-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

IL NUOVO PREDOMINIO E LA NASCITA DEI RANCORI


220. 29) - IL PERIODO 1870-1880 IN EUROPA
* IN FRANCIA

La Prussia (Germania) nel 1850, e dopo Sedan (1871)

Ideale è iniziare dalla Restaurazione
" L' OTTOCENTO . . . .
SE VOGLIAMO CAPIRE IL NOVECENTO "

evidenziato nell' INDICE DI "STORIA DELLE CIVILTÀ" >

 

Torniamo qui ai fatti politici di un periodo felice per una parte dell'Europa, ma piena di abbattimento da un altra parte, in Francia, per l'amaro sentimento della sofferta sconfitta, che inizierà a covare tanto rancore e alla fine - nonostante tanti patti - dopo 44 anni sfocerà nella sciagurata Grande Guerra. Infatti fin dalla vigilia di questa, - per il "giorno della rivincita" - era già stato fatto il programma e fin dal 1913 Delcasse aveva già scritto il "durissimo trattato di pace imposto alla Germania" nel 1919, prima ancora che iniziasse il conflitto e che morissero 10 milioni di soldati. A fine guerra quella riunione a Versailles "per la pace" (sic !!) fu soltanto una sceneggiata, e così pure il patto della Lega delle Nazioni, null'altro che carta straccia.

( Prova ne sia, che già nel 1934 in Europa il giornalista Knickerbocher in un famoso libro-inchiesta "Ci sarà la guerra in Europa?" (premio Pulizter) scriveva "Ci sono sei milioni di uomini pronti con il fucile in mano, cosa credete che aspettano? Aspettano di sparare!".
"Questa guerra, più ancora della Grande Guerra - concludeva Knickerbocher - segnerà la fine dell'Europa nella forma attuale". E affermava  nelle ultime due pagina (292-293) che "l'Inghilterra, Francia e.... l'Unione Sovietica con gli Stati Uniti insieme (e quest'ultima sembrņ proprio una sua bizzarria - l'URSS con gli USA !!!!!! ) avrebbero vinto, per un motivo molto semplice "che hanno tutto quanto desiderano per fare una guerra, mentre le nazioni che non hanno quanto desiderano sono la Germania e il Giappone, e queste due perderanno". Fu profeta? No, semplicemente analizzò bene la situazione. Stavano già iniziando le "eliminatorie" delle "Le Olimpiadi della Morte" e per le "semifinali" e la "finalissima" Knickerbocher
non sbagliò neppure una virgola). (di lui leggeremo ben dell'altro, alla fine dell'ultimo capitolo, il 237).

Perfino lo Zar ancora il 21 novembre 1914 con l'ambasciatore francese Paléologue, ripeté la "necessità della distruzione del militarismo tedesco, cioè la fine dell'incubo nel quale la Germania ci fa vivere da più di quarant'anni. Bisogna togliere al popolo tedesco ogni possibilità di rivincita. Se ci lasciamo impietosire sarà una nuova guerra a breve scadenza».
Era quella per la Francia una "Rivincita" per l'umiliazione subita e per tutto quello che essa aveva perduto in seguito alla guerra del 1870-71, il che significava riavere l'Alsazia-Lorena ma soprattutto soddisfare la "vendetta". E nel quasi cinquantennale rancore nutrito verso i tedeschi, suo primo obiettivo era quello di distruggere quell'impero nato proprio con quella umiliante guerra.

Così radicato il rancore, che perfino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, De Gaulle, con gli alleati, nel corso della depurazione dei nazisti, voleva per la Germania la "denazificazione deprussianizzando". Non distingueva il pur bravo statista che nazismo e prussianesimo erano due cose del tutto diverse.

Ma la storia politica dell'intero '800, come leggeremo nei vari capitoli, ha come protagonista non solo la Francia, non la Germania, non la Russia, ma una sola "grande potenza", l'Inghilterra, sempre più potente con l'imperalismo, e con i suoi "dominion"; domini formali e di fatto. (che raggiunsero i 35.498.222 kmq (più di cento volte il proprio territorio) con allora 460.315.416 abitanti) con colonie o basi di appoggio presenti su tutti i continenti (vedi cartina in "Inghilterra e Colonie").

"L’obiettivo della nuova grande strategia imperiale della Gran Bretagna fu quella di usare la sua forza navale, militare ed economica senza precedenti per inglobare le forze che stavano emergendo e creare una sfera di dominazione così vasta da inglobare ogni continente, in maniera tale che nessun rivale potenziale fosse in grado di sfidare fino in fondo l'Inghilterra per interi decenni. Furono guerre contro le popolazioni della periferia del nascente capitalismo mondiale e per l’espansione dello stesso capitalismo inglese. Guerre per assicurare un “Nuovo Secolo tutto Inglese” in cui le nazioni Europee, e quelle del terzo mondo, e quelle dell'Asia, furono viste come “patrimoni strategici” all’interno di una più grande battaglia geopolitica".

Ma sbagliarono i conti, alla fine della Grande Guerra finì il "Secolo Inglese", e ne iniziò un altro: il "Secolo Americano". E se nel corsivo sopra, noi oggi, sostituiamo Inglese con Americano, il testo nella sua sostanza non cambia, cambia il protagonista, mentre gli obiettivi e le grandi battaglie geopolitiche sono rimaste le stesse: Espansione e Dominazione sul e del pianeta.

Ricordiamoci che
"... fin dalla prima Guerra Mondiale vengono costruite le basi per il futuro sviluppo imperiale degli USA; Wilson non condona i debiti di guerra di Italia, Francia e Gran Bretagna ed anzi insiste perché siano esse a pagare fino all’ultimo centesimo ("hanno avuto dei soldi? Allora che paghino"). E’ evidente che in questo modo gli USA premono per ridurre la spesa militare e l’espansione economica delle maggiori potenze imperiali europee. Queste, a loro volta, essendo creditrici di guerra della Germania, premeranno su Berlino per ottenere il massimo da un’economia sfiancata da quattro anni di guerra devastante e perdente; le conseguenze negative di questo atteggiamento le conosciamo bene ma, dal punto di vista americano l’intera operazione si rivela un successo: i concorrenti europei si trovano in crisi finanziaria e coinvolti nuovamente in una guerra distruttiva nel giro di vent’anni, l’economia americana è in grado di espandersi e di diventare l’officina, il magazzino e la banca del mondo, così che il debole governo americano diventa il più accentrato e forte di tutto l’occidente. Impone dazi sulle importazioni dall’Europa (rendendo gli europei debitori perenni), interviene in economia con forme di protezionismo e di finanziamento per le infrastrutture e avvia una durissima politica di restringimento delle libertà politiche, sociali, sindacali e di opinione che culminerà negli anni Cinquanta con la commissione per le attività antiamericane del senatore Mc Carty."
( da http://www.zmag.org/Italy/capello-egemoniausa.htm

Le vaste risorse di energia del Medio Oriente, sono state riconosciute 60 anni fa come una "fonte stupenda di potere strategico" e "uno dei più grandi tesori materiali della storia mondiale".
Il terrore degli americani è che questo tesoro (le maggiori riserve energetiche del mondo) sia indipendente da Washington - o, ancor peggio, che questo "tesoro" vada in mano all'Asian Energy Security Grid e Shanghai Cooperation Council con sede in Cina.

E' stato nuovamente ben chiaro anche ultimamente (anni 2000) il Presidente degli USA, nel suo discorso al Congresso, (con l'"avventura" in Irak e in tutto il Medio Oriente) illustrando il proprio Disegno Strategico Planetario. E gli intendimenti espressi si possono raggruppare in tre entità: 1) rappresentazione della realtà americana nell’ambito di quella planetaria ("governo del mondo" - è scritto perfino sul dollaro - vedi più avanti); 2) Missione degli USA; 3) Disegno Strategico per come assolvere "la Missione".
(non ci dovrebbero essere problemi sul "come" assolvere la "missione" possedendo le bombe atomiche; e queste non sono "armi di distruzione di massa", ma più semplicemente "impiego di armi tattiche nucleari".
In una parola, per dominare si deve possedere la "forza".

In sostanza, un paese democratico, che sta' emulando in maniera ancora piu' subdola l'imperialismo britannico di due secoli fa, con il controllo della politica e deglii affari interni di molti paesi. Compresa l'Europa, quella UE che e' ancora lontanissima da esser una concreta sola entita' (e non puo' che esserlo, visti i secoli di storia travagliata che andiamo sotto a narrare ( del solo '800, e primi '900).

E' piuttosto singolare che un Paese che non ha nemici ai suoi confini (come ieri l'inghilterra aveva le sue basi navali) ha distribuito sul resto del pianeta le sue numerose basi di guerra (737 in 130 Paesi diversi - in Italia 127); e fra l'altro non a sue spese ma per la maggior parte a spese dei paesi ospitanti (Italia 37-41%) - Pochi lo sanno. Ma questi ignari non devono dimenticare che con la 1ma Guerra Mondiale avevamo debiti fino al 1988, ma nel 1940-'45, ne abbiamo persa un'altra di guerra e un'altra montagna di debiti della 2nda G.M. si sono aggiunti a quelli precedenti mai saldati). Gli americani la chiamano «condivisione dei costi», bilateral cost sharing, ovvero bilateral agreements, «accordi bilaterali». Alcuni ancora oggi segreti.
Si tratta comunque, spiega il rapporto, “Defense Infrastructure” (presentato al Congresso da parte dell'Ufficio governativo, a pagina 18) di vari tipi di sostegno da parte delle nazioni ospitanti, di contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a quelli già a spese della Nato». Insomma col primo e con i secondi, gli americani non pagono un dollaro, sono a carico dei Paesi da loro vinti, e liberati dal nazifascismo.
"Hanno avuto soldi? e allora che paghino!" diceva un Presidente americano.
E non finisce qui. I pagamenti agli Stati uniti non finiranno nemmeno se le basi dovessero essere chiuse e non ampliate, come sta per accadere a Vicenza. Nei patti tra Washington e Roma, rigorosamente segreti, esiste una clausola chiamata Returned property - residual value, che prevede un indennizzo. L'accordo è top secret, ma qualcosa filtra alla pagina 17 delle «osservazioni preliminari» del Goa.


Egemonia, Espansione, Dominazione. - Le solite ambizioni !! da Alessandro ai Romani, dai Carolingi a Carlo V, da Napoleone a Hitler !! - Molti analisti sostengono che il 21° secolo sarà "tutto Cinese", ma solo a partire dal 2035. Nel frattempo i cinesi stanno (ma è quasi top secret) espandendosi in Africa, in Europa, in Asia, e sostenendo in buona parte il debito pubblico degli stessi Stati Uniti, che da alcuni anni stanno vivendo al di sopra delle proprie risorse. E cercano pure loro - come diceva un certo caporale - "spazio vitale" (o meglio "fonti energetiche vitali": cioè il petrolio che in America inizia a scarseggiare).
Quanto al resto, è singolare che i consumatori acquirenti americani tengono a galla la Cina, e i venditori cinesi con le forti riserve (di dollari) tengono a galla il dollaro.
Gli Usa possano intimidire l'Europa, ma non possono fare la stessa cosa con la Cina. Se i cinesi convertissero le loro montagne di dollari con un altra moneta, sarebbe un disastro per gli americani. E di riflesso in parte anche per gli europei ?

Forse, perchè i russi nutrono l'intenzione di pagare gas e petrolio in rubli, scavalcando i dollari. Sarebbe - questa mossa - come dichiarare guerra agli Usa.
Ma anche gli arabi non sembrano disdegnare di farsi pagare dall'Europa i barili di petrolio in Euro. E così i Cinesi in Yuan. Li bolleranno tutti come "stati canaglia"?
Ma se i tre decidessero in tal senso (è libero mercato no?) saranno grossi dolori.
Tutti stanno giocando alla dominazione economica, che è quella che poi crea la dominazione militare, usando ovviamente (il denaro lo permette) la forza.

Ma gli Americani nel farle le guerre economiche (quelle militari sono solo un mezzo) dicono di confidare in DIO, "In God we trust", e questo motto è stato scritto (forse non a caso!) proprio sui biglietti di UN DOLLARO (anche se vi figurano singolari motti esoterici (vedi interessante link esterno) dove Dio non centra proprio per niente.
La "piramide" è il simbolo degli illuminati. L' "occhio" il simbolismo connesso al demonio. "The Great Seal" il massonico "grande sugello"

Anzi viene il dubbio che se Dio ha creato l'uomo, l'uomo americano ha creato Dio, poi gli ha pure messo in tasca un pezzo di carta chiamato "dollaro" per fare acquisti nel mondo intero. E che ha su scritto NOVUS ORDU SECLORUM - che significa (lo sapevate?) "nuovo ordine mondiale".
Un nuovo Ordine Mondiale, retto da una Sinarchia, cioè da un governo unico composto da uomini americani (banchieri ed economisti)
Insomma al posto dell’ "adveniat regnum tuum" di Dio nel Pater Noster, la grande attesa è la "adveniat regnum viri" ("la venuta del regno dell’uomo" americano).
Nell’aula del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a New York, troneggia una strana opera pittorica. Si può osservare una piccola colomba bianca inseguita da tre corvi minacciosi e in fondo una scritta molto piccola che dice: "L’uomo trionferà su Dio" (v. "Sous la bannière" n. 55, settembre – ottobre 1994, Villegenon, Francia).
Del resto Kissinger ci crede (noto membro del "Council for Foreign Relations", un organismo ( Finanziato da gruppi della Secret Fraternity bancaria internazionale)
che ha lo scopo, tra gli altri, di unire il Giappone, il Canada, gli Stati Uniti e i Paesi del Mercato Comune Europeo in un solo governo. "Kissinger crede che controllando gli alimenti si può controllare il popolo e controllando l'energia, il petrolio, si possono controllare le nazioni e i loro sistemi finanziari. É convinto che mettendo il cibo e il petrolio sotto un controllo internazionale e istituendo un nuovo ordine monetario internazionale è possibile che un governo mondiale, almeno agli inizi sotto l'egida delle Nazioni Unite, diventi una realtà....". (Paul Scott, cronista del Washington Post)
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"E pluribus Unum" ("Da molti, uno"), impressa sul nastro che l'aquila stringe col becco significa che il verbo degli Illuminati sarà diffuso a tutte le nazioni per costituire un governo mondiale.



Ma ho i miei dubbi...

Anche perchè - da sempre in tutta la storia umana - anche le "armi" per dominare stanno per diventate all'improvviso obsolete. Oggi o al più domani mattina il mondo delle nanotecnologie può mandare in pensione i missili, le B.A., gli "Scudi Spaziali", e creare all'improvviso un semplice "moscerino" "zanzara" con un'autonomia illimitata, capace di sorvolare il mondo e andare con una carica di microparticelle inibitorie (il dengue - o "spacca ossa") a ridimensionare il narcisistico potere di tutti i grandi emuli di "Alessandro" (il grande conquistatore macedone fra l'altro morì proprio per una banalissima zanzara).
Mi dispiace solo di non poter compilare la cronologia dei prossimi 50 anni. A questa data il Mondo sarà tutto diverso, come non lo è mai stato.

Come potrebbe essere l'arma del domani...

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Riprendiamo il discorso di "ieri".

IN FRANCIA
L'Europa centrale e occidentale dopo il 1871 era tutta sotto l'effetto della grande guerra appena finita.
La Francia, a dire il vero era abbattuta per il momento e doveva rivolgere tutte le sue energie economiche al pagamento dell'elevato risarcimento di guerra, che le era stato imposto; ma ben presto apparve chiaro che questo ricco paese di antica civiltà avrebbe rapidamente risanato le sue ferite dopo la lotta.

L'amaro sentimento della sofferta sconfitta impedì che svanisse il pensiero della riconquista delle perdute Alsazia e Lorena. E quanto più altamente questo desiderio fu espresso in giornali e discorsi, tanto più seriamente i dirigenti della politica tedesca dovettero considerare la possibilità di una nuova lotta.

Tuttavia Bismarck era convinto che la Francia non avrebbe potuto osare una guerra di rivincita di sua iniziativa, senza alleati.
Ma la impressionante ascesa dell'impero tedesco aveva disturbato tanti interessi e suscitato tante invidie, che doveva apparire piuttosto verosimile, che in Francia avrebbero trovato presto o tardi simili alleati.

Avevano pur pensato, poco prima del 1870 Austria e Italia ad un accordo con la Francia in determinate circostanze; ed anche in Russia c'era un forte partito antitedesco.
Il timore di un'egemonia tedesca, e di ulteriori desideri di espansioni del nuovo impero, pesava su tutti i confinanti. In simili condizioni gli sforzi di Bismarck miravano a porre fuori di questione il carattere pacifico della Germania e a guadagnarsi prima di tutto quelle Potenze, su cui la Francia poteva fare assegnamento quali eventuali alleati. E data la debolezza militare dell'Italia, non si poteva trattare che o dell'Austria o della Russia.

Notoriamente Bismarck fin dal 1866 aveva pensato a un ravvicinamento all'impero danubiano. A Vienna si capiva, dopo gli eventi del 1870, essere impossibile di riconquistare il perduto antico predominio sulla Germania. Con la realistica rinunzia ad una tale pretesa si conseguiva da questo lato la condizione preliminare per una buona intesa.
I desideri pacifici del Bismarck trovarono ormai in Austria una intelligente accoglienza; convegni fra i sovrani e gli uomini dirigenti di Stato produssero fino dall'autunno del 1871 un'intesa amichevole fra i limitrofi imperi.

In Russia lo zar Alessandro II, nipote dell'Imperatore Guglielmo, era sempre disposto a una intesa con la Germania. Egli - nella politica tedesca - aveva trovato, da quando Bismarck era al timone, un appoggio contro la Polonia e l'Inghilterra; contrasti notevoli d'interessi fra loro non esistevano, finché o la Germania non tendeva alla riconquista delle province baltiche, o la Russia all'annessione dell'intero ex regno polacco; l'una e l'altra cosa era allora ben lontana dalle idee dei dirigenti.
In Russia c'era sì un partito, che proseguiva questi fini, cioè i panslavisti; ma lo zar vedeva in loro dei rivoluzionari e doveva anche diffidare della lealtà di una Polonia unita verso la Russia.

Così non era difficile al Bismarck di annodare i migliori rapporti anche con l'Imperatore Alessandro. Certo doveva sembrare discutibile, se Russia ed Austria per il loro acuto contrasto d'interessi nella Balcania avrebbero avuto una durevole confidenza reciproca; ma Bismarck poteva sperare che queste questioni non sarebbero venute prossimamente in prima linea, e che la sua efficacia conciliatrice avrebbe potuto impedire un urto diretto.
Poteva valere come un nuovo grande trionfo della politica bismarckiana che i tre Imperatori Guglielmo, Alessandro e Francesco Giuseppe, mediante un abboccamento personale a Berlino nel settembre 1872, palesassero dinanzi a tutto il mondo il buon accordo delle tre Potenze orientali.

Anche negli anni seguenti avvennero regolari convegni dei tre monarchi e dei loro statisti. La lega dei tre Imperatori era un fatto, anche se un trattato scritto può non essere stato concluso.

Anche l'Italia dimostrò la sua intenzione di rimanere in buoni rapporti con i tre Imperatori con la festosa visita del principe ereditario Umberto a Berlino; la Francia era privata di tutti i possibili alleati.

Ma allo stato maggiore tedesco tutte le precauzioni diplomatiche non parevano sufficienti come garanzie della pace. Esso seguiva con inquietudine la ripresa economica della Francia, il suo rassodamento politico e il modellamento del suo esercito sullo stampo tedesco. Sembra indubbio che i circoli militari nel 1875 abbiano raccomandato una nuova guerra contro la Francia per distruggere il nuovo esercito dei vicini occidentali, lo strumento della guerra di rivincita, prima che esso fosse pronto.

Il vecchio Imperatore e Bismarck non si mostrarono propensi ad una così fatta «guerra preventiva», e non ci fu affatto bisogno, come riaffermano sempre i Francesi, di una pressione russa ed inglese per assicurare la pace. Bismarck ritenne giustamente sufficienti le sue precauzioni diplomatiche per distogliere, per il momento, i Francesi da seri disegni di rivincita; naturalmente era sempre possibile che un'imprevedibile esplosione di passione popolare francese scatenasse tuttavia la guerra; ma in tal caso credeva di non poterci far nulla.

La situazione era indubbiamente tesa; poiché in Francia non si voleva considerare definitivamente perduta l'Alsazia-Lorena, si rafforzavano continuamente gli armamenti, e nella consapevolezza del proprio stato d'animo ostile si attribuiva fermamente anche ai Tedeschi un piano d'un nuovo attacco insidioso. Tutti gli Stati del Continente dovevano essere preparati ad un nuovo conflitto. Era una pace armata ed infida quella di cui godeva l'Europa, ma pure era sempre pace; e non é davvero un piccolo merito della prudente e onesta politica del Bismarck di avervi persistito, finché la crisi orientale del 1877 non ebbe modificato tutte le premesse e spezzato la lega dei tre Imperatori.

Durante questi anni di pace i singoli Stati d'Europa ebbero tempo e agio di sviluppare potentemente le loro energie economiche e di adattare i loro ordinamenti politici alla nuova situazione generale; poiché quasi tutti erano stati sorpresi dalle guerre dal 1864 al 1871 e radicalmente mutati nella loro essenza.

Non era stata semplicemente una ordinaria sconfitta quella che la Francia aveva sofferto nel 1870 e 1871; le intere basi della sua vita statale erano scosse. Dopo Sedan l'Impero di Napoleone III era caduto; un Governo provvisorio si era formato e aveva organizzato la resistenza nazionale; ma ognuno sentiva che nella decisione intorno alla futura forma di Governo l'intero popolo doveva aver voce in capitolo.
In mezzo alle formidabili perturbazioni della guerra non ci si era potuto pensare. Allorché dopo la caduta di Parigi fu eletta l'Assemblea nazionale, la popolazione non aveva che un solo desiderio che questa potesse restituire la pace al paese; si scelsero uomini di opinioni conserva
trici, perché da costoro si poteva attendere prima che da altri una politica di moderazione e di pace.
Se questa Assemblea creò provvisoriamente un potere esecutivo e vi pose a capo Thiers con il titolo di presidente, fece ciò che era inevitabile, ma lo fece nella piena consapevolezza di creare una condizione di cose transitoria. Il Thiers stesso si espresse sempre in questo senso che non si sarebbe potuto decidere intorno alla futura forma del Governo, finché non fosse stata conclusa la pace e il paese non fosse stato liberato dall'occupazione nemica.

Nella elezione d'una maggioranza conservatrice all'Assemblea nazionale di Bordeaux si manifestò indubbiamente l'umore della popolazione delle province, soprattutto dei contadini; appunto per questo i radicali delle grandi città e specialmente di Parigi non trovarono nessuna corrispondenza nella campagna per le loro opinioni e per i loro desideri. In essi, specie nelle moltitudini degli operai industriali disoccupati per la guerra, riviveva lo spirito della grande rivoluzione; essi pensavano che, se, come nel 1793, si chiamasse alla lotta all'ultimo sangue l'intero popolo, e si spiegasse la bandiera della repubblica giacobina, sarebbe tornato l'entusiasmo e con esso il buon successo delle guerre rivoluzionarie.

Le concessioni del Governo provvisorio al nemico sembrarono loro vergognose; e temevano che l'Assemblea nazionale ristabilisse la monarchia. Da questi uomini derivò, subito dopo che furono conclusi, i preliminari della pace.
Parigi fu liberata dal pericolo della fame, la selvaggia rivolta della Comune, che fu una sollevazione del proletariato operaio della capitale contro la borghesia, che sentiva braccata la sicurezza della sua potenza politica. Solo dopo un'aspra e sanguinosa lotta riuscì alle truppe del Governo provvisorio di prendere Parigi. Allora fu istituito un terribile tribunale penale contro i capi e i partecipanti dell'insurrezione; moltissimi furono fucilati, ma il grosso dei prigionieri furono condannati alla deportazione.

Questa tremenda guerra civile fu combattuta sotto gli occhi delle truppe d'occupazione tedesche. L'abbattimento della Comune significò la vittoria delle province su Parigi; dei cittadini e dei contadini sul proletariato operaio della capitale. L'Assemblea nazionale rimase a Versaglia e Thiers conservò il possesso del potere governativo.
Nell'Assemblea la prevalenza dei conservatori aumentò ancora per questa vittoria, e, senza dubbio, in Versaglia il desiderio di una restaurazione della monarchia legittima superava ogni altra tendenza.
Al soddisfacimento di questo desiderio si opponeva solo una difficoltà che cioè non c'era nessun candidato al trono, generalmente riconosciuto. Per i legittimisti il conte di Chambord, nipote di Carlo X, era il Re legittimo; i seguaci della casa di Orleans stavano per il conte di Parigi, nipote di Luigi Filippo; ma i bonapartisti speravano nella restaurazione dell'Impero napoleonico, anche se essi fin dall'inizio rimasero indietro, finché l'odio contro l'autore della grande disfatta era tuttavia fresco e vivace tra il popolo.

La circostanza, che la maggioranza monarchica dell'Assemblea era così discorde, impediva il semplice ristabilimento della monarchia e assicurava la momentanea continuazione del Governo provvisorio. Il presidente ( < )Thiers aveva 74 anni, ma era tuttavia fresco ed energico. La sua vita era stata divisa fra politica e storia; come ministro del Re borghese aveva difeso il sistema governativo costituzionale; sotto il secondo Impero passava per orleanista; eppure egli fu uno dei fondatori della leggenda napoleonica.

Il suo punto di vista fondamentale fu sempre l'affermazione della potenza e della libertà della Francia. Ora, quando da vecchio si vide, per la prima volta, sotto la sua unica responsabilità, messo davanti agli ardui compiti delle trattative di pace con il vincitore e della formazione di un'ordinata vita statale all'interno, si rivelò diplomatico consumato e instancabile lavoratore.
Egli era convinto che nella confusione dei partiti monarchici soltanto la repubblica offriva una garanzia per la pace interna. La maggioranza monarchica dell'Assemblea conosceva le sue idee e le tollerò, finché egli fu indispensabile.

Thiers prima di tutto riordinò con grande abilità il sistema finanziario; il suo credito permise di contrarre grossi prestiti, che dovevano coprire le spese governative fino alla riscossione delle imposte normali e offrivano la possibilità di un rapido pagamento del debito di guerra.
Con la primavera del 1873 l'intera somma era già pagata alla Germania e le ultime truppe d'occupazione avevano abbandonato il paese; Thiers fu dai suoi amici celebrato come «liberatore del territorio».
Ma oltre a ciò Thiers si studiava di creare le basi di un nuovo organizzazione statale liberale all'interno, e saldo all'estero. All'ultimo scopo serviva l'introduzione dell'obbligo del servizio militare per tutti secondo il modello prussiano; per ottenere, al più presto possibile, un forte e ben addestrato esercito, il periodo del servizio alle bandiere fu fissato addirittura a cinque anni.

Ma Thiers, a buon diritto, considerava, come condizione necessarie di una libera vita statale, fondante sull'autonomia del popolo, l'abolizione del sistema governativo napoleonico, che rimetteva nelle mani del potere centrale la nomina di tutti gl'impiegati dal ministro al capo del Comune. Egli, minacciando, nel caso fosse rigettata, di dimettersi dal suo ufficio, ottenne l'approvazione di una legge, che lasciava ai Comuni l'elezione del sindaco, concedeva ai consigli generali dei dipartimenti più ampie facoltà di fronte ai prefetti, e così introduceva un decentramento dell'amministrazione.
Ma l'Assemblea, del tutto scontenta di queste tendenze della sua politica, iniziò la lotta contro di lui, appena fu pagato il debito di guerra, appena la Francia fu liberata dagli stranieri, e il Thiers apparve sostituibile.

Quando Thiers tutto si adoperava perché fosse sempre più rafforzata la repubblica quale forma statale della nuova Francia, poiché soltanto una repubblica conservatrice avrebbe potuto durare, la maggioranza ne decise la caduta.
Allorché i suoi ministri in una questione insignificante rimasero in minoranza per 14 voti, si dovettero dimettere, e l'Assemblea chiedeva la formazione di un gabinetto gradito alla maggioranza.
Siccome Thiers non volle né nominare ministri monarchici, né trasgredire i principi del regime parlamentare, non gli rimase altro espediente che dimettersi (24 maggio 1873).

L'Assemblea nazionale elesse immediatamente Presidente il maresciallo Mac-Mahon, perché notoriamente monarchico. Fu un'ironia della sorte, che il collega di Mac-Mahon nella guerra del 1870-1871, il maresciallo Bazaine, poco dopo fosse condannato per «tradimento», a proposito della resa di Metz, da un tribunale di guerra.
Mac-Mahon, il vincitore di Magenta e il vinto del 1870, si considerò all'inizio della sua nomina, soltanto come colui che doveva tenere il posto per il monarca da richiamare sul trono. In realtà - come abbiamo detto con lui monarchico - apparve molto probabile si potesse arrivare al ritorno dell'antica dinastia, soprattutto quando il conte di Parigi andò a far visita al pretendente della linea primogenita, e, dopo che egli fu riconosciuto come erede del trono dal conte di Chambord, che non avendo figli, avrebbe rinunziato alle sue pretese in favore del conte.

Siccome contemporaneamente Napoleone III morì e lasciò soltanto un figliolo minorenne, per il momento era tolta ogni speranza ai bonapartisti, e la condizione della casa borbonica appariva oltremodo favorevole. Solamente la cocciutaggine irriducibile del conte - del Re Enrico V, come già si faceva chiamare - mandò ogni cosa a vuoto.
Egli non lasciò alcun dubbio negl'inviati dell'Assemblea nazionale che lui avrebbe mirato a una completa restaurazione del vecchio regime; neppure volle accettare il tricolore, l'insegna nazionale della Francia da molto tempo riconosciuta da tutti; ma intendeva di nuovo spiegare l'antica bandiera borbonica dai gigli d'oro, che era da per tutto considerata il simbolo dell'assolutismo e del feudalesimo.

Poiché egli fu così imprudente di dichiarare a tutto il mondo il suo pensiero in una lettera destinata alla pubblicità, perfino i monarchici coerenti non osarono più invocare il suo immediato richiamo in Francia, per il timore scoppiasse la guerra civile. Essi riposero le loro speranze nella prossima morte del principe malaticcio e nel conte di Parigi, che nutriva idee più moderne; fino a quel momento immaginavano di poter mantenere la situazione provvisoria con l'aiuto del Presidente che la pensava come loro.
Il Mac-Mahon cercò di preparare tutto nel modo migliore per questo sperato, anche se remoto evento. In tutti gli uffici egli mise dei monarchici; fece sì che la maggioranza della Camera restituisse al Governo la nomina dei sindaci; in tutte le elezioni presentò, secondo il metodo sperimentato del bonapartismo, candidati ufficiali, per i quali doveva votare ogni impiegato, e ognuno che attendesse qualcosa dal Governo; stampa, letteratura e teatro furon posti, mediante l'introduzione della censura, sotto rigida vigilanza del Governo. Nell'esercito, a cui il maresciallo rivolgeva le sue speciali cure, fu promosso in modo particolare lo spirito monarchico.

Ma in un paese così buon cattolico doveva acquistare importanza decisiva riguardo agli uomini delle moltitudini campagnole l'atteggiamento del clero.
Il ceto ecclesiastico fino dalla grande rivoluzione era stato sempre dalla parte della monarchia. Così anche adesso era innegabile per i monarchici che essi dovevano procedere d'accordo col clero; e la Chiesa accolse volentieri la mano che le si offriva. Una serie completa di norme del Mac-Mahon mirarono a riporre del tutto l'insegnamento dalla scuola elementare all'Università nelle mani o sotto la vigilanza degli ecclesiastici, fu persino concesso alla Chiesa la fondazione di scuole superiori «libere», dirette esclusivamente da essa.

Così i monarchici parvero sulla via sicura di preparare, con l'aiuto dell'amministrazione accentrata, della disciplina militare, e dell'educazione clericale della gioventù, la popolazione al ritorno della vecchia monarchia.

Ma presto dovettero accorgersi che le difficoltà erano maggiori di quanto essi avessero immaginato. Alla maggioranza dell'Assemblea nazionale avevano fino allora appartenuto anche i bonapartisti. Ma ormai era evidente che il richiamo dei Borboni avrebbe una volta per sempre frustrato i loro piani. Essi si sarebbero lasciati sorprendere, se nel 1873 il conte di Chambord avesse concluso il suo patto con l'Assemblea; ma un po' per volta acquistarono la persuasione di dovere a qualunque costo impedire il ristabilimento della monarchia legittima, e di non potere a tal fine evitare anche un'alleanza coi repubblicani.
Altri componenti della destra ritenevano impossibile di lasciar sussistere il sistema provvisorio per un tempo indeterminato. Costoro, alleati con i bonapartisti e con i repubblicani, ottennero il 30 gennaio 1875 l'approvazione di una proposta, per la quale nell'avvenire sarebbe stato a capo dello Stato sempre - non già come fino allora provvisoriamente - un magistrato eletto per un settennio con il titolo di «Presidente della Repubblica».

Questo fu il primo riconoscimento ufficiale della forma statale repubblicana per parte dell'Assemblea nazionale; e avvenne con un solo voto di maggioranza (353 contro 352 voti).

Con questa deliberazione si dette la mossa, e non ci fu più ormai nessun impedimento. Se la Francia doveva essere una repubblica, abbisognava di una costituzione, e non soltanto di un Presidente; la maggioranza, che esigeva la fissazione delle leggi fondamentali, diveniva sempre più forte.

Nel 1875 si accolsero anche le così dette «leggi organiche», che formano nel complesso la costituzione francese andata in vigore. Il Presidente fu dichiarato il capo responsabile del potere esecutivo; ma i suoi diritti governativi potevano essere esercitati solamente mediante ministri responsabili dinanzi alle Camere. Il diritto di sciogliere la seconda Camera gli fu concesso, purché la prima Camera (il Senato) accettasse lo scioglimento. La Camera dei deputati di 738 membri doveva essere eletta da tutti i Francesi maschi con voto generale eguale, diretto e segreto, per quattro anni; il Senato di 300 membri per tre quarti dai Consigli generali e distrettuali dei dipartimenti con l'aggiunta dei senatori e deputati aventi diritto di voto in essi, e un rappresentante di ogni comune eletto a tale scopo, per nove anni; l'altro quarto doveva scegliersi per cooptazione degli eletti.
Camera dei deputati e Senato formavano insieme il Congresso e dovevano in una seduta comune eleggere il Presidente e decidere intorno alle modifiche costituzionali.

L'approvazione delle leggi organiche fu l'ultima opera dell'Assemblea nazionale. Già i repubblicani avevano contestato che quest'Assemblea avesse mai il diritto di decidere sull'ordinamento futuro della Francia; perché sarebbe stata eletta solo per la conclusione della pace.
In ogni caso però ornai il suo mandato era finito; e si dovevano formare le Camere sulla base delle nuove leggi.

Le elezioni del 1876 dettero per la Camera dei deputati una chiara maggioranza repubblicana. La lotta fra i diversi gruppi monarchici, il contegno ripugnante del conte di Chambord, e il desiderio di avere finalmente istituzioni durature cooperarono a ottenere questo risultato.
Con ciò era mutata interamente la situazione. Il Presidente monarchico poteva ancora basarsi su una piccola maggioranza nel Senato; ma aveva contro di sé la Camera dei deputati, che costituiva il potere prevalente. Egli dovette, per evitare un aperto conflitto, chiamare al Governo un ministero composto di repubblicani moderati; le candidature ufficiali nelle elezioni furono abbandonate, e fu restituito ai Comuni il diritto di eleggere i sindaci; nel personale degli impiegati un po' per volta furono soppiantati i monarchici.

I repubblicani comprendevano che la continuazione della repubblica era collegata alla trasformazione dell'esercito e alla cessazione dell'efficacia clericale nella scuola.
Essi iniziarono innanzi tutto la lotta contro il clero. Questo atteggiamento non era senza pericolo, perché il grosso della popolazione senza alcuna istruzione se non quella ricevuta dal prete del villaggio, soprattutto nella campagna, era strettamente credente e seguiva la parola d'ordine dei suoi preti.
Anche il Presidente ci contava su. Egli sapeva che, dinanzi agli occhi di ogni buon cattolico, l'abolizione del dominio temporale compiuto dal Regno d'Italia era un furto sacrilego alla Chiesa.

Da un pezzo i clericali di tutti i paesi assediavano i loro Governi, perché intervenissero in Italia a favore del capo supremo della Chiesa. Il Mac-Mahon non ignorava che la maggioranza dei deputati avrebbero respinto ogni proposta mirante a tale scopo; ma egli voleva appunto proprio questo, poiché sperava che la maggioranza così si sarebbe compromessa di fronte alle masse cattoliche.
Fu un piano ben meditato quello per cui i monarchici nella primavera del 1877 presentarono una simile mozione alla Camera; appena essa fu respinta, il Presidente, col consenso del Senato, decretò lo scioglimento della Camera (maggio 1877), e nominò ministri monarchici.

Non era oltre modo verosimile che una muova elezione con la parola d'ordine: "Per o contro il Santo Padre e i suoi diritti!" schierasse attorno al Governo tutti i cattolici e riuscisse a formare una maggioranza conservatrice?

Ma il piano fallì. Le elezioni con sorpresa dettero, malgrado l'alleanza clericale, una maggioranza repubblicana. La sorte dello Stato ecclesiastico non aveva per la massa del popolo tale importanza da lasciarsi guidare soltanto da questa considerazione nella votazione.
La nuova maggioranza, composta in grandissima parte dai precedenti deputati, era però straordinariamente sdegnata contro il Presidente, di cui naturalmente conosceva benissimo le oscure manovre elettorali prò chiesa; essa strappò subito la nomina di ministri repubblicani e la ripulitura del personale amministrativo da elementi monarchici.

Alla stessa maniera dovevano anche nell'esercito rimuoversi i partigiani della monarchia; la Camera chiese al Presidante di curare che fossero conferiti i posti di ufficiali e sottufficiali solamente a repubblicani. Il Mac-Mahon non volle contribuire a rompere quello strumento, che avrebbe dovuto servire in prima linea a restaurare la monarchia; ma siccome non osava sostenere un aperto conflitto con la Camera dei deputati, non gli rimase che dimettersi (gennaio 1879).

Come sei anni prima il Thiers aveva dovuto piegarsi dinanzi alla maggioranza monarchica della rappresentanza nazionale, ora pure il Mac-Mahon dovette cedere di fronte alla maggioranza repubblicana.
Il ritiro del Mac-Mahon significò la crisi della storia della repubblica. Cessò quell'assurdo che alla testa di una repubblica stesse un personaggio, il cui scopo apertamente professato era quello di richiamare il legittimo Sovrano.
Dunque solo senza di lui le istituzioni del paese ora potevamo svolgersi tranquillamente e logicamente sulla base della repubblica.

Il nuovo Presidente, Grévy, era un campione delle classi medie borghesi, senza speciali doti personali, o fini politici, un esecutore opportuno e preciso delle decisioni prese dalla maggioranza parlamentare, che mano mano si formava. L'ufficio di Presidente si ridusse in Francia a un posto puramente decorativo e fu senza nessuna efficacia sulle sorti future del paese, si chiamasse il suo titolare Grévy, Casimir Perier, Carnot, Loubet o Falliéres.

Le conseguenze immediate di questa decisiva vittoria dei repubblicani furono il trasferimento della Camera dei deputati da Versaglia a Parigi (1880) e il richiamo dei comunisti, condannati, nel 1871, alla deportazione.
Repubblicani moderati e radicali vollero levar di mezzo ogni ricordo della vecchia contesa, per collaborare senza amarezza, e arginare le correnti monarchiche sempre tuttavia forti. Anche dalla magistratura furono il più possibile rimossi, mediante la temporanea abrogazione dell'inamovibilità, gli elementi conservatori; come pure fu promossa con fervore la lotta contro lo spirito legittimista nell'esercito.

L'introduzione della pubblicità nelle sedute dei consigli comunali, della libertà di stampa e di una maggiore libertà di riunione e di associazione dovevano servire alla pratica dei principi democratici e all'ammaestramento del popolo in senso repubblicano. Siccome il senato appariva come l'ultimo sostegno del partito avversario dentro la rappresentanza popolare, si risolse la trasformazione: fu abrogata la cooptazione e i 75 senatori nominati fin allora in
tal modo dovevano provenire dalle elezioni; fu rivisto il diritto elettorale per il Senato in favore delle città maggiori, nelle quali i repubblicani possedevano un appoggio più saldo che in mezzo alla popolazione campagnola.

Le famiglie degli antichi Sovrani furono escluse per legge dall'ufficio presidenziale e da tutti i gradi superiori dell'esercito; ma soprattutto fu intrapresa la lotta con ogni energia contro l'influsso clericale, che era stata favorita dal Mac Mahon.
Poiché con la nuova costituzione era lasciato alle moltitudini l'influenza decisiva sulla vita pubblica, per conseguire simile scopo non rimaneva altro mezzo che di estraniare, un po' alla volta, i sentimenti delle masse dalla Chiesa con una radicale trasformazione dell'insegnamento per i giovani in senso anticlericale. Da questo punto di vista venne iniziato il riordinamento della scuola.

All'estero apparve in questo periodo come condottiero dei repubblicani più risoluti Leone Gambetta, uno dei capi della difesa nazionale nel 1870, un ardente francese meridionale di origine italiana, un tribuno popolare ed agitatore nato di affascinante eloquenza. Ma gli mancava lo sguardo sicuro e la calma costanza nel proseguimento delle sue mete.
Con le parole grosse e la demagogia si possono elettrizzare le moltitudini, ma non risolvere questioni pratiche; dove si trattava di ciò, l'ingegno del Gambetta falliva. Quando egli dopo molte fatiche ottenne il posto di primo ministro da tanto tempo agognato, il grande ministero, tanto celebrato anticipatamente dai suoi amici, offrì lo spettacolo di una serie di insuccessi; dopo due mesi si dovette ritirare, e subito dopo morì (dicembre 1882).

Il lavoro veramente pratico ed efficace fu compiuto in questi anni da altri uomini. Fra costoro risalta specialmente il creatore della scuola moderna francese, Giulio Ferry. (nell'immagine sotto). Nato nel 1832 nei Vosgi, si era all'inizio della sua carriera occupato come avvocato e giornalista, aveva poi partecipato all'organizzazione della difesa nazionale e aveva rivestito posti importanti sotto Thiers; nell'assemblea nazionale era stato il condottiero riconosciuto dei repubblicani moderati.

Vedremo più tardi come Ferry dette alla politica estera del suo paese un avviamento del tutto nuovo, e introdusse di nuovo la Francia nella politica mondiale. Egualmente importante fu all'interno la sua lotta per la scuola statale laica e non confessionale.

Già come ministro dei culti, nel primo ministero del Grévy, il Ferry voleva togliere a tutti gli ordini religiosi, non riconosciuti espressamente dallo Stato, il diritto di impartire l'insegnamento, ma, di fronte all'opposizione del Senato, allora non riuscì a spuntarla.
Tuttavia egli proibì sulla base di leggi precedenti il soggiorno in Francia ai gesuiti, e richiese a tutti gli ordini lo schema dei loro statuti e l'obbligo di un permesso statale per l'insegnamento. Egli fece chiudere i chiostri, che non obbedivano.
Dopo il ritiro del Gambetta, Ferry divenne di nuovo sotto il Freycinet, ministro dei culti, e allora, quando anche nel Senato i repubblicani avevano conseguito la maggioranza, gli riuscì nel marzo 1882 di spuntarla con le sue leggi sulla scuola popolare.
Fu introdotta l'istruzione obbligatoria; rimase il principio della libertà dell'insegnamento; ma in tutte le scuole dello Stato l'insegnamento doveva essere impartito gratuitamente, e nessun ecclesiastico doveva potervi conseguire nessun posto d'insegnante; l'insegnamento della religione era del tutto abolito nel suo programma, e ne era lasciato l'incarico agli ecclesiastici di ogni confessione, però fuori dall'edificio scolastico.

Questa legge si dimostrò praticamente come il più forte strumento per combattere l'influsso clericale sulle masse. Solo quando una nuova generazione fu uscita da queste scuole puramente laiche, e fu entrata nella vita pubblica, si poté giungere alla grande opera della completa separazione dello Stato e della Chiesa, che aveva sorriso come ideale già al Gambetta, al Ferry e ai loro seguaci.

Per quanto tutti questi fossero progressi importanti del partito repubblicano giunto al sicuro possesso del potere, pure si preparavano già all'inizio dell'80 nuove lotte interne.
Finché i repubblicani erano stati minoranza, erano rimasti uniti; dopo la vittoria apparvero subito sempre più forti i contrasti nelle loro file. I democratici radicali dichiaravano che ormai bisognava attribuire molta importanza al grande principio della autonomia del popolo; occorreva che tutti gl'impiegati e ufficiali fossero eletti dal popolo; venisse tolto al Governo centrale il diritto di nomina; al Presidente e al Senato fosse levata la facoltà di sciogliere la Camera dei deputati, poiché ciò ricordava ordinamenti monarchici e aristocratici; infine bisognava procedere senza esitare alla completa separazione dello Stato e della Chiesa, senza attendere i lenti effetti delle leggi sull'insegnamento. Anche la completa proscrizione dei membri delle vecchie dinastie formava un punto del programma dei radicali.

Ma c'erano fra i repubblicani molti, i quali pensavano che una simile politica condotta secondo i principi senza riguardo alcuno alle condizioni reali doveva produrre cattivi risultati. Quanto facilmente gli elementi del partito repubblicano più affini alla destra, disgustati dalle esigenze radicali della Sinistra, potevano cercare di congiungersi con i conservatori e provocare il pericolo di una nuova maggioranza monarchica!
Sotto la guida del Ferry e del Freycinet questi cosiddetti opportunisti tendevano all'unione di tutti gli uomini di opinioni repubblicane, attraendo a sé anche quei conservatori, che si rassegnavano a rinunziare alla restaurazione della monarchia; quindi un grande partito medio moderato con l'esclusione degli elementi più radicali di destra e di sinistra.
In politica estera essi raccomandavano il riconoscimento della situazione creata dalla pace di Francoforte del 1871, la leale rinunzia all'Alsazia-Lorena, perché così la Francia potesse disporre liberamente delle sue forze per una politica mondiale e coloniale in grande stile.

I radicali, all'incontro, si accordavano con i loro più fieri nemici, i legittimisti, nel ritenere che il pensiero della riscossa dovesse restare la suprema norma della politica estera, che ogni impresa coloniale fosse condannabile, perché metteva in pericolo la prontezza della Francia alla grande "guerra di rivincita" in Europa.

Per i radicali il motivo di questa tendenza era il desiderio di far valere il principio di nazionalità anche nei rapporti internazionali e di procurare di nuovo ai fratelli perduti di là dai Vosgi, i quali intendevano rimanere Francesi, l'unione alla patria comune.
Per i monarchici invece ciò che li allettava in questa politica era la speranza di una grande guerra, che poteva procurare all'esercito e ai suoi capi la decisione anche intorno a questioni interne e avere come conseguenza il ristabilimento della monarchia.
Così sorgevano dal seno del vittorioso partito repubblicano nuovi contrasti, che però, per quanto fossero importanti, non possedevano l'asprezza di quelli precedenti.

Solo per la comparsa del quarto Stato nella vita politica e la formazione di un partito operaio socialista in Francia si manifestò una nuova grande lotta di principi. All'ingrosso si può dire che i primi dieci anni della terza repubblica trassero fuori il paese dallo scompiglio e dall'anarchia del periodo dell'invasione tedesca, rassodarono la repubblica e la ordinarono, e crearono nel loro telaio nuovi rapporti fra i partiti.
C'erano ancora veramente gruppi abbastanza inconciliabili, che speravano nel ritorno del Re, e trovavano nell' esercito e fra il clero i migliori capi che in quel senso spingevano; ma formavano una minoranza, e ai più di loro appariva sempre più chiaro che soltanto il franco riconoscimento della repubblica poteva, se mai, concedere loro la possibilità di esercitare ancora un influsso nella vita politica.

A quello politico corrispose il consolidamento economico. Con la medesima celerità, onde la Francia dopo la grande rivoluzione in pochi anni di pace si era così rialzata da poter sostenere le spese della grandiosa politica di Napoleone I, anche dopo il 1871 superò le conseguenze della guerra e riuscì a pagare le fortissime spese della guerra, e a trovare le grosse somme necessarie per il riordinamento dell'esercito, delle fortezze e della flotta.

Ma è però evidente che alla Francia gli occorreva per questo riordinamento politico ed economico anzitutto la pace; e soltanto la continuazione di essa durante il decennio preso qui in esame rese possibile il riaversi.
Verso il 1880 il consolidamento interno era così progredito che c'era da pensare ad un'attiva partecipazione della Francia alla politica mondiale; il partito opportunista fra i repubblicani la esigeva; e noi vedremo in quali condizioni Ferry iniziasse a partire da quella data la ricostruzione dell'impero coloniale francese.

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Passiamo ora alla vincitrice Germania

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221. 21) - IL PERIODO 1870-1880 IN GERMANIA > >

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