-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

6. L'ANTICO EGITTO - BABILONIA - ASSIRIA


L'ANTICO EGITTO FINO AD AMENOPHIS IV.
BABILONIA ED ASSIRIA FINO A TIGLATHPILESER I

L'egemonia della dinastia nord-babilonese, salita all'apogeo con Chammurabi, durò circa due secoli dopo il suo regno. In questo intervallo le fonti cuneiformi menzionano per la prima volta i nomi di sovrani della provincia di Ashshur, centro nord-babilonese del culto del dio omonimo, il cui tempio si dice fabbricato da un principe di nome Ushpia e le mura di esso da un principe di nome Kikia.

Stando a questi nomi, non è inverosimile che la più antica popolazione della provincia fosse formata dallo strato hettita dei cosiddetti Mitanni. Chammurabi, facendo menzione di Ashshur nelle sue leggi, dice di averle restituito le divinità protettrici; e in un editto militare dello stesso sovrano si parla di una guarnigione di 240 uomini, che avevano abbandonato la regione di Ashshur, per raggiungere un'altra divisione di truppe.

Appunto come la città di Ninive, anch'essa ricordata da Chammurabi, Ashshur doveva comprendere, già al tempo della prima dinastia babilonese, un'importante territorio presso la riva destra del Tiri fra lo Zâb superiore e inferiore; territorio i cui scavi ebbero speciale impulso negli ultimi anni del secolo scorso per opera della Deutsche Orient-Gesellschaft [Società tedesca per l'Oriente].

È vero che al tempo di Chammurabi sembra che la città fosse ancora del tutto soggetta a Babilonia; né sappiamo finora come i suoi principi-sacerdoti se ne rendessero indipendenti. Ma si può verosimilmente presupporre che lo spostamento generale del centro politico, attestato per Babilonia alla fine della prima dinastia, esercitasse un notevole e durevolo influsso sullo sviluppo indipendente della signoria di Ashshur.

È vero che già all'inizio di quella dinastia veniamo a conoscere nomi di principi-sacerdoti assiri, come Ilushuma, Irishu e Ikunum. Ma solo con Shamshiadad, figlio di Ishmidagan, verso la fine del XIX secolo prima di Cristo, troviamo dei re alla testa di una dinastia, che continua quasi ininterrotta fino al termine dell'impero assiro. Da ora in poi tanto la storia politica quanto quella della cultura di Babilonia e Assiria debbono guardarsi come connesse.

Alla sopra ricordata prima dinastia babilonese sarebbe seguita, stando ad un elenco di re, una nuova «dinastia» con undici re, che avrebbero regnato, in cifra tonda, tre secoli e mezzo, venuti dalla Babilonia meridionale, vicino al Golfo persico. Ma questa serie di re non sembra sia attendibile. Le più recenti indagini hanno infatti dimostrato che questa dinastia non tenne mai l'egemonia su tutta quanta la Babilonia e per di più che fu contemporanea, almeno per gran parte della sua durata, della prima dinastia babilonese.

Certamente già nei tempi più antichi i territori costieri presso la foce dell'Eufrate e del Tigri erano colonizzati da una forte e bellicosa popolazione semitica, la quale con ripetute e lunghe lotte seppe mantenere la propria indipendenza dai vicini Elamiti e dai Babilonesi con essa confinanti a settentrione. E in seguito questi stessi popoli, ricordati nelle iscrizioni col nome collettivo di Kaldu o Caldei, non solo molestarono per secoli la Babilonia, ma finirono, sotto Nabopolassar, per impadronirsi della signoria su di essa, conservandola a lungo tempo, nel regno neobabilonese o caldeo.

Intorno ai governi di quella cosiddetta «seconda» dinastia non abbiamo notizie più precise. Più abbondanti invece ci si offrono riguardo alla dinastia dei Kashshû o Cassiti, che seguì ad essa, e quindi in realtà anche alla babilonese: e possiamo attingere anche a fonti babilonesi, assire ed egiziane.

