-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

152. FEDERICO II, IL PRINCIPE EREDITARIO

Nell'iniziare il periodo di Federico II, dobbiamo accennare a un fatto della sua vita di giovane re, che ebbe dello straordinario: un maresciallo francese che vedeva in Federico un "bello spirito" alla "francese" (un "signorino", effeminato, pieno di vizi, suonatore di flauto, poeta, che non cavalcava, che odiava le armi, e odiava il sergente di ferro suo padre, ecc. ecc. ), rimase sbalordito quando alla sua prima battaglia (preludio alla Guerra di Successione d'Austria"), quella di Mollwitz in Slesia, vide il giovane Re (appena da un anno) fare miracoli su miracoli. Ed erano solo i primi, gli altri li compirà nei suoi straordinari 46 anni di regno!!!

All'indomani di questa famosa battaglia di Mollwitz (10 aprile 1641) nel campo prussiano era un andare e venire, dal quale già si vedeva che Federico durante la notte aveva cessato di essere un «Regolo» (il famoso ingenuo generale romano negoziatore della pace nella guerra punica poi punito con la morte) ed era divenuto uno tra i maggiori e audaci uomini di questo mondo.
Fra i nuovi arrivati vi era questo maresciallo francese Belleisle. Veniva da Versailles, da una corte, dove tutto quello che aveva un significato virile era avvilito e sfigurato da indegni intrighi di femmine. Allorché questo maresciallo, che era egli stesso un cortigiano, si ritrovò nell'accampamento di quei marziali granatieri, che quel giorno avevano mutato in una splendida vittoria la battaglia già perduta dalla cavalleria, dovette sentirsi a disagio presso a poco come un Greco di Crotone o di Sibari, che un bel mattino si fosse trovato in mezzo al campo di Sparta.

Tutto quello che a lui si offriva gli apparve nuovo e caratteristico. Attorno a sé vedeva miracoli sopra miracoli, ma il più grande di tutti fu lo stesso giovane re. Se lo era immaginato quale a Parigi se lo figuravano tutti. Dalla sua puerizia Federico era nelle corti sulla bocca di ognuno; il suo destino personale era presto divenuto un soggetto della politica europea, della contesa tra le corti di Londra e di Vienna per il dominio sulla corte prussiana. Il figlio fin da giovane si era messo contro il padre, e il padre contro il figlio.
Il conflitto tra i due aveva preso ben presto un carattere addirittura tragico. Donde proveniva, quale ne era la ragione ? Il padre era soldato corpo ed anima e fortemente tedesco fino al midollo delle ossa. Il figlio non era né l'uno né l'altro; non era un soldato, ma un «bello spirito», educato alla francese, musico, poeta, filosofo; proprio tutto quello che il padre il militaresco "sergente di ferro", non voleva, anzi aborriva.

Federico non era né effeminato né viziato, era semplicemente un raffinato secondo la cultura francese di cui si imbevve. L'Europa del tempo credeva fermamente che la cultura espressa da Luigi XIV avesse grande merito, e anche i principi tedeschi si gloriavano di parlare francese, di vestirsi alla francese, i principi a costruire palazzi come quelli di Versailles. Il guaio è che tutto questo in Prussia non era affatto penetrato, l'unico genere di vita era quello militaresco di cui il padre di Federico si compiaceva. Non vi era posto per l'arte, la letteratura, si badava solo alle cose pratiche, non ci si poteva permettere - ripeteva spesso - di "dilettarsi con gli ozi culturali".

Il conte Seckendorf, rappresentante della corte imperiale, ancora nell'anno 1731 poteva riferire al principe Eugenio: «il principe ereditario si vanta di esser divenuto un gran poeta e di poter fare cento versi in due ore, di esser musico, moralista, fisico, meccanico. Non si farà di lui né un generale né un soldato, perché non s'interessa per niente delle cose che fa suo padre nè degli affari. Per render felice il proprio popolo, quando morirà il vecchio i prussiani si cercheranno dei buoni ministri e molto probabilmente l'inetto giovane li lascerà governare in pace senza disturbarli».

E questo si aspettavano, quando appena un anno prima della battaglia di Mollwitz il giovane era salito sul trono alla morte del padre.

In questo modo senza dubbio anche il marchese di Belleisle si era figurato il re prima di averlo conosciuto; ma quel famoso giorno 10 aprile vide la vera fisionomia di questo straordinario personaggio e ne rimase sconvolto! Non aveva assistito né mai visto niente di simile !
«Questo principe - riferisce il 27 aprile del 1741 dal campo di Mollwitz - comanda il suo esercito, non solo in tutte le cose essenziali come farebbe un semplice generale, ma conduce fino in fondo tutti gli altri affari principali, avendo posto il suo alloggiamento tra le tende in mezzo al suo campo. Egli stesso dà tutti gli ordini e si cura di tutti i particolari, che nei nostri eserciti spettano al quartier generale della cavalleria o al maggior generale; si occupa degli approvvigionamenti e di quanto riguarda l'artiglieria e il genio, ed ha fatto il piano dell'attacco di Brieg.
Si alza alle quattro del mattino, monta a cavallo e visita da destra a sinistra tutti i posti e i dintorni del suo accampamento. Dà personalmente ordini e istruzioni a tutti i generali e ufficiali di distaccamento, che manda in missione, e a lui devono riferire tutti quelli che tornano. Gli si conducono pure davanti a lui tutti i disertori e le spie, che lui personalmente interroga, come pure i prigionieri. Di questo sono stato testimone io stesso ieri sera e stamani. Questo principe porta gli stivali dalla mattina presto, quando si alza, fino alla sera quando si pone a riposare, e porta una uniforme azzurra, distinta soltanto dalla stella del suo ordine e da una spallina un po' più ricca di quella del suo aiutante».

Con questo ritratto il maresciallo francese attesta che il re tedesco Federico di Prussia era divenuto quello che il padre voleva fare di lui: il re spartano di un popolo spartano, il capo guerriero di una monarchia guerriera, vale a dire precisamente il contrario di quello che il principe ereditario aveva minacciato agli uni, e promesso agli altri di divenire.

Dal principe ereditario i «begli spiriti» come lui si aspettavano un'epoca medicea, i cortigiani l'età dell'oro, tutto quello che per il re Federico Guglielmo era un abominio. Questi poteva e voleva rifiutarsi di credere di avere vissuto e creato, risparmiato e lavorato inutilmente e che l'altera opera della sua vita, da lui chiamata la sua «costituzione», dovesse andare tutto a male, nelle mani di «un ragazzaccio effeminato», di un «suonatore di piffero e di un poeta», che il tesoro raccolto da una saggia amministrazione dovesse andare disperso nelle mani di una corte, da lui sopportata grignando i denti, quand'era principe ereditario, ma poi spazzata via con la mano di ferro nei primi giorni del suo regno.

Il principe ereditario Federico era nato il 24 febbraio 1712 (sopra per l'occasione la medaglia commemorativa) nel palazzo di Berlino e cresciuto in quegli anni, nei quali il padre, divenuto re, tolse nella sua unica campagna la Pomerania citeriore agli Svedesi, riordinò l'esercito e condusse a termine la fondazione del direttorio generale. Anche nell'educazione del suo successore il re procedette secondo un disegno prestabilito, come nello Stato e nell'esercito. Prese come base il tipo di educazione, quale era stato educato egli stesso. Questo proveniva - e lo stesso Federico probabilmente lo ignorava - dal gran filosofo Leibniz, amico e consigliere della suocera di lui, Sofia Carlotta, la «regina filosofica». A questa educazione lo stesso padre aveva il 13 agosto 1718 aggiunto alcune osservazioni, che bene caratterizzano la sua indole. Vi si legge:

«... che mio figlio abbia sempre un santo timore di Dio e una grande venerazione per Lui, poiché questo é l'unico mezzo di tenere nei limiti del dovere una potestà sovrana, libera dalle leggi e dalle punizioni umane».
« Il governatore e il sotto-governatore del principe devono porre unicamente tutta la loro attenzione a distoglierlo in tutti i modi da ogni forma di orgoglio presuntuoso e di boria, che senza di ciò troppo facilmente s'insinuerebbero nel suo animo, e a questo fine devono porre in opera tutti i mezzi possibili; devono invece indirizzarlo al buon governo della casa, alla parsimonia e alla modestia e guardare che divenga un buon amministratore e che impari ad adattarvisi a poco a poco. Perché poi nulla é più nocivo dell'adulazione, debbono vietarla sotto pena della mia piena disgrazia a tutti quelli, che avvicineranno mio figlio, avvertendoli prima di questo e denunziarli, se alcuno mancasse».
«Per quello che riguarda la lingua latina, mio figlio non la deve imparare ed io non voglio che nessuno me ne parli, ma si deve soltanto curare che egli si abitui ad uno stile elegante e conciso, così in francese come in tedesco; deve imparare i fondamenti del calcolo, la matematica, l'artiglieria e l'economia; nella storia antica può essere istruito solo superficialmente, ma in quella dei nostri tempi e degli ultimi i 50 anni deve esserlo con la massima esattezza; deve poi possedere perfettamente l'Jus naturale e l'Jus gentium o diritto internazionale, come anche la geografia e quello che vi é di « remarquable » in ogni paese; in modo particolare mio figlio deve essere istruito nella storia della sua Casa, e a questo fine debbono essergli aperte la biblioteca e l'archivio, poiché un « exemplum domesticum » ha sempre maggiore efficacia di uno straniero».

Grosse eresie secondo la pedagogia di quei tempi, che furono però preziosissime per l'avvenire del principe ereditario.
Fino al suo sesto anno federico fu alunno della vedova del colonnello von Rocoulle, signora di forte carattere, che aveva già educato lo stesso Federico Guglielmo, padre del principe. Ottenne poi un istitutore nella persona di un suo compatriota francese, Duhan de Jandun, che si era fatto apprezzare dal re per la sua prodezza. All' età di trent'anni aveva preso parte come volontario alla campagna di Pomerania ed era stato presentato al re in una trincea dinanzi a Stralsunda.

Già nell'anno 1718 un certo signore di Loen scriveva dell'8enne principe ereditario: «Il principe ereditario in un'età ancora delicata mostra una capacità non comune, anzi del tutto straordinaria. É un principe molto sveglio e vivace. Ha avuto un'educazione finissima e piena di spirito, dimostra inoltre una certa affabilità e una buonissima indole, che lascia tutto sperare da lui, e impara con la massima facilità tutto quello che gli si espone».

L'ardore, col quale esercitava la sua piccola compagnia di cadetti della sua stessa età era molta, inoltre si prendeva premura delle nuove piccole reclute, insomma dava buonissime speranze, al pari del piacere che metteva in tutti gli esercizi corporei, equitazione, scherma, caccia e tiro a segno.

