-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

97. L'AGRICOLTURA - IL COMMERCIO - LE MINIERE

 

L'attività prevalente prima della fine del Medio Evo era l'agricoltura, seguita dal commercio delle stesse derrate alimentari; gli si affiancò in un certa misura l'artigianato e l'industria. Poi - anche se non ancora sviluppata come nell'era moderna - a fare la parte del leone furono soprattutto le nascenti attività minerarie, anche se sfruttate in maniera del tutto irrazionale.

L'agricoltura del tardo Medio-Evo è essenzialmente caratterizzata dal sistema delle concessioni di porzioni di terreno in affitto a contadini che le coltivavano per conto proprio; le grandi aziende agrarie dell'epoca precedente gestite direttamente dal proprietario sparirono, e dominarono più solo le piccole aziende condotte dai fittavoli.

Tuttavia, come é naturale, queste erano ancora variamente soggette all'ingerenza del proprietario, sia nel senso che questi poteva imporre nel contratto di affitto al contadino determinati obblighi relativamente al genere e sistema di cultura, alla costruzione di opere, ecc., nel senso che le vecchie installazioni padronali, come mulini, forni, cantine, continuarono ad essere presenti ed il contadino che voleva servirsene nella propria azienda agraria doveva versare un corrispettivo per tali impianti, altrimenti avrebbe dovuti costruirne dei nuovi, col rischio di essere tecnicamente meno perfetti. Anche il bestiame per i lavori agricoli veniva tramite accordi di solito fornito dal proprietario. Quest'ultimo così oltre il terreno, con gli impianti o con il bestiame percepiva non solo uno ma diversi affitti.

A parte questo i contadini erano però in sostanza autonomi nel regolare l'organizzazione della propria attività agricola, e tale proposito decidevano liberamente le assemblee con altri contadini confinanti su alcune decisioni, come le colture, le irrigazioni tramite comuni corsi d'acqua, i passaggi in servitù, un aiuto reciproco durante i raccolti, ecc. ecc.
Abbandonata così a sé stessa, l'industria agricola sembra in quest'epoca più libera; esteriormente però, mentre in realtà poggia su fondamenti molto deboli. L'organizzazione corporativa poi, se in qualche modo venne a compensare la mancanza della precedente unità di indirizzo padronale, fu un po' la causa della sua debolezza; essa provocò una fase di sviluppo di questa attività agricola molto inferiore a quella cittadina industriale; quella agricola già ostacolata da uno scarso spirito progressivo sempre presente nelle classi contadine, fece un danno a se stessa perchè sempre restia ad accogliere ogni tipo di innovazione, e sempre recalcitrante a fare debiti anche quando sono utili e necessari, soprattutto quando si tratta di acquistare nuove semenze ad alta resa.


È perciò che, nonostante che le città con i loro numerosi, svariati ed aumentati bisogni, con i loro mercati, ecc. costituissero un potente incentivo ad intensificare la produzione agricola, nonostante che il sorgere dell'economia monetaria offrisse per lo meno alle comunità contadine, se non ai singoli agricoltori, la possibilità di incentivare l'industria agricola mediante l'aiuto del capitale, il settore agricolo non ne approfittò e rimase in sostanza fino alla fine del Medio-Evo allo stesso stato in cui si trovava già nel XIII secolo, sotto l'aspetto tecnico come sotto l'aspetto economico.

Il sistema fondamentale seguito in quest'epoca nell'agricoltura (che è ancora lontanissima dal conoscere l'uso dei fertilizzanti) è quello del triplice avvicendamento della coltivazione; di regola si semina prima il maggese, poi la segala, poi l'avena. La segala era allora in Europa e soprattutto in Germania, il cereale più generalmente adibito alla comune panificazione ed aveva in gran parte sostituito l'avena che nei precedenti secoli era stata largamente usata per il consumo popolare; tuttavia l'avena anche nel tardo Medio-Evo continuò ad essere notevolmente impiegata per l'alimentazione delle classi lavoratrici oltre che come foraggio per gli animali.

Segna tuttavia un considerevole incremento anche la coltivazione del frumento, ed è soprattutto nelle città che col crescere del benessere economico vediamo aumentare la richiesta di pane di frumento.
Ma era quello che forniva il contadino un grano di bassa resa, e (per la già detta ritrosia a fare debiti) invece di migliorare la semenza con dei nuovi acquisti, riseminava una parte del suo precedente raccolto, cosicchè la bassa resa si perpetuava all'infinito.

L'orzo é coltivato in misura assai diversa nei diversi luoghi; in generale verso la fine del Medio-Evo si osserva una diminuzione nella sua produzione, dovuta forse in parte anch'essa al miglioramento dell'alimentazione popolare.
Per lo più del resto l'orzo era prevalentemente coltivato nei luoghi dove si esercitava in grande l'industria della fabbricazione della birra.
Nella produzione dei legumi la città concorre accanto alla campagna; ma col crescere della richiesta si cominciò a farne in campagna anche estese culture; troviamo infatti sempre più frequentemente menzionati i legumi tra le prestazioni in natura a titolo di fitti e censi.

Un ramo importantissimo dell'industria agricola, specialmente del tardo Medio-Evo, rappresenta la cultura della vite, la quale era tanto redditizia che sin dal XIII secolo i proprietari concessero ai loro fittavoli che vi si volevano dedicare considerevoli vantaggi economici, i quali, uniti agli altri che derivarono dalla più progredita tecnica nella coltivazione dei vigneti, fecero sì che questi agricoltori vennero a trovarsi in una condizione privilegiata a confronto degli altri contadini. Questo accadde in alcune regioni italiane e francesi, mentre già a inizio del XV secolo la cultura della vite decadde in Germania e si ridusse a proporzioni minori, avendo il vino ceduto il posto al consumo della birra. La coltivazione del luppolo, già prima molto diffusa nella Germania settentrionale, si estese in quest'epoca anche alla Germania meridionale e soppiantò, come in Baviera ed in Boemia, la cultura della vite. Solo nei territori lungo il corso del Reno, la vite già presente in epoca romana, oltre che continuare tale attività si specializzò anche nella coltura, ricavando pregiati vini.

