-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

IL NUOVO PREDOMINIO E LA NASCITA DEI RANCORI


226. 35) - IL PERIODO 1870-1880 IN EUROPA
* L'IMPERO MONDIALE RUSSO

Al tempo degli anni del periodo che abbiamo preso qui in esame, non esistevano due Stati più diversi, pur dentro la compagine dei popoli europei, dell'Inghilterra e della Russia.
Nella prima la più ampia espressione della libertà e della coscienza individuale; nella seconda una moltitudine vegetante apaticamente, governata dall'alto, alla quale lo Zar era ad un tempo Sovrano per volontà divina, sacerdote e padre.

Nella prima un intraprendente popolo industriale e commerciale, in cui, con tutti i privilegi storici dell'aristocrazia, predominavsno gl'interessi della borghesia; nella seconda una nobiltà ricca e senza coscienza che possedeva tutta l'influenza politica, e una miserabile e incolta popolazione di contadini, fra le quali mancava quasi del tutto un cosciente e prospero ceto medio.

Nella prima un'amministrazione rigidamente sorvegliata dall'opinione pubblica e sottratta, per quanto era possibile, allo sfruttamento egoistico per opera dei singoli individui; nella seconda una profonda corruzione della burocrazia, che impacciava ogni ordinamento anche se ben concepito e faceva degenerare il popolo.
Là un'isola piccola e intensamente popolata, che con l'aiuto della tecnica moderna e del raffinato perfezionamento dei mezzi di comunicazione esercitava la propria efficacia su tutti i continenti; qui un paese interno vastissimo, in generale scarsamente popolato con misere coste, nel quale le grandi distanze e le cattive strade rendevano quasi impossibile di esercitare dalla capitale ogni energica influenza sulle singole parti dell'Impero.

Là costumi europei e civiltà europea in una delle sue più alte e notevoli espressioni; qui un popolo semiasiatico e uno Stato con solo una superficiale e anche piuttosto molto limitata patina di civiltà europea.
Quando si parla di una «trasformazione europea» della Russia, l'espressione é esatta solo con una fortissima restrizione di significato; gl'influssi tartarici del medioevo sono più efficaci sul popolo russo di quelli europei. Se prescindiamo dai territori di frontiera, si trova una civiltà europea solo nella stirpe tedesca dei Sovrani russi e negli ambienti della nobiltà cortigiana ai primi legati.
E perfino qui il partito dei «vecchi Russi» che considerava
l'accettazione di idee o istituzioni europee come una apostasia dagli ideali del popolo russo, diventava sempre più potente.

Lo Zar Nicola I (1796-1855 - zar 1825-1855) seguiva completamente questa tendenza. Egli cercò di isolare, il più possibile, la Russia di fronte all'importazione di idee occidentali; ma i ceti - in verità poco numerosi - che erano appunto pervasi da quelle idee, e fino allora avevano sperato in un loro graduale progresso, furono per ciò spinti alla più violenta opposizione, e, in parte, a un esasperato furore contro l'ordinamento esistente, della cui trasformazione bisognava ormai disperare; in questi umori stavano gli inizi del "nichilismo" (una tendenza rivoluzionaria della intellighenzia russa che fidando ciecamente nella scienza, rifiutava tutti i valori tradizionali).

Per la storia interna ed estera della Russia nel XIX secolo la guerra di Crimea fu un avvenimento risolutivo. Il fatto che la Russia, nonostante le sue inesauribili forze umane, soccombette all'assalto delle Potenze occidentali sul proprio suolo, portò i Russi a meditare su se stessi, e indusse il nuovo Zar, il 27 enne figlio di Nicola, Alessandro II (1818-1881 - zar 1855-1881) a seguire un avviamento nella politica interna ed estera, il quale si distaccava del tutto da quella di suo padre.

((( BREVEMENTE riportiamo qui cronologicamente gli avvenimenti più importanti,
per avere davanti un quadro completo dell'intero Ottocento.