Ma nell'età tra la fine del decimo anno e quella del dodicesimo avvenne in lui un mutamento completo, che il re constatò con gran dispiacere.
Nel marzo del 1724 il re col principe ereditario assisteva ad un battesimo in casa di un figlio del generale von Grumbkow. Qui si volse al principe dicendo: «Vorrei sapere che cosa avviene in questa testolina; so che non pensa come me e che vi é della gente che v'insinua sentimenti diversi e la incita a biasimar tutto; ma sono questi dei furfanti!».
Dopo aver ripetuto queste parole, continuò: «Fritz, pensa a quel che ti dico! Tieni sempre un esercito buono e forte; non puoi avere un migliore amico, né sostenerti senza di esso. I nostri vicini non desiderano di meglio che mandarci
a gambe all'aria; io conosco le loro intenzioni, anche tu le conoscerai. Credimi, non pensare a frivolezze, ma tieniti al reale. Abbi a cuore un buon esercito e una buona finanza; su questo riposa la gloria e la sicurezza di un principe».

Il re accompagnava queste parole con dei buffetti sulle guance del principe, che però divennero sempre più forti, fino ad essere dei veri schiaffi.
Il visibile rilassamento dello spirito militare nel principino era attribuito dal re giustamente ad una incerta cognizione della necessità di un esercito forte e pronto a combattere. Questo poi si collegava intimamente con la smania di leggere, che aveva preso il ragazzo, e specialmente con l'influenza di uno speciale libro, cioè del celebre romanzo educativo di Fénelon « Le avventure di Telemaco ». -
Da un regolamento sopra l'ordine degli studi del principe ereditario risulta che a questo in ogni giorno della settimana si dava una lezione di storia di due ore al mattino e nel pomeriggio si mostravano carte geografiche, perché gli fossero spiegate «la grandezza e la debolezza di tutti gli Stati europei, la ricchezza e la povertà delle città». In un disegno di Duhan sul modo che egli pensava di seguire per esporre ed insegnare la storia generale dell'ultimo secolo, secondo il Theatrum europeaum, leggiamo in fine: «non sarà tuttavia necessario di imparare ogni cosa a memoria, oltre ai nomi degli uomini celebri, alle principali battaglie, agli assedi importanti e ad un sommario dei trattati di pace».

A questo osserva il re da esperto pedagogista: «, no ! deve imparare a mente e questo gli rafforzerà la memoria». Inoltre prescrive: «La storia dei Greci e dei Romani deve essere omessa, perché non serve a niente». Fra i libri poi, che il principe ereditario ha letto con passione e sui quali appunto per questo poco o nulla troviamo negli atti, sta in prima linea il famoso libro del Fénelon. Questo romanzo, di cui era comparsa appunto nel 1719 una nuova edizione, predica dovunque come é noto, quello che Minerva nel suo discorso finale a Telemaco riassume nelle parole: "Non dimenticare mai che i re non regnano per la loro propria gloria, ma per la salvezza dei loro popoli".

Il forte sentimento del dovere della monarchia di sacrificarsi al servizio della patria, che noi già osserviamo in Federico principe, ha certamente sentito l'influsso di questo libro, che egli conobbe quando forse aveva dieci-undici anni, se non é stato addirittura opera sua questo sentimento del dovere anche senza Telemaco. Ma anche qui si celava un grave pericolo.
L'arcivescovo di Cambrai, uomo di grande ingegno, sapeva bene quello che faceva, quando cercava con ogni suo potere, durante le guerre di conquista di Luigi XIV, di educare alla Francia, ingrandita all'esterno, ma profondamente rovinata all'interno, un re che rifuggisse dalla guerra e amasse con esaltazione la pace.

Ma per il principe ereditario di un paese, troppo grande come elettorato e troppo piccolo come regno, era molto pericoloso ciò che si ripeteva a questo principe di indole pacifica. Era cioè l'opposto di quello, che Federico Guglielmo raccomandava senza stancarsi a suo figlio: "un re di Prussia deve fare assegnamento soltanto sopra sé stesso e sul proprio esercito, deve essere il proprio maresciallo e il proprio ministro delle finanze".

L'entusiasmo giovanile di Federico per il « roi pacifique » aveva anche un lato molto "pericoloso" che si manifestò nella contrarietà per il mestiere delle armi, da cui appunto in questi anni fu preso il principe ereditario, ma che si attenuò soltanto dopo la catastrofe del 1730.

Il 4 aprile 1727 il 15enne Federico ricevette la conferma di principe ereditario nel duomo di Berlino, dopo avere qui superato un pubblico esame. Cessò allora l'insegnamento regolare, e Duhan fu licenziato. Dieci anni più tardi il principe ereditario mandò al suo unico maestro una confessione, nella quale cercava di dipingere il maggiore avvenimento della sua vita giovanile. Qui si legge: «Nelle braccia dell'errore, in seno all'ignoranza dormiva la mia timida innocenza un sonno profondo, quando mi apparve con te Minerva, recando in mano una fiaccola, per additarmi la via dell'immortalità. Da lungi mi sorrideva il tempio della gloria, dove é tracciata la storia di tutti i veri eroi, dove presiedono la vera scienza, casta figlia del cielo e sua sorella la giustizia. Sono là raccolti tutti gli uomini uguali per nobiltà di animo, Aristide e Socrate, Tito, Augusto, Traiano, Antonino, Giuliano, Virgilio, Omero, Orazio, Ovidio e Luciano; - prendi esempio dalla loro condotta, mi disse la Dea, e questo ti sia sprone a divenire un instancabile sacerdote di Apollo. Mentore ti sarà guida alla via celeste, t'insegnerà a cogliere rose senza spine, ti mostrerà dovunque i sentieri più facili e Febo ti presterà i suoi corsieri, gli studi saranno la delizia della tua gioventù, il conforto della tua gelida età, la felicità della tua vita e proietteranno la loro immagine nella tua anima inebriata».

Come si vede, il suo geniale alunno non lo aveva dimenticato. Con le traduzioni francesi di tutti i classici, che Duhan gli aveva dato di nascosto, gli aveva dischiuso una nuova vita; in mezzo ad un mondo di armi gli aveva aperto il mondo dello spirito ed in questo il principe, con la sua anima di poeta e di pensatore, con la sua indole di artista e di filosofo, acceso di un nuovo ardore, aveva trovato una nuova patria, mentre l'amore primo per il sapere si ridestava in lui con tutte le sue impazienze.

Però anche la sensualità si era destata nel giovinetto sedicenne. Alla corte di Dresda, dove si trattenne dal 15 gennaio al 12 febbraio 1728, in quella pubblica scuola del vizio e della seduzione, perdette l'innocenza giovanile e divenne libertino, dissoluto, profondamente dissoluto, come ci attesta la testimonianza del tutto insospettata della sua stessa sorella. E quando i traviamenti del figlio erano divenuti già molto più gravi che il padre non sapesse, il dissidio tra i due assunse il carattere di una situazione intricata e tragica.

Abbiamo sott'occhio due lettere del settembre 1728, scritte ambedue dalla casa di caccia di Wusterhausen. Padre e figlio dimorano sotto lo stesso tetto. Soltanto un tavolato separa la stanza superiore, dove abita il padre da quella inferiore dove sta il figlio. Ma essi non si parlano, si scrivono. Il figlio scrive in data dell' 11 settembre al suo "caro papà" - di venire da lui, poiché egli non sapeva risolversi a farlo, temendo una brutta accoglienza, peggiore del solito, e perciò lo pregava per iscritto di «essergli benigno». Lo assicurava che «dopo lunga riflessione» la sua coscienza non gli rimproverava la minima colpa; ma se senza saperlo e contro il suo volere avesse fatto qualche cosa, che fosse spiaciuto al suo «caro papà», lo pregava «umilmente» di perdonargli e sperava che il padre desistesse da quell '«odio crudele», che aveva potuto riconoscere in ogni suo atto.

A questo figlio rispose il re in uno scritto senza data, borbottando un rimprovero dopo l'altro, come segue: «La vostra testa ostinata e trista non ama vostro padre, poiché quando si fa tutto, principalmente per amore del padre, si fa ciò che egli desidera, non quando egli è presente, ma quando non vede tutto. Per altro sapete bene che io non posso sopportare un ragazzaccio effeminato, che non ha alcuna inclinazione virile, che non si vergogna di non saper cavalcare né tirare, e inoltre è «maldisposto» nella propria persona e si pettina come un buffone e non si taglia i capelli ed é stato di tutto questo ripreso mille volte, ma sempre inutilmente e senza che si correggesse in nulla. Per altro é borioso e presuntuoso, non parla con alcuno, non é popolare od affabile e fa col viso delle boccacce come se fosse un buffone, e in niente segue la mia volontà, se non costrettovi a forza e non per amore; e non ha in testa che di fare a modo suo e tutto il resto non vale niente. Questa é la risposta. Fed. G. ».

Nessuno, che abbia presente un carteggio di questo genere, si sorprenderà d'incontrare in una lettera ancora inedita, datata da Wusterhausen stesso nello stesso mese di settembre 1728, scritta dal principe ad un amico di gioventù, nella quale si trova la prima traccia di un progetto di fuga, che poi andò a vuoto. Vi sta scritto che il padre re è capriccioso e che non è contento di nessuno, nemmeno di sé stesso.

Per una corte straniera, che cercasse un'occasione di pescare nel torbido, la situazione non poteva essere più attraente. Fu la corte britannica, che ne approfittò per organizzare una campagna diplomatica, che va annoverata fra le più grandi singolarità della storia. Fu incaricato di dirigerla il baronetto sir Carlo Hotham. Come introduzione approfittiamo delle notizie date dalla sorella maggiore del principe, da Federica Sofia Guglielmina, che fu poi margravia di Baireuth, le cui memorie appunto in questa questione hanno un valore quasi sempre decisivo per la credibilità delle sue asserzioni. Essa narra nelle due edizioni delle sue memorie che l'ambasciatore era considerato da tutta la Corte come apportatore di domande di matrimonio da parte della Corte inglese, che, giunto nel maggio 1730 a Charlottenburg, nello stesso giorno era stato ricevuto dal re.

«Il cavaliere - dice la margravia di Baireuth nell'edizione di Tubinga delle sue memorie - domandò formalmente la mia mano; disse a mio padre che il re, suo signore, e l'intera nazione erano del tutto persuasi che, dopo questa prova della loro fiducia, il re di Prussia consentirebbe anche al matrimonio di mio fratello».

Nell'edizione di Brunswick del testo é detto che Hotham fu ricevuto in udienza dal re il 2 maggio e che gli disse di avere avuto «l'incarico di chiedere la mia mano per il principe di Galles e per rendere anche più stretto il vincolo tra le due Case non dubitava che il re volesse accondiscendere anche a un matrimonio di mio fratello con la principessa Amalia».

Ma in queste notizie si trovano degli errori. Hotham non era giunto a Berlino soltanto al principio di maggio, ma fino dal 2 aprile e il 4 aprile era stato ricevuto a Corte in Charlottenburg. Inoltre egli non aveva fatto domanda né per il semplice né per il doppio matrimonio, ma aveva abusato del re Federico Guglielmo, della regina, della principessa e del principe ereditario per una commedia politica, che ebbe due conseguenze fatali: fece maturare il disegno di fuga del principe ereditario, la cui scoperta provocò una vera catastrofe nella casa reale, e ingenerò poi nell'animo della principessa Federica Guglielmina la credenza che il collocamento brillante, che pareva sorriderle in Inghilterra, sia stato mandato a vuoto puramente dal padre di lei e dalla consorteria Grumbkow-Seckendorff.

