e la ricchezza di queste classi medie aumentarono rapidamente, grazie sopra tutto all'incessante sviluppo del traffico mercantile e dell'aumentato smercio dei prodotti del paese.

Particolare slancio dimostrò l'associazione detta dei «Merchant adventurers», che fondò una società commerciale «moscovita », ed una «turca», percorse in tutte le direzioni il Baltico e trafficò con l'America settentrionale. Le sue navi batterono il mare da Novgorod a Tangeri. Quell'uomo di grande talento che fu Sir Walter Raleigh, il più splendido campione delle imprese coloniali inglesi, cercò di avviare la colonizzazione verso la Guiana e la Virginia.
Fin dall'inizio il sistema coloniale inglese si appoggiò al principio della libertà ed autonomia delle colonie, in forte antitesi col metodo spagnuolo e francese di mantenere le colonie sotto una soffocante tutela; e ciò decise della superiorità delle colonie inglesi, giacchè le colonie per prosperare hanno bisogno di avere mano libera.

Dalle colonie vennero in Inghilterra nuovi prodotti alimentari e tanti altri di altro uso. Lo stesso Raleigh introdusse nel 1584 in Irlanda la patata, la quale tuttavia per lungo tempo non rientrò nei gusti della maggioranza del popolo. Un anno pù tardi Drake introdusse il tabacco, il cui uso invece divenne rapidamente così generale che nelle città si ebbero altrettanti spacci di tabacco quante birrerie e osterie.
Non bisogna però nascondere che una delle principalissime fonti della ricchezza e dello sviluppo marinaro inglese fu la pirateria, che gli inglesi con grande imparzialità esercitarono a danno di tutte le altre nazioni.
Gente d'alto lignaggio, come ad esempio un lord Cobham e un cugino di Leicester, e persino la stessa regina (con il suo zelante pirata Drake), non ebbero scrupolo alcuno di impiegare il loro denaro nell'armamento di navi corsare e di incassare alla fine della spedizione la loro parte di guadagno. Del pari impiegarono lucrosamente i loro capitali nel commercio degli schiavi che i marinai inglesi esercitavano su vasta scala sulle coste della Guinea.

D'indole più nobile fu un'altra fonte della ricchezza inglese. Dai Paesi Bassi immigrarono in Inghilterra numerosi protestanti per sottrarsi alle persecuzioni del duca d'Alba, ed insegnarono agli inglesi la fabbricazione dei panni, la tessitura della tela, la lavorazione dell'oro e dell'argento, e la fabbicazione dei pizzi.
Nella sola Spagna già si esportarono annualmente da 85 a 90.000 pezze di panno inglese. Capitali olandesi ravvivarono l'industria e il commercio. La vecchia Inghilterra mutò completamente aspetto. Padrone del paese non fu più lo squire, cacciatore, crapulone e ignorante, ma il commerciante intraprendente, il banchiere riflessivo e calcolatore, l'astuto ed audace capitano di mare.

La regina comprese l'importanza di queste classi industriose e nel 1571 inaugurò personalmente la Borsa di Londra e le diede il nome di Royal Exchange. La prima depositaria di denaro fu lei stessa, grazie alle rapine di Drake e altri; e mai rapine furono così utili, perchè il denaro era poi offerto per finanziare chiunque, che con intelligenza, intraprendenza e indefesso lavoro, avviava imprese di ogni genere, commerciali, industriali, di servizi.
Al ceto medio l'Inghilterra moderna deve appunto la sua grandezza, il suo traffico mercantile dominante in tutto il mondo e la sua libertà interna.
Ma ne parleremo ancora nei capitoli dedicati alla seconda età dell'Era Moderna.

Ora dobbiamo occuparci della Francia dello stesso periodo
alle prese della guerra civile di religione.

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