Nel 1796-1801: il regno di Paolo I, partecipa alle prime due coalizioni contro la Francia.
Nel 1801-1825: Lo zar Alessandro I, sconfitto da Napoleone, si allea in seguito con lui (Tilsit, 1807) per poi prendere parte attiva alla sua caduta (campagna napoleonica di Russia ).
Nel 1815 il monarca russo partecipa al Congresso di Vienna e aderisce alla Santa Alleanza.
Nel 1825-1835 il nuovo zar Nicola I appena salito sul trono conduce una politica autoritaria soffocando nel sangue la cospirazione decabrista (1825) e la rivolta polacca (1830). Nel frattempo prosegue l'espansione nel Caucaso. L'intellighenzia si divide in slavofili e filoccidentali.
Nel 1854-1856: la Russia viene sconfitta da Francia e Gran Bretagna, alleate dell'impero ottomano nella guerra di Crimea.
Nel 1860: la Russia annette la regione compresa tra l'Amur, l'Ussuri e il Pacifico, quindi conquista l'Asia centrale (1865-1897).
Nel 1861-1864 Alessandro II (zar 1855-1881) affranca i servi della gleba, che rappresentano ancora un terzo della popolazione contadina, e istituisce le assemblee provinciali (zemstvo), Queste riforme tuttavia non soddisfano l'intellighenzia rivoluzionaria, che aderisce al nichilismo prima, al populismo poi (1870).
Scoppia la guerra Russo-Turca, terminata, nel 1878 il congresso di Berlino ridimensiona l'influenza che la Russia ha acquisito nei Balcani grazie alle vittorie sugli ottomani.
Nel 1881-1894 il nuovo zar Alessandro III limita l'applicazione delle riforme varate dal suo predecessore e persegue una politica di russificazione e proselitismo ortodosso.
Il paese conosce una rapida industrializzazione alla fine degli anni '80 dell'800. Viene conclusa l'alleanza franco-russa.
Nel 1894, morto Alessandro III, sale al potere Nicola Il.
Nel 1898 viene fondato il Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR).
Nel 1901 nasce il Partito socialrivoluzionario (SR).
Nel 1904-1905 la guerra contro il Giappone, conclusasi con la disfatta della Russia crea i presupposti per la rivoluzione del 1905. Dopo alcune concessioni liberali, Nicola lI ritorna a una politica autocratica. La Russia si avvicina alla Gran Bretagna formando con questa e con la Francia la Triplice Intesa.
Nel 1915 la Russia coinvolta nella prima guerra mondiale, subisce gravi perdite per le offensive austro-tedesche in Polonia, Galizia e Lituania.
Nel 1917 la Rivoluzione di febbraio abbatte il regime zarista, la Rivoluzione d'ottobre dà il potere ai bolscevichi.
La Russia lascia alle sue spalle il suo oscuro passato e volta pagina.
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PROSEGUIAMO:

Il punto di partenza per la politica interna di Alessandro II fu il riconoscimento che la Russia avrebbe potuto pareggiare in forza le Potenze dell'Europa occidentale soltanto divenendo, almeno, sotto qualche aspetto, molto simile ad esse.
Per la sua umana e colta personalità e un così simile indirizzo di politica interna piaceva moltissimo anche dal punto di vista umano. Egli permise una notevole libertà di stampa; concesse il rimpatrio ai proscritti per ragioni politiche; agevolò le relazioni con l'estero; abrogò la servitù della gleba, e organizzò nei comuni e nelle province un'amministrazione autonoma.
Un nuovo ordinamento della giustizia e l'introduzione del servizio militare generale obbligatorio dovevano, per il momento, chiudere le riforme; e quando esse avessero avuto la loro efficacia, poteva anche seguire l'ultimo atto, cioè la partecipazione dei rappresentanti del popolo alla direzione delle incombenze dell'Impero.