Anche in materia di allevamento del bestiame l'industria in grande non é sulla fine del Medio-Evo così esclusiva come in precedenza, sebbene dove si hanno ancora grandi allevamenti, essi sono quasi sempre esercitati per gestione diretta del proprietario. Ciò vale in specie per gli allevamenti di cavalli di razza destinati a servire i cavalieri nelle loro battaglia; la rimanente produzione equina, assai spinta nel Medio-Evo per l'elevato fabbisogno di cavalli da lavoro, ricercatissimi, è curata invece prevalentemente dai contadini sui singoli fondi presi in fitto.
Anche nell'allevamento della pecora, che nel tardo Medio-Evo acquistò grande importanza a causa del considerevole sviluppo assunto dall'industria della fabbricazione dei panni, prevale come già vedemmo in Inghilterra; ma il sistema dell'allevamento estensivo da parte dei grandi proprietari terrieri, in questo settore manifesta tendenze monopolistiche, per quanto anche le città abbiano talora curato questo genere di industria come un ramo di servizio pubblico.
Con grave danno alla classica agricoltura, i grandi proprietari sottrassero per i pascoli ovini grandi territori, e dato che nell'allevamento di ovini sono pochi gli addetti impiegati rispetto alla normale agricoltura , causarono una drammatica disoccupazione e miseria nei piccoli villaggi.

Invece l'allevamento dei suini si svolge col metodo intesivo in prevalenza nelle stalle di piccole industrie agricole, anche perchè con lo sparire delle grandi foreste di querce, sostituite da conifere, venne sempre più a mancare la quantità di ghianda occorrente per l'allevamento di estese greggi di suini.

Oltre ai benefici delle accennate industrie accessorie d'allevamento, i contadini conservarono per lungo tempo ancora l'uso ed il godimento dei boschi comuni per trarne legna da ardere e legname da costruzione; esso era gratuito ed in sostanza illimitato. La comunità contadina esercitava in proposito un certo controllo allo scopo di evitare che il legname di qualità migliore, adatto alle costruzioni, fosse tagliato per legna da ardere, ecc., ed anche il signore feudale intervenne qua e là con restrizioni ed ostacoli; ma di una razionale economia forestale diretta alla conservazione dei boschi ed al rimboschimento metodico non si trovano che scarse tracce nel Medio-Evo. Salvo qualche eccezione, come in Italia, nelle valli di Fiemme e Fassa, dove sorse e continuò (e continua ancora ai nostri giorni) la "Magnifica Comunità" che regolamenta il rimboschimento, il taglio e la distribuzione ad ogni valligiano.

Invece era già allora arrivata ad un notevole grado di organizzazione e di perfezione tecnica l'apicultura; troviamo infatti così nelle grandi foreste demaniali di pertinenza dell'impero e dei sovrani territoriali, come nei boschi dei feudatari una classe di apicultori di professione residenti su poderi propri ereditati, o che pagavano cospicue imposte ai rispettivi signori sul reddito della loro industria. Del resto - non richiedendo essa grandi superfici - anche i piccoli agricoltori esercitavano talora l'allevamento delle api come una industria accessoria.

Grande sviluppo assunse inoltre nel Medio-Evo l'industria mineraria, specialmente in Germania, dove si cominciò presto e diligentemente a ricercare ed estrarre i copiosi tesori nascosti nel sottosuolo; l'esercizio di questa industria, all'inizio diretto da parte dei proprietari, passò poi quasi ovunque nelle mani di apposite corporazioni di minatori; ma rivelandosi sempre di più un prodotto strategico, ben presto passò nelle mani dei rispettivi governi.

Sulla fine del Medio-Evo troviamo persino una vera e propria grande industria mineraria esercitata da potenti società di capitalisti, che vi fecero guadagni colossali, ma rovinarono le miniere con lo sfruttamento ingordo ed irrazionale che ne fecero. Centri principali dell'estrazione dei metalli preziosi erano le regioni argentifere della Valtellina, del Trentino, della Stiria, dell'Harz, della Brisgovia e dell'Alsazia; miniere d'oro si avevano nella bassa Slesia e nel Salzburg; si aggiungano le ricche regioni minerarie delle montagne boeme, già sfruttate nell'antica epoca slava e poi più razionalmente dai tedeschi; in tempi più recenti i centri principali minerari di queste regioni erano i distretti di Iglau e del Freiberg sassone. Qui ed altrove, oltre ai metalli preziosi, si estraeva rame e piombo; così pure in Boemia ed in Sassonia durante l'ultima epoca medioevale si scoprirono miniere di stagno, metallo che sino allora era stato importato esclusivamente dall'Inghilterra.

Copiosissima era inoltre la quantità di ferro che la Germania estraeva e produceva e nel XIII e XIV secolo assunse uno sviluppo particolare la sua estrazione soprattutto nella Stiria e nella Carinzia, in Sassonia ed Annaberg, nella Vestfalia ed altrove.

Le prime miniere di carbone sorsero nei Paesi Bassi; ma dal 1300 cominciarono ad essere esercitate miniere di questo genere anche in Germania, come nei paesi renani, a Dortmund, ed Aquisgrana; dalla metà del XIV secolo vediamo il carbon fossile impiegato come combustibile sia per uso domestico, sia per l'estrazione del ferro nelle fonderie sempre più grandi e sempre più numerose.
L'industria mineraria tedesca - già millenaria - servì da modello ad altri paesi, che utilizzarono i tecnici minatori della Germania. È infatti un minatore tedesco che scoprì le miniere di metalli scozzesi ed insegnò agli scozzesi il modo di estrarli. Anche l'Inghilterra vera e propria, ancora ai suoi primi passi nell'arte mineraria nel 1452 fece venire minatori dalla Misnia, dall'Austria e dalla Boemia.
La Germania poi sulla fine del Medio-Evo in seguito allo sfruttamento intensivo ed in parte rovinoso delle sue miniere divenne assai ricca di metalli preziosi, il che contribuì assai ad accrescere le malsane abitudini di lusso di quest'epoca.

Quanto s'è detto per le miniere vale anche per le saline, il cui esercizio nel tardo Medio-Evo fu per lo più nelle mani di corporazioni apposite, che si trasformarono in imprese capitalistiche e spesso avocarono a sè anche il commercio del sale facendone un loro monopolio esclusivo. Tale furono quelle di Salisburgo (prese perfino il nome la città) con le sue miniere di salgemma, così ricche da far concorrenza a quelle marine dell'Adriatico.

Diamo ora uno sguardo all'industria cittadina. Già abbiamo visto come essa sia sorta e quali forme abbia assunto. Fra le corporazioni industriali il gruppo più importante per il numero degli organizzati é comunemente quello che attende alle industrie cosiddette annonarie: mugnai, fornai, birrai, macellai. Vengono dopo queste le industrie dell'abbigliamento: sarti, calzolai, pellicciai, ecc. Fiorentissima era nelle città marittime della Germania, ed in parte anche nelle città continentali, l'industria dei bottai; i suoi prodotti, che erano impiegati in misura non indifferente anche negli usi domestici, costituivano uno dei più importanti articoli di esportazione; le botti servivano per molti usi, per il trasporto di vino e birra, olio e miele, burro, strutto e sale, nonché colori, ceneri, catrame, pece e pesci. Nella sola città di Amburgo l'industria delle botti contava nel XV secolo circa duecento fabbricanti. Via mare raggiungevano tutti i porti d'Europa e da qui le numerose città.

Un particolare accenno meritano le industrie tessili a preferenza delle altre. Fra queste l'industria la fabbricazione della semplice tela ha il suo massimo sviluppo nell'alto Medio-Evo, nel quale mantenne soprattutto una forma di industria casalinga; non la incontriamo infatti organizzata corporativamente se non nel XIV e XV secolo, quando essa era già in via di decadenza o per lo meno aveva una importanza molto minore che non l'industria della fabbricazione delle stoffe in lana. Quest'ultima, la quale si trova per così dire alla testa di tutte le industrie medioevali, cominciò a sua volta a svilupparsi solo quando l'incremento del commercio delle stoffe venne a sollecitare la loro produzione. In seguito l'industria della lana, e quella da essa dipendente della fabbricazione dei panni, divenne, specialmente nelle fiandre e nella vicina Germania, uno dei principali rami d'attività dai quali traevano il proprio sostentamento le popolazioni cittadine.

La lavorazione della lana fece inoltre sorgere una serie di industrie diverse: quella dei battilana, della filatura, della follatura, della tosatura e della tintoria. I tessitori in lana sono all'inizio semplici operai dipendenti dai battilana; questi ultimi acquistano la lana greggia, la fanno cardare e filare (per lo più da donne) e poi provvedono alla tessitura mediante propri salariati o artigiani al loro domicilio.
Ma in seguito la classe numerosissima degli operai tessitori si emancipò dalla dipendenza dei battilana e costituì una classe industriale autonoma, senza che peraltro i singoli tessitori ne traessero maggiori vantaggi economici.
I tessitori restarono una classe povera e rappresentano perciò nel ceto artigiano un elemento turbativo che spesso vediamo alla testa dei moti popolari interni delle città.

Nessuna delle industrie però ha, specialmente in Germania, tenuta così alta la fama dell'industria medioevale quanto quella della lavorazione dei metalli; basta ricordare l'arte dei fabbri medioevali, i cui lavori in guarnizioni metalliche, cancellate, monili d'oro e d'argento, armature ed armi cavalleresche, destano ancora oggi la nostra ammirazione. Anche nel campo di questa industria avvenne una larga specializzazione che non mancò naturalmente di influire sulla maggiore perfezione dei manufatti; vediamo infatti differenziarsi quali industrie separate quelle degli orafi e degli argentieri, dei fabbricanti di cotte di maglia, di corazze, di scudi, di elmi e cuffie d'acciaio, di coltelli, cui più tardi si aggiungono i brunitori di armature e di lame, i fabbricanti di impugnature, i maniscalchi, fabbri ferrai, magnani, fabbricanti di speroni, ecc.

Mentre nell'industria artistica dei metalli eccellono Augusta, Monaco, Norimberga, le più famose fabbriche d'armi si incontrano a Regensburg, Norimberga, Nardlingen e nelle regioni renane (Solingen, che sforna speciali metalli che assomigliano già all'acciao moderno), dove già nel Medio-Evo si hanno i primi segni di organizzazione di una grande industria.
Nel XIV secolo poi spuntano i vari rami dell'industria della fonderia in ferro che insieme al bronzo serviva specialmente per la fabbricazione dei cannoni. In questo campo peraltro non si formarono le solite organizzazioni corporative, ma le città e più tardi anche i principi presero ai propri stipendi singoli armaioli per la costruzione delle artiglierie; a datare però dal XV secolo concorre a tale genere di produzione anche l'industria metallurgica privata.

Invece vediamo sorgere corporazioni di fonditori in stagno e di fonditori di campane, di fonditori in ottone ed in rame, le quali acquistano un grande sviluppo. Esse importavano le materie prime dall'estero, lo stagno dall'Inghilterra, il rame dalla Polonia e dall'Ungheria; ma i loro manufatti contribuirono in considerevole qiantità alle esportazioni dalla Germania specialmente verso i paesi nordici.

Una distinzione netta fra mestiere ed arte, anche oggi spesse volte difficile a farsi, si riscontra ancor meno nel Medio-Evo, dove l'artigiano si eleva non di rado alla dignità di artista. Alla erezione delle grandi cattedrali e dei palazzi municipali del Medio-Evo, nonché alle ammirate decorazioni di molti edifici privati, ha concorso più la mano dell'artigiano che non la mano dell'artista; e pure noi attribuiamo il complesso dell'opera decisamente al regno dell'arte. Anche la pittura e l'incisione in legno ed in rame hanno le proprie origini nell'artigianato; coloro che esercitavano queste arti erano normalmente organizzati in corporazioni per lo più insieme con gli orafi.

Questi ultimi, che si erano staccati dalla vecchia corporazione dei coniatori di monete e continuavano ad avere un certo contatto con essa, formarono il primo nucleo cui si associarono pittori, decoratori e vetrai (decoratori di vetri), spesso anche intagliatori e battiloro, e finalmente gli stampatori.
Questo connubio si spiega con l'affinità della tecnica di siffatte varie industrie ed in parte anche col frequente bisogno di reciproco aiuto che esse avevano, ma é del resto un frutto naturale del comune carattere artistico loro inerente.

Anche l'arte della stampa, l'ultima arrivata fra le industrie cittadine medioevali e nel tempo stesso una delle più grandi scoperte dell'umanità è gloria della Germania, storicamente attratta in questo aggruppamento dal fatto che già da tempo gli orafi eseguivano incisioni su anelli, coppe, ecc., ed anzi avevano portato quest'arte ad un certo grado di perfezione nel riprodurre figure e motti o leggende. Lo stesso Giovanni di Gutenberg, nonché Fust, erano stati all'inizio orafi, ed alla stessa professione aveva appartenuto Alberto Durer, il più gran genio artistico che abbia prodotto la borghesia tedesca all'inizio dei tempi moderni.

Sviluppo assai considerevole aveva già raggiunto nel Medio-Evo il commercio internazionale. A tal riguardo fanno epoca le crociate che aprirono al traffico delle nazioni occidentali le vie dell'Oriente. Le masse di occidentali che penetrarono nel mondo arabo e vi si installarono servirono a mettere in molti luoghi in diretto contatto l'Occidente e l'Oriente, scalzando l'antecedente esclusivo intermediario dei loro rapporti, l'impero greco, il quale anzi per un certo tempo poté dirsi cancellato dal novero delle potenze ed anche dopo la sua restaurazione non riacquistò più l'antico vigore.

La parte del leone nel complesso del traffico mercantile mediterraneo toccò alle repubbliche marittime italiane, a Genova e Venezia, e all'inizio anche a Pisa, la quale però dopo la disfatta della Meloria (1289) si ecclissò dalla scena. La cessazione della sua concorrenza tornò a tutto vantaggio delle altre due repubbliche. Gli occidentali in seguito alle crociate appresero moltissime delle raffinatezze della vita orientale, ed il lusso del mondo arabo conquistò i suoi conquistatori.

Perciò ora incontriamo fra gli articoli di importazione in occidente il rabarbaro proveniente dall'Asia orientale, il muschio tibetano, il pepe, la cannella, la noce moscata, l'aloe, la canfora, l'avorio proveniente dall'India, i datteri arabi e libici, l'incenso d'Arabia, nonché frutta, oli, lane, zuccheri, sete, vetri, materie coloranti e molte altre merci orientali.

Nei nuovi stati cristiani fondati in Oriente Veneziani e Genovesi stabilirono ovunque (ad Antiochia, Haifa, Sidone, nonché a Gerusalemme) le loro agenzie (fondachi) e colonie mercantili, ottennendo molti privilegi, e soprattutto quello di essere soggetti alla giurisdizione nazionale.
In questi stabilimenti sorsero pure chiese che i veneziani dedicarono per lo più al patrono della loro città, all'evangelista S. Marco. La più ricca ed importante fra le colonie veneziane della Siria fu quella di Tiro, dove i veneziani occupavano un buon terzo della città con estese fabbriche e molte grandi chiese. Tiro ed Acri divennero ben presto centri principali dei grandi scambi tra occidente ed oriente. E all'inverso le piazze commerciali egiziane di Damietta e di Alessandria soprattutto.

Alessandria ci é addirittura indicata come «il pubblico mercato dei due mondi»; essa era il luogo di convegno delle merci provenienti dall'Arabia e dall'India per la via di Aden, dalla Mecca, dal Mar Nero e dal Nilo, e dei prodotti occidentali, specialmente legname e ferro che i mercanti italiani vi trasportavano con le loro navi.

Ma lo spirito d'impresa dei mercanti italiani non si arrestò alle porte dell'Oriente; arditamente essi penetrarono nel cuore delle regioni che erano incontestato dominio degli infedeli, senza curarsi della chiesa e del papato che aveva per principio vietato ogni traffico con costoro. Così troviamo specialmente Venezia in relazioni commerciali con i califfi residenti a Bagdad, città che continuava ad essere tuttora un grande emporio di tutte le merci asiatiche. Di qui queste merci prendevano la grande strada che conduceva ad Aleppo, che più tardi divenne una delle principali stazioni mercantili di Venezia, e poi per la via di Damasco o per la via di Antiochia raggiungevano l'occidente.

Così pure nell'interno dell'Asia Minore il sultano di Iconio concesse ai Veneziani importanti privilegi mercantili allo stesso modo che essi li ottennero dal regno cristiano d'Armenia.
Molto più tardi troviamo gli occidentali in rapporti mercantili anche con i Tartari delle sponde settentrionali del Mar Nero. A Tana, l'odierna Azoff, esistevano numerose colonie ed agenzie commerciali europee. Però nell'anno 1397 la conquista della città da parte dei mongoli pose fine a questa penetrazione commerciale; i più fra i mercanti stranieri perdettero la vita o vennero venduti schiavi.
In compenso, sino alla conquista della città ad opera del sultano Maometto II (1475), il commercio europeo fiorì a Caffa che ricevette il nome di «Costantinopoli della Crimea» ; vi si commerciavano oltre le pelliccerie russe anche merci provenienti dalla Cina e dall'India.

La strada commerciale che da Caffa portava in Cina era molto frequentata anche da europei, al cui traffico i mongoli aprirono volentieri le porte del loro immenso impero; di modo che essi arrivarono sino in India ed in Cina. Questa stessa méta gli europei raggiunsero dalla loro fiorente stazione di Tabris in Persia; di qui essi passavano ad Ormuz dove si imbarcavano per l'India; da Ormuz partiva poi anche una strada che recava nell'Estremo Oriente.

Di fronte al bacino orientale del Mediterraneo su cui si aprivano le sterminate regioni asiatiche aveva una importanza commerciale relativamente assai minore il bacino occidentale e l'Africa settentrionale; tuttavia esso costituì il campo principale del commercio catalano. Il regno d'Aragona concluse nel 1274 col Marocco e nel 1285 con Tunisi trattati di amicizia e di commercio, in grazia dei quali il traffico della Catalogna e sopra tutto di Barcellona con gli stati del Marocco, di Fez e di Tunisi si intensificò molto nel XIV e XV secolo.

È per l'appunto questo traffico mercantile che portò i naviganti spagnoli alle scoperte da essi compiute lungo la costa occidentale dell'Africa, che inaugurarono l'era dei grandi viaggi marittimi e delle grandi scoperte dell'epoca moderna.

In Francia le crociate fruttarono una nuova era di prosperità principalmente alla vecchia città mercantile di Marsiglia. Per quasi duecento anni (prima e dopo le crociate) umerosissimi pellegrini vi affluirono per passare in Terra Santa; essa provvide poi al trasporto degli eserciti francesi e dei loro approvvigionamenti in Levante, ed in seguito ottenne dagli stati fondati dai cristiani in Oriente considerevoli privilegi commerciali che le assicurarono il monopolio di gran parte del traffico di scambio fra i prodotti della Francia ed i prodotti orientali.

Anche il porto di Alessandria fu periodicamente visitato da carovane di navi marsigliesi accanto a quelle della città di Lione e di altre città marittime della Francia. Al Cairo vi era un mercato francese speciale di stoffe; ma quanto al resto qui il commercio era per lo più tutto nelle mani degli italiani (in primis Venezia) la cui attività nel traffico marittimo superava in generale di gran lunga quella dei francesi.

Invece la Francia rimase per lungo tempo alla testa delle altre nazioni nel campo del commercio continentale europeo. Dalla metà del XII al principio del XIV secolo nelle fiere della Champagne si concentrò infatti quasi tutto il traffico delle mercanzie e del denaro in occidente. Vi contribuì la circostanza che la Champagne si trova sulla linea di comunicazione tra l'Italia e l'Inghilterra, e che anche dal Mediterraneo e dall'occidente vi dovevano naturalmente avviare il commercio le agevoli vie costituite dal Rodano e dalla Senna. Vi concorse pure il fatto che anche politicamente la Champagne godeva di una posizione privilegiata; essa confinava immediatamente con l'impero germanico e poteva
comunicare da nord e da sud con l'estero attraverso la Lorena e la regione arelatense senza dipendere dalla Francia.

Finalmente i signori del paese, i conti di Champagne, posero ogni impegno a conservarsi la fiducia dei mercanti stranieri. Le prime "fiere" si tenevano a Troyes sul corso superiore della Senna, a Bar sull'Aube, a Provins nella regione di Brie ed a Lagny sulla Marna; erano sei fiere annuali che si susseguivano quasi senza intervallo nell'una o nell'altra di queste località e duravano press'a poco tutto l'anno. Ad esse affluivano i mercanti da ogni parte dell'occidente europeo.
I fiamminghi che con altre città del nord della Francia e del Brabante avevano costituito la lega delle 14 città che andava - anche sotto il nome di «Hansa fiamminga», inaugurarono appunto nelle fiere della Champagne il loro commercio delle stoffe.
In misura non minore queste fiere erano frequentate dagli italiani; fin dal 1245 vi troviamo una società dei commercianti romani, toscani e lombardi, che aveva un proprio sigillo e manteneva pure un ben organizzato servizio di corrieri con l'Italia.

I mercanti tedeschi possedevano a Troyes un fondaco, dove vendevano i loro tessuti di tela; a Provins ed a Bar sappiamo che vi era una via dei Tedeschi; fra gli articoli del commercio tedesco troviamo ricordati, oltre ai tessuti di tela, panni grigi di lana, pelli di scoiattolo e l'argento delle miniere di Freiberg. Persino i paesi nordici d'Europa non erano assenti dalle fiere della Champagne.

l loro splendore però cominciò ad oscurarsi nel XIV secolo, allorché da un lato la Germania si emancipò da esse mettendosi in relazioni commerciali dirette con gli altri paesi, e dall'altro la navigazione italiana intensificò il suo traffico con i mercati olandesi ed inglesi. Anche i signori della Champagne con alcune loro ordinanze intralcianti il libero traffico contribuirono alla decadenza delle fiere, ed infine le lunghe guerre tra l'Inghilterra e la Francia arrecarono come é naturale un grave colpo.
Più tardi salì ancora ad una certa importanza la fiera di Lione, ma essa non riuscì ad agguagliare l'importanza universale che avevano avuto le fiere della Champagne. Essa fu piuttosto ereditata dalle fiere ginevrine. Qui al confluente di tre nazioni, convennero mercanti dalla Spagna, dalla Normandia, dalle Fiandre, dalla Germania e dall'Italia; non vi troviamo invece rappresentate le nazioni nordiche.

Anche gli Olandesi peraltro, i Famminghi e le città del Brabante, concentrarono nelle proprie mani nel tardo Medio-Evo buona parte del traffico internazionale. Le mercanzie arrivavano a loro principalmente per mare con le navi italiane, ed essi le riponevano in grandi magazzini e poi ne curavano il trasporto e lo scarico nei paesi nordici. Per questa via molte città dei Paesi Bassi divennero notevoli centri di commercio; uno dei quali Bruges, che per lungo tempo, quasi fino alla fine del Medio-Evo fu l'emporio principale del traffico mercantile dell'Europa settentrionale, un vero mercato mondiale dove inglesi, olandesi, italiani, tedeschi, anseatici affluivano per compiere i loro scambi.

Anche i prodotti della assai progredita industria e dell'arte fiamminga avevano qui il loro mercato. Oltre Bruges va ricordata Gand, la quale oscurò la fama che precedentemente aveva anche Ypres qual sede principale delle manifatture laniere. Così pure é da citare la prosperosissima Antwerpen (odierna Anversa) i cui mercati di cavalli del Brabante e delle Ardenne erano rinomatissimi. Anzi questa città si incamminava verso un avvenire anche più brillante ed era destinata a divenire la prima piazza marittima di quelle regioni e l'erede di Bruges. La città era diventata uno dei più vasti posti europei, oltre che uno dei principali centri industriali belgi. Decadde nel corso del XVI sec. quando nacque la non lontana Amsterdam; ma rimase per eccellenza la città dei diamanti e delle pietre preziose. Ancora oggi in questo settore Anversa è il più grande mercato del mondo.

La Germania restava fuori dalle grandi vie commerciali che conducevano dai paesi arabi verso il nord e dall'Italia verso la Francia e le Fiandre; di modo che all'inizio i contatti dei tedeschi col commercio internazionale si svolsero in sostanza esclusivamente nelle già accennate fiere della Champagne; qui si concentrò in specie pure la maggior parte del loro traffico con gli italiani. Ma alla lunga non poteva mancare di svilupparsi un traffico diretto italo-tedesco.
Esso divenne attivo e fiorente all'incirca dalla metà del XIV secolo, ma i suoi inizi risalgono ad epoca notevolmente più antica. Fin dal 1228 esisteva infatti a Venezia presso il ponte di Rialto il fondaco dei Tedeschi che poteva dare alloggio a molte persone ed aveva inoltre vasti magazzini di deposito e di spaccio delle loro mercanzie.
Nel fondaco era circoscritto obbligatoriamente tutto il traffico commerciale dei tedeschi a Venezia; essi non potevano vendere altrove le proprie merci e le dovevano vendere solo tramite di intermediari veneziani; la Serenissima non consentiva ad alcuno straniero di partecipare direttamente al commercio col Levante. Il mercante tedesco pertanto vendeva le merci che aveva portato con sé a veneziani e da costoro soltanto acquistava le mercanzie orientali che desiderava importare in Germania. Su ogni acquisto e vendita Venezia prelevava una imposta, il cui gettito elevato ci permette di capire che, malgrado le accennate restrizioni, il traffico dei tedeschi a Venezia divenne abbastanza considerevole. Un calcolo fatto nel 1484 fa salire a non meno di 20.000 ducati il reddito annuo dei dazi che Venezia percepiva per le merci esportate in Germania, e verso il 1450 la totalità del traffico commerciale tedesco a Venezia viene ritenuta del valore di un milione di ducati.

Anche a Genova si svolge un commercio di transito dalla Germania, cui vediamo partecipare prima la piccola Ravensburg e più tardi Augusta e Norimberga. A differenza di quanto avveniva a Venezia, i genovesi non tenevano gelosamente lontani gli stranieri dal porto, e quindi i mercanti tedeschi poterono da Genova salpare alla volta di Napoli e della Spagna, dove li troviamo specialmente a Barcellona e Valenza.
In seguito é riscontrabile la presenza di mercanti tedeschi anche a Como, Milano, Pisa, Lucca, Firenze; in numero più scarso a Roma, dove invece si erano stabiliti molti artigiani tedeschi e specialmente albergatori.
Del resto la penetrazione dell'industria tedesca non si riscontra esclusivamente a Roma; anzi sulla fine del Medio-Evo vediamo domiciliati in moltissime città italiane esercenti tedeschi, soprattutto fornai, calzolai e tessitori, che poi si organizzarono in associazioni particolari.

Oltre alle mercanzie di provenienza orientale i mercanti tedeschi importavano in Germania anche prodotti e manufatti italiani, specialmente sete, vetrerie, ecc. In generale poi il mercante tedesco imparò dal mercante italiano, che a sua volta era allievo dell'oriente, la teoria e la pratica del commercio.

La funzione di intermediari del commercio internazionale, dalla quale i tedeschi rimasero esclusi nel Mediterraneo ed in Oriente, fu da essi invece pienamente esercitata a nord. Le città della Germania settentrionale costituirono con la lega anseatica una potente organizzazione la quale monopolizzò questo traffico di commissione che rifornì di merci per lungo tempo i paesi scandinavi, la Russia e l'Inghilterra, tuttora prive di un commercio marittimo vero e proprio, importandovi i prodotti ed i manufatti di nazioni più progredite, mentre esportava solo prodotti naturali e materie prime, come pesce, legname, cereali, lino, sale, pelli, cuoiami, catrame, ferro, cera, per fornirne i paesi che ne abbisognavano.

La navigazione degli anseatici del resto si estese verso occidente fino alla Bretagna meridionale, donde traevano il sale marino, e più tardi essi si spinsero anche fino all'imboccatura del Mediterraneo, nel quale però, come già osservammo, erano del tutto assenti durante il Medio-Evo.
Se la Germania poteva così scomporsi in due sfere di attività mercantile ben distinte, ciò non significa naturalmente che esse fossero completamente separate. A ricollegarle sorsero in luoghi adatti grandi mercati, come sopra tutto a Francoforte sul Meno, le cui due fiere, che si tenevano a Pasqua ed in autunno (che forse risalgono sino ai tempi di Federico II) procurarono tanta fama alla città che Francesco I di Francia poté chiamarla la più rinomata città commerciale del mondo; qui convenivano regolarmente, accanto ai mercanti di tutta la Germania, anche i mercanti fiamminghi, francesi, inglesi, italiani e boemi.

Questo traffico poi, unito al generale aumento delle esigenze provocato sulla fine del Medio-Evo dalla cresciuta ricchezza e dal diffondersi del lusso, non poté a meno di dare impulso maggiore anche al vero e proprio commercio interno dei prodotti e manufatti nazionali. Questa intensificazione del traffico interno, oltre la partecipazione al commercio internazionale, fece la ricchezza e la prosperità di città come Norimberga, Augusta ed Ulm e delle numerose piccole città della Svevia, dell'Alto Reno, della Franconia, Baviera ed Austria.

Nella Germania settentrionale ad ovest culminò per floridezza mercantile Colonia, che prese parte così al traffico con l'Italia e con I'Olanda come al commercio anseatico; al centro Lubecca, anch'essa in rapporti con l'Italia; nell'estremo est Danzica, e finalmente a sud-est Breslavia che servì da intermediaria al commercio anseatico ed al traffico della Germania meridionale per le relazioni coi paesi danubiani.

Nel Medio-Evo il commercio é all'inizio esercitato quasi sempre personalmente dal proprietario della merce; egli stesso là porta di regola sul mercato per spacciarla; lo scarso sviluppo del credito e dell'industria dei trasporti reclamava la sua presenza sul luogo. Spesso un certo numero di mercanti che dovevano fare la stessa strada si univano in carovana per condividere i pericoli del viaggio e per diminuirli col reciproco appoggio. La sicurezza delle vie di comunicazione terrestri e marittime lasciò assai a desiderare durante tutto il Medio-Evo. Dall'inizio del XIII secolo poi i mercanti usarono non di rado unirsi in società commerciali o «compagnie», che impegnavano in determinate imprese mercantili il capitale comune e dividevano il guadagno ricavatone in proporzione dell'apporto di ciascun partecipante.
Una delle prime e più accorte città che s'inventarono queste società di accomandanti e accomandatari fu Venezia. I patrizi ci mettevano i soldi e i marittimi il coraggio. Se tutto andava per il meglio a guadagnarci erano entrambi.

Negli ultimi due secoli del Medio-Evo queste compagnie divennero sempre più frequenti ; e finalmente sul passaggio dall'era medioevale all'epoca moderna si arrivò sino al punto che grandi società commerciali europee vollero monopolizzare l'intero commercio.
Esse formarono dei sindacati, accaparrarono servendosi della loro organizzazione e delle vaste loro relazioni le mercanzie, non escluse quelle di prima necessità per il consumo giornaliero, e dettarono i prezzi. Taluni dei loro componenti divennero enormemente ricchi, e così pure alcune grandi case commerciali, mentre la gran massa dei consumatori ne rimase taglieggiata ed oppressa; in Germania a principio dell'epoca di Carlo V le diete dovettero infatti ripetutamente preoccuparsi del problema di difendersi contro gli eccessi di questi monopoli.

D'altro canto non si può negare che la grande organizzazione capitalistica da essi creata ha anche esercitato influenze benefiche sul progresso economico e civile.
Se é vero che l'esercizio del commercio procurava in alcuni casi immensi guadagni, è anche vero però che esso, principalmente nel vero e proprio Medio-Evo, era accompagnato da una quantità di disagi e di impacci che ai tempi nostri neppure si immaginano: tali sopra tutto gli innumerevoli balzelli cui era assoggettato il traffico delle mercanzie in ogni paese, e fra essi principalmente i diritti di salvacondotto ed i dazi che i governi imponevano e riscuotevano a proprio arbitrio senza possibilità di reclamo.

Non meno fastidiosa ed impacciante riusciva al traffico la diversità e molteplicità delle monete. L'inconveniente era poi peggiore che altrove in Germania, dove l'originaria regalia della zecca spettante alla corona era a poco a poco passata nelle mani di un gran numero di signori territoriali laici ed ecclesiastici e persino di talune città, per cui ciascuno di questi territori poteva coniare a suo piacere delle monete senza preoccuparsi del vicino.
Nelle città la zecca fu esercitata per lo più da apposite corporazioni. Inoltre alcuni tipi di monete acquistarono un corso più largo delle altre e persino un corso internazionale, come i bisanti d'oro, i fiorini fiorentini e veneziani e i «Gulden» (monete d'oro) romani; nel resto l'unità monetaria ideale era il marco d'argento che serviva pure da misura di ragguaglio per la coniazione. Il rapporto tra l'oro e l'argento non era identico ovunque; in media negli ultimi secoli dell'età di mezzo i due metalli stavano tra loro nella relazione di 1 a 10.
I mercanti portavano con sé ai mercati non di rado dell'argento non monetato ma a lingottini di vario peso, per pagare o per scambiarlo sul luogo secondo i bisogni con altrettanta moneta del paese.

Data questa condizione di cose si comprende facilmente come l'industria del cambio dovesse avere una grande importanza e costituire una professione molto redditizia. Peraltro di fronte alla grande varietà delle monete ed alla poca garanzia della coniazione si trattava di un mestiere difficile e non a tutti accessibile. Nei più importanti centri di traffico troviamo l'industria del cambio quasi generalmente in mano di italiani, i quali in genere furono i primi ad organizzare e sviluppare tutti i rami del commercio e servirono da maestri agli altri; agli italiani infatti noi dobbiamo l'introduzione nel XIII secolo della numerazione in cifre arabe, la partita doppia e molte altre innovazioni in questa materia.

All'industria del cambio si dedicarono fra gli italiani principalmente i fiorentini e i lombardi, i quali, organizzati in particolari corporazioni, si stanziarono anche nelle piazze commerciali straniere in qualità di banchieri e cambisti. Comunemente questi banchieri venivano chiamati lombardi. Essi esercitavano pure l'industria del prestito su pegni che anche oggi in tedesco serba traccia del loro nome (« Lombardgeschàft »).
Del pari agli italiani è dovuta l'invenzione (o imitando quella esistente araba, lo shek) della lettera di cambio o cambiale che spunta verso la metà dei XIII secolo ed a poco a poco si diffonde con grande beneficio del commercio. Quali concorrenti degli italiani nel commercio bancario vediamo in alcuni luoghi i così detti «caortini», cambisti cioè originarii del mezzogiorno della Francia, i quali trassero il loro nome dalla città di Cahors che era il centro principale di tale industria in Francia.

Del resto nel Medio-Evo non si ebbero che i primi passi della tecnica del commercio bancario. I primi germi di una banca di sconto si incontrano a Venezia e poi a Genova, dove la Casa di San Giorgio cominciò dal 1407 a compiere operazioni di banca. Verso la stessa epoca sorse a Barcellona la prima banca pubblica di cambio, depositi e sconti, la «tanla de cambi» (tabula cambiorum).
I primi esempi di assicurazioni si hanno a Firenze, poi nei Paesi Bassi. Sopra tutto a Firenze assunse in seguito un fiorente sviluppo l'industria bancaria, e da essa trasse grandissimo aiuto il commercio cittadino; verso la fine del Medio-Evo si annoveravano 80 case bancarie fiorentine (quella dei Medici era una delle tante) che avevano filiali in tutte le principali piazze commerciali d'Europa.

Anche il papato e l'intera curia disseminata in giro, si servì di preferenza di banchieri fiorentini per le sue molteplici operazioni finanziarie.

Un ostacolo non lieve allo sviluppo del credito e quindi al commercio in generale pose Il divieto delle usure proclamato come principio dalla chiesa; divieto che peraltro sotto la pressione dei bisogni del traffico venne in molti casi ignorato od anche più o meno apertamente violato.
A causa poi della forte misura di rischio già inerente ai negozi di mutuo di denaro per le condizioni stesse della società medioevale, rischio che era ancor più aggravato dall'atteggiamento assunto dalla chiesa nella questione delle usure, il tasso degli interessi era secondo le nostre idee attuali assai elevato; di rado esso discese al di sotto del 10 %, e troviamo anche esempi di interessi del 20 e persino del 40% senza che nulla indichi che si trattava di qualcosa di eccezionale o di riprovevole.

Non mancano peraltro casi di convenzioni di interessi che vennero bollati dai giudici del tempo come patti usurari. I lombardi avevano la fama di esercitare comunemente lo strozzinaggio, e peggio ancora - a ragione o a torto - la fama peggiore spettava agli ebrei.
Gli ebrei li troviamo assai presto in quasi tutti gli stati cristiani, e la loro condizione giuridica e sociale non era all'inizio sostanzialmente diversa da quella dei cristiani. Nei tempi più antichi il commercio era in gran parte nelle loro mani. Col XII secolo si inaugura un'era sfavorevole agli ebrei, i quali d'ora in avanti andarono soggetti a gravi persecuzioni; queste ultime ebbero in parte la loro causa nel'antagonismo religioso e nazionale sollecitato dal grande movimento delle crociate, ma vi contribuì pure la reazione dell'industria nazionale sorgente nelle città contro le quali vedeva nella concorrenza degli ebrei un danno, e questi si videro sempre più esclusi dal campo del traffico e della mercatura vera e propria.

In compenso essi allora si diedero alla speculazione finanziaria, in cui poterono tanto più facilmente affermarsi in quanto il divieto canonico delle usure e le pene del diritto canonico non erano loro applicabili. Per tal modo gli ebrei vennero ad acquistare addirittura il privilegio di sfruttare popolazioni ancora scarsamente progredite e non si fecero proprio pregare per approfittarne.
Ma questo sfruttamento economico procacciò ad essi l'odio dei popoli e provocò negli ultimi secoli del Medio-Evo contro di loro sempre più frequenti esplosioni di un fanatismo larvato per lo più sotto la maschera dell'antagonismo religioso.

Un carattere particolarmente feroce ebbero le persecuzioni degli ebrei avvenute sulla metà del XIV secolo, quando gli animi erano agitati dal terrore dell'epidemia della morte nera e turbe di penitenti fanatici percorrevano in lungo ed in largo tutti i paesi d'Europa. Si credette allora o si finse di credere che gli ebrei avessero avvelenato le fonti e provocato in tal maniera l'epidemia. Né mancarono in altre occasioni altri pretesti per perseguitarli, e bastavano le voci superstiziose sparse ad arte circa pratiche sanguinarie e sacrilegi commessi dagli ebrei, come il sacrificio di bambini cristiani per servirsi del loro sangue pel compimento dei riti talmudistici, ovvero il dileggio o l'abuso dell'ostia e simili stupidaggini, perché il furore popolare scoppiasse contro questi infelici e trascendesse a massacri nonché al saccheggio delle case degli ebrei in cui si sospettavano, e non di rado si trovavano realmente, tesori accumulati a prezzo del dissanguamento dei poveri.

In Inghilterra poi gli ebrei, dopo aver subito anche qui non poche persecuzioni, furono verso la fine del XIII secolo espulsi in massa dal paese, e solo in tempi assai più recenti cominciarono a poco a poco ad immigrarvi nuovamente. Anche in Francia nel 1306 re Filippo IV decretò di punto in bianco l'espulsione degli ebrei dal regno, si impadronì delle loro ricchezze mobiliari, vendette a profitto della corona i loro immobili ed obbligò i loro debitori a pagare quanto dovevano agli ebrei alla cassa regia; ma ad onta di tale misura gli ebrei non sparirono completamente dalla Francia.
In molti paesi anzi gli ebrei godettero di una particolare protezione da parte dei governi che in essi vedevano un comodo campo di sfruttamento, giacché per essere tollerati costoro dovevano pagare una tassa personale nonché altre imposte straordinarie; inoltre principi e governi li obbligavano non di rado a far loro dei prestiti forzosi, della cui puntuale restituzione non sempre si preoccupavano molto.

In Germania dalla protezione che il re accordava e garantiva comunemente agli ebrei si svolse l'istituto della così detta servitù camerale; gli ebrei cioè erano in certo modo in proprietà del re o dell'imperatore, la loro tutela costituiva una regalia fruttifera, e questa, come tutte le altre regalie e diritti di sovranità poteva essere concessa, e venne infatti trasferita, dal re ai principi ed alle città. Persino singole persone di nazionalità giudaica, a causa delle imposte che pagavano al tesoro regio, vennero considerate come oggetti di proprietà e come tali concesse ad altri.
Dai tempi delle crociate poi la cristianità cercò di isolare gli ebrei e di non avere comunanza di vita con essi; nelle città fu loro permesso di abitare soltanto in determinate strade ovvero in determinati quartieri, dove ogni sera venivano rinchiusi; inoltre furono obbligati a vestire in maniera speciale o a portare dei distintivi che permettessero di riconoscere la loro identità immediatamente e senza tema di errore.

Lasciamo ora i commerci
ed entriamo nelle case del cittadino medioevale

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