Col nome di Kashshû si indica la antica popolazione non semitica, che nella prima metà del XVIII secolo a. C. penetra nel territorio babilonese e si mischia a quelle stirpi semitiche, amalgamandosi con esse. Per quanto tale invasione non sia certo avvenuta senza lotta, tuttavia pare che i nuovi elementi etnici abbiano all'inizio efficacemente contribuito all'ampliamento della Babilonia.

Con la usurpazione della signoria da parte di principi cassiti, gli Stati meridionali perdettero per lungo tempo la loro influenza. Al contrario è chiaro che Ashshur profittò dell'invasione dei Kashshû per rafforzarsi e sorgere quale Stato indipendente nell'Asia occidentale. Ciò risulta da un trattato diplomatico fra Babilonia e Assiria, la cosiddetta storia sincrona, in cui sono regolate questioni di confine fra i due paesi, stabilite relazioni di parentela fra i loro principi e registrati altri importanti avvenimenti storici di circa il 1500 a. C.

Quasi contemporaneamente all'Assiria, sembra poi che abbia avuto parte essenziale nella storia politica dell'Asia anteriore, a occidente della Babilonia, presso il Tauro, il su ricordato popolo degli Hettiti, insieme con le genti non semitiche dei Mitanni, con esso strettamente imparentate, se pur non formavano, come pare, un tutto uno con gli Hettiti stessi.

Fonti principali di questa storia, oltre a pochi mattoni cotti con iscrizioni a sigillo e la lunga epigrafe del re Agum (Agum-Kakrime), uno dei primi sovrani cassiti, sono le cosiddette tavole di Amarna. Esse ci conducono all'Egitto, le cui più antiche notizie storiche dobbiamo ora brevemente tratteggiare.

Se consideriamo insieme la storia primitiva della Babilonia e dell'Egitto, non potremo a meno di rilevare molti tratti paralleli. In ambedue i paesi l'indagine archeologica non può risalire oltre un certo grado di civiltà, che ha poi uno sviluppo del tutto indipendente tanto in Sumer e Akkad quanto nella valle del Nilo.

Nell'uno e nell'altro la civiltà si presenta, già nell'epoca più antica a noi accessibile, piuttosto notevole, tale da non poter esser stata raggiunta se non attraverso un periodo preistorico di alcuni secoli se non millenni.
Dell'uno e dell'altro possediamo ricordi scritti, felicemente decifrati, e di valore autentico.

Lo Stato babilonese, al pari dell'egiziano, è indubbiamente sorto dalla fusione di diverse signorie feudali e in ultima linea da centri di culto, che a loro volta dovettero la loro esistenza a condizioni naturali favorevoli alla colonizzazione.

L'Eufrate e il Tigri furono per l'Asia anteriore quello che fu il Nilo per l'Egitto. Lo storico trova invece una differenza radicale nell'uso delle fonti dei due paesi: infatti dal punto in cui sono oggi giunti gli scavi appare come la fissazione sistematica e coerente di avvenimenti storici abbia avuto un più antico e più ricco sviluppo nella Babilonia che non nella valle del Nilo.
Infatti, per quanto oggi sappiamo, nomi di re egiziani formalmente codificati ci sono tramandati solo fin dall'età dei Rames, mentre i più antichi ricordi documentali, in forma annalistica, si limitano finora a qualche frammento.

Cioè la determinazione delle date presenta grandi difficoltà per la scarsità di precisi punti di riferimento. Tuttavia essendo fra i primi gli egiziani a concepire la scrittura, fin dal 3000 a.C. ( si pensi che i Greci cominciarono a scrivere solo duemila anni dopo, nel 1000 a. C.) iniziamo ad avere delle testimonianze scritte dirette degli avvenimenti, ma non complete. Significativi sono gli annali della V dinastia (il frammento é nel Museo di Palermo, la cosiddetta cronaca lapidaria), preziosa come fonte sono le tre liste dei sovrani della XVIII e XIX dinastia (oggi conservate ad Abido, al Louvre e al British M.), la più completa però é quella riportata nel "Papiro dei Re" del Museo Egizio di Torino (Uno dei più importanti del mondo. Una visita che un extraterrestre quando verrà sulla Terra non mancherà di visitare, ma che molti terrestri non hanno ancora fatto) che ci indica gli anni, i mesi e i giorni di regno di ogni sovrano fino alla XIX dinastia. Poi, indirettamente, perchè solo citata da autori successivi, spicca anche l'opera di Manetone vissuto nel III sec a.C.

In questo stato di cose si capisce perche fino a poco tempo fa, gli egittologi sono ricorsi, per un primo orientamento nella storia egiziana, all'opera pregevole, per quanto imperfetta nel testo, composta in lingua greca dal prete egiziano Manetone (Manetho, 305-285 a. C.), che attinse senza dubbio da fonti allora esistenti, da liste di re e da annali.

E' infatti suo il criterio di suddivisione della storia egiziana in trenta dinastie. Abbastanza fedele come ricostruzione anche dopo i successivi ritrovamenti archeologici dei reperti, che però Manetone non ebbe mai la fortuna di visionare perchè ancora sepolti da decine di secoli e non ancora venuti alla luce quando lui scriveva. Ma indubbiamente in circolazione esistevano molti documenti, forse raccolti alla Biblioteca di Alessandria che venne completamente distrutta e incendiata dai Romani quando misero piede in Egitto. Sappiamo che in questa grande biblioteca vi erano conservati milioni di documenti di ogni epoca, e a gestirla, nel corso di tre secoli, erano state chiamate le migliori menti dell'epoca: storici, filosofi e matematici che avevano incaricato circa 1000 appositi scribi viaggiatori di ricopiare in ogni luogo del mondo conosciuto opere dell'antichità. La stessa cosa aveva fatto Enmekar il principe sumero a Ur nel 2500 a. C. che aveva a disposizione 500 scribi. E altrettanto poi fecero gli Arabi a Baghdad nell'anno 800 d.C. dove raccolsero milioni e milioni di testi; per nostra fortuna, altrimenti quasi tutte le testimonianze della Cultura greca (e paradossalmente molta di quella latina) sarebbero andate distrutte.

Secondo quest'opera di Manetone i re di Egitto, a cominciare dal più antico, Menes, fino alla conquista di Alessandro Magno (332 a. C.), vengono divisi in 31 dinastie. Poi dentro a queste dinastie si sono poi distinti i cosiddetti «regni» : il «regno antico» fin verso la VI dinastia, circa l'anno 2500 in cifra tonda (furono queste a costruire le Piramidi; il «regno medio» da questo punto sino al termine della XIV dinastia ed al dominio straniero degli Hyksos (circa 1700, rispettivamente 1800 a. C.); e il successivo «regno nuovo», da circa 1600 fino al termine della XVIII (circa 1350 a.C.), e rispettivamente della XX (circa 1100 a.C.) dinastia (queste ultime le cosiddette dinastie tebane che iniziarono le guerre esterne, con le quali furono conquistate: l'Etiopia, la Libia, la Nubia fino alla quarta cateratta del Nilo. L'apogeo di questa ultima potenza egizia iniziata da Amosis, proseguita da Tuthmosis I, fu raggiunto da Tuthmosis III conquistando territori fino al Tigri e Eufrate, quindi la Siria e l'intera Palestina, con la famose deportazioni in Egitto fra cui il popolo Ebreo (dalla Terra di Canaan)

Le origini della storia egiziana sono tuttora avvolte nell'oscurità. Lasciando da parte la razza del l'età paleolitica scoperta negli ultimi scavi e attestata da utensili di selce, i ritrovamenti nelle più antiche tombe dell'età storica ci permettono di trarre per gli Egiziani cosiddetti «pre-dinastici », solo conclusioni generali riguardo alla loro razza, affine alle popolazioni libiche, alla loro civiltà assai presto svoltasi, al loro ambiente.
Ma non possiamo sapere, come per la Babilonia, da titoli o genealogie di principi, in qual modo i piccoli Stati si riunissero in maggiori unità, né come si avvicendasse l'egemonia in quei primitivi centri di cultura, tra i quali forse tennero un posto cospicuo le città meridionali di Koptos, Elkab e Negade. Questo solo é certo: che da questi centri di culto si formarono a poco a poco, grazie all'unione di parecchi territori limitrofi, due regni staccati e indipendenti': la
«Terra settentrionale», dal delta del Nilo fino all'odierno Cairo, e il «Mezzogiorno», che da questo punto si stendeva oltre Edfu.

Bisogna ammettere che i due Stati abbiano combattuto per secoli per la supremazia, finché il «Mezzogiorno» riuscì, sotto il re Menes di This (presso dove sorse poi Abydos), a conquistare il Delta ed a riunire tutto l'Egitto sotto uno scettro solo.

Per quanto gli edifici e le epigrafi dei re delle prime dinastie egiziane, e specialmente dei famosi costruttori di piramidi Cheops, Chephren e Mykerinos, giovino a seguire la storia della cultura, per la storia politica degli abitanti del Nilo le fonti di quel tempo sono molto scarse. Ci dicono tuttavia le lotte degli Egizi con i Beduini della penisola sinaitica, le cui ricche miniere di rame condussero prima a rapporti commerciali fra gli abitanti della «Terra settentrionale» e i loro vicini di oriente, e più tardi a vere e proprie spedizioni militari di conquista.
Fin da allora pertanto gli Egiziani appresero le vie, per le quali nei secoli successivi dovevano penetrare vittoriosi nell'Asia e tenere per un bel po' di tempo il dominio del mondo. Con quelle imprese contro i Beduini è connesso senza dubbio il trasferimento della capitale verso il nord, prima ad Abydos, e sotto i sovrani della III dinastia a Memphis. Quest'ultima fu la sede dei grandi costruttori di piramidi della IV dinastia, che fino alla morte di Mykerinos tennero in assoluto dominio tutto l'Egitto, alla testa di una burocrazia complicata e rapidamente sviluppatasi.

Alla prosperità dell'antico regno tenne dietro, dalla V dinastia in poi, la lenta decadenza di questa signoria, originata evidentemente dal declinare dell'amministrazione interna, ma per un certo tempo non troppo dannoso alla politica estera. Infatti, appunto dei sovrani della VI dinastia ci sono conservate notizie di spedizioni vittoriose verso il sud, grazie alle quali il dominio egiziano si estese fino all'odierno Chartum.
E presso a poco dallo stesso periodo, e per la prima volta nella storia egiziana, siamo informati di importanti e fortunate imprese in Oriente contro le genti che allora abitavano il sud della Palestina. Ma questi successi all'estero non valsero a sanare i mali interni. Invano, nel «Mezzogiorno», i discendenti di una casa sovrana di Tebe si sforzarono di rinsaldare la sconquassata amministrazione del paese; essi non riuscirono, alla lunga, ad arrestare la decadenza del dominio monarchico di una volta: l'Egitto si frazionò in una quantità di maggiori o minori Stati feudali, soltanto nominalmente riuniti sotto la supremazia di un «re dell'alto e basso Egitto».

Solo durante il « regno medio », sotto la XII dinastia, il paese si riebbe da queste agitazioni e guerre civili. Fu di nuovo una famiglia principesca tebana che sotto Amenemhêt I e il figlio di lui Sesostris I rafforzò la potenza dell'Egitto, ne estese il dominio mediante un nuovo vittorioso assalto nella penisola sinaitica e con la conquista della Nubia, iniziando per il paese un periodo di pace e di prosperità.
Per quali circostanze il regno, circa il 1800 a. C., subisse una nuova e grave scossa, finora non lo sappiamo con certezza. Forse la causa furono le lotte ed agitazioni interne, come per il passato; forse la defezione delle tribù beduine prima assoggettate, oppure altre ragioni sconosciute devono aver fatto lentamente andare in decadenza il potere egiziano, che fu poi del tutto stravolto da una catastrofe narrata da Manetone, l'invasione degli Hyksos (circa 1800 a. C.).

Non é chiaro il significato del nome «Hyksos», finora cercato invano nei testi geroglifici ; né finora appare fondata l'interpretazione che ne dà Manetone, che li chiama «re pastori», salvo per questo motivo, che lui lo mutua dal greco.
Gli Egizi, che in ogni tempo avevano dovuto lottare contro i nomadi saccheggiatori, davano a questi il nome di Shasu, o Shous, e questo nome diedero ai nuovi invasori. II re di questi predoni Hiq-Shasu, donde i Greci trassero il nome di Hyk-sous, che vale a designare "re Pastori".

 

Ma oltre al vero nome, non abbiamo informazioni sicure neppure riguardo alla nazionalità di queste popolazioni che da allora per circa un secolo e mezzo signoreggiarono l'Egitto. Però tutti gli indizi c'inducono a ravvisare in esse stirpi semitiche, probabilmente Aramei o Cananei. Tale ipotesi acquista grandissima verosimiglianza dai nomi dei «re della terra straniera» incisi su scarabei sacri di vario materiale, raffiguranti il dio egizio del sole: uno di questi nomi si può leggere benissimo «Jakobel» [Giacobbe].
Fin da quelle prime collisioni con l'Egitto sotto la VI dinastia, anzi forse già qualche secolo prima, gli Asiatici avevano avuto notizia della straordinaria fertilità di quel paese, tale da eccitare i loro appetiti; ed ora dallo sfacelo del governo, specialmente del Basso Egitto, avevano preso animo e rotti gli indugi per invadere in masse numerose la valle inferiore del Nilo.

Lotte accanite, rapine e saccheggi accompagnarono la marcia trionfale delle grandi orde di genti nomadi fino a Menfi, che fu espugnata ed innalzata a capitale dei nuovi dominatori, insieme alla fortezza di Awaris nel Delta orientale. Avidi di preda, i Semiti spinsero le loro conquiste fin verso l'Alto Egitto, e pare che solo dinanzi a Tebe la loro marcia subisse una sosta. A Tebe - alcune fonti riportano questo - i principi indigeni là residenti riuscirono a mantenere la loro indipendenza dai conquistatori semiti per tutto il tempo che durò l'invasione.
Del resto gli Asiatici che allora inondarono la valle del Nilo devono aver saputo adattarsi presto e bene all'antica civiltà da essi trovata in Egitto, sì da rendersela familiare, nello stesso modo che i Cassiti fecero loro propria quella di Babilonia.

Non sembra infatti che la cultura abbia sofferto alcuna interruzione od ostacolo essenziale. Nemmeno i culti originali egiziani furono soppiantati da quello dei nuovi padroni. Ma l'odio profondo, naturalmente nutrito dagli Egizi contro gli stranieri intrusi, non si spense mai nelle famiglie principesche indigene. Alimentato dal patriottismo e dall'avidità del potere, divampò in Tebe, donde il movimento per la cacciata degli stranieri si diffuse per tutto il paese; gli Hyksos furono ricacciati sempre più lontano nel Delta orientale, e finalmente sotto Amosis, tra la fine del XVII e il principio del XVI secolo, la loro capitale fortificata Awaris fu cinta d'assedio ed espugnata.

Con questa cacciata degli Asiatici, inseguiti fino dentro alla Palestina meridionale, e con la riconquista della Nubia, perduta sotto il loro regno, comincia per l'Egitto una nuova espansione, che tocca il massimo sviluppo con il regno dei Faraoni; i sovrani della XVIII dinastia.

Le amare esperienze dei predecessori avevano indicato a questi re le vie da seguire nella politica estera. Dalla difesa contro i conquistatori asiatici, i potenti successori di Amosis, un Amenophis I, Thutmosis I e Thutmosis III, passarono presto all'offesa.
Ripetute sollevazioni sul confine meridionale del regno diedero dapprima ai sovrani la desiderata occasione di intromettersi con mano robusta nell'amministrazione della Nubia, finendo col trasformare quel ricco paese in una provincia egiziana con governatore proprio e regolare burocrazia, provincia che si estendeva a sud fin verso l'isola di Tomba presso la terza cateratta del Nilo.

Anche i tratti costieri presso il Mar Rosso, Punt il prezioso «paese dell'incenso», col quale si erano annodate relazioni commerciali già durante il Regno Medio, furono ridotti tributari dell'Egitto. Altre campagne militari si fecero a difesa del confine occidentale del regno contro il brigantaggio delle stirpi nomadi, avanzanti dal deserto libico.
Mira principale di questa guerresca politica estera dei potenti Faraoni (che consideravano i paesi dell'Asia anteriore, paesi da dove era penetrata nella loro valle del Nilo la «peste», ossia i re Hyksos) era quella di cercare di strappar loro gli aviti possessi.

Se già Amosis nel cacciare gli stranieri si era spinto con una spedizione nella Palestina meridionale, impadronendosi qui della città fortificata Sharuchen, ora Thutmosis I lo superò con la sua grandiosa campagna fin dentro l'Asia, attraversando tutta la Siria fino alla terra di Naharina, sulle due rive dell'alto Eufrate, identificata col Mitanni ricordato nelle iscrizioni cuneiformi.
È vero che la sottomissione completa del paese, i cui signori prestarono omaggio al re egiziano, non riuscì né a Thutmosis I né a Thutmosis II, il quale, dopo varie contese, si mise contro, come anti-ré, al fratello maggiore Thutmosis III ed alla consorte e sorellastra di lui Hacepsut, compiendo. durante il suo breve regno, un'incursione in Siria.

Solo a Thutmosis III, divenuto solo ed assoluto sovrano dopo la morte della tanto odiata moglie e sorella Hacepsut, che aveva finora regnato con lui, era riservato di mettere una salda base, mediante lunghe guerre, la signoria egiziana nell'Asia anteriore.
La sua prima grande spedizione fu diretta contro una lega di principi, a capo della quale stava il re di Qadesh. Attraverso Gaza, Askalon, Asdod e il Carmelo gli eserciti egiziani vittoriosi avanzarono fino alla pianura di Esdrelon, dove i Siri furono sconfitti e respinti verso la fortezza di Megiddo, pur essa caduta in potere degli Egizi dopo un lungo assedio.
Così la chiave della Palestina settentrionale era in mano al Faraone. Thutmosis poteva volgersi alla conquista delle città costiere del Mediterraneo.
Arvad, Simyra e Joppe e per ultimo anche Qadesh sull'Oronte furon conquistate dopo lunghi e in parte replicati assedi. E finalmente anche il potente Mitanni, mèta di successive spedizioni, soccombette alle armi del guerriero egizio.

Così sotto Thutmosis III il dominio dei Faraoni si era per la prima volta realmente esteso fino all'Eufrate. Perfino Babilonia e le provincie settentrionali limitrofe di Naharina, la regione degli Hettiti, si resero tributarie del vincitore. Thutmosis III, forse il più insigne monarca dell'antichità egiziana, poté gloriarsi di aver dato all'Egitto una potenza mondiale.
Anche i suoi successori, Amenophis II e Thutmosis IV, intorno ai quali ci sono pervenute notizie storiche relativamente scarse, seppero conservare intera tale potenza, forti in guerra e nel governo del paese, oltre ad essere sostenuti da un'amministrazione di stato perfettamente organizzata.

Solo sotto il successore di Thutmosis IV, Amenophis III, fra il XV e XIV secolo, cominciano a vedersi i primi segni di una lenta decadenza. A dire il vero gli Egizi non erano mai venuti a capo di riunire le stirpi sirie sotto un'amministrazione accentrata: impresa che doveva urtarsi con le insuperabili difficoltà soprattutto per il carattere etnico di questa popolazione.

I conquistatori non avevano tralasciato di porre a capo della Siria funzionari egiziani, misura che ebbe certo la più durevole influenza sullo sviluppo del governo dell'Asia anteriore. Più tardi però questi uffici di Stato furono affidati a principi locali, che da giovani erano stati educati, come ostaggi, alla corte del Faraone, apprendendo qui gli usi egiziani. Appunto questa politica nascondeva un pericolo, che si manifestò già sotto il successore di Amenophis III: a quei principi asiatici, non meno che ai funzionari locali in Egitto, non poteva sfuggire come il nuovo re Amenophis IV si desse molto più premura di introdurre ufficialmente un culto religioso da lui riformato, che non della oculata amministrazione dei paesi conquistati dai suoi predecessori.
Per questa ragione, e per l'abile sfruttamento, da parte degli Asiatici, di questa debole politica estera, la potenza dell'Egitto nell'Asia anteriore cominciò a subire gravi scosse. La grandezza dei Faraoni volgeva al tramonto.

Questa importante epoca della signoria di un Amenophis III e di un Amenophis IV, qui solo accennata in poche righe, ricevette luce dopo un ritrovamento casuale e prezioso, nell'anno 1888, di tavole cuneiformi: su queste tavolette di argilla, scoperte nel villaggio di Et-Till (Tell-el-Amarna nei documenti letterari) a mezza strada fra Menfi e Tebe, era scritta la corrispondenza dei Faraoni con i loro tributari dell'Asia occidentale.
Accenanndo brevemente a questo epistolario, di cospicua importanza per la storia dell'antico Oriente esoprattutto per lo stato della civiltà di allora, facciamo un passo indietro, dalla storia egiziana a quella dell'Asia anteriore.

Su circa 300 tavolette con caratteri cuneiformi, conservate nella residenza - abbandonata poco dopo la sua morte - di Amenophis IV e rimaste là per 33 secoli in attesa di essere ricuperate e decifrate, sono scritte le memorabili lettere di principi dell'Asia occidentale ai Faraoni: lettere che ci mettono davanti agli occhi un quadro variopinto della cultura di quei tempi, del mondo del commercio e degli affari, dei costumi della corte e delle campagne militari, e sulle quali dovremo ritornare più avanti in altri capitoli.
Veniamo a conoscere le principesse asiatiche, destinate all'harem di Amenophis III; per prime una sorella e una figlia del re babilonese Kadashmancharbi I; poi Giluchipa, sorella di Tushratta, signore dei Mitanni e figlio di Shutarna; e finalmente Taduchîpa, figlia dello stesso principe.

Le relazioni dei governatori di Byblos, Beirut, Tiro e Akko, di Chasur, Geser e Askalon danno notizia delle numerose agitazioni ed ostilità dentro gli staterelli della Siria e della Palestina. Anche l'isola di Cipro, detta nei cuneiformi Alashia, é ricordata nelle lettere, con un tono ad umile devozione verso l'onnipotente Faraone.
Di speciale valore sono poi le epistole indirizzate ad Amenophis IV da due reggenti la dinastia babilonese dei Kashshû, Kadashmancharbi I e Burnaburiash, come pure il messaggio di un re assiro, Ashshuruballit, ad Amenophis IV: come quelle che ci mostrano abbastanza che allora anche questi paesi si trovavano in effettiva dipendenza dall'Egitto.

Sembra che il potente rifiorire del dominio assiro-babilonese e la indipendenza conquistata dagli stati minori siro-palestinesi siano strettamente connesse con la rovina dell'ampio regno dei Mitanni, che il re assiro Adadnirâri I riuscì a distruggere non più tardi del XIV secolo.
Inoltre in Siria e Palestina avvennero mutazioni politiche gravide di conseguenze. Nel nord, e più ancora nel sud, gli abitanti delle città furono molestati da ripetuti assalti di orde beduine.
Il governatore di GERUSALEMME (che qui per la prima volta appare nella storia) riferisce al Faraone riguardo ai Chabiri, stirpe beduina o semi-beduina, che pare minacciassero gravemente lui e la regione da lui amministrata.

Assai verosimile é l'ipotesi, prima affacciata da H. Zimmern, che in questi Chabiri siano da riconoscere gli Ebrei, qui più tardi stabilitisi. Così le prime origini del popolo di Israele, il cui culto di Geova assunse e conserva un'importanza mondiale, ce lo mostrerebbero come un nomade saccheggiatore.

Ma il punto di gravità della storia politica dell'Asia anteriore nel tempo della dinastia dei Kashshû, sta da ora in poi nell'allargarsi della potenza assira. Kadashmancharbi II, nato dal matrimonio del re babilonese Karachardash, nipote del su ricordato Burnaburiash, con una figlia del pur già ricordato principe assiro Ashshuruballit, salì, circa il 1360, sul trono babilonese: primo e fecondo passo per lo svolgimento dell'egemonia assira.

È vero che all'assassinio del re assiro per opera dei Babilonesi ed all'insediamento di un principe indigeno seguirono lotte, durate per generazioni, fra i due stati e rese ancor più complicate dall'atteggiamento dei popoli limitrofi, tanto a nord-ovest nella Mesopotamia, quanto ad oriente nell'Elam. Ma come in Egitto al termine della XVIII dinastia, così in Babilonia con la caduta dei Kashshû fu spezzata la forza delle armi. La crescente potenza dell'Assiria, splendidamente affermatasi nella lotta contro Mitanni, indusse Salmanassar I (circa 1290 a. C.) figlio di Adadnirâris I e nipote di Arikdinili, ad estese spedizioni militari, verso l'est e il nord, contro una nuova lega delle stirpi aramaiche, cioé contro gli stati alleati di Mitanni e Chatti (gli Hettiti) e contro le regioni dei Nairi, col quale nome s'indicava, come sopra accennammo, l'Armenia e il vasto paese montuoso a sud del lago di Van.

Con la fondazione di Kalah sulla riva sinistra del Tigri il regno ebbe nuova capitale; una parte delle genti sottomesse furono deportate per fondare colonie militari assire che era un ottimo mezzo politico adoperato più volte con successo. Non vi é dubbio che a Salmanassar, intorno alle cui imprese militari dà nuovi particolari una lapide ritrovata a inizio secoloed ora conservata nel Museo di Berlino, ebbe la fortuna dalla sua parte anche quando mosse direttamente contro Babilonia.
Ma a sottomettere completamente il paese riuscì solo il figlio e successore di lui, Tukultininib I, uno dei più valorosi sovrani dell'Assiria, le cui gesta sono riportate nell'iscrizione di una tavola calcarea scoperta e acquistata dal Musco Britannico.

Il re Kashtiliâshu, figlio di Shagaraktishuriash e nipote di Kudurillil, allora re di Babilonia, fu sconfitto in una grande battaglia e portato incatenato in Assiria. Tukultininib mise il piede sul «collo di Sua Maestà», distrusse le fortificazioni di Babilonia, la capitale, saccheggiò i tesori del principale santuario e fece trasportare in Assiria la statua del dio Marduk, del «gran Signore», operazioni con cui nell'Asia occidentale si simbolizzava, fin da tempi antichissimi, la completa sottomissione del territorio nemico.

Tukultininib poté reggersi sul trono di Babilonia per sette anni, finché fu assassinato dal suo proprio figlio, nella capitale Kâr-Tukultininib da lui costruita presso il Tigri. Delle particolari circostanze di questa catastrofe non siamo informati. In ogni caso essa ebbe per effetto di far rapidamente decadere la potenza assira, che solo da poco aveva cominciato a svilupparsi.
Anche la politica estera fu indebolita in conseguenza dei partiti e dei tumulti nell'interno del regno, così nella Babilonia come nella Mesopotamia.
Babilonia stessa aveva visto enormemente diminuire la propria potenza verso la fine della dinastia dei Cassiti. Quando questa dinastia, dopo un'esistenza di più di mezzo millennio, fu sostituita dai «re di Pashi», troviamo il loro primo sovrano che sia degno di ricordo, Nebukadnezar I [Nabucodonosor o Nabucco], diventao mitico per le sue imprese difficili, ma in parte anche fortunate, contro il nemico ereditario, gli Elamiti.

Sembra che della rivendicazione dell'esercito babilonese sui confini del regno e forse anche di dissensi e rivolte interne sapesse accortamente approfittare il contemporaneo assiro di Nebukadnezar, Ashshurrishishi, figlio di Mutakkilnusku, per restaurare, nel circa 1150 a. C., l'egemonia dell'Assiria nell'Asia anteriore. Anche se non gli fu più concesso di prendere egli stesso l'offensiva contro i Babilonesi, egli seppe tuttavia respingere con successo i loro assalti e mantenere la piena indipendenza dell'Assiria.

Con aspre lotte Ashshurrishishi giunse anche a riconquistare la signoria sulla Mesopotamia, spianando così la via alla carriera trionfale del suo glorioso figlio e successore Tiglathpileser I, con la cui ascesa al trono ha inizio una nuova fase della storia assiro-babilonese.

Ed è quel periodo che andiamo a narrare
nel prossimo capitolo

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