Lo Zar evidentemente aveva davanti alla mente pensieri molto simili a quelli del barone di Stein nel periodo delle riforme in Prussia: la progressiva educazione del popolo, attraverso un'amministrazione locale autonoma e la libera discussione delle questioni pubbliche, fino al Governo autonomo.

Ma a tutti questi disegni nobiltà e burocrazia, la cui potenza sarebbe stata diminuita dalla loro attuazione, opposero fin dall'inizio una tenace resistenza passiva.
La nobiltà aveva fino allora disposto dei propri contadini come di una mandria di schiavi e chiedeva, se doveva rinunciare alla proprietà di questi, almeno un compenso. Il quale le fu concesso, in quanto il contadino emancipato per la parte di terra lasciatagli e per la soppressione dei suoi servizi e dei lavori rustici doveva pagare un riscatto rateizzato, che lui stesso doveva saldare con il soccorso di un'anticipazione statale, fruttifera al 6 %.

Anche se questi 6 % insieme con l'interesse comprendevano una quota del riscatto, tuttavia il contadino era gravato per la durata del periodo di ammortamento (49 anni) di forti contributi verso lo Stato.
Nel fissare il prestito del terreno ai contadini fu inoltre stabilito così piccolo che era quasi impossibile che un'azienda coprisse le spese. A ciò si aggiunse un altro malanno. Nell'emancipazione dei contadini si era creduto di operare con saggezza assegnando - per impedire la formazione di un proletariato che nulla possiede sul modello dell'Europa occidentale - la proprietà del possesso rurale non ai singoli contadini, ma alla comunità di cui faveva parte (mir).

Solo mediante una deliberazione della comunità, da prendersi con due terzi di maggioranza, si poteva decidere la quota delle terre. Tutti i padri di famiglia avevano diritto ad una eguale porzione del territorio comunale, e di tempo in tempo avveniva una nuova distribuzione dei diritti di sfruttamento.
Ma poiché la popolazione cresceva di continuo, le porzioni diventavano sempre più piccole, e di conseguenza sempre più difficile una economia razionale. Molti contadini affittavano la loro modesta porzione ai vicini e cercavano lavoro nelle città o si occupavano nella nascente industria ancora a carattere artigianale; così divenivano proletari, nonostante la loro quota di terreno, mentre al tempo stesso la incertezza del possesso impediva agli elementi più laboriosi rimasti nel villaggio, di formare dei poderi veramente produttivi.

Per queste cause la legge del 1861 poté costituire un ceto rurale personalmente libero, ma non produttivo dal punto di vista economico. Sullo scorcio del XIX secolo la parte della popolazione contadina, che non poteva provvedere con i propri mezzi alla sua nutrizione e al foraggio per le bestie, si calcolava a 58,5 milioni pari al 91 % dell'intera popolazione rurale; mentre il numero di coloro che ottenevano un profitto dopo aver soddisfatto il proprio bisogno, era di appena 5,3 milioni ossia il 9 %. Ottenevano sì un profitto ma non per questo erano agiati.

In molte regioni della Russia la superficie del suolo coltivato scemava con l'effetto della miserabile condizione dei contadini, e di conseguenza cresceva il territorio incolto.

Come l'emancipazione dei contadini, mancò allo scopo anche l'istituzione dell'autonomia amministrativa. Data la bassa condizione culturale del popolo essa fu una pura apparenza, e la corrotta burocrazia seguitò a governare nella consueta dispotica maniera. Un osservatore competente, che nel 1855 e di nuovo qualche anno dopo viaggiò in Russia, l'americano White, non trovò quasi differenza alcuna nell'aspetto e nella condotta dei contadini e in tutto il sistema governativo.
Probabilmente il meschino successo dei suoi saggi provvedimenti rendeva perplesso lo stesso Zar. In ogni modo, il partito dei vecchi Russi si adoperava a Corte con ogni energia a distoglierlo da ulteriori riforme e a trascinarlo nella propria direzione.

