-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

14. LA CULTURA EGIZIANA NEL REGNO ANTICO


Quando Erodoto nel quinto capitolo del secondo libro delle sue Storie ci dice, secondo Ecateo di Mileto, che l'Egitto è «un dono del fiume», cioè del Nilo, egli ha nel modo più appropriato caratterizzato l'aspetto e la natura della terra dei Faraoni dai tempi più remoti ad oggi.
Tutti i destini dell'Egitto furono e sono regolati dal corso della sua unica e grande arteria acquatica, il Nilo che, lasciate le sabbie pietrose della Nubia, corre fra monti calcarei dal confine meridionale della regione, un po' al disotto del 24° grado di latitudine presso Syene, alla cosiddetta prima cateratta, fino alla foce ricca di diramazioni sotto il 31° grado di latitudine.
A occidente del fiume questi monti appaiono ondulati, con carattere di altopiano. Rare sorgenti scaturiscono dalle alture quasi dappertutto coperte di sabbia del deserto, le quali trovano la loro naturale continuazione verso occidente, nel deserto libico. Le alture molto più elevate ad oriente del fiume sono caratterizzate da una più chiara formazione montagnosa e, quantunque povere d'acqua, non son del tutto prive di vegetazione.

Non faremmo che ripetere cose generalmente note se spiegassimo l'immensa importanza delle inondazioni del Nilo per l'Egitto, alle quali del resto si possono contrapporre, come parallelo in piccolo, fenomeni analoghi nella Babilonia, anche se molto diversi per motivi climatici non identici..

Il periodo delle precipitazioni e quindi delle alluvioni in Egitto si verificano "sempre" solo alla fine dell'estate inizio autunno, mentre in Mesopotamia le grandi piogge e le conseguenti piene arrivano "sempre" in primavera.
Inoltre in Mesopotamia le condizioni climatiche del territorio erano molto diverse che in Egitto, era l'opposto. Infatti, per l'aumento della temperatura, a nord dei due grandi fiumi (Tigri e Eufrate) c'era lo scioglimento dei ghiacciai; il grande flusso di acque si sommava alle precipitazioni nei lunghi periodi delle grandi piogge primaverili, e l'alluvione diventava catastrofica.
Mentre in Egitto lo stesso fenomeno climatico postglaciale stava invece desertificando l'intero Egitto, il Sudan, l'Etiopia, l'Uganda e il Kenia, zone dove non solo nasce il Nilo ma era proprio la zona della culla dell'umanità.
Un clima torrido che fin dall'inizio del Neolitico, iniziò a spingere queste popolazioni sempre di più a valle, e solo sulle rive del grande fiume, lungo 6671 chilometri. Tutt'attorno sempre meno vegetazione, fino a scomparire del tutto lasciando immensi territori privi di flora e di fauna: formando i grandi deserti.
Questa lenta migrazione umana durata circa 20.000 anni, fino al 6000 a.C. si arrestò nell'alto Egitto; zona comprendente la Nubia, Assuan, Tebe, Abito, Licopoli (Assiut). Territori dove il Nilo scorre tra monti e colline dentro una valle che solo in certi punti raggiunge i 16 chilometri di larghezza. I villaggi, sorsero ai lati, in alcune alture. Mentre la proto-agricoltura, ormai diventata una necessità coll'estinzione della precedente flora e fauna nelle foreste scomparse, cominciò ad essere praticata nelle due sponde del fiume quando ritirandosi le acque delle piene, il Nilo lasciava ampie zone di terreno fertile proprio nel periodo ideale per la semina prima dell'inverno, la germinazione in primavera e i raccolti in estate. Molto diverso in Mesopotamia, le alluvione erano primaverili, non era sufficiente il breve tempo per la semina e la germinazione, seguivano subito torridi estati, l'evaporazione avveniva in brevissimo tempo lasciando il terreno secco.

Ma anche nel basso Egitto, da Assiut al Delta la zona rimase invivibile perché paludosa fino al Delta. In questo tratto il fiume scorre con una larghezza anche di 20-60 chilometri su una pianura che in 600 chilometri di profondità ha un dislivello di soli 40 metri s.l.m. (come dire il Po da Torino (che é però a Torino è già a 239 metri s.l.m.) fino all'Adriatico). Nel Delta poi, largo 200 Km, la situazione era ancora peggiore: negli ultimi 260 km il dislivello è solo di 8 metri, mentre il fiume si alza in zona (oggi Il Cairo) di soli 7 metri. Significa che durante le piene il territorio veniva quasi sommerso, ed essendo le grandi piogge a fine estate (primi di settembre) non verificandosi nel corso dell'autunno l'evaporazione, come invece avveniva in Mesopotamia, al ritirarsi delle acque la zona diventava una immensa palude inaccessibile; e dove non sempre i vecchi canali scavati dal fiume erano praticabili; intasati di fango facevano cambiare ogni anno il corso ai vari rami del delta modificando continuamente il territorio, interamente piatto senza la minima altura per mettervi degli insediamenti. Questi ultimi farli su questo tavoliere era quasi impossibile. Un anno l'acqua e il limo erano quasi davanti alla porta, l'anno dopo erano a 50 chilometri di distanza.

Questo diversità nel fenomeno piene causò svantaggi e vantaggi ai due paesi. E in entrambi - come vedremo - anche una grande trasformazione culturale ed etnica. Oltre che una diversificazione politica nell'organizzazione dello stato dai primi antichissimi tempi.

Infatti già nell'antichità tutta la prosperità della terra dei Faraoni dipendeva dall'esser ricoperta la sua ampia vallata dal fertile limo portato al fiume dalle sue sorgenti dai monti abissini. Ed anche oggi ogni profitto della raccolta dipende, di anno in anno, dalla fornitura di acqua che si produce regolarmente da giugno a gennaio, cioè dalle inondazioni che di solito raggiungono il massimo livello nel settembre-ottobre; il troppo poco porta con se una sensibile penuria d'acqua, e il troppo la devastazione di fertili terreni. Queste annuali masse di umidità sono vantaggiose anche per il clima dell'Egitto, dove, al contrario di quel che avviene in Babilonia, le alte temperature estive vengono raddolcite e i caldi venti del deserto attenuati.


Se il fenomeno piene rendeva inabitabile il Basso Egitto, nell'Alto era invece ben gradito. Quando questi insediamenti umani scoprirono i vegetali come prodotto sostitutivo della carne, soprattutto i cereali, essendo il terreno arricchito dal limo ma soprattutto morbido, scoprirono che si prestava alla ideale spontanea dimora dei semi per i raccolti nella successiva primavera-estate. Mentre in Mesopotamia, il ricco limo si depositava in primavera, ma poi, con l'evaporazione estiva diveniva subito secco, fino alla successiva primavera; era cioè difficile da lavorare e non permetteva - salvo qualche estate di anni piovosi - di far germogliare i semi, nè quelli spontanei nè i primi messi a dimora dall'uomo.

In entrambi i paesi c'era questo squilibrio della natura. Ma ora c'erano gli uomini che avevano da un paio di millenni scoperto i segreti dell'agricoltura e l'allevamento degli animali. E se in precedenza nel Mesolitico erano sorte in Mesopotamia già piccole comunità, con i loro insediamenti agricoli erano sorti grandi insieme di persone; villaggi di 1000, 2000, 3000 individui. Più piccoli, arcaici e meno organizzati invece quelli in Egitto, spesso molto lontani gli uni dagli altri, anche se avevano il vantaggio di essere su un'unica direttrice fluviale.
Unitamente però erano nate anche le prime contese fra i villaggi per i territori da coltivare. Quando si ebbe la percezione che sui terreni dei fiumi c'erano i grandi doni della terra e i vegetali e i piccoli animali domestici d'allevamento stavano diventando le uniche risorse alimentari disponibili, si capì subito che le vecchie contese non erano vantaggiose, e che da soli imbrigliare il grande fiume non era un lavoro facile, ma molto complesso, che richiedeva grande risorse umane e soprattutto coordinamento. Questa necessità di dominare la natura fece gettare le basi della vita moderna come organizzazione. E dove nasce una organizzazione, sorge subito la necessità di disciplinarla con un uomo saggio, con una autorità, con un capo.
Questa esigenza forse nacque proprio per regolamentare e controllare i canali che portavano o facevano defluire le acque, irrigando o prosciugando i terreni. E per far questo ci voleva una istituzione, degli addetti: cioè servizi, formati da uomini sempre più capaci in specifici compiti, e anche questi da disciplinare e coordinare. Quindi sorse la necessità di un grande autorevole capo che guidasse una nuova istituzione. Me se prima costui operava e si occupava semplicemente della vita comune dentro il suo piccolo gruppo (qui a fianco rappresentato dal "sindaco rurale") quando iniziarono ad essere i gruppi numerosi, distanti, ma tuttavia uniti dalle stesse necessità, l'autorità del capo e dell' istituzione divenne formale. Da saggio si trasformò in tecnocrate. Era il primo passo per tramutarsi nella quintessenza del formalismo, non solo sulla logistica ma anche sull'intera vita quotidiana, mettendo le prime regole e varando le prime "leggi" anche di carattere civile e morale, circondando così la sua persona di carisma sempre più alto fino a divenire sacro. E' questa la nascita del primo re o del primo "governatore" di un territorio, cioè di un regno. (re è l'etimo di rag, o rak, che ha la nozione non solo di reggere , comandare, dominare, ma anche di splendere).

Duemila anni prima dell'Egitto dei Faraoni (quindi nel 5000 a.C.) qualcosa del genere indubbiamente accadde proprio sulle sponde del Nilo Alto. Un abbozzo di convivenza civile organizzata in un modo semplice, ancora contadina, ma sempre più complessa.
L'origine del neolitico protoceramico in Egitto, prima di questa data non è per nulla chiaro. Sappiamo che gli abitamti dell'alto Egitto erano di origine camita del centro Africa (a pelle scura). Quindi facevano parte di quel gruppo indigeno rimasto sempre sul luogo anche dopo la seconda migrazione avvenuta 30-40.000 anni fa. Poi , fattosi torrido l'ambiente, nel 20.000 a.C., molti gruppi emigrarono e scesero lungo il Nilo, sviluppando autonomamente nei successivi due periodi di 10.000 anni, la loro cultura, il loro linguaggio e la proto-ceramica. Tutto tipicamente indigeno.

E' caratterizzata come Cultura Neolitica Amraziana il primo periodo; e Nagada I il secondo. (E' con la Nagada II (o gerzeano) che si verifica in Egitto uno sconvolgimento etnico e politico. Decisivo forse sia nello sviluppo della civiltà faraonica sia per la nascita del Regno del Basso Egitto.
Sono comunque entrambe le due prime fasi della storia egiziana (piuttosto oscura) dove l'ingegnosità umana anche qui scoprì i mezzi per procurarsi benessere con una elaborata divisione del lavoro. Benessere che in Egitto prima di ogni altro luogo, fece subito nascere una dignità e una posizione sociale creando seri problemi sulle differenze razziali, tali da prendere progressivamente delle distanze da altri gruppi dello stesso ceppo. In 20 mila anni gli "Egiziani" portandosi e sgranandosi lungo la grande vallata nella rigogliosa vegetazione, e ormai vivendo in ombrose abitazioni e non più nella savana, avevano cambiato perfino colore della pelle ed era nata per questo motivo (ma soprattutto per la competizione a difendere la propria posizione sociale e l'occupazione) una vera e propria separazione razziale. Fino al punto che nel 3000 a.C. (abbiamo testimonianze scritte) il governo egiziano della prima dinastia stabilì un centro di immigrazione ai confini meridionali del suo dominio per controllare la migrazione di gente di colore verso il nord. Molto facile a controllarsi visto che l'unica strada accessibile era quella fluviale
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Certamente per l'età preistorica, quando al letto del Nilo non era stato ancora abitato da una popolazione stabile, è da presupporre in Egitto un'ampia e distesa boscaglia nutrita dal fiume. La foresta vergine popolata da ippopotami e da bufali cedette, col diboscamento, il posto a campi e a latifondi. Via via che le foreste si facevano sempre più rare, il papiro, le cui svariatissime applicazioni pare fossero ben presto conosciute, continuava a pullulare rigoglioso. Ma oltre a lottare contro una vegetazione selvaggia, i primi colonizzatori della valle del Nilo - i quali in tale lotta appresero la resistenza alla fatica ancora oggi notevole nella popolazione egiziana - dovettero provvedere al prosciugamento del terreno tutto paludoso.

Precisamente come nella Babilonia, i primi abitanti delle rive del Nilo dovettero occuparsi a costruire dighe e canali, chiuse ed arresti. Il lago di Moeris a sud di Memphis, ancor famoso nell'età greca, dovette già nei tempi più remoti certo servire ad accogliere i corsi d'acqua del vecchio braccio del Nilo, che irrigava la confinante « Zelanda », l'odierno Faijûm, ridotto poi il più fertile territorio dell'Egitto mediante l'abbassamento della vallata e la ben regolata immissione dell'acqua.
Ma specialmente per rendere coltivabile il Delta si dovette impiegare zelo indefesso e tenace e costante energia. Non andremo certo errati paragonando i suoi abitanti con gli antichi Caldei, alla foce dell'Eufrate e del Tigri nel golfo persiano, i quali nonostante l'influenza degenerativa della raffinata civiltà babilonese conservarono forza sufficiente ad assoggettare tutta l'Asia occidentale.

Appunto l'annuo gonfiarsi del Nilo e tutta la grave fatica che il benefico fiume non cessava d'imporre agli Egiziani, fecero si che quella popolazione fino dai tempi più antichi fosse tutta assorbita da tale lavoro. Per questo le loro scienze mirano alla vita pratica forse più che presso i Babilonesi, e negli sforzi artistici si sentono meno liberi di quelli. E se ne devono esser risentite anche le creazioni della loro quasi tetra fantasia religiosa e poetica, e soprattutto la notevole deficienza di istruzione guerresca, imposta invece ai Babilonesi dalla posizione centrale del loro paese. Per analoghe ragioni geografiche il commercio ebbe ben altro sviluppo che non nella valle del Nilo.

È abbastanza noto come nell'anno 1799 il passato dell'Egitto fu rivelato quasi all'improvviso dalla spedizione di Napoleone contro l'impero inglese; e come il suo genio giovanile, seppe unire alla spedizione armata nella valle del Nilo un nutrito numero di scienziati, geografi, artisti, atchitetti per farne una vera e propria spedizione scientifica, che in brevissimo tempo, poi raccolse e portò in Europa una grandissima quantità di disegni di monumenti, di copie di iscrizioni e di curiosissime notizie.

Si sa pure che un ufficiale francese di artiglieria scoprì presso Rosetta, alla foce del Nilo, una lapide di basalto nero, sequestrata poi dal governo inglese alla resa di Alessandria e trasportata quindi al Museo Britannico.
Ventidue anni più tardi il geniale Francesco Champollion dopo averla studiata per anni, esaminando l' iscrizione trilingue, greco-demotico-geroglifica, della lapide - un decreto sacerdotale dell'anno 195 a. C. in onore di Tolomeo V Epifane - riuscì a decifrare la scrittura geroglifica.

Alla fine della prima metà del secolo XIX, per incarico del governo prussiano, Riccardo Lepsius scoprì e aprì le tombe del regno antico; Enrico Brugsch-Pascià diede al mondo la grammatica e il lessico della lingua egiziana; Augusto Mariette dedicò vent'anni della sua vita agli scavi nella valle del Nilo.

Oggi non sono sole le amministrazioni del British-Museum, del Louvre e del Museo Khediviale del Cairo ad assumersi la esplorazione e la custodia delle antichità egiziane. Una società privata inglese, fornita di grandi mezzi, la «Deutsche Orient-Gesellschaft » [Società tedesca per l'Oriente] e così anche l'Università di Chicago hanno inviato, con pieno successo, spedizioni nella terra dei Faraoni.
Preziosa e continuamente sempre più ricca, è anche la raccolta del Museo Egizio di Torino. Nel visitarlo si resta sbalorditi !!!

Tuttavia chi di noi, girando per uno di questi maggiori musei d'Europa, confronta i tesori dell'antichità babilonese con quelli della valle del Nilo, può a prima vista sembrare che dalle sculture coperte di geroglifici, dalle statue e dai sarcofagi, dalle mummie e dai piccoli e grandissimi rotoli di papiri e dai numerosissimi ritrovamenti minori si possa ricavare un quadro d'insieme del passato egiziano, della sua storia politica e geografia antica, della sua religione e cultura, con facilità, forse maggiore che dalle tavolette d'argilla e dai resti, relativamente scarsi, del passato assiro-babilonese.

Eppure l'Egitto sotto molti aspetti è stato meno fecondo di notizie delle rovine dell'Asia anteriore. Per ora, la storiografia del regno dei Faraoni resta molto al disotto, per estensione ed antichità, a quella dei paesi del Tigri e dell'Eufrate. Ricordi cronologici e documenti storiografici vi mancano quasi interamente. Città e palazzi sono ridotti in rovine, come nella Mesopotamia. Non c'è penuria, è vero di lettere e di documenti giuridici in geroglifici; ma appunto di fronte a questa letteratura oltremodo difficile, l'arte del lettore e del decifratore si mostra impotente.
Molto più ricca la raccolta che ci ha restituito i sepolcri e dato allo studioso l'opportunità di comprendere la cultura egizia. Da immagini sepolcrali, rappresentanti la vita dei defunti in parte individualmente in parte più o meno schematicamente, è venuta quella luce che ha illuminato la civiltà dell'Egitto fino al regno antico; corredo delle tombe sono anche i papiri, dalle cui descrizioni e figure abbiamo riconosciuto e compreso le forme religiose degli antichi Egiziani.

Le dimore dei morti offrono così spesso molto di più che in Mesopotamia i resti del mondo dei viventi che fu.
Nè si deve tacere del gran vantaggio di cui l'egittologia può vantarsi rispetto alla più giovane scienza sorella dell'assiriologia: la continuità della lingua, della scrittura, della nazione nella valle del Nilo.

Mentre nelle pagine precedenti abbiamo dovuto sempre insistere sulle complicazioni subite dalla scrittura cuneiforme nel suo sviluppo, la scrittura geroglifica fin dall'inizio si é svolta conforme alla razza che la usava, perfezionandosi solo in linea retta.
Una stessa stirpe con una stessa lingua ha dal Nilo tramandato i suoi ricordi scritti alla posterità. Ben diversamente avvenne nella Babilonia. I Sumeri, evidentemente gli inventori della scrittura cuneiforme, vennero cacciati o assorbiti dalla popolazione semitica immigrata, che si appropriò quella scrittura insieme ad altri beni della civiltà, adattandola alla propria lingua semitica.

Anche gli Hittiti insieme alle stirpi Mitanni, gli abitanti delle rive del Van, i più tardi signori di Susa e finalmente i conquistatori persiani - tutti nel corso della storia si sono serviti per scrivere la propria lingua dei segni cuneiformi. Lo stesso mezzo di espressione scritta dei pensieri subì pertanto nell'Asia occidentale multiformi cambiamenti e trasformazioni secondo i bisogni di una quantità di lingue di famiglie diverse o di singoli dialetti.

Rispetto a tali modificazioni, la scrittura egiziana, dai Greci detta geroglifica, é passata attraverso uno sviluppo uniforme, ma in compenso più conscio del suo scopo. L'uso primitivo della scrittura ideografica come tale si manifesta più chiaro che in qualsiasi altro dei sistemi a noi noti. Possiamo ancor oggi riconoscere come il segno-immagine passò ad esprimere la sillaba di per sé priva di significato o il cosidetto determinativo (muto nella pronunzia) o il segno complementare aggiunto per facilitare la esatta lettura di un segno sillabico.
Come mirante allo scopo e addirittura geniale può inoltre dirsi la trasformazione dei segni sillabici in lettere semplici, riproducenti le 24 consonanti della lingua egiziana, ingegnosa invenzione di dotti di una più antica età, anteriore a quella delle notizie storiche.
Solo la scrittura cuneiforme persiana offre per un certo rispetto un'analogia con questo perfezionamento della scrittura egiziana. Anche riguardo alla configurazione esterna della scrittura possiamo osservarne, e seguirne con sufficiente esattezza storica, il perfezionamento nei lunghi secoli da che essa venne in uso presso gli abitanti della valle del Nilo. Non si tratta tanto della direzione dei segni, che in singoli casi e per riguardi artistici si scrivevano da sinistra a destra invece che nell'abituale maniera opposta; e nemmeno della disposizione calligrafica dei segni dentro una stessa parola, mirante, quanto era possibile, a raggrupparli in forma quadrata o rettangolare.

La trasformazione dei singoli segni dalle più antiche figure geroglifiche in forme corsive di scrittura abbreviata, ha dato origine - e in età già molto antica, almeno presso a poco in quella del re Menes - alla cosiddetta scrittura ieratica, in cui si scrivevano sul papiro, mediante una cannuccia, tutte le lettere e documenti legali.
Da una continua semplificazione di questo corsivo vennero poi, sul finire del regno nuovo, agganci di lettere e abbreviazioni, nelle quali la più antica forma dell'ieratico era già irriconoscibile. Finalmente da queste forme recenti uscì, nell'età greco-romana, una nuovissima maniera di scrittura, il cosiddetto demotico, adoperato principalmente per comunicazioni epistolari e di affari. Esso é lontano dalla originaria scrittura ieratica all'incirca quanto il corsivo di certi moderni documenti epistolari arabi si differenzia da buoni manoscritti antichi.

Se in base a documenti geroglifici, alle rovine dei templi e dei palazzi, alle immagini e corredi sepolcrali noi cerchiamo di tratteggiare un quadro della più antica cultura egiziana, cioè della civiltà del « regno antico », fino alla sesta dinastia (circa il 2500), più di tutto ci colpisce, nella valle del Nilo al pari di Babilonia, l'arte architettonica.
L'eccellente granito delle inesauribili cave presso Syene; la pietra arenaria delle montagne più a nord, vicino all'antica città di Chenu, l'odierno Selsele; finalmente la roccia scura delle grandiose cave di Rehanu, fra Tebe e Koptos, presso la odierna valle di Hammâmât che dal Nilo conduce al Mar Rosso, offrivano ricco e durevole materiale da costruzione per erigere mirabili obelischi, templi e statue colossali.

E' probabile che già durante la prima e seconda dinastia sorgessero edifici di grandi dimensioni. Sotto la terza dinastia sono attestate torri o terrazze, le cosiddette piramidi a scalee. È questo l'ultimo stadio precedente le piramidi vere e proprie, quei grandiosi mausolei, alti fino a centocinquanta metri, dei re egiziani di Menfi, i cui primi costruttori si acquistarono fama immortale con questi monumenti artistici ora universalmente noti.
Già prima della quinta dinastia, le camere di questi giganteschi monumenti sepolcrali, che riuscivano più o meno grandi secondo più o meno quanto durava il regno dei sovrani, erano ornate da iscrizioni e figurazioni religiose, fonte principale, per il regno antico, della nostra conoscenza della cultura egiziana.

Accanto alle piramidi venivano inoltre innalzate tombe minori di alti funzionari e dignitari del re, nonché di suoi parenti, mogli, principi e principesse; le pitture parietali di queste tombe completano il quadro. Un esempio dei più istruttivi ci offrirà l'esame delle estese necropoli e limitrofi edifici per il culto, aperte dagli scavi, iniziati nel 1898 presso l'odierno villaggio di Abussir er-righeh a sud del Cairo da cui dista tre ore di cammino, della Società tedesca per l'Oriente, grazie al disinteressato aiuto dell'egittologo di Monaco barone von Bissing e sotto la direzione di L. Borchardt.

Quanti tesori dell'antica arte egiziana non avremo da ammirare! Vediamo all'inizio, in un cortile murato, un santuario consacrato al dio del sole; i rottami giganteschi di un obelisco in blocchi di calcare, calcolato a 60 metri di altezza, che posava sopra una base di granito; davanti a questo, un grandioso altare in alabastro, e là presso una maestosa barca solare, un posto destinato alle vittime dei sacrifici, e diversi locali ad uso di tesoro. I numerosi bassorilievi dipinti delle sale attorno al cortile, raffiguranti scene della costruzione del santuario e di cerimonie del culto nonché vivaci episodi della vita quotidiana, ci mostrano che quella che ci sta davanti é creazione del re Neuserrê della quinta dinastia (circa il 2700), terzo successore di Nefererkerês; il Faraone ne ordinò il completamento per festeggiare il giubileo del suo trentesimo anno di regno.

Ancor più grandiosi ed estesi che questo santuario del sole sono i sepolcreti dello stesso sovrano, più oltre a sud delle rovine ora ricordate, dette oggi Abu Gurâb. Proprio sul limite dell'annuale inondazione del Nilo, un portale decorato di bassorilievi - una sala aperta, con otto colonne di granito - metteva in un corridoio coperto lungo circa 200 metri, assai largo e provvisto di lisce scarpate laterali in calcare, le cui pareti interne erano pure ornate di bassorilievi.

Questo corridoio sboccava in un atrio oblungo, con magazzini ai due lati, dal quale si entrava in un tempio funerario pressoché quadrato. Venti colonne monolitiche di granito, rappresentanti fasci di papiro, sorgevano dal pavimento di basalto del locale interno e reggevano su architravi di granito i lastroni di copertura, che lasciavano scoperta la metà del tetto. Evidentemente le pareti di questo santuario in tempo antichissimo erano state costruite in mattoni disseccati; ma già durante il regno di Neuserrês sostituiti da muri bianchi di calcare con zoccolo di granito. Di granito sono anche i frammenti della statua, di grandezza più che naturale, di un leone in movimento, lavorato con maestria, scoperti nel porticato.
Le pareti interne del santuario sono anche qui ravvivate da ricchi bassorilievi decorativi rappresentanti divinità, il re che vince i nemici, vittime sacrificali. Altri ripostigli, locali per il culto e per provvigioni, e fra questi il «santissimo», mettono il porticato, verso ovest, in diretta comunicazione con la piramide del sovrano. Questa offre la consueta disposizione delle tombe regali del regno antico: dall'ingresso nel mezzo del lato settentrionale un corridoio a dolce pendio, murato di calce e granito, conduceva al sepolcro, dove era inumata la salma del costruttore dell'edificio.
Questa costruzione interna era stata via via rinforzata con una serie di fasciature in pietra, sì da conservarla come è oggi. Le singole fasce venivano adattate dal basso in alto, l'intonacatura invece in senso contrario. La camera più interna oggi é del tutto demolita; quel che conteneva fu rubato già da antichi ladri di tombe.

Più ricchi contributi hanno dato invece i locali accessori di questa grande necropoli, i cosiddetti «masstaba» (banchi), costruiti - come abbiamo appena detto - per i membri della casa reale e per i funzionari di corte; questi sepolcreti, fabbricati in pietra calcare o in mattoni e provvisti di tetto a volta, riproducono in scala più piccola quelli delle piramidi reali e comprendono, pur comunicando con tombe sotterranee, locali per il culto e ripostigli per statue. Fra queste ultime, e in una masstaba della nostra necropoli, é specialmente ben conservato un gruppo (marito e moglie) in granito rossastro. Del processo di inumazione possiamo farci un'idea abbastanza precisa dalle bare in pietra calcare provviste di coperchio o dalle doppie bare di legno dipinte o scritte, dai recipienti in cui si conservavano gli intestini dei morti (i cosidetti canopi) e dallo stato degli scheletri recanti maschere di lino.

Speciale interesse offre lo svariato corredo che una mano pia deponeva per il viaggio del defunto nel mondo dell'aldilà e che in parte si é ritrovato dietro la bara, nella parte più nascosta della tomba: arredi sacrificali d'ogni sorta, come tavolini, piatti e patere, lastrine da unguento e da cosmetico, anfore, barchette per il viaggio celeste e una serie di ordigni come seghe, trivelli ed ascie.

Le notizie intorno all'architettura dell'antico regno offerteci da un singolo grande sepolcreto si ripetono quasi dappertutto dove antiche tombe vengano via via scoperte. Così per es., nella primavera del 1909 é stato messo allo scoperto anche il tempio funerario della piramide di Chefren, così imponente con i suoi pilastri semplici, senza colonne né bassorilievi ornamentali.
La campagna iniziata nel gennaio 1910 fu dedicata alla esplorazione del santuario della Sfinge, appartenente allo stesso gruppo di monumenti. Inoltre gli scavi tedeschi dei successivi anni portarono alla luce una necropoli risalente ad ancor più remota antichità, forse anche all'età preistorica anteriore alla prima dinastia, scoperta a circa 100 km. a sud del Cairo.

Qui le tombe a salme rannicchiate, nelle quali i cadaveri sono sepolti con le ginocchia ripiegate e la testa volta a sud, formano un evidente contrasto col modo di inumazione abituale nelle tombe del regno antico, nelle quali gli scheletri sono invece distesi e voltati verso il nord.
Anche in queste tombe di mattoni vi è il ricco corredo di oggetti, di unguenti e cosmetici, diverse pentole, brocche, patere e gioielli di ogni sorta che fanno vedere il materiale adoperato, specialmente argilla e ardesia, avorio e alabastro. Come armi coltelli di silice ma probabilmente mancano altre armi rubate dai profanatori di tombe.

Una figura di cammello in pietra calcare dimostra che i colonizzatori preistorici conoscevano questo animale, ma che sembra piuttosto straniero per gli antichi Egiziani.
Dalle sedi dei morti si schiudono ricche sorgenti per le indagini intorno alla più remota storia dell'Egitto.
Di abitazioni conservate dell'antico regno si sono finora avute pochissime notizie; però alcuni modelli e rappresentazioni su monumenti ci compensano della realtà scomparsa.
La forma primitiva delle antiche abitazioni egiziane fu verosimilmente la disadorna capanna di fango, quale é rimasta in uso anche oggi: difatti la melma del Nilo, dappertutto a portata di mano, si può facilmente plasmare, s'impasta assai solidamente e serve inoltre come cemento quando secca al sole: era quindi quello il materiale più semplice da costruzione dato dalla natura. Ma anche l'abbondanza del legname, propria dell'età più antica, favoriva una costruzione più leggera delle case; le quali, in contrasto con le gigantesche moli di pietra delle tombe e dei templi, si costruivano per lo più con la melma del Nilo, in parte ridotta a mattoni, intercalata di paglia e rinforzata col legname: e già in antico erano divise in due piani.
Nella pianta più semplice, si avevano poche stanze raggruppate intorno a un cortile. I palazzi, di preferenza a un sol piano, erano provvisti di diverse porte, di grandi finestre in parte con inferriate e con stuoie mobili a difesa, del sole: graziose pitture decorative abbellivano le parti in legno. L'interno di queste dimore signorili, specialmente il locale principale adibito come sala da pranzo, era spesso ornato di colonne, i cui capitelli, in forma di boccioli di loto o di fastelli di papiro, mostrano quell'amore per i fiori che gli Egiziani manifestano in ogni occasione.

Le pareti eran tappezzate di stuoie variopinte e il pavimento coperto di tappeti. Né mancano, già nel regno antico, esempi di parchi e giardini all'intorno di edifici.
Di pari passo col progresso nell'arte delle costruzioni, culminante in quelle delle tombe, procede il perfezionamento dell'architettura, del disegno, della pittura e dell'arte minuta, tutte quante in sviluppo durante la quinta dinastia nella metropoli di Menfi.

Che il periodo di sviluppo sia stato lungo, risulta già dalla grande perfezione` della tecnica, che solo poco a poco può esser riuscita a impadronirsi dell'uso del granito durissimo ed anche - come nella Babilonia - della dolerite. Connesso con ciò e senza dubbio con motivi religiosi, é il formarsi di uno stile artistico stereotipo, in un certo senso idealizzato, che dà a tutta l'arte egiziana una peculiare impronta di rigidezza.
A questo riguardo é soprattutto istruttiva la rappresentazione tipica del corpo umano e animale di profilo e col viso rivolto a destra, in contrasto col modo innaturale di presentare di faccia singole parti del corpo. Quest'arte tradizionale si mantenne fin nel regno nuovo, specialmente nelle pitture e bassorilievi sepolcrali significativi per il culto. Nel regno antico, disegni trattati con libertà e naturalezza sono eccezioni.

Anche nella plastica, che finora ci ha offerto esempi relativamente scarsi, non si può disconoscere una certa rigidezza nel modo di rappresentare il corpo sia eretto, sia seduto o accosciato, rigidezza cui si accompagna la riproduzione tipica dei dettagli. Rappresentazioni di dei sono attestate già fin dalla quinta dinastia. Del resto le sculture si limitano - astraendo dagli ornamenti architettonici non privi di motivi graziosi - alle statue spesso di grandezza molto più che naturale, col tempo ridotte a veri ritratti, ai gruppi come quello dei coniugi sopra ricordato, ed a rappresentazioni di animali, fra cui specialmente il leone fu reso con artistica fedeltà e molto realismo.

Di arredi e utensili, di ornamenti ed armi non vi è penuria. Conservati in gran numero, e riprodotti, lavori in metallo: sia in oro - fornito dal deserto arabico e da Koptos, nella valle di Foachîr -, sia in rame - tratto dalla penisola sinaitica -, sia in bronzo ed anche in ferro. Specialmente il bronzo serviva a fabbricare grandi e piccoli scalpelli, seghe, trapani ad archetto, asce e la usatissima accetta curva, nonchè recipienti ed armi di ogni sorta, come pugnali e accette. Splendidi gioielli ed armi preziose uscivano dalle officine degli orefici, la cui arte però raggiunse il massimo sviluppo molto dopo il regno antico.

Le inesauribili rappresentazioni figurate delle tombe ci fanno conoscere anche le altre occupazioni e industrie degli antichi Egiziani: i lavori artistici dei falegnami che, quando non disponevano di legname straniero, sapevano con grande abilità lavorare lo scarso materiale indigeno, producendo mobili, feretri, arnesi come pistoni, pestelli e martelli, ed altri -utensili, facendo anche fiorire l'arte dell'intaglio; i prodotti della ceramica e della tecnica, spesso mirabile, della porcellana; i pellami, i tessuti di lino, le filature, i graticciati di canne di papiro: stuoie, cinghie, lacci e grosse funi, e soprattutto la "carta" ovvero il papiro.
Possiamo amche seguire tutto il lavoro dei fornai: la farina prodotta, senza mulini, la macinazione fatta a mano del grano, l'impastamento e la cottura del pane e delle focacce; non sappiamo invece, finora, come si preparasse l'"orzata" (la birra) la bevanda nazionale egiziana, sebbene non vi fosse paese nella valle del Nilo che non avesse una propria birreria.

Accanto a questi mestieri, la inesauribile fertilità del suolo faceva dell'agricoltura la principale occupazione. Dalla coltivazione dei campi e dall'allevamento del bestiame dipendeva, una volta utilizzate a dovere le inondazioni del Nilo e compiuti i faticosi lavori della irrigazione, la ricchezza dell'Egitto.
I campi producevano frumento, orzo e farro, nonché alcuni legumi; la coltura delle viti e dei fichi é attestata fin dai tempi antichissimi. Una rappresentazione tombale ci fa vedere in tutti i dettagli i buoi aggiogati all'aratro, le grosse zappe di legno per frantumare le zolle, la sementa pestata dagli zoccoli di una gregge di pecore, la paglia tagliata e i covoni trasportati nei granai, trasporto che - al pari della trebbiatura - si faceva per mezzo di asini, mentre la spulatura era affidata alle donne. Uno sviluppo straordinario raggiunse l'allevamento del bestiame, praticato in grandi pascoli paludosi da una popolazione di pastori laboriosissima; si allevavano pecore, capre, porci, asini e in particolare differenti razze di zebre.

Alcuni dati numerici provano quanta ricchezza venisse ai proprietari di fondi agricoli dagli armenti e dalle greggi ben custodite e artificialmente ingrassate. Le pitture murali ci mostrano anche l'uccellagione, rivolta specialmente a prendere colombi e gru, anatre selvatiche e soprattutto oche. Gli uccelli acquatici, al pari dei pesci, si catturavano con grandi reti.
La caccia invece, come nell'antica Babilonia, era considerata come sport, e come tale riservata ai signori specialmente al re e ai funzionari di corte. Essi abbattevano gli uccelli con i giavellotti, trafiggevano i pesci con lance sottili e su leggeri canotti davano la caccia agli ippopotami con i ramponi.

Il cacciatore del deserto tendeva agguati ai leoni e leopardi, alle iene e sciacalli, alle antilopi e stambecchi. Perfino dei passatempi e dei giochi degli Egiziani abbiamo svariate rappresentazioni: corride di tori e naumachie; il tric-trac, gioco favorito; e soprattutto le danze, indispensabili nei lieti banchetti, insieme ai cantanti d'ambo i sessi, accompagnati su vari strumenti da musicisti maschi.
Da quanto siamo venuti accennando é lecito aspettarci che anche del popolo cui possiamo dare molte lodi per conquiste civili, non ci mancherà una visione completa e vivace. Difatti ancor oggi ci è dato rievocare l'abitante della valle del Nilo come singolo individuo, come membro della famiglia, della società e dello stato, come egli combatteva la lotta per la vita quattro millenni e mezzo fa.

Lo vediamo coi suoi capelli tagliati corti, con un panno bianco avvolto intorno ai fianchi, a piedi nudi: solo da vecchio indossava una veste che gli scendeva fino ai piedi. Una veste semplice, di festa e da corte dei personaggi ufficiali e dignitari era completato, per gli uomini, da parrucche artistiche e da barbe finte, per le signore altolocate da una pettinatura più o meno lunga, in parte anch'essa artificiale: sopra tutti emergeva il costume del re, con la lunghissima barba finta, la fascia del capo scendente in doppia lista sulle spalle e recante, come simbolo della dignità regia, la figura del serpente ignivomo; con la corona e la sciabola falcata, lo scettro ricurvo e la sferza.

Molto intima dev'essere stata la vita di famiglia a quanto ce ne mostrano i monumenti egiziani. Durante il regno antico, almeno, pare che l'uomo si accontentasse di una sola moglie legittima, accanto alla quale però, già nella quinta dinastia, troviamo delle concubine. Come in Arabia, le abitazione di quest'ultime si chiamavano «casa delle recluse», che ha lo stesso significato dell'arabo «harem»; e anche qui con le danze e il canto esse rallegravano il loro signore.

Rispetto verso i genitori, specialmente verso la madre, è per i figli dell'antico Egitto un dovere non meno sacro che per quelli della Babilonia e della Cina; il culto degli antenati e la vanita genealogica sono invece estranee alle concezioni egiziane. L'educazione dei ragazzi mira alla diligenza, alla socievolezza, alla riservatezza, al decoro esterno ed ai buoni costumi: e ad allevare sudditi fedeli al sovrano della valle del Nilo, al signore della doppia corona.
Questo principe divino, chiamato, da quando il «mezzogiorno» si fu riunito al settentrione, «re dell'alto Egitto e re del basso Egitto», e via via con un sempre più esuberante corredo di titoli, quali non toccarono mai nemmeno ad un sovrano della Babilonia, è notissimo sotto il nome di Faraoneda per'o «la grande casa », che serviva ad indicare l'insieme della sua reggia, suddivisa in varie sezioni.

Nella sua persona, come in quella dei sovrani di tutti gli antichi stati civili, il potere regio era riunito con il sacerdotale. Circondato da una folla innumerevole di consiglieri, generali e funzionari, ascende al trono nella pomposa magnificenza di infinite cerimonie e sacrifici.
A lui é affidata la cura dei templi e delle solennità, l' alta giustizia, la nomina, promozione, distinzione e trasloco degli impiegati, e l'amministrazione di tutto il paese, in pace e in guerra.

Già durante il regno antico l'Egitto era diviso in un certo numero (più tardi in quaranta) di nomi o distretti, cui presiedevano particolari principi (nomarchi) e sacerdoti nominati dal re, con giurisdizione indipendente e con truppe proprie. Nel resto, dipendevano via via dall'amministrazione centrale fino al punto in cui lo Stato poteva mantenere la loro forza e potenza nei limiti di un governo energico ed accentrato.
L'amministrazione della giustizia si svolgeva secondo forme fisse. Nel regno antico, il presidente del tribunale rivestiva spesso anche la carica di primo tesoriere, di sommo sacerdote o di governatore della capitale.

Come nel regno di Chammurabi, l'origine delle leggi era attribuita agli dèi. La procedura pubblica ci è solo nota nel periodo del regno di mezzo, però la eccezionale elusione del processo pubblico e un caso di giudizio segreto in una questione familiare toccante la casa reale, presuppongono l'esistenza di quella istituzione di stato anche durante il regno antico.

Numerosi ritrovamenti dimostrano come tale amministrazione dello stato producesse fin dal primo antico periodo storico, una immensa quantità di atti, elenchi, missive e processi verbali. Gli antichi Egiziani erano un popolo grafomane. Sopra agli operai ed agli artisti stava la professione dello scrivano, dello scriba educato nella scuola regia.
A grande importanza letteraria possono gloriarsi solo pochi testi del regno antico. Oltre al dramma ed alla letteratura musicale, mancano la poesia epica e la storiografia propria; né ci sono conservate tracce di qualche momento della cultura filologica, quale venne in sviluppo grazie alla bilinguità della dotta Babilonia.
Un contenuto poetico hanno le semplici e genuine novelle, per quanto non ricche di fantasia: il narratore vi appare amoroso osservatore della natura, sebbene per lo più uniforme, che lo circonda, del mondo animale e specialmente della prediletta magnificenza dei fiori. Ad una remotissima antichità accennano i canti bacchici ed amorosi, altrettanto le parole con le quali il contadino accompagna il suo lavoro.

Anche la gnomica risale certamente al regno antico; appunto il più noto di tutti i libri di ammaestramenti è attribuito all'antico re Amenemhêt I. Gli inni, rivolti in parte agli déi (specialmente al dio del sole ed alla dea del cielo), in parte anche ai Faraoni, o celebranti illustri defunti, contengono qua e là belle descrizioni di cose naturali, ma troppo spesso nascondono con frasi la mancanza di un più profondo contenuto poetico. Veri tesori di idee religiose sono il famoso «Libro dei morti», i testi delle piramidi e l'opera «Quel che c'é nel mondo sotterraneo», sui quali dovremo ritornare.

Fra gli studi scientifici rivelatici da questa letteratura, l'astronomia prende indubbiamente un posto cospicuo. Si distingue essa dalla babilonese essenzialmente in quanto, secondo ogni apparenza, non si é sviluppata dall'astrologia. È vero che anche l'Egiziano conosceva giorni fausti ed infausti, giorni «critici» nei quali era vietato di intraprendere certe azioni. Ma le osservazioni astronomiche condotte con studio assennato e volto al reale servirono certo fin da principio allo scopo pratico della (antichissima) determinazione dell'anno.
L'aver riconosciuto che nel giorno in cui via via cominciava l'inondazione del Nilo (circa il 20 luglio) anche la stella di Sothis (Sirio) ritornava visibile nel cielo mattutino, condusse a stabilire un anno solare di 360 giorni e cinque giorni intercalari, il cosiddetto anno di Sothis, con un periodo di 1460 anni.
Però il quarto di giorno mancante al nostro anno solare, resosi naturalmente già allora sensibile per uno spostamento delle stagioni, fece sì che in luogo di queste anno di Sothis subentrasse presto un anno variabile, rimasto da allora in poi quasi esclusivamente in uso nella vita pratica.

Il limpidissimo cielo notturno dell'Egitto invitava inoltre all'osservazione degli astri lucenti, nei quali già l'antica fede vedeva trasformate le anime dei defunti. Sembra che gli astronomi fissassero già per tempo alcune costellazioni. Il mutamento di posizione delle singole stelle attrasse pure la loro attenzione: essi lo indicarono, di quindici in quindici giorni, per le singole ore notturne, e precisamente mediante una tabella in cui era riferito alle parti del corpo di una figura umana immaginata come seduta precisamente nella metà del cielo.

Pare che nel regno antico la matematica, occorrente per tali osservazioni, non sia stata mai coltivata come scienza pura, ma che servisse anch'essa a scopi pratici: determinazioni dei valore relativo di merci, divisione di quote di mercedi, e soprattutto misurazioni di campi e terreni, tutte eseguite secondo il nostro sistema decimale. I testi principali di medicina, come il celebre «Papiro Ebers» e il cosiddetto «Papiro Hearst», non si possono ricondurre all'età del regno antico: però la medicina doveva essere esercitata fin da allora da medici addetti alle varie discipline. Possiamo seguire, dalle diagnosi più semplici fino alle più diffuse e dettagliate, le malattie dello stomaco, dell'intestino, dei vasi, diverse malattie delle donne e soprattutto le oftalmie. La terapia era in parte complicatissima e ricorreva soprattutto agli unguenti, ai bendaggi, alle miscele di sostanze vegetali e animali.
Ma come nell'Asia occidentale, così nella valle del Nilo la medicina stava sotto il dominio della superstizione. I rimedi portentosi abbondano: le malattie potevano scacciarsi con formule e cerimonie magiche. All'incontro le figure di cera e di carta potevano in certi casi, per una forza misteriosa, arrecare ai nemici dolori e malattie. Anche nell'antico Egitto il mago e lo stregone é un personaggio indispensabile e influente. I suoi scongiuri connessi con le leggende divine, l'invocazione di nomi ed epiteti di déi, l'uso di parole misteriose e incantate (le cosiddette voces mysticae), e la fabbricazione di amuleti di legno o di pietra, necessari agli stessi dèi - eran tutti elementi importanti dell'antica pseudo-sapienza egiziana.

ln Egitto, come nell'antichissima Babilonia, la religione, la mitologia e il culto si presentano allo studioso come un insieme già bell'e formato. Non solo le personificazioni dei motivi religiosi ma anche il culto da esse inseparabile appaiono come quantità definite per quanto si risalga indietro, cioè verso l'età preistorica. Perfino come religione di stato soggetta a norme fisse, col re come sacerdote supremo a capo della comunità dei credenti, la fede egiziana, pronunziatamente politeista, si può ravvisare già nel regno antico. Come peculiarità ci colpiscono l'accentuata preferenza del culto del sole su quelli della luna e delle stelle, e la stretta connessione delle forze immaginate come divine con i corpi di animali.

Certo più a lungo che in Babilonia, si sono conservate nella valle del Nilo divinità dei campi e delle messi. Ma in ambedue i paesi appaiono le divinità protettrici delle città, inseparabili dall'attività colonizzatrice. La loro opera di azione ora si allarga, ora si restringe: una divinità cittadina diventa divinità di campagna o emigra da un quartiere all'altro della città: culti locali crescono e s'intensificano via via che aumenta l'importanza politica del loro territorio. In ambedue i paesi le figure di dei secondari impallidiscono dinanzi al culto predominante dei loro potenti doppioni.
In ambedue i paesi possiamo anche osservare formazioni di dualità e trinità, partite da fenomeni naturali complementari, dall'uomo e dalla donna, o da formazioni mitiche di ogni sorta che coll'andar del tempo fecero capo ad ancor più complicate e polimorfiche combinazioni di divinità o si raffinarono in prodotti artificiali di concetti astratti, come nella concezione egiziana di Mat, la dea della verità.

Il su ricordato zoosimbolismo, nello sviluppo di una religione naturale preistorica, che ha dato la sua impronta a tutta quanta la mitologia egiziana, si è nell'età storica così strettamente intrecciato con la rappresentazione antropomorfica, che nella maggior parte dei casi non si può più stabilire la differenza fra la percezione più tarda della divinità umana che ha preso corpo in un animale, e quella più antica dell'animale pensato come sede primitiva, anzi come forma primitiva della divinità, o infine soltanto come simbolo di essa.
Sembra che gli Egiziani stessi abbiano, nella più antica età storica, cancellato tale differenza: come si può dedurre dalle rappresentazioni delle varie divinità in forma bestiale ma con testa umana, e d'altra parte della dea celeste Hathor con testa di donna, ma con orecchie di vacca.

Uno sviluppo piuttosto fantastico subirono, tra le figure principali del pantheon egiziano, quelle del dio del sole e della dea del cielo. Il cielo è raffigurato o come vacca le cui zampe toccano la terra, o come donna che si piega verso la terra. Il sole e tutte le altre stelle passano su navi al disopra di questa dea celeste, come le barche sul Nilo. Il dio del sole, adorato specialmente nei templi di On Heliopolis, di Edfu e di Abu Gurâb, si immaginava come uccello di rapina con occhi lucenti o come scarabeo (lo scarafaggio egiziano) che si tira dietro il disco solare; o come dio con testa di sparviero, con sul capo un serpente ignivomo, di fronte al quale si pone, a complemento, l'animale favoloso Set, dio delle tenebre; ovvero finalmente come signore del mondo in forma umana, che naviga attraverso il suo regno, di giorno sulla barca del mattino, di notte - nell'inferno - sulla barca della sera.

In maniera del tutto analoga sono rappresentati anche gli altri dei e dee, d'importanza secondaria rispetto alla divinità solare: con teste di animali, ma nel resto in forma umana, coll'abito dei principi egiziani; gli uomini tengono in mano un bastone, le donne un giunco: il dio della luna Thot come ibis, il dio delle acque Sobk come coccodrillo, il dio creatore Chnum come montone, il dio dei mort Anubis come sciacallo.

Del tutto umanizzate appaiono all'incontro varie divinità locali, come Ptah, il dio di Menfi, Min, il divino signore dei deserti di Koptos e la sua forma parallela Ammone di Tebe, che godette di speciale venerazione nel regno medio e nuovo. Potremmo probabilmente riconoscere, la natura e le forze di questi dei e dei loro complementi femminili, quando ci saranno note con una certa completezza le leggende, in specie cosmogoniche, che contribuirono a formare queste divinità o si aggrupparono intorno ad esse.

Ma sebbene, a giudicare dai frequenti accenni dei testi religiosi e magici, questi miti debbano essere stati numerosi e sviluppati, gli scrittori egiziani non si sono mai occupati, per quanto fino ad ora risulta, di registrarli. Solo in un testo magico ieratico del quarto secolo a. C. troviamo estese leggende cosmogoniche, che per quanto in alcuni dettagli mostrino notevoli affinità con corrispondenti leggende babilonesi, pure debbono esser sorte in suolo egiziano e risalire ad una alta antichità. Il che può dirsi anche della saga, importantissima per tutta la materia del culto, della quale meglio c'informa il celebre opuscolo plutarchiano intorno ad Iside ed Osiride, composto all'incirca nel secondo decennio del secondo secolo d. C.

A Busiris nel Delta del Nilo e ad Abydos nell'Egitto centrale, era venerato ab antiquo Osiris, il signore dei morti. Costui, prima re potente e giusto dell'Egitto, era stato indotto con un'astuzia dal suo perfido fratello Set, capo di una congiura ordita contro di lui, a distendersi in una cassa, la quale fu poi calata nel Nilo; il fiume la spinse nel mare e il mare la gettò su una spiaggia remota. Isis, la dolente sorella e moglie dell'ucciso, trova dopo lunga ricerca la bara col cadavere e lo nasconde; ma non così bene da impedire che Set lo ritrovi, se ne impadronisca, lo faccia a pezzi e ne disperda le membra.
Mentre Isis, dopo altre ricerche, piange sulle membra ritrovate, Anubis, per ordine del dio del sole, le ricompone e Isis infonde loro nuova vita. Horus, figlio di lei e di Osiris, in aspra lotta prende vendetta del fratricida Set, suo zio. Gli déi istituiscono un processo e dànno ragione ad Osiris, che da allora in poi divenne il signore dei morti.

Questa leggenda, diffusasi con diverse varianti per tutto l'Egitto, esercitò una influenza duratura sullo sviluppo della religione. Al mito di Osiris sono specialmente da riportare la fede nell'immortalità e il culto dei morti, le misure per proteggere le salme dalla corruzioni, l'uso di deporre oggetti nelle tombe, la rappresentazione dell'anima sfuggente a forma di uccello dal corpo. Anche il re, già durante il regno antico venerato come dio, viene rassomigliato, come successore del padri, ad Horus, figlio di Osiride.

Troppo lungo sarebbe l'occuparsi qui anche del culto degli antichi Egiziani, che un, ben ordinato sacerdozio esercitava in magnifici templi, davanti a idoli intagliati, dipinti, scolpiti, con offerte di cibi e bevande, in vesti consacrate, con lunghe cerimonie accompagnate da inni e dal suono del sistro.
La stretta connessione anche dei rituali col mito di Osiris risulta dalle grandi raccolte di antichi sentenze, deposte sulle tombe dei re defunti e note oggi col nome di «testi delle piramidi».
Come modello di tutti le lamentazioni funebri riportiamo qui il sopra ricordato compianto lamento di Isis sulla salma del diletto marito e fratello, secondo la traduzione dell'Erman
« Vieni a casa tua, vieni a casa tua, o dio On ! vieni a casa tua, tu che non hai nemici! O bel giovane, vieni a casa tua, che tu mi veda! Sono la tua sorella, che tu ami: non ti devi allontanare da me. O bel ragazzo, vieni a casa tua... Io non ti vedo, eppure il mio cuore si angustia per te e i miei occhi ti desiderano... Vieni da lei che ti ama, che ti ama, Unnofre, o beato ! Vieni dalla tua sorella, vieni dalla tua moglie, dalla tua moglie, o tu, il cui cuore non batti ! Vieni dalla tua consorte! Sono la tua sorella della stessa madre, non devi star lontano da me! Gli dei e gli uomini hanno voltato la faccia verso di te e ti piangono insieme... Io ti chiamo e piango che si ode fino al cielo; ma tu non senti la mia voce, eppure sono la tua sorella che amavi sulla terra! altra non amavi all'infuori di me, fratello mio, fratello mio ! ».

 

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