-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

83. I TEMPI DELLA DINASTIA LUDOVICO IL BAVARO - LA SVIZZERA


La morte in Italia di Enrico VII che provocò la vacanza del seggio imperiale, gettò di nuovo la Germania in balia degli intrighi elettorali dei principi elettori, il cui risultato questa volta doveva essere uno scisma interno del regno.
Questa spaccatura prese le mosse dal dissidio scoppiato tra l'arcivescovo elettore di Colonia e due altri arcivescovi elettori. I due ultimi avrebbero questa volta preferito far succedere al padre il figlio, re Giovanni di Boemia, il nipote di Balduino ed il favorito di Pietro arcivescovo di Magonza. Invece l'arcivescovo Enrico di Colonia, che non sperava nulla di speciale a proprio favore dalla successione al trono di Giovanni, sostenne la candidatura di Federico «il Bello» d'Austria, il primogenito di re Alberto I.

Di fronte a questa candidatura i due arcivescovi rinunziarono a Giovanni di Boemia, che per la sua giovane età non avrebbe potuto spuntarla sull'Absburgo, ma cercarono un altro candidato affinché il futuro imperatore dovesse a loro e non ad altri la corona. Cose che avevano ormai bene apprese dal papato, visto che in Italia Clemente, con una tempestività eccezionale dopo la ferale notizia giuntagli da Buonconvento, aveva già avocato a sé per quanto riguardava il governo dell'Italia.

Per contrapporlo all'Absburgo occorreva peraltro un principe autorevole; ed essi lo trovarono in LUDOVICO di Wittelsbach, duca dell'Alta Baviera, secondogenito del conte palatino e duca di Baviera Ludovico il Severo. Ludovico era allora in guerra con Federico d'Austria a causa della Bassa Baviera. La vittoria da lui riportata sull'avversario il 9 novembre 1313 a Gamelsdorf non lontano da Moosburg, concentrò sulla sua persona l'attenzione degli elettori. Ludovico accettò le loro proposte e Pietro di Magonza indisse l'elezione per il 19 ottobre 1314 a Francoforte.
Qui però si ebbe la secessione dei sostenitori degli Absburgo che si radunarono a Sachsenhausen di là dal Meno. L'arcivescovo di Magonza li fece pregare di riunirsi agli altri e per attenderli rimandò di un giorno l'elezione.

Se non che quelli, non solo non aderirono all'invito, ma si affrettarono lo stesso giorno 19 ottobre 1314 ad eleggere re il duca Federico. Il 20 a Magonza si ebbe invece l'elezione di Ludovico.

Fu un colpo di mano sleale quello del partito dell'Absburgo; esso non contava che due voti incontestabili, cioè quelli dell'arcivescovo di Colonia e del conte palatino Rodolfo, il fratello maggiore di Ludovico col quale questi era in rottura; a costoro si aggiunse un duca sassone ed Enrico di Carinzia che si arrogò indebitamente il voto spettante alla Boemia.
Viceversa Ludovico aveva per sé almeno quattro voti di elettori, cioè gli arcivescovi di Magonza e Treveri, il margravio Waldemaro di Brandeburgo, Giovanni di Lussemburgo per la Boemia; inoltre egli ebbe anche dalla sua un principe sassone.

La conseguenza immediata della duplice elezione del 1314 fu una guerra durata per otto anni, la quale peraltro, più che di una vera guerra, assunse quasi il carattere di una faida privata. D'ambo le parti si cercò piuttosto di evitare che di provocare una battaglia decisiva.
Se i possedimenti e quindi le risorse personali degli Absburgo erano maggiori di quelle di Ludovico, quest'ultimo da parte sua godeva l'appoggio finanziario delle grandi città della Germania meridionale e dei paesi renani, di cui intelligentemente si era dato da fare per favorire i loro interessi. Tuttavia la numerosa aristocrazia militare di cui disponeva il duca d'Austria avrebbe forse deciso rapidamente la lotta a suo favore, se la casa d'Absburgo non avesse subìto da un altro lato una grave catastrofe; la disfatta cioè di Morgarten che ebbe un così profondo contraccolpo sulla situazione della Germania e segnò nel tempo stesso la nascita della ...

Confederazione svizzera.

Il conflitto tra le libertà comunali e le signorie territoriali sorgenti nel XIII secolo, che in molti luoghi abbiamo visto accendersi in quest'epoca, arse fatalmente anche sul lago dei Quattro Cantoni. A mezzogiorno e ad oriente di esso erano sorte le comunità rurali di Uri, Schwyz ed Unterwalden. La loro condizione politica ed il loro grado di libertà erano differenti; ma il comune interesse di opporsi alle mire di dominio dei conti della casa d'Absburgo, i più potenti dinasti della Svizzera settentrionale, le aveva indotte a unirsi.

Esse conclusero una prima lega fra di loro dopo la deposizione di Federico II (1245), prevedendo che sarebbe in avvenire venuta a mancar loro la protezione dal potere imperiale da cui i cantoni di Uri e Schwyz erano stati espressamente riconosciuti come dipendenti direttamente dall'impero.
Una seconda lega strinsero poi i tre cantoni dopo la morte di re Rodolfo d'Absburgo, accogliendovi anche quello di Zurigo, ed assumendo una posizione nettamente antiabsburghese; Uri e Schwyz ottennero pure nel 1297 da re Adolfo lettere di libertà e la conferma dei loro antichi privilegi.

Ma gli eventi che un anno più tardi riportarono gli Absburgo con Alberto al trono di Germania fecero sentire le loro conseguenze anche nella regione dei Quattro Cantoni; Alberto fu in grado di far valere qui più energicamente di prima le pretese della sua casa. Tuttavia che Alberto abbia esercitato in Svizzera, come narra la leggenda, un fiero dispotismo, ovvero anche soltanto che abbia voluto farla governare dai balivi stranieri, non è storicamente provato, come non lo sono le supposte gesta di Guglielmo Tell, Stauffacher, ecc.

Tutte queste leggende derivano da tempi assai posteriori, in cui lo spirito della nazione svizzera era ostile all'impero, mentre in realtà la Svizzera si é conquistata la sua indipendenza lottando a favore dell'idea imperiale. E da questo aspetto certamente la morte di re Alberto più che la sua vita segna un'epoca per la Svizzera, in quanto tale avvenimento porse occasione ai cantoni svizzeri di rinnovare i loro sforzi per sottrarsi ad ogni dipendenza territoriale con l'appoggio di re Enrico VII, il quale, prima di riconciliarsi con gli Absburgo, concesse loro volentieri quanto desideravano, cioè la completa posizione giuridica delle città libere alla diretta dipendenza dell'impero.

Vero é che in seguito Enrico VII, dietro istanza degli Absburgo, dovette acconsentire che si procedesse ad una inchiesta sulla situazione in Svizzera, ma morì prima di vederne il risultato.
Ad ogni modo, dopo la morte di Alberto e la duplice elezione del 1314 gli Absburgo perdettero ogni speranza di ottenere pacificamente in Svizzera il riconoscimento delle proprie pretese e ricorsero alla forza. Il bellicoso Leopoldo guidò contro i confederati svizzeri uno nutrito esercito di cavalieri; ma a Morgarten sull'Eggersee esso subì il 15 novembre 1315 una terribile disfatta, per cui il duca riuscì a salvare ben poco del suo "splendido esercito di cavalieri", mentre i vincitori rinnovarono a Brunnen la lega « eterna » del 1291, stabilendo che nessuno dei tre paesi e nessun confederato ulteriore dovesse senza il consenso degli altri assoggettarsi ad un signore o stringere un'alleanza con terzi (12 dicembre 1315).
Re Ludovico poi confermò a tutti i tre cantoni le loro carte di libertà; ciascuno divenne sovrano nel suo territorio con a capo un amman.

Alla fine la lotta per la successione giunse in Germania ad una decisione sanguinosa. Federico «il Bello» e suo fratello Leopoldo nell'autunno del 1322 concepirono il piano di prendere in mezzo l'avversario; il primo invase la Baviera da oriente, mentre l'altro doveva raggiungerlo da un'altra parte. Se non che, prima che avvenisse la loro congiunzione, Ludovico il 29 settembre 1322 offrì battaglia al suo rivale tra Múhldorf ed Ampfing, e Federico coraggiosamente la accettò.
In grazia dell'abile impiego a tempo delle riserve di Ludovico, guidate dal burgravio di Norimberga, essa terminò con la completa disfatta dell'esercito austriaco; lo stesso Federico «il Bello» cadde prigioniero. Fu questa l'ultima grande battaglia combattuta in Germania senza impiego delle armi da fuoco.

La vittoria di Ludovico ebbe importantissime conseguenze politiche; egli d'ora in poi venne considerato come il solo re legittimo di Germania, e si sentì già abbastanza sicuro per rivolgere il pensiero all'acquisto della corona imperiale come all'aumento della potenza della sua casa.
Ancora una volta si era reso vacante un grande feudo, l'elettorato di Brandeburgo, per l'estinzione della gloriosa dinastia degli Ascani; Ludovico lo conferì al suo primogenito che portava il suo stesso nome. Peraltro il re non fece questo acquisto impunemente. Re Giovanni di Boemia aveva sperato di ottenere la marca di Brandeburgo in ricompensa dei servigi prestati a Ludovico; al vedersela sfuggire n'ebbe disappunto, e, benché per il momento conservasse del rancore dentro di sé, la combinazione da cui era uscita l'elezione di Ludovico, cominciò a sfasciarsi.

Si aggiunga che il duca Leopoldo d'Austria non aveva ancor deposto le armi e non intendeva cedere; egli tentò persino, d'accordo col papa, di procurare l'acquisto della corona tedesca a re Carlo IV di Francia, ma non trovò seguito in Germania. Ad onta di ciò Ludovico, che si vedeva minacciato anche dal papa avignonese, si riconciliò con Federico «il Bello» e lo liberò dalla prigionia a patto che conquistasse alla sua causa il partito absburghese.
Ma il fratello Leopoldo non ne volle sapere, e quindi Federico «il Bello» , fedele alla parola data, si costituì nuovamente prigioniero; ma Ludovico lo accolse da amico e si dichiarò pronto ad associarselo nel governo, anzi persino a rinunziare alla corona in suo favore ove il papa lo riconoscesse re di Germania. Tuttavia questo era da escludere, perchè morto poco dopo Leopoldo, la somma del potere si concentrò nelle sole mani di Ludovico, e Federico «il Bello» dovette accontentarsi del vano titolo di re.

Tuttavia Ludovico rimase fedele alla sua politica di vivere in buone relazioni con la casa d'Absburgo anche dopo la morte del suo rivale, avvenuta nel 1330.
Ma il re vide sorgersi contro un nemico assai più pericoloso che non fosse stato per lui Federico «il Bello» nella persona del successore di papa Clemente V, Giovanni XXII (1316-1334), il primo papa che stabilì permanentemente la propria sede in Avignone al sicuro all'ombra della corona di Francia.
Giovanni si era mantenuto inizialmente neutrale nella lotta per la successione al trono tedesco; del resto le discordie che dominavano in Germania gli tornarono utili per scalzare l'influenza tedesca in Italia e per tenere a freno con l'aiuto di re Roberto di Napoli il partito ghibellino nell'Alta Italia.
I capi di questo partito, i Visconti di Milano, erano infatti già in procinto di soccombere. Ma a tal punto intervenne Ludovico, mandò uno dei suoi fidi in Lombardia come suo vicario e salvò la situazione (1323).

Ciò irritò talmente il papa che minacciò di scomunicare Ludovico se non si asteneva dal titolo di re e dal governo dello Stato finché egli, il papa, non avesse verificati e riconosciuti i suoi diritti alla corona. Re Ludovico, sorpreso a tutta prima da tale inaudita e arrogante pretesa, chiese una dilazione a giustificarsi, ma ben presto mostrò le sue ostilità, e nel fare così si tirò addosso da parte del papa la scomunica, e poi la deposizione dal trono e finalmente la privazione di tutti i suoi titoli e possedimenti.

Ma i fulmini papali non si rivelarono abbastanza forti per scuotere la posizione di Ludovico, sia presso il popolo, sia presso i principi; gli stessi avversari politici che egli si era suscitati contro non senza sua colpa, non osarono far lega sull'inimicizia del papa verso il re nell'interesse della propria causa.
D'altro canto Ludovico trovò appoggio nelle stesse file del clero e specialmente nei francescani o minoriti che erano in disaccordo col papa circa il modo di intendere il voto di povertà ed ora si schierarono col re.

La mano dei minoriti si scorge già nella prima risposta di Ludovico agli attacchi del papa, nel così detto «appello di Sachsenhausen» del 1323, che contiene una lunga dissertazione sulla povertà in difesa del concetto dei minoriti ed accusa di eresia Giovanni XXII per le sue idee divergenti in materia.

Contemporaneamente si riaccese la polemica letteraria circa i rapporti tra il potere ecclesiastico ed il potere civile. Emergono qui i due professori di Parigi Marsilio da Padova e Giovanni da Jandun, gli autori del famoso scritto dal titolo «Defensor pacis», in cui si esige l'abolizione del primato pontificio e di tutti i diritti civili del papato, e si dichiara, secondo le idee dell'antichità, fonte del potere pubblico il popolo di cui é rappresentante l'imperatore.
Ambedue questi professori si recarono presso Ludovico nel 1325 o 1326; essi lo convinsero a scendere in Italia per prendere a Roma la corona imperiale; cosa che egli fece verso la fine del 1326 d'accordo coi ghibellini dell'Alta Italia.

Ludovico fece il suo ingresso in Milano, poi per la via di Pisa giunse il 7 gennaio 1328 a Roma, senza che il partito papale-angioino tentasse di opporsi. Il 17 dello stesso mese assunse la corona imperiale, che peraltro ovviamente non gli fu conferita dal papa (che era ormai ad Avignone), ma dalla sovrana volontà del popolo romano. La città di Roma infatti, nemici e ex amici del papato, tutti malcontenti per la diserzione della curia, si erano staccati dal papa e si erano dati un regime democratico sotto la guida di Sciarra Colonna, il vecchio nemico di papa Bonifazio VIII.

E fu proprio lo Sciarra che in nome del popolo romano impose la corona imperiale sul capo di Ludovico. Dopo ciò venne iniziato un processo contro papa Giovanni. L'imperatore ed i romani lo dichiararono colpevole di eresia e decaduto dalla tiara; al suo posto un'assemblea di ecclesiastici e laici elevò al seggio pontificio il minorita Pietro Rainalucci che prese il nome di Nicola V (12 maggio 1328).
Per far questo Ludovico però perdette il momento favorevole per assalire il regno di Napoli, e siccome non fece nulla in vantaggio dei Romani e per liberarli dai loro nemici, gli umori del popolo verso di lui cominciarono ben presto a mutarsi.

Finalmente nell'estate Ludovico mosse verso il sud, ma tornò indietro dopo pochi giorni senza aver nulla concluso. A questo punto la sua posizione in Roma divenne insostenibile; e così nell'agosto egli come un fuggitivo abbandonò insieme con papa Nicola la città eterna, nella quale poco dopo entrarono i napoletani. Gli ordinamenti democratici di Roma vennero aboliti ed aboliti tutti i decreti dell'imperatore.

Ludovico trascorse l'inverno successivo a Pisa. Qui lo raggiunsero i capi dell'ordine dei minoriti, evasi dalle prigioni di papa Giovanni XXII, il generale Michele da Cesana, il provinciale d'Inghilterra, Guglielmo Occam, e Bonagratia da Bergamo. Istigato da loro, l'imperatore fece nuovamente deporre dalla carica il suo avversario e l'antipapa lo scomunicò. Egli peraltro progettava di radunare a Milano un concilio generale per sanare i mali della cristianità.
Se non che Ludovico difettava di forze e di energia per effettuare i suoi progetti ed imporre il suo volere. Egli rimase ancora in Italia sino al principio del 1330, prima in Toscana, poi in Lombardia; ma non riuscì a concludere nulla; i suoi principali partigiani fra i ghibellini morirono o lo abbandonarono.

Finalmente egli ripassò le Alpi; ed allora l'antipapa Nicola V rinunziò ad una lotta priva di speranze e si sottomise umilmente a Giovanni XXII. Questi volle far pompa di magnanimità verso l'innocuo avversario e si accontentò di punirlo con una forma mite di prigionia.
Così finì miserevolmente l'impresa italica di Ludovico.

Però i rappresentanti del progresso intellettuale furono dalla sua parte. Marsilio da Padova col suo scritto sulla traslazione dell'imperio, composto dietro incitamento dell'imperatore, fece giustizia completa delle pretese dei papi alla supremazia.
Ma fra tutti i dotti dei suo tempo primeggiò l'inglese Guglielmo Occam, il precursore di Wiclef ed il maestro di Lutero. Occam considera il papa esclusivamente quale la suprema autorità spirituale, il capo della Chiesa, la quale però potrebbe anche avere un altro ordinamento - senza papa .
"In nessun modo, egli dice, a quest'ultimo spettano poteri civili; a lui soprattutto non compete il diritto né di nominare né di confermare l'imperatore; ché anzi egli é soggetto alla giurisdizione imperiale. Neppure in seno alla stessa chiesa il papa é padrone assoluto, perché é vincolato alla sacra scrittura. Questa é infallibile, mentre il papa può errare; egli può persino essere un eretico, nel qual caso occorre deporlo dalla sua carica. La chiesa non é formata dal solo clero, ma dalla totalità dei fedeli in Cristo. Ed anche questa chiesa ed il suo organo, il concilio, possono errare, allontanandosi dalla sacra scrittura. L'ideale del buon cristiano si raggiunge con la castità e la povertà completa; così insegna Cristo in antitesi al clero mondanizzato!".

Se Ludovico il Bavaro si vide respinto dall'Italia, in Germania invece l'opinione pubblica rimase a lui favorevole. Malgrado la forma inconsueta con cui li aveva acquistati, il nome ed il titolo imperiale ebbero la loro influenza ed autorità sul popolo. Dove si tentò di pubblicare gli anatemi papali contro Ludovico, si provocarono spesso sollevazioni dello spirito pubblico a suo favore, e specialmente le città costrinsero gli ecclesiastici, ad onta dell'interdetto, a proseguire la celebrazione delle sacre funzioni.

Respinto dal papato francese, il sentimento religioso tedesco, divenuto più vivace e più profondo in quest'epoca, si manifestò nella mistica, la quale non si pose in diretto contrasto con la chiesa costituita e coi suoi dogmi, ma incitò gli uomini a cercare per proprio conto la conquista della grazia divina.

Questa mistica, rappresentata allora dai domenicani «Mastro Ekkehard», morto a Colonia nel 1327, Giovanni Tauler di Strasburgo ed Enrico Seuse (Suso), uno svevo, ha in sé, malgrado la sua profondità, qualcosa di popolare. Essa impresse al sentimento religioso tedesco un indirizzo nazionale, e contribuì pure in modo decisivo al perfezionamento della prosa tedesca, che per suo merito divenne adatta ad esprimere i più elevati concetti.

È da deplorare che l'imperatore Ludovico non abbia saputo meglio sfruttare gli impulsi della sua epoca. Egli era di animo gioviale ed aperto, prode cavaliere, pieno di buon senso e di affetto e devozione per i suoi amici, ma non era un grande carattere; difettava di volontà, di energia e di tenacia nell'attuare quanto aveva riconosciuto giusto; nella lotta più ostinata ch'egli ebbe a sostenere, quella col papato, le sue parole suonarono bensì energiche e decise, ma in suo cuore era costantemente propenso alla conciliazione; personalmente non era indifferente ai fulmini ed agli anatemi della chiesa.

Tuttavia in Germania Ludovico governò per lungo tempo (32 anni) con successo. Un tratto magistrale della sua politica fu la cura posta per mantenersi sempre strettamente d'accordo con la casa d'Absburgo: ciò che gli diede la possibilità di tenere in scacco il suo più pericoloso vassallo, il re GIOVANNI di BOEMIA. Questi era una splendida figura di principe: cavalleresco, sempre in moto, irrequieto ed attivissimo, un progettista fecondo con una tinta di fantastico, tuttavia non privo di qualità di uomo di Stato. In tutti fastidi dell'epoca lo si trova - studioso com'era - sempre impegnato a procurarsi da ogni parte amicizie e di conservarle. Egli era strettamente imparentato con la casa regnante francese, giacché Carlo IV, l'ultimo dei Capetingi, aveva sposato sua sorella Maria; il suo primogenito era stato allevato alla corte francese e si era in seguito fidanzato con una sorella del successore di Carlo, re Filippo VI. Facendo capitale di tutte queste amicizie che per il tramite della Francia giungevano fino ad Avignone, Giovanni di Boemia, poco dopo il ritorno dell'imperatore dall'Italia, intraprese per conto proprio una spedizione oltr'alpe, la quale da principio ebbe grande successo. Atteggiandosi ovunque a paciere, come venti anni prima suo padre Arrigo VII, e riuscendo a riconciliare le fazioni avversarie, ottenne che le più importanti città dell'Alta Italia gli conferissero la «signoria».

E sembrò sul punto di costituire in Italia uno Stato proprio. Ma l'imperatore glielo impedì, concludendo una nuova alleanza con l'Austria, cui aderirono anche l'Ungheria e la Polonia. Ciò costrinse Giovanni di Boemia a tornare in Germania, ed il suo ritorno segnò il pronto crollo della sua signoria transalpina. Tuttavia poco dopo, questo elastico principe si riaccostò a Ludovico, perché nella sua testa era germogliato questo progetto: l'imperatore in cambio dell'assoluzione dalla scomunica avrebbe rinunziato al trono, sul quale sarebbe salito suo cugino Enrico, signore della Baviera inferiore, genero di Giovanni; al re di Francia, che si sarebbe impegnato a fare una crociata, si sarebbero concessi a titolo di indennizzo i territori di Borgogna soggetti all'impero (1333).

Pare che l'imperatore abbia all'inizio aderito al progetto; ma in seguito tornò sulle sue decisioni, spintovi forse dal fatto che allora in seno alla chiesa le cose ricominciavano a non andar bene per il papa Giovanni XXII. Questi aveva proclamato doversi ritenere che le anime dei defunti non sarebbero andate al cospetto di Dio se non nel giorno del giudizio finale; tale affermazione fu però in molti ambienti ecclesiastici considerata eretica; i minoriti ricominciarono ad agitarsi, e nel collegio dei cardinali si formò un partito che reclamò il ritorno della curia in Italia ed a tale scopo si pose persino in relazione con l'imperatore.

In questa situazione la morte che il 4 dicembre 1334 colpì Giovanni XXII fu forse
una fortuna per lui ed un danno per l'imperatore. La tiara passò poi sul capo di un uomo di più mite tempera, Benedetto XII (1334-1342); ma si trattò ancora di un francese completamente ligio alla corona di Francia; di modo che, sebbene Benedetto XII personalmente avrebbe desiderato di porre fine al conflitto con l'imperatore e Ludovico pure non abbia mancato di assecondarlo con ogni premura, tuttavia il nuovo orientamento della curia venne impedito dalla Francia, istigata nell'ombra dal re di Boemia irritato ancora contro Ludovico per il fallimento del suo progetto del 1333.

Ma la trama era così evidente che alla fine la Germania insorse contro tale sopraffazione da parte del nemico ereditario occidentale. Sei principi elettori (al convegno mancò il solo re Giovanni di Boemia) si adunarono il 16 luglio 1338 a Rense e proclamarono «che colui il quale veniva eletto dai principi elettori o dalla maggioranza re di Germania non aveva alcun bisogno né della nomina, né dell'approvazione, conferma o consenso della sede apostolica per amministrare i beni ed esercitare i diritti dell'impero o per assumere il titolo regio».

In altri termini l'eletto era legittimo re, autorizzato a governare l'intero territorio, non esclusa l'Italia; al papa non rimaneva riservata che l'incoronazione ad imperatore da cui dipendeva il diritto di portare il nome di imperatore.
A questa virile dichiarazione dei principi seguì nell'agosto una dieta a Francoforte sotto la presidenza dell'imperatore. I principi ecclesiastici espressero il parere che l'imperatore aveva fatto tutto quello ch'era in suo potere per giustificarsi di fronte alla curia, e dopo ciò l'assemblea dichiarò illegali gli atti compiuti dalla curia contro di lui.

Contemporaneamente la deliberazione di Rense fu pubblicata come legge dell'impero, si vietò di osservare l'interdetto e si dichiararono colpevoli d'alto tradimento tutti gli ecclesiastici che non consentissero a celebrare le funzioni del culto, perché l'imperatore non era subordinato al papa, derivando il suo potere direttamente da Dio, mentre il papa era subordinato al concilio.
Questo concetto venne poi sostenuto in un apposito scritto: «Dei diritti della monarchia e dell'impero», da uno degli ecclesiastici che avevano partecipato alla dieta, il vescovo di Bamberg, Lupold von Bebenburg.

In parallelo con questo movimento contro il papa procedette la dichiarazione di guerra contro la Francia da parte dell'imperatore. Ludovico, il quale già prima si era alleato con Eduardo III d'Inghilterra, il rivale di Filippo di Valois, dichiarò ora in una dieta di corte, tenuta a Coblenza, in virtù dei suoi poteri imperiali, decaduto Filippo dal trono francese (settembre 1338).
Ma alle parole altisonanti non corrisposero i fatti; vediamo ben presto Ludovico riaccostarsi a Giovanni di Boemia, ritirarsi dall'alleanza inglese e far la pace separatamente con la Francia (1341), sempre fisso nella vana speranza di trovare in quest'ultima l'intermediaria della sua conciliazione col papato.

Tutto ciò fece a poco a poco svaporare anche il movimento patriottico, anticuriale e francofobo del 1338.

Nei suoi ultimi anni di regno l'imperatore del resto si preoccupò principalmente di ampliare i dominii particolari della sua famiglia. Nel 1329 col così detto patto di famiglia di Pavia egli aveva lasciato agli eredi di suo fratello i territori del Palatinato, assicurandosi in compenso la futura successione nella Baviera inferiore; ed infatti nel 1340, alla morte senza eredi del duca Enrico, riunì questo dominio all'Alta Baviera. Il suo primogenito già possedeva l'elettorato e marca di Brandeburgo; un altro figlio ebbe il langraviato d'Alsazia; ad un terzo era destinata l'eredità della seconda moglie di Ludovico, sorella dell'ultimo duca d'Olanda.
Ma alla fine questi accaparramenti egoistici procurarono all'imperatore una seria opposizione che prese persino di mira la sua corona. Ne fu occasione l'eredità del duca di Carinzia-Tirolo, morto nel 1335 senza eredi maschi. La Carinzia, già da prima promessa alla casa d'Absburgo, passò a questa famiglia, e da allora é rimasta sempre unita all'Austria. Quanto alla contea del Tirolo, l'imperatore avrebbe desiderato aggregarla alla Baviera; ma non osò contrastare le aspirazioni dei Lussemburgo che vollero la contea per il secondogenito del re di Boemia, Giovanni Enrico, genero del duca defunto di
cui aveva sposato la figlia Margherita. E Ludovico infatti gli concesse in feudo quel territorio. Ma, venuto Giovanni Enrico in discordia con la nobiltà locale che alla fine lo scacciò, l'imperatore si lasciò indurre dagli avversari non solo a privarlo del feudo, ma anche a dichiarare nullo, perché non consumato, il suo matrimonio (consenziente del resto la moglie), a maritare Margherita col proprio figlio, Ludovico di Brandeburgo, ed a conferire a quest'ultimo in feudo il Tirolo.

Questo atto, assolutamente illegale e per di più gravemente lesivo dei diritti della chiesa, non soltanto privò l'imperatore di gran parte delle simpatie che sino allora aveva goduto, ma cagionò una insanabile rottura tra la sua casa e quella di Lussemburgo e spinse il conflitto tra Ludovico e la curia, dove nel 1342 era succeduto a Benedetto XII ancora una volta un francese, Clemente VI (1342-1352), servitore devoto del re di Francia allo stesso modo dei suoi predecessori, e per giunta da tempo amicissimo dei Lussemburgo.

Ludovico, umiliandosi sempre di più, cercò come al solito di riconciliarsi col nuovo papa, ma si vide respinto, e così tanto brutalmente che, in seguito a nuove intromissioni arbitrarie del papa negli affari interni del regno, l'opinione pubblica tornò a volgersi in suo favore. Ad onta di ciò i suoi avversari tentarono di abbatterlo.

Dopo che il papa ebbe ancora una volta fulminato l'anatema contro l'imperatore ed elevato al primo seggio arcivescovile del regno, di cui aveva deposto illegalmente il titolare, una sua creatura, i Lussemburgo, che con forti somme di denaro avevano corrotto gli elettori di Sassonia e di Colonia, ottennero di fare eleggere re l'11 luglio 1346 con cinque voti Carlo di Moravia, il primogenito di Giovanni di Boemia.
L'eletto, recandosi personalmente a trattare col papa, gli aveva fatto le più umilianti promesse. Ma l'elezione ebbe così poca fortuna in Germania che Giovanni e Carlo dovettero emigrare in Francia, dove il primo poche settimane dopo fece la fine di un cavaliere errante cadendo ucciso nella sfortunata battaglia di Crecy. L'imperatore Ludovico, pur non avendo potuto impedire che Carlo verso la fine dell'anno fosse incoronato re a Bonn dall'arcivescovo di Colonia, diede così poca importanza all'usurpatore che ventilò il disegno di scendere nuovamente in Italia, dove l'elezione di un antipapa pareva presentare prospettive migliori di riuscita che non venti anni prima.

Ma i suoi giorni erano contati; l' 11 ottobre 1347 Ludovico fu colpito d'apoplessia mentre si trovava a caccia e poco dopo morì. Ludovico lasciò dietro di sé la fama di amico e promotore dei progressi della borghesia e di buon amministratore del suo territorio avito, la Baviera.

Come era accaduto al tempo di Enrico VII, questa morte di Ludovico
gettò di nuovo la Germania in balia degli intrighi dei principi elettori;
ed è quello che leggeremo nel prossimo capitolo

 

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