La pericolosa insurrezione polacca (1863) gli fu rappresentata come un funesto risultato delle idee dell'Europa occidentale e come la dissoluzione della sua autorità, operata dalle riforme.
Lo Zar per reprimere la rivolta ebbe bisogno dell' esercito, i cui ufficiali si sentivano portati interamente per le concezioni dei vecchi Russi. Il vincitore della Polonia, il Generale Muravief, conseguì con il suo buon successo una influenza crescente, e con questa agiva facendo il duro.
Nell'animo di Alessandro dovettero nascere i maggiori dubbi il fatto che il piccolo partito riformatore fra gli uomini colti della Russia, sempre concordi con i suoi moderni progetti, simpatizzava apertamente con la sollevazione polacca fino al punto di biasimare la sanguinosa repressione della rivolta e il successivo smisurato regime di violenza del Generale Muravief in Polonia.

Contro costoro si schieravano i Vecchi Russi come nemici di ogni rivoluzione e difensori dell'unità e della grandezza della Russia. Così avveniva che lo Zar fin dal 1865 cominciò a fermarsi sulla bella via seguita fino allora, iniziando ad abrogare una parte delle disposizioni precedenti o attenuarle; le corporazioni amministrative autonome (semstvos) furono assoggettate alla più rigida vigilanza dei governatori; i delitti politici sottratti ai tribunali ordinari e affidati a commissioni speciali; i politici sospetti deportati su un semplice ordine dello Zar, in Siberia; fu abolita la libertà della stampa e l'insegnamento di tutti i gradi fu sottoposto alla più stretta sorveglianza del clero.

Gli elementi che puntavano alle riforme, i quali per un certo tempo avevano nutrito la speranza che la trasformazione della Russia, da loro agognata, si sarebbe potuta ottenere pacificamente, ormai furono respinti verso il radicalismo e il nichilismo; gli insensati attentati contro alti funzionari aumentarono; gli studenti iniziarono ad aggirarsi per la Russia per dire ai contadini che la terra apparteneva loro di diritto, non già alla nobiltà o allo Zar, e che, se essa fosse divisa con criteri ragionevoli, sparirebbe ogni miseria e ogni contadino potrebbe vivere del suo lavoro.

Quanto pìù ardente e violenta si atteggiava l'opposizione, tanto più brutale diventava la persecuzione di quanti osavano criticare il sistema imperante; i processi politici e le deportazioni in Siberia crescevano in maniera spaventosa.
Nè era raro - come spettacolo di forte dissuasione - assistere a pubbliche e solenni impiccagioni di elementi nichilisti.


I disegni dello Zar per un'educazione politica del popolo verso il 1870 erano del tutto abbandonati; il partito dei vecchi Russi, l'autocrazia e l'ortodossia erano di nuovo vittoriosi su tutta la linea.
Solo la vita economica della Russia risentì dal periodo delle riforme, delle conseguenze durevoli. Noi sappiamo che un punto di vista fondamentale dell'Imperatore Alessandro era quello di rendere la Russia capace di resistere a qualsiasi nuovo attacco
dell'Europa occidentale. Egli sapeva benissimo che ciò sarebbe stato possibile soltanto se la Russia possedesse una propria industria produttiva, e così fosse in grado di cavare da sè e lavorare i grandi tesori del suolo dell'Impero, di formarsi da sé i mezzi necessari ad un traffico moderno, e di costruirsi da sé le armi e le navi.

Gli ostacoli fondamentali ad un simile sviluppo industriale erano la assoluta deficienza di capitale monetario circolante e di energie indigene per il lavoro, poco sufficientemente istruite, sia a livello dirigenti, sia come operai. Per questi due aspetti di un unico problema, la emancipazione dei contadini sembrò portare un miglioramento con le sue conseguenze economiche.
I risarcimenti, pagati ai proprietari delle terre portarono sul mercato il capitale che cercava poi di realizzarsi con gli investimenti. E portarono pure la proletarizzazione, che un po' per volta si faceva strada. Dagli strati più bassi del ceto rurale si venne a creare una folla di liberi lavoratori, che erano pronti a negoziare per un salario anche le loro braccia per un lavoro non agricolo.

Ma ciò che mancava del tutto all'interno ora come prima, erano gli uomini adatti a organizzare e dirigere. Anche il capitale indigeno non bastò a lungo per le grandi imprese, che abbisognavano di grande risorse; fu quindi necessario attirare capitale straniero in grande quantità, e pagare gli interessi con l'esportazione degli unici prodotti nel circuito del traffico mondiale, quelli che la Russia produceva in maggior misura, cereali e bestiame.
Ma anche lo smercio rimunerativo di queste merci all'estero, era possibile soltanto se erano stati creati prima poco costosi e celeri strumenti di comunicazione per spedirle. Le distanze per raggiungere i mercati occidentali erano enormi.
Così si giunse a costruire con grande zelo la rete ferroviaria, che nel 1858 contava appena 1100 chilometri. La costruzione fu affidata a società private, e il capitale fu preso all'estero; anche le specializzate maestranze, il materiale rotabile e i capi del movimento ferroviario bisognò all'inizio necessariamente far venire tutto dall'estero.

Ferro, in verità, se ne trovava abbastanza in Russia, gli Urali ne erano ricchissimi; ma i metodi per estrarlo e lavorarlo erano piuttosto antiquati; per questi due motivi era troppo misera la quantità scavata, e misera quella lavorata, inoltre troppo difficile e laborioso il trasporto dagli Urali. Per cui occorse subito abbassare fortemente la muraglia di protezione doganale, costruita da Nicola I, contro il ferro straniero.
Fino al 1880 si comprarono all'estero sei settimi di tutte le rotaie. Così pure fu necessario adoperare capitale straniero e capi stranieri per il graduale miglioramento dell'industria mineraria russa e dell'industria tessile russa.

Mentre dal 1865 circa prevalse, sotto l'aspetto politico e spirituale, il partito dei Vecchi Russi, a partire dall'80 non si poteva più osare di ristabilire il completo sistema proibitivo e quasi punitivo contro l'Occidente, poiché - ormai l'accelerazione moderna la capivano tutti - altrimenti lo sviluppo iniziale di un'industria tutta locale sarebbe stato completamente rovinato sul nascere.

La Polonia prese una posizione tutta particolare anche sotto l'aspetto economico. Qui principalmente si sviluppò un'industria, costituita sul modello europeo occidentale, diretta quasi tutta da Tedeschi; il suo centro diventò in brevissimo tempo la prospera Lodz. I manufatti polacchi per la costruzione della rete ferroviaria penetrarono sempre più dentro nella Russia interna e col loro prezzo più basso e la qualità migliore superarono i prodotti dell'attività industriale del tipo russo, che si trovava in un grado molto basso della tecnica.
I fabbricanti di Mosca ben presto diventati anche loro abili, invocarono ostinatamente il ristabilimento di una dogana di frontiera contro la Polonia, perchè fosse così protetta l'industria veramente nazionale; ma il Governo non era di idee così ristrette da chiudere a questo unico distretto industriale e così produttivo dell'Impero il territorio naturale.

In queste circostanze anche dopo la vittoria politica del partito dei vecchi Russi rimase il collegamento economico più stretto fra l'Europa occidentale e la Russia, e la formazione di un'industria russa moderna progredì lentamente e all'inizio solo nelle parti occidentali dell'Impero.
Ma naturalmente i Vecchi Russi aspettavano soltanto il momento che si potesse di nuovo chiudere all'Occidente quella porta, per la quale penetravano nel paese anche le rovinose idee straniere.