Si credette perciò in diritto di vendicarsi dinanzi alla posterità sulla fama del proprio padre delle sventure da lei sofferte.
Ma come poté avvenire che una proposta di matrimonio, che non era stata fatta, fosse considerata come una realtà e come tale fosse pubblicamente discussa ?
Ciò avvenne perché il re si aspettava positivamente dall'Inghilterra la semplice proposta di matrimonio per bocca di Hotham, la desiderava cordialmente ed era deciso a favorirla con ogni suo potere.
Quanto più con i documenti alla mano si penetra nei particolari della politica inglese, tanto più chiaro emerge il fatto che la Corte inglese in tutto questo affare agì slealmente, che non voleva né il semplice né il doppio matrimonio, che tutte le trattative per il duplice matrimonio non furono altro che una grossolana impostura, che con dei negoziati puramente apparenti, il cui preteso scopo non si poteva né si doveva raggiungere, si mirava semplicemente a staccare la Corte prussiana dall'imperatore, ad ottenere il richiamo da Londra del residente prussiano Reichenbach e a Berlino il licenziamento del ministro prussiano von Grumbkow, a spezzare con questi due fatti l'influenza dell'ambasciatore imperiale von Seckendorff e ad assoggettare il re Federico Guglielmo alla politica inglese.

Già fin dall'inizio di tutto questo intrigo traspare, come un suggerimento di Knyphausen, che era nelle mani degli Inglesi, l'idea di trasferire il principe ereditario Federico ad Annover quale governatore inglese.
Il 5 maggio 1730 avvenne finalmente quello che da lungo tempo si aspettava. In una udienza solenne a Potsdam, Hotham presentò al re ed ai suoi ministri la proposta della unione delle due corti per mezzo del doppio matrimonio in connessione col governatorato dell'Annover e del richiamo da Londra del residente prussiano Reichenhach, che con le informazioni delle sue relazioni aveva alimentato l'inimicizia delle due corti, attenendosi alle istruzioni ricevute dal ministro voh Grumbkow, comprato dall'imperatore.
Il re aveva con grande fatica ascoltato fino alla fine il discorso dell'Hotham, ma si accinse subito a rispondere in modo da mostrare la sua decisione di restare incrollabile, come era stato prima. Anch'egli considerava come una fortuna che sua figlia maggiore ottenesse per consorte il principe di Galles, ma per quanto riguardava suo figlio maggiore, questi era prima di tutto troppo giovane per ammogliarsi ed inoltre non mutava nelle sue decisioni.

Nulla sapeva della «condotta incivile» del Reichenbach, ma a prescinder da questo era già deciso a mandare al suo posto in Inghilterra un uomo di grado maggiore. Intorno all'accusa rivolta al Grumbkow, prima di esprimere la sua opinione, doveva consigliarsi con Borch e con Thulemeker; a questo punto Hotham «sconcertato» domandò, perché non anche con Knyphausen?» ed il re rispose che appena tornato in città all'indomani, avrebbe fatto quello che riteneva necessario.

La parola decisiva era pronunziata, però non concerneva il matrimonio, ma le alleanze politiche. Il fine principale era la caduta di Grumbkow, dell'uomo di fiducia dell'imperatore, che si doveva raggiungere intercettando e dissigillando il suo carteggio col Reichembach, e nell'istante in cui questo intrigo falliva, scomparve tutto il fantasma del doppio matrimonio e della congiura per la fuga del principe ereditario, di cui l'Hotham era stato informato abbastanza per essere profondamente commosso riguardo al suo destino. «Io credo di non, ingannarmi», scrive egli, «nel pensare che questo principe rappresenterà un giorno una parte molto importante e che le sue buone qualità, come la sua indole simpatica, giustificano la credenza che il matrimonio riuscirebbe felicissimo».

Le trattative furono repentinamente troncate quando Hotham, il quale già il 16 giugno aveva chiesto di essere richiamato, il 9 luglio per immediato incarico del suo re presentò una lettera autografa del Grumbkow al Reichembach, intercettata di recente, che però il re giustamente sdegnato per questo continuo trafugamento di lettere, gettò a terra senza leggerla dicendo: «Ne sono arcistufo !». Dopo di che voltò le spalle e uscì, sbattendo dietro a sé la porta.
Con questo incidente finale dell'episodio di Hotham s'intrecciò il progetto di fuga che il principe ereditario meditava in occasione del viaggio al campo sassone presso Muhlberg e di là ad Ansbach.
In presenza agli ufficiali del re di Polonia, Federico Guglielmo prese a pugni e a bastonate suo figlio, contestandogli ogni senso di onore. Federico voleva fuggire in Francia, nei beni del conte Rothenburg, e attraverso l'Olanda in Inghilterra.

A Ludwigsburg, residenza del duca di Wurttemberg, Federico si procurò un mantello rosso da cavaliere. Ma a Steinfurt presso Sinsheim fu sorpreso mentre voleva salire a cavallo davanti a un granaio, in cui dormiva suo padre. A Mannheim il paggio von Keith, fratello del luogotenente Keith, che faceva causa comune con Federico e che poi scomparve, rivelò tutto al re. Questi furibondo ordinò all'ufficiale von Rochow, di trasportare il principe ereditario a Wesel sul Reno. Qui con la spada nuda si scagliò sul «vile disertore senza onore».
L'amico più intimo di Federico, il luogotenente Katte, fu imprigionato. La regina e Guglielmina poterono ancora fare scomparire delle lettere pericolose. Prima a Mittenwalde, poi in Küstrin il principe ereditario subì i terrori del carcere militare preventivo. Come una tempesta, che purifica l'aria, questa catastrofe colpì la famiglia reale prussiana.

Le intenzioni del re verso il figlio risultano da ciò che fece o da cui si astenne. Si doveva produrre su di lui un'impressione profonda e incancellabile e svelargli immediatamente l'abisso, a cui lo avevano condotto la sua leggerezza, la sua disubbidienza, la sua caparbietà. Come colpi di pugnale lo ferirono nell'anima le domande fatte al figlio dall'auditore generale: se si sentiva ancora degno di divenire sovrano, dopo aver mancato all'onore; se per salvare la vita, avendo meritato la morte, voleva rinunziare alla corona dei suoi padri.

Il re, se il figlio non si fosse corretto, voleva al massimo diseredarlo, escluderlo dalla successione al trono; ma a farlo perire non ci pensò mai. E quasi quanto il principe soffriva egli stesso. Anche a lui rimordeva la coscienza. Per quanto il figlio avesse mancato, non lo aveva egli punito con crudeltà snaturata?
E tutto quello che rimproverava al principe era ugualmente grave, ugualmente peccaminoso, ugualmente inescusabile? Non lo aveva egli ferito così profondamente nell'anima, da non lasciargli più altra scelta che tra il suicidio e la fuga?
Come si sarebbe comportato egli stesso, se gli fosse toccato da suo padre un trattamento così disonorevole? Dovevano essere simili domande, che di notte cacciavano il re fuori dal suo letto, che lo facevano vagare avanti e indietro per le sale del suo palazzo, come un malfattore inseguito da spiriti vendicatori, finché con alti lamenti, come invocando aiuto, s'infilava nel letto della sua consorte.

Il 6 novembre 1730 l'amico del cuore di Federico, il luogotenente Katte, fu condotto in Küstrin al supplizio. Il principe ereditario fu obbligato a stare alla finestra per assistere alla morte dello sventurato. «Perdono, perdono mille volte! », gridò il principe al condannato. «Non c'é di che, mio principe» rispose questi. Poi il principe ereditario cadde svenuto, e quando si riebbe tutto era finito.
Il 19 novembre prestò il nuovo giuramento, voluto dal re come condizione della grazia, e quando all'indomani entrò come assessore nella camera militare e demaniale di Küstrin, la scuola preparatoria del più grande dei re era incominciata.

Il 18enne principe ereditario Federico di Prussia lavorava già da un anno nell'Amministrazione governativa di Küstrin, quando il suo superiore immediato, il direttore camerale Hill, tracciò di lui il seguente ritratto: «Questo principe tiene infinitamente ad aver dello spirito e ne ha infatti; si fa andare in estasi quando si loda di questo, e uno, fosse pure una recluta alta tre braccia e mezzo, si guadagnerà così la sua amicizia più sicuramente che con qualsiasi altro mezzo. Tiene pure molto ad una cortesia squisita, anche rispetto a persone, che sono un nulla di fronte a lui. I suoi sentimenti sono nobili e pieni di benevolenza e piuttosto sbaglierà per una compassione mal collocata che non il contrario. Senza entrare nei particolari minuti, che lascerà agli altri, si dedicherà agli affari dello Stato, più che non si crede, e con buon successo, supposto che il buon Dio lo assista nella scelta dei collaboratori. Questo però é il punto, dove potrà commettere errori. Poiché egli ora giudica tutti gli uomini secondo il loro lato brillante e secondo quello che i Francesi chiamano «esprit», uno che nulla abbia oltre la nuda intelligenza umana, se del resto possedesse tutte le cognizioni, fermezza di carattere e virtù, non potrà mai entrare in lizza con gli altri. Un cervello con l'aroma dello spirito e delle felici trovate, riporterà la vittoria sulla testa più solida, unita ad un parlare crudo. Del resto il principe non conosce quasi i Tedeschi. Trova p. es, che quelli, con i quali ebbe relazioni a P. (Potsdam!) non giungono all'idea, che egli si é fatto di un uomo spiritoso e cortese dalla lettura dei libri francesi. Di qui! una predilezione singolare per questa nazione e la credenza che i Francesi siano quali si dipingono nei loro libri. Quelli, che egli vede, non lo disilludono, perché egli crede che si siano in una certa misura guastati praticando i Tedeschi o perché per una sua prevenzione scopre in loro un merito che essi stessi ignorano di avere».

Soltanto con l'amore al lavoro e per il lavoro stesso si doveva sanare nel più seducente di tutti i principi ereditari il difetto, messo sotto i nostri occhi dall'onesto direttore camerale Wille, e appunto questo Federico imparò nel servizio amministrativo del governo in Kustrin e nel servizio di guarnigione a Ruppin.
Nella camera militare e demaniale di Küstrin il principe ereditario divenne un amministratore dello Stato, lasciando riconoscere fin dalle prime sue prove e dai primi suoi passi delle doti notevoli; mentre nel suo reggimento a Ruppin divenne un soldato, che esercitava il mestiere delle armi con lieta animazione, anzi con passione e convinzione.
In Küstrin e in Ruppin col sudore della sua fronte condusse a termine lavori, che prima giudicava troppo inferiori alla sua dignità, dopo aver riconosciuto a quale fine serviva tutto questo lavora minuto, prosaico e apparentemente insulso. Ed allora si raccolse in sé stesso, considerò donde veniva e dove andava, gli s'imposero quasi spontaneamente tre grandi scoperte: scoprì la posizione della sua patria nel mondo e si formò, l'immagine delle stelle, che la guiderebbero nel suo avvenire; scoprì lo spirito creatore di suo padre e la grande idea finale, che dava vita a tutto il suo governo; e scoprì la sua propria vocazione, la sua missione nel mondo, che questi attendeva dal suo genio.
Quando ebbe fatto queste tre scoperte, era nato nel principe ereditario il re, un vero re per la grazia di Dio.

Del lavorio che si compiva nell'animo suo durante la dimora in Kustrin, ci informa un suo saggio «Intorno alla politica attuale della Prussia», col quale il principe concludeva una meditazione, sulla quale si era a tarda notte addormentato, mentre conversava col gentiluomo di camera v. Natzmer. Immagina in esso il graduale accrescimento della potenza della sua Casa, p. es. con l'acquisto della Prussia polacca, che in ogni tempo era appartenuto all'impero ma che era stata strappata dai Polacchi all'Ordine Teutonico.

Egli scrive: «Acquistando noi questo paese, non solo avremmo una connessione del tutto, libera della Pomerania con la Prussia, ma terremmo anche a freno i Polacchi e saremmo in posizione di dettar loro legge, non potendo essi spacciare le loro mercanzie, se non facendole scendere per la Vistola e per il Pregel al mare, e questo non potrebbero più, fare senza il nostro consenso. Andiamo avanti e troviamo la Pomerania anteriore (svedese), separata dalla nostra soltanto dal fiume Penne, che farebbe una graziosa impressione se fosse unita con la nostra. Di qui si aprirebbe la via anche ad una nuova conquista, che si offre del tutto naturalmente; intendo parlare del Meklemburgo, la cui casa ducale bisognerebbe soltanto lasciare estinguere per prender possesso del paese senz'altre formalità. Procedo poi avanti di paese in paese, di conquista in conquista, come Alessandro, col proponimento di occupare sempre nuovi mondi. I territori di Julich e Berg arrestano ora il mio sguardo; debbono ad ogni modo essere conquistati per ingrandirci da quel lato e per non lasciar languire così soli ed abbandonati quei poveri paesi di Cleve, Mark e via dicendo. Se le cose fossero quali io le ho abbozzate, il re di Prussia tra i grandi della terra potrebbe fare una bella figura e rappresentare una parte ragguardevole ».

Il principe ereditario aveva venti anni, quando il re lo nominò colonnello a capo di un reggimento di fanteria di stanza a Ruppin, dopo che il giovane fu deciso a lasciarsi fidanzare ed ammogliare contro la sua inclinazione e senza una propria scelta. Il 4 febbraio 1732 il re gli scrisse in una lettera insolitamente affettuosa come, da quando lo aveva visto l'ultima volta, non avesse pensato ad altro che a collocarlo «così nell'esercito come anche con una nuora a modo». «Potete essere ben persuaso che, per quanto era possibile, ho fatto esaminare opportunamente le principesse del paese rispetto alla condotta ed alla educazione e che la maggiore delle principesse di Bevern fu trovata ben educata, modesta e di vita ritirata, come devono essere le donne. La principessa non é brutta e nemmeno bella. È timorata di Dio e questo è tutto e conveniente così a voi come ai suoceri. Dio vi dia in questo la sua benedizione e benedica voi e i vostri discendenti. Il tuo padre fedele fino alla morte. Fed. Guglielmo ».

Con questo ritratto il re, senza supporlo, aveva colpito il giovane Federico proprio nel suo «cuore francese». Precisamente come un gaudente francese di quel tempo, il bel principe divideva tutto ciò che si chiama donna in due generi, quello delle interessanti e quello delle noiose. Alle prime perdona tutto, alle altre nulla, e fra queste ultime buttò dentro senz'altro la sposa che il padre gli aveva cercato. Il pensiero di percorrere il cammino della vita al fianco di una «muta bruttezza», di «avere una creatura, che lo renderebbe furioso con la sua stupidità e che egli si vergognerebbe d'introdurre in società» gli era insopportabile.


Nella sua disperazione Federico scrisse al Grumbkow e gli fece inoltre scrivere dal suo maresciallo di corte von Wolden che mandasse a vuoto ad ogni costo questa disgraziata unione, altrimenti si farebbe saltare le cervella; fortunatamente un giorno prima aveva scritto allo stesso Grumbkow in un senso tutto differente e annunziato così schiettamente la sua sottomissione al volere del re anche in questa cosa, che il re, quando ricevette dalle mani del Grumbkow la lettera di suo figlio e la lesse, disse con le lacrime agli occhi: «questo è il più bel giorno della mia vita».

Com'era suo dovere, Grumbkow declinò d'ingerirsi in una cosa già definita, il principe si levò dal capo ogni pensiero di suicidio; il 10 marzo 1733 ebbe luogo il fidanzamento con Elisabetta di Brunswick, e il 12 giugno furono celebrate le nozze. Dopo più di tre anni di matrimonio il principe ereditario scriveva a proposito della moglie:
«Non ne fui mai innamorato. Sarei però l'ultimo degli uomini, se non l'apprezzassi schiettamente, poiché é di animo mitissimo, arrendevole in altissimo grado e tanto gentile, soltanto leggendomi negli occhi fa tutte quelle cose che sa che mi rendono contento».

Certamente essa non aveva nulla di abbagliante o di seducente né nel suo aspetto né nel suo carattere e lo stare con spirito e dignità a capo di una grande corte, come una gran signora, non era affar suo, ma con la quantità delle sue virtù domestiche non avrebbe aspirato invano a far germogliare e a coltivare la domestica felicità, se non le fossero state negate le gioie della maternità col beneficio di tutti i suoi doveri, e questo fu fatale a lei ed al suo grande consorte.

Ma del dolore della sua intima solitudine, che un giorno doveva creargli la mancanza di figli, Federico nulla ancora presentiva, quando il 16 agosto 1736 nel castello di Rheinsberg, in mezzo ad una natura idillica, circondato da una compagnia piena d'amabilità e d'ingegno, tra la musica e la poesia, gli studi filosofici e politici, si riposava dalle tempeste dei suoi anni giovanili.

Il 15 agosto il principe ereditario Federico aveva fatto il suo ingresso a Rheinsberg: Otto giorni prima, l'8 agosto aveva scritto la sua prima lettera a Voltaire, e con la risposta di lui, del 26 agosto, Rheinsberg aveva ricevuto la sua consacrazione quale sede delle muse. Voltaire aveva già passato la prima grande crisi della sua vita, quando il temuto poeta satirico della Francia al principio del maggio 1726 era andato in esilio in Inghilterra ed era ritornato nel marzo 1729, con la mente arricchita di tutto il tesoro dell'opera illuminatrice delle menti, che i primi pensatori dell'Inghilterra, Francesco Barone da Verulamio, Giovanni Locke e Isacco Newton avevano compiuto.

A Voltaire filosofo, a colui che tanta luce diffondeva nelle menti, spettava l'omaggio del più geniale dei principi tedeschi. Questi aveva apprezzato in Voltaire il poeta, ma aveva in lui ammirato, venerato ed amato il filosofo, e in questo senso l'altro aveva inteso questi segni di onore. Tutta la nobiltà d'animo, che Voltaire possedeva, la spiegava nella lotta contro la superstizione e l'oppressione delle menti, come difensore dei perseguitati, degli oppressi a cagione delle loro credenze.
In questa lotta Voltaire era sempre tale, quale del resto non era di regola, generoso e cavalleresco, disinteressato e non egoista, un Baiardo senza macchia e senza paura. Chi già nell'anno 1736, al principio di questa sua carriera caratteristica, scopriva in lui questa fattezza particolare, rivelava ciò che vi era in lui di migliore, il suo cuore stesso; questo appunto indovinò Voltaire, leggendo la lettera del principe ereditario, e ne fu commosso nel più profondo dell'animo.

Rispose il 26 agosto «Ella ha lusingato il mio amor proprio, ma l'amore per l'umanità, che io porto in cuore e che, posso dirlo, costituisce il mio stesso carattere, mi ha preparato una gioia molto più pura, vedendo che vi é al mondo un principe, che pensa come un uomo, un principe filosofo, che renderà felici gli uomini».

A dire il vero, egli s'immagina il principe Federico come il principe pacifico dell'avvenire, di cui sogna ancora nel 1740, pronto a snudare la spada per Jülich e Berg e a ringuainarla per la salvezza dell'umanità e per amore del fiorire di tutte le belle arti, che adorneranno una corte sacra alla muse, per la gloria di un principe, «nato per regnare e per piacere».

Voltaire nulla presagiva di quell'ambizione, che il principe domava ancora dentro nel suo animo, intimamente consapevole che la sua ora sarebbe suonata una buona volta:
«Dio sa - scriveva Federico il 9 novembre 1737 (tre anni prima della morte del padre) - che io auguro al re una lunga vita; ma se lui vivente l'eredità renana non sopraggiunge, si vedrà che io non mi esporrò al rimprovero di esser disposto a sacrificare i miei interessi a quelli di altre potenze. Piuttosto temo che mi si potrà rimproverare troppo ardire e troppo impeto. Pare che il cielo abbia assegnato al re mio padre di fare tutti quei preparativi, che la saggezza e l'accortezza richiedono, prima di incominciare una guerra. Chi sa che la provvidenza non mi riserbi di fare un uso glorioso di questi preparativi e di adoperarli a mandare ad effetto i disegni, a cui la prudenza del re li aveva destinati ».

Nel 1740 moriva Federico Guglielmo: all'età di 28 anni saliva sul trono di Prussia Federico e al momento di salirci sembrò che tutti i suoi pensieri e le sue azioni si concentrassero in un solo oggetto: la missione del re di Prussia, così come era stata intesa da suo padre.

In una lettera a Voltaire scrisse quel giorno "Il poeta e il principe sono divenuti una sola persona. Il popolo al quale è dovuto il mio amore è l'unica divinità che io servo; addio versi, addio concerti, Voltaire stesso addio! Mi aspetta il mio dovere".
E più che servire lo stato pian piano si identificò con esso.

Quanto alla tolleranza religiosa autorizzò ognuno a svolgere tranquillamente i propri riti, con questo principio "Nel mio paese ognuno andrà in cielo come vorrà".

Guidò il regno per 46 anni, divenne il "Grande Federico"; così "grande" che Mirabeau in Francia aveva già scritto. "Se mai un principe meno energico salirà sul trono di Prussia, si vedrà questo formidabile gigante crollare di colpo; la Prussia avrà la sorte della Svezia".

Ma questo giorno è per noi, qui, ancora lontano, quindi dobbiamo seguire tutto il corso della storia di Federico e del suo Paese; e iniziamo subito quando appena salito sul trono, inizia subito a far parlare di sé in tutta Europa.

Federico volle subito approfittare della posizione ancora critica
di Maria Teresa salita al trono nello stesso anno 1740
con la tanto discussa successione del trono d'Austria

FEDERICO IL GRANDE E MARIA TERESA > >

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE