-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

26. L'ASIA PRIMA DELLE CROCIATE - I MAMMALUCCHI


Abbiamo lasciato la storia dell'oriente al punto in cui, dopo la morte del sultano Muhammed, il regno dei Selg'ûki (Selgiucidi) si sfasciò. Già prima era sorta in Siria una nuova potenza, che gareggiò con gli emiri turchi e con gli Atâbegi nell'affrettare la rovina dell'antico califfato: i crociati cristiani.
Non é qui il luogo per esporre l'importanza delle crociate per la storia d'Europa. Per il mondo islamico i crociati erano solo incomodi concorrenti dei Turchi al dominio della Siria, e il fatto che si ostinavano proprio su Gerusalemme, considerata terra santa anche dai musulmani, dava almeno alla lotta contro di essi un colorito di fanatismo religioso. Quando comparvero nella Siria i primi crociati (1097), il paese era diviso tra i diversi emiri selg'ûkidi, i quali, guerreggiando tra di loro, non avevano alcun interesse a portare aiuto all'emiro di Antiochia, Jâghy Baissân (secondo altri Syyân), il primo assalito.

Gerusalemme fu nel frattempo occupata dagli Egiziani, che però la abbandonarono ai Franchi senza seria resistenza (15 luglio 1099). Mentre però dopo la morte di Muhammed i tutori dei diversi principi selg'ûkidi dovevano sempre sostenere una dura lotta per l'esistenza propria e dei loro protetti, sorse in Siria e Mesopotamia una nuova potenza la quale, almeno per un certo tempo, raccolse di nuovo le forze dell'Islâm per un'energica offensiva contro i cristiani.

Fin dal 1127 regnava nel Môssul il turco Imâd ad-Din Sengi, all'inizio in qualità di Atâbeg del principe selg'ûko Massûd. Abile stratega e diplomatico, e per di più eccellente funzionario, riuscì ad allargare il suo dominio tanto, che alla sua morte (1146) comprendeva quasi tutta la Mesopotamia, eccetto la regione settentrionale tuttora occupata dagli Ortokidi, e gran parte della Siria.
Trattava tanto bene i propri sudditi, che gli abitanti di altre province lo chiamarono in aiuto contro i vampiri che fino allora li avevano sfruttati. Rimise in onore le giustizia e la sicurezza personale, da tempo sconosciute in quei paesi.
Quando assunse il governo, la moschea principale di Môssul si ergeva in un campo di rovine; alla sua morte, lo spazio tutto intorno era coltivato. La sua ultima grande impresa fu la riconquista di Edessa (1144), rimasta per 50 anni nelle mani dei Franchi.
Nel colmo de' suoi successi dovette pur sentire quanto la sua posizione fosse malsicura: il principe selg'ûko Alp Arsslân, pur atteggiandosi a suo pupillo, tramò alle sue spalle una congiura. Nè valse che in breve riuscisse a soffocarla: il 15 settembre del 1146, durante l'assedio della fortezza degli Okailidi Kal'at G'abar, posta sull'Eufrate tra la Siria e la Mesopotamia, fu assassinato dai suoi propri schiavi.
I suoi due primi figlioli si divisero il regno, piuttosto difficile a mantenere unito contro i molti nemici. Il maggiore, Saif ad-Din Ghâzî, si tenne, col titolo di Atâbeg, il Môssul e la Mesopotamia fino al Châbûr; il minore, Nûr ad-Din Machmûd, la Siria. Quest'ultimo aveva ereditato, in misura ancor maggiore, le buone qualità di sovrano del padre.

Mentrei signori islamiti avevano, da secoli e quasi senza eccezione, considerato i loro regni come grandi demani da sfruttare, egli si sentì responsabile dinanzi a Dio del bene dei suoi sudditi. Modestissimo nei suoi bisogni personali, impiegò le ricche entrate dello stato, saggiamente amministrato e senza ulteriore gravame dei sudditi, non solo per la sicurezza della sua posizione militare, come le grandi spese per le fortificazioni, ma soprattutto a pro della cultura: per moschee e conventi di dervisci, alberghi per viaggiatori, ospedali e scuole.

In fatto di politica estera, Machmûd si occupò solo di cacciare dal paese i Franchi. Per raggiungere tale scopo non ebbe scrupolo, per quanto ottimo musulmano, di stringere un'alleanza col re cristiano dell'Armenia minore. Un bel passo avanti su questa via lo fece nel 1154, privando del regno l'ultimo e inetto sovrano togteginida di Damasco.
Il merito dell'espugnazione di Damasco spetta soprattutto all'emiro di Nûr ad-Din, il curdo Aijûb, che insieme al fratello Shirkûh era già stato al servizio di Sengi. Shirkûh coronò l'opera del fratello, costringendo l'ultimo dei Fâtimidi egiziani, Adid, a rimettergli, col titolo di al-Manssûr, la direzione dell'esercito e del governo (1169).
Venuto però a morte nello stesso anno, gli successe il nipote Jûssuf, figlio di Aijûb, col nome onorifico di al-Malik an -Nâssir ovvero Salâch ad-Din (SALADINO).
Questi si sbarazzò completamente dell'ultimo Fâtimide (1171), che di lì a poco morì. Chiamati a sè il padre Aijûb e gli altri suoi parenti, cercò di sottrarsi a poco a poco all'influenza del suo sovrano Nûr ad-Din. Avendogli negato l'aiuto richiestogli contro i castelli dei crociati sulla via tra Damasco e l'Egitto, questi si preparò subito alla guerra contro il vassallo insubordinato. Ma prima di intraprendere la campagna lo stesso Nûr ad-Din venne a morte (15 maggio 1174).

Però l'Egitto, soprattutto per la minacciosa vicinanza dello stato dei crociati, non costituiva un possesso sicuro, finché non venisse riunito alla Siria. Il figlio adolescente di Nûr ad-Din, Ismâil al-Malik as-Sâlich si lasciò ben presto indurre dal suo emiro a trasferire la residenza da Damasco ad Aleppo. Presto i crociati minacciarono la città abbandonata; ma Salâch ad-Din (Saladino) li prevenne e nel 1174 la poté occupare senza colpo ferire.
Il figlio di Nûr ad Din ottenne rinforzi da Saif ad-Din, sovrano del Mòssul; ma i due eserciti riuniti non ce la potevano fare con gli Egiziani e furono infatti sconfitti due volte.

Salâch ad-Din (Saladino), che aveva assunto nel frattempo il titolo di sultano, si accontentò per intanto di Hamât nella Siria settentrionale e lasciò ad Aleppo la propria indipendenza, dovendo prima fare i conti con gli (Hashashî) Assassini; a capo dei quali stava in Siria, dal 1169, un nuovo Gran Maestro, Rashîd ad-DIn Sinân. Costui aveva già due volte mandato dei sicari contro Salâch ad-Din, allorchè egli era penetrato in Siria.
Nel 1176 il sultano mosse pertanto contro la loro fortezza principale di Massjaf; ma non riuscendo ad espugnarla, concluse presto la pace, mantenendola fedelmente sino alla sua morte.

Assicuratasi Salâch ad-Din (Saladino) la propria posizione combattendo con i crociati e col sultano selg'ûkida di Ikonium, che minacciava i suoi possedimenti nella Siria settentrionale, il sovrano di Aleppo morì nel 1181 e Iss ad-Din di Môsul ne fece occupare il regno. Ma Salâch ad-Din (Saladino), mediante incursioni nella sua terra natale, lo costrinse a lasciare la preda; e dopo altre lotte, a cedere tutto il suo dominio eccetto Môssul e i dintorni (1186), che però tenne come suo feudo.
Allora il sultano poté accingersi a spezzare la potenza dei Franchi, incastrata a mo' di cuneo fra i suoi domini.

Nel 1187 sconfisse presso Hittin gli eserciti crociati riuniti di Gerusalemme e Tripoli; poco dopo espugnò Akko ed Askalon e il 2 ottobre la stessa Gerusalemme. A Tiro però Corrado di Monferrato resistette ai suoi assalti; e mentre assediava Tripoli ed Antiochia, un nuovo esercito di Franchi comparve dinanzi ad Akko. Benché quest'ultimo fosse bloccato dal sultano, il doppio assedio andava per le lunghe. Nella primavera del 1191 comparvero dinanzi ad Akko Filippo di Francia e Riccardo Cuordileone; allora la città non poté più oltre resistere. Ma il valoroso Inglese non si mostrò troppo accorto accontentandosi di questo successo e abbandonando Gerusalemme al sultano, con l'armistizio del 1° settembre 1192.

Era appena trascorso un anno e già l'ultimo grande campione dell'Islâm moriva a Damasco (9 marzo 1193). Egli stesso aveva spartito il regno tra i suoi parenti. Il figlio maggiore al-Malik al-Afdal Alì ebbe, come capo della famiglia, il sultanato con Damasco e la Siria meridionale; dei fratelli, al-Malik al-Aziz l'Egitto, al-Malik as-Sâhir Aleppo e la Siria settentrionale. I possessi della Mesopotamia toccarono al loro zio al-Malik al-Adil, fratello di Salâch ad-Din.

Era appena morto da un anno, e già la guerra scoppiava tra i suoi eredi. Al-Malik al-Àdil riunì ancora una volta nelle sue mani quasi tutto il regno di suo fratello (1200), ma poco prima che morisse (1218) i crociati, che in Palestina non avevano potuto fare gran che, gli ripresero la piazza forte di Damietta, dominante il braccio orientale del delta del Nilo. Tra i suoi figlioli si accesero di nuovo contese. Suo figlio maggiore al-Malik al-Kâmil, che finì per mantenersi nell'Egitto e in Siria, cedette ai crociati, condotti da Federico II, Gerusalemme e loppe, con gli angusti tratti di terra che congiungono le due città. Ma non erano passati dieci anni, e suo figlio Al-Malik as-Sâlich riprendeva ai Crociati la città santa.

Al pari dei califfi abbâssidi, anche gli Aijûbidi avevano sempre dovuto adoperare in guerra truppe turche. La loro guardia del corpo era formata di schiavi comprati, mamlûk (mammalucchi); però non di rado avevano preso al servizio orde intere, comparse allora nell'Asia anteriore, sotto la pressione dei Mongoli.
Queste truppe turche finirono per imporsi, così in Egitto come a Bagdâd, ai loro legittimi padroni. Quando l'ultimo aijûbide egiziano, Tûrân Shâch, educato in Mesopotamia e quindi poco familiare con lo stato di cose del Cairo, tentò di stringere un po' i freni, fu assassinato (1250), e un figlio minorenne di Kâmil innalzato al trono, sotto la reggenza dell'emiro turcomanno Aibek.
Respinto un attacco degli Aijûbidi di Siria, Aibek si sbarazzò del figlio di Kâmil (1254), assumendo egli stesso, dopo aver sposato la vedova di Sâlich, il titolo di sultano. Di lì a tre anni fu però assassinato per istigazione della sua gelosa consorte; il figlio minorenne fu messo in disparte dal tutore Kutuz (1259).

Al suo successore Baibârs spetta il gran merito di aver allontanato dal regno il flagello mongolo, piombato, rovinoso, su tutta l'Asia anteriore. L'Egitto fu pertanto l'unico paese, in cui lo svolgimento della cultura islamica non subì una brusca interruzione. Però nemmeno i Mammalucchi seppero conservare al paese la pace interna. La continua incertezza della situazione politica, per la quale a nessun sovrano era concesso di regnare a lungo e a quasi nessuno di morire di morte naturale, portava con se, per tutti gli appartenenti alla corte ed al governo, un'incertezza della vita e della proprietà, quale ebbe a soffrire solo la vecchia aristocrazia nei giorni più turbinosi dell'impero romano.

Perfino i funzionari più valenti di rado restavano in ufficio più di tre anni; e a più d'un Kadi (giudice) toccava di esser nominato e deposto per dieci volte di seguito. Si aggiunga la violenza fatta alle coscienze dai Fukahâ ortodossi, dai quali fu per anni ed anni duramente perseguitato perfino un uomo di tanta fede e devozione come l'hanbalita Ibn Taimija, perchè non voleva adattarsi incondizionatamente e in ogni punto alla loro filosofia scolastica e combatteva varie degenerazioni della religione popolare, quali il culto dei profeti e dei santi.

La produzione letteraria si svolse in ancor ricchissima misura nella Siria e in Egitto, creando opere che conservano anche per noi molto valore, specialmente nel campo storico; ma l'originalità era ormai scomparsa. Per altri rispetti, si possono solo ricordare gli edifici eretti dai Mammalucchi, specialmente le grandiose moschee sepolcrali della valle di Mukattam presso il Cairo.


I TURCHI E I :MONGOLI. LA FINE DEL CALIFFATO

La parte orientale dell'antico regno dei califfi era nel frattempo divenuta preda del capriccio di signori turchi, le cui incessanti contese portavano la devastazione in quelle terre una volta fiorenti di civiltà. Non possiamo seguire in ogni particolare queste tristissime vicende: basterà accennare ai fatti più importanti. Fra gli eredi del sultano selg'ûko Melikshâch, Sang'ar aveva riunito, fin dal 1097, la Persia e le terre dell'Oxus in un governo pacifico. Nel Chwârizm aveva dovuto riconoscere come vassalli il governatore Muhammed, il figlio di Anushtegîn, già nominato da Barkiarok e resosi indipendente col titolo di Chwârizmshâch; e nel Seg'istân un preteso discendente dei Saffâridi, Tâg' ad-Din Abu 'l-Fac' Ibn Tâhir.

Anche i sovrani indipendenti della Transoxania ed i Ghaznawidi, i quali, conforme alla vecchia tradizione della loro casa, consideravano come loro missione lo spoliazione dell'India, erano più o meno dipendenti da Sang'ar. Ma il successore del primo shâch del Chwârizm, Atssyz (1128-1156) tentò di sottrarsi all'influenza del sultano selg'ûkida. In castigo della sua insubordinazione fu deposto; ma non appena Sang'ar ebbe lasciato il paese, rialzò la testa e gli aizzò contro, per spingerlo verso oriente, la tribù turca, tuttora pagana, dei Karachitâi di Samarcanda.

Costoro inflissero al di là dell'Oxus una sensibile sconfitta a Sang'ar (9 settembre 1141), dopo la quale il loro capo regnò, col titolo di Gûr-Chân, sulla regione di Samarcanda.
Atssyz approfittò della disgrazia del suo sovrano, cercando di strappargli alcuni distretti del suo territorio, nei quali però non riuscì a mantenersi. Tornò poi a riconoscerlo come suo signore feudale, ma solo formalmente; difatti suo figlio Arsslân, successogli nel 1156, fondò, con carattere di sovranità già ormai deciso, la dinastia degli Shâch del Chwârizm che esercitò, per quanto per breve tempo, notevole influenza sulla storia dell'Asia centrale.

Di lì a poco anche la bella creazione di Machmûd di Ghazna divenne preda di nuove orde turche. Nella regione montagnosa di Gôr, prima sottomessa da Machmûd stesso, soggiornavano, in qualità di vassalli dei Ghaznawidi, alcuni principi della casa indigena dei Sûrï. Un principe di questa casa era stato messo a morte dal ghaznawide Bachrâmshâch, presso la cui corte egli si trovava. Per vendicarlo, il fratello di lui piombò su Ghazna (1148) e costrinse il sultano a fuggire in India. Ma ne tornò con truppe fresche, con le quali riuscì a sconfiggere Sûrî; caduto nelle sue mani, fu giustiziato. I due fratelli di quest'ultimo chiamarono a vendicarlo le orde selvagge delle loro genti. Nel 1150 espugnarono Ghazna e la rasero al suolo; soltanto due minareti ne segnano ancor oggi la località. Bachrâm-Shâch rimase da allora nell'India, dove si stabilì a Lahore.

Contro il regno di Sang'ar mossero allora anche i Goridi, spingendosi verso l'Herât; lì affrontò il sultano selg'ûkida e li sconfisse, sì che il loro capo poté tornare in patria solo dopo una prigionia di due anni. Non altrettanto felice riuscì a Sang'ar la guerra contro la tribù turcomanna dei Gûzi; cacciati dai Karachitâi dai loro pascoli, il bisogno li aveva costretti ad invadere il suo territorio. All'inizio avevan cercato di essere pacificamente annessi al suo stato; ma gli i cinici esattori delle tasse li avevano spinti alla ribellione. Nel 1153 inflissero una grave sconfitta al sultano, tenendolo prigioniero per tre anni. Riuscito a sfuggir loro, la morte lo colse nel 1157.

Dopo la vittoria sul sultano, i Ghûzi avevano invaso le sue terre, saccheggiando e uccidendo; a Sang'ar era succeduto il nipote Machmûd, presto cacciato dal trono dal tutore Muaijad. Morto Il Arsslân, costui s'intromise nella contesa tra i suoi due figli per il trono dello shâch del Chwârizm e nel 1174 fu sconfitto e ucciso dal maggiore di essi, Takash.
Dopo lunga lotta tra fratelli, cui parteciparono anche i Ghûzi scorrazzanti per il paese, Takash, morto il fratello nel 1193, poté impadronirsi di tutto il regno. Ma spintosi verso occidente, si urtò contro la potenza del califfo abbâssida an Nâssir, che, liberata Bagdâd dalla signoria dei maggiordomi, minacciava da Babilonia l'usurpazione delle terre d'oriente. Sotto il regno di Takash lo Chwârizm fu, se non altro, sicuro dai Ghoridi, essendosi costoro gettati sui resti del regno ghaznawide nell'India. Ma morto lui, il suo successore Muhammed II fu assalito dal ghoride Alâ ad-Din lI Muhammed (1204), che però rimase sconfitto; l'esercito fu pressoché distrutto, durante la ritirata, dai Karachitâi.

Ne risentirono il contraccolpo i Ghoridi nell'India; nelle contese di lì a poco scoppiate tra gli emiri, l'ex-schiavo turco Altytmysh riuscì a raccogliere ancora una volta tutto il regno in suo potere.

Come abbiamo detto, in Persia lo shâch del Chwârizm venne ad incontrarsi con la sfera d'influenza del califlo abbâssida an-Nâssir. Questi era riuscito per mezzo d'intrighi, a detronizzare il sovrano del Hamadân, della casa dei Pehlewanidi. Il nuovo principe da lui favorito, l'ex-schiavo Ogulmysh, si affidò alla protezione dello shâch del Chwârizm, per punirlo, Nâssir lo fece uccidere da un Assassino.
Lo shâch del Chwârizm si decise allora a sbarazzarsi dell'incoronato avversario, togliendogli, per così dire, il terreno sotto i piedi; a tal fine convocò un concilio ecclesiastico, perché deliberasse se la dignità spirituale del califfato non spettasse piuttosto ai discendenti di Ali, i cui partigiani, gli Shiiti, erano ancora molto diffusi in Persia. Un alide di Tirmidh, Alâ al-Mulk, fu proposto come anti-califfo, e lo shâch del Chwârizm preparò un esercito, perché quegli salisse sul trono di Bagdâd.

In tale disperata situazione Nâssir si rivolse per aiuto ai Mongoli, nel frattempo apparsi nell'Asia centrale, e della cui storia anteriore ci occuperemo ancora ma a suo tempo.


Il chân mongolo C'ingiz-Chan (GENGISKAN) si trovava già da tempo in rapporti tesi con lo shâch del Chwârizm; né tardarono a scoppiare scaramucce di confine. Il governatore di Muhammed aveva fatto arrestare e giustiziare come spie degli innocui mercanti mongoli (o pretesi tali); e un'ambasceria del chan mongolo di protesta era stata rimandata da Muhammed col danno e le beffe. Allora C'ingiz-Chân, decise nell'assemblea delle tribù la guerra di vendetta contro il Chwârizm-shâch, e dopo accurata preparazione, spinse le sue truppe verso l'occidente (autunno dei 1219).

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TUTTE LE CONQUISTE E LE BATTAGLIE DI GENGISKAN
E DEI SUOI SUCCESSORI
SI TROVANO SU UN'ALTRA SEZIONE
SU CRONOLOGIA

TUTTAVIA PIU' AVANTI IN ALTRI CAPITOLI DI QUESTA SEZIONE
TRATTEREMO LA GENESI DEI "MONGOLI"

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Già prima, il figlio maggiore di C'ingiz-Chân, G'ug'i, era venuto a contatto, durante una scorreria sul confine, con un esercito comandato personalmente da Machmîid; ma dopo una rapida vittoria si era affrettato a rientrare nelle steppe. Ad onta di questa prima lezione, Muhammed trascurò di raccogliere in tempo intorno a sé tutte le forze del suo vasto regno; poi soddisfatto di aver rafforzato le fortificazioni ai confini, aspettò a Samarcanda l'attacco dell'esercito principale dei Mongoli.

Guidati da C'ingiz-Chân e dai suoi figlioli, i Mongoli avanzarono su quattro colonne. Mentre le truppe assediavano le fortezze di confine, il gran Chân in persona si faceva strada fino a Buchârâ, espugnata dopo breve assedio e pressoché ridotta in cenere, fra orribili maltrattamenti inflitti ai cittadini.
Appresa tale sventura lo shâch del Châwrizm, che aveva perduto ogni energia ed era già tornato a Balch, riparò a Naishapûr. Ma non tardò a sentirsi malsicuro anche qui. C'ingiz-Chân occupate egli stesso Samarcanda e le altre città più importanti, mandò alcune colonne di truppe ad inseguire lo shâch, il quale avrebbe potuto, con un po' di energia, facilmente resistere con le milizie di cui ancora disponeva; poiché i suoi soldati turchi, sapendo che in nessun caso i Mongoli li avrebbero risparmiati, si difendevano col più grande valore nelle singole guarnigioni.
Muhammed si ridusse a cercare un ultimo rifugio in un'isoletta del Mar Caspio, dove mori (11 gennaio 1221).

Mentre i Mongoli, continuando la loro opera di distruzione sulla spiaggia meridionale del Mar Caspio, invadevano attraverso il Caucaso la Russia meridionale per ritornare in patria passando il Volga, il figlio maggiore di Muhammed, G'elâl ad-Din Mingbarti, che aveva seguito il padre nel suo rifugio, si recò prima nel Chwârizm, fino allora risparmiato dai Mongoli.
Ma i Turchi di questa regione, devoti al fratello minore Ozlag, già prima designato erede del trono, gli si mostrarono ostili. G'elâl ad-Din rivolgendosi pertanto a Ghazna, riuscì qui a raccogliere un esercito contro C'ingiz-Chan, che nel frattempo aveva già conquistato lo Chwârizm e il Chorâssân.

G'elâl ad-Din riuscì pure a sconfiggere una divisione avanzata dei Mongoli, nei monti tra Bâmijân e le valli di Kabul e Ghazna. Ma in seguito a discordie scoppiate fra gli emiri, la tribù dei Chalg' insieme ai Turcomanni si staccò da lui; con i resti delle truppe rimastegli fedeli non fu più in grado di resistere ai Mongoli.
Cercò scampo nell'India; ma i Mongoli lo inseguirono e lo strinsero sempre più vicino lungo le rive scoscese dell'Indo, che non riuscì ad attraversare. Le sue truppe furono pressoché distrutte; egli si salvò attraversando, in disperata corsa a cavallo, il fiume impetuoso. Nell'India riuscì a raggranellare una piccola schiera armata, di avventurieri turchi dispersi.
C'ingiz-Chân si trattenne per il momento dall'inseguirlo e ritirò lentamente le proprie milizie verso la Mongolia, compiendo la strage e la rovina di quello che era stato il regno del Chwârizm.

Di li a poco lo shâch del Chwârizm, accogliendo l'invito del fratello rimasto a Kermân, vi si recò. Qui, e nei monti che segnano il confine medio-persiano, continuò per qualche anno a battersi con i Turchi e coi Mongoli, finché cadde vittima della sete di vendetta di un Curdo (16 agosto 1231).
Le sue guerre furono condotte, é vero, senza un piano prestabilito; eppure egli fu l'ultimo difensore dell'Islam contro i pagani.
Gli altri principi, così gli Aijûbidi in Siria come i Selg'ûki nell'Asia minore,. gareggiavano in vili piaggerie verso i Mongoli, per essere almeno tollerati nelle loro province come feudatari.

C'ingiz-Chan era morto il 18 agosto del 1227. Il figlio Ogotai, successagli nel trono, non ne ereditò che in piccola parte l'energia e il valore; e morto lui (1248) inetti addirittura apparvero, i suoi figli. Le ostilità scoppiate fra di essi diedero ancora un po' di respiro ai paesi musulmani. Nel 1251 Mangu Chan, nipote di C'ingiz-Chan per altra linea, fu eletto capo supremo di tutti i Mongoli.
Suo fratello, Hulagû, degno discendente del grande conquistatore, comparve nel 1256 in Persia per sbarazzarla dei resti della tirannia degli Assassini. I successori del Maestro della Montagna, dileguatasi a poco a poco l'ombra di mistero che aveva circondato il loro fondatore e suoi discendenti immediati, erano entrati nelle file dei principi persiani minori; ma il possesso delle loro robuste fortezze dava loro pur sempre una speciale potenza.

Comparso Hulagû in Persia, quasi tutti i principi del paese, fino all'Armenia e al Caucaso, fecero atto di obbedienza; così pure l'ultimo signore degli Assassini, Ruku ad-Din, il cui padre, certo con la sua complicità, era stato poco prima ucciso. Però Hulagû lo cinse d'assedio nella fortezza di Maimûn-Diz e lo costrinse alla resa. Mentre lo si trasportava al campo del Chan, fu ucciso. I suoi seguaci furono scovati per tutta la Persia e messi a morte.

Fin dall'inizio Hulagû aveva avuto di mira di crearsi un nuovo regno in occidente, quale vassallo di suo fratello. Sottomessa la Persia, il suo prossimo vicino era il regno abbassida di Babilonia.
All'operoso an-Nassir erano successi, dal 1225 in poi, dei principi pusillanimi. I Mongoli non ebbero certo da aspettare di essere aizzati dai Persiani shiiti, per gettar gli occhi su quella facile preda. Dopo alcune trattative, nelle quali Mutassim, l'ultimo abbassida, non seppe cogliere il momento giusto per sottomettersi, senza poi riuscire a organizzare una seria resistenza, Bagdad cadde in potere dei Mongoli (17 gennaio 1258).

La città fu, si può dire, risparmiata; ma il califfo, dopo il saccheggio della sua reggia, fu messo a morte con molti dei suoi parenti. Alcuni però ripararono in Egitto; uno di essi fu rimesso sul trono, col nome di al-Mustanssir billah e come califfo apparente, dal mammalucco Baibars, che volle così legittimare la propria signoria; e quella dignità fu conservata dai successori finché gli Osmani non conquistarono l'Egitto.

Alla conquista di Bagdad tenne dietro la sottomissione dei principi minori della Siria. Ma la prima valida resistenza ai Mongoli venne loro dai mammalucchi turchi di Egitto. Invitati ad arrendersi, risposero invadendo la Siria e infliggendo una decisiva sconfitta all'esercito di Hulagû, presso Ain G'alût nei dintorni di Nabulus (3 settembre 1260).


I mammalucchi, e soprattutto il sultano Baibars, riconquistarono poi a poco a poco a Hulagû e agli Ilchani suoi successori, tutta la Siria. La potenza centrale dei Mongoli si era nel frattempo indebolita per le spartizioni dell'impero; del che vennero a soffrire, di riflesso, gli Ilchani, i quali mantenevano ancora il loro dominio sulla Persia.
Fra questi Ilchani uno solo merita ancora di esser ricordato: Ghazan, pronipote di Hulagû (1295-1304).
Benché, come i più della sua razza, si accorciasse la vita con l'ubriachezza, il vizio ereditario dei Mongoli, cercò, durante il breve regno concessogli, di riparare in qualche modo al male arrecato alla Persia dai suoi predecessori.
Si convertì, con tutto l'esercito, all' Islam, seguendo la dottrina sunnita, mentre poi suo fratello e successore Ulg'eitu Chodabende passò allo sciitismo (1309).

Le tasse, fino allora ripartite secondo il capriccio dei governatori mongoli e dei loro impiegati persiani, furono da lui riordinate in base ad una revisione generale del possesso fondiario. Cercò, dichiarandoli esenti da tasse, di riguadagnare all'agricoltura gli innumerevoli terreni privati dei loro coltivatori dalle scorrerie mongole e da allora rimasti incoltivati.
Rimise la fiducia nel mondo degli affari sopprimendo la carta-moneta a corso forzoso introdotta dai suoi predecessori, sull'esempio dei Cinesi, e provvedendo alla coniazione di monete di giusto peso.
Riordinò l'amministrazione della giustizia, turbata dal troppo semplice e incerto diritto consuetudinario dei Mongoli e ristabilì l'influenza del giure islamita; per l'uno e l'altro fondò una Corte suprema in comune.

In fatto di vita intellettuale non c'era naturalmente da aspettarsi gran che dai Mongoli. Eppure già sotto C'ingiz-Chan il turco orientale era diffuso tra loro come lingua letteraria. Si scriveva con un alfabeto particolare, il cosiddetto uigurico, derivato dal siriaco e già da secoli introdotto da missionari nestoriani fin nell'interno dell'Asia. Qui si sostituì a quella scrittura di tipo runico nella quale, sulle rive dell'Orkhon, i Chan turchi dell'VIII secolo, i più antichi a noi noti, avevano perpetuato le loro gesta.
Fra i pochi resti di letteratura manichea, scoperti a Turfan nel corso meridionale del Tianshan dalla spedizione tedesca dell'Asia centrale, si trovano testi in traduzione turca, essi pure in un alfabeto derivato dal siriaco, prototipo dell' uigurico.
In scrittura uigurica e in lingua turco-orientale é composta la più antica opera letteraria a noi conservata di questi popoli, il Kudatku-Bilik (1068), imitazione di un trattato cinese di morale pratica.

Sotto l'influenza dell'Islam, che presto soppiantò la cinese, furono poi tradotti in questa lingua libri popolari musulmani, una descrizione della visita di Maometto in paradiso e vite di santi; ma poi la scrittura uigurica fu a poco a poco soppiantata dall'araba.
Al periodo successivo, da Timur in poi, appartiene lo sviluppo ulteriore della letteratura turco-orientale sotto l'influenza persiana.
Tuttavia durante le bufere mongoliche la letteratura persiana trovò un asilo nel mezzogiorno, dove la dinastia dei Selgharidi si mantenne fino al 1287. Il poeta Saadî, stabilitosi nella sua città natale di Shiraz dopo una vita agitata e raminga, compose qui, dal 1256 al 1291, le sue due opere maggiori, il Gulistân (Roseto), misto di prosa e di versi e il Bôstân (Giardino), tutto in versi: opere moraleggianti, e fino ad oggi, specialmente il primo (noto anche in Europa fin dal 1654 per la traduzione in tedesco di Adam Olearius) carissime ad ogni Persiano quali classiche espressioni di un lato essenziale dell'indole del popolo, «la tendenza alla bigotteria ed alla ciarla».

Durante il regno dei Selg'ûki nell'Asia minore fiorì il più grande dei mistici persiani, G'elal ad-Din Rûmi (morto nel 1273); il distacco dal mondo, l'idea panteistica del riassorbimento dell'io ispirano le sue poesie, che i suoi discepoli, formanti l'ordine popolare e influente dei Maulawî, posero alla pari del Corano.

A Shiraz, mentre si sfasciava il regno degli Ilchâni, tenne il potere, finché fu detronizzalo dai Muzaffaridi, il discendente di un governatore, Abû Is-schak Enc'u; e alla corte del più insigne rappresentante di quella dinastia, dello shach Shug'a, fiorì il più famoso di tutti i lirici persiani, Hafiz (morto nel 1388). I suoi canti celebrano le bellezze della natura, in specie del suo risveglio primaverile, l'appassionato canto dell'usignolo, le gioie della gioventù e del vino e soprattutto l'amore omosessuale, fin dai tempi antichi molto diffuso nell'Oriente; ma irridono anche ad ogni bigottismo ed ipocrisia e pedanteria, rivelando uno spirito di grandezza e libertà, che nelle tristi condizioni della patria ha appreso a disprezzare tutti gli altri valori dell'esistenza, cercando solo nel godimento un compenso per essi.
A questi canti puramente mondani si volle più tardi attribuire un significato mistico, come fece la chiesa cristiana per il sensualissimo Cantico dei Cantici; e in tal modo quel fine poeta satirico ed esteta trovò un devoto culto anche presso le anime pie; come d'altronde la perfezione formale de' suoi versi li ha resi modelli inarrivabili per tutti i poeti posteriori, sia persiani che turchi.

Fatta questa breve parentesi letteraria
ora ci occupiamo proprio dei Turchi

 

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