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Nella vita economica della Russia non esisteva alcuna forte idea nè valida ragione per una espansione del dominio russo verso l'Asia. Nel paese scarsamente popolato non c'era né una eccedenza di popolazione, che avesse dovuto cercare territori per ridursi, né tantomeno esisteva una grande industria che dovesse servirsi di sbocchi fuori della madrepatria per le proprie merci prodotte in sovrappiù o superflue.
Prevalevano invece piuttosto di gran lunga i motivi politico-militari, che determinavano l'atteggiamento della Russia in Asia.

Fino dal XVI secolo i Russi si erano stabiliti nella Siberia, e si erano poi serviti di questo territorio come colonia penale. Tuttavia un po' per volta vi erano emigrati volontariamente anche alcuni malcontenti delle condizioni economiche o politiche della loro patria, perché così in tanta lontananza da Mosca e da Pietroburgo vi potevano vivere più liberamente e vi trovavano terre in quantità a poco o a nessun prezzo.
La colonizzazione all'inizio si restrinse del tutto alla parte meridionale della Siberia, più favorevole climaticamente, e vi aggiunse a inizio secolo XVIII il territorio dell'Amur, sull'Oceano pacifico, con quasi difronte il Giappone e a ovest confinante con la Manciuria cinese.
Sotto Nicola I il Generale Muravief passò per il primo il fiume Amur che da il nome alla regione e vi costruì fortificazioni senza esservi autorizzato da Pietroburgo.

Quanto al mezzogiorno, fin verso la metà del secolo XIX, il territorio russo era delimitato dalla desertica steppa dei Chirghisi (tra il lago d'Aral e il mar Caspio); e solo le continue razzie delle orde che vi abitavano, fatte nei territori colonizzati , costrinsero ad erigere stazioni militari avanzate per la sicurezza dei confini.

I capi militari dichiararono in conclusione che una efficace lotta contro i Chirghisi e i Turcomanni (questi situati a sud est del Caspio) sarebbe stata possibile soltanto se si avanzasse l'estrema linea fortificata nel paese civile dell'Asia centrale a sud del deserto. L'erezione di un fortilizio sul Sir Daria nell'anno 1847 significò il primo passo per l'attuazione di questo programma e provocò al tempo stesso il pericolo di seri conflitti con i grandi Stati turcomanni della Asia media.
Ma risolutivo per l'ulteriore movimento in avanti fu tuttavia l'esito della guerra di Crimea sul mar Nero; le sconfitte sofferte in Occidente, dovevano esser riscattate nel sud-est, per ristabilire l'onore delle armi russe.

La grande potenza militare di questo paese quasi semibarbaro non poteva rimanere inoperosa, senza imbarbarirsi del tutto; premuta da un lato, straripò la corrente dall'altro lato al di là delle rive, dove potevano opporre minore resistenza.

Nel decennio dopo la guerra di Crimea fu, mediante il debellamento dei bellicosi Circassi, assoggettato completamente il territorio del Caucaso; le regioni dell'Amur, occupate dal Muravief, vennero, con i trattati con la Cina del 1858 e 1860, annesse definitivamente all'Impero russo ma innanzi tutto incominciò dal 1861 un'avanzata continua della frontiera siberiana meridionale verso l'interno dell'Asia centrale.
Ma non fu per nulla ordinato da Pietroburgo; i generali comandanti qui nella Siberia meridionale avanzavano per loro conto, desiderosi di conquistare per sé e per l'esercito russo nuovi allori e di offrirsi con la conquista di nuovi paesi allo Zar come fedeli suoi servitori. Se essi erano vittoriosi, si accettava a Pietroburgo il fatto compiuto; se erano sconfitti, per non perdere prestigio fra gli orientali si comandava di compiere vendetta inviando delle spedizioni militari punitive.

I primi conflitti col Kan di Cocand portarono nel 1865 alla conquista dell'importante città commerciale di Taschkent e della contrada limitrofa. Con le terre occupate a sud della steppa dei Chirghisi fu formato nel 1867 il Governatorato generale del Turchestan, a cui fu posto a capo il Generale Kaufmann, un energico e audace soldato, il vero fondatore del dominio russo nell'Asia centrale.
Quando il più potente dei principi turcomanni, l'emiro di Buccara, prese, a causa dell'occupazione di Taschkent, le armi, fu completamente sconfitto dal Kaufmann, e Samarcanda fu presa dai Russi (1868).

La vecchia capitale di quelle contrade, dove si conservava il trono di Timur, era sacra per le genti; chi la possedeva, era considerato come il vero dominatore del Turchestan. Per questo motivo l'emiro di Buccara fece sforzi disperati per riconquistarla; gli riuscì di sorprendere la città, quando il generale di Kaufmann aveva fatto una puntata verso sud, e vi aveva lasciato soltanto una piccola guarnigione.
Ma i Russi ritornarono subito in forze e riconquistarono Samarcanda. Allora il Kaufmann fece bruciare la città, i cui abitanti avevano appoggiato l'emiro, e l'abbandonò per tre giorni al saccheggio delle sue truppe. Era un modo barbarico di fare la guerra; ma conseguì il suo scopo di diffondere fra gli orientali terrore e rispetto; il Generale sapeva quali mezzi qui potevano esclusivamente avere efficacia.

In tutte queste lotte i Russi, che sempre fronteggiarono in piccolo numero una notevole quantità di valorosi e belligeranti combattenti, ottennero sempre la vittoria con le loro armi da fuoco, con la loro disciplina europea, e con la direzione avveduta e risoluta.
L'emiro di Buccara fu costretto, con il blocco delle acque, alla pace e alla cessione dei territori occupati. Da questi combattimenti in poi ambedue i canati di Buccara e di Cocand potevano passare come Stati vassalli della Russia. Rimaneva ancora indipendente solo Chiva, protetta da una cintura di deserti contro attacchi improvvisi. Ma siccome, almeno come i Russi affermavano, da questo territorio venivano favorite scorrerie nel Turchenstan da loro dominato, il Generale di Kaufmann nel 1873 chiese all'emiro di acconsentire alla cessione di quelle terre, che permettevano un'efficace protezione della frontiera, e di concedere ai Russi libertà di traffico nel suo Stato.
Poiché l'emiro rifiutò, il Governatore iniziò la guerra; con marce piuttosto difficili fu attraversato il deserto; e quando questo avvenne, l'emiro non poté opporre nessuna seria resistenza. Egli dovette comprare la pace con la cessione di metà del suo territorio e col riconoscimento della supremazia dello Zar (1873).

Pochi anni dopo una sollevazione degl'indigeni nel canato di Cocand offrì al Generale il mezzo di sottoporre questo Stato a terribili tribunali eccezionali e di annientarlo. La regione fu incorporata al dominio immediato russo, come provincia del Fergana.
Gli altri due emiri furono intimoriti da questo esempio e non osarono più levarsi contro lo Zar. Ormai erano indipendenti soltanto le orde dei Tekkiturcomanni, che dimoravano nel deserto a sud di Chiva, e avevano i loro principali punti d'appoggio nelle fortificate oasi di Geok-Tepe e di Merv.
Il loro territorio formava una angusta striscia neutrale fra l'Impero russo e il paese dell'emiro dell'Afganistan.

La conquista dell'Asia centrale ebbe per la posizione della Russia nell'Asia una straordinaria importanza. Qui lo Zar ricevete per la prima volta dei possessi, che erano riccamente favoriti dalla natura, abitati da una popolazione intelligente e civile. - Qui si ebbero cotone e altre materia prime, importanti per l'industria europea, e si poté sperare che, con un razionale perfezionamento delle colture la provincia del Turchestan produrrebbe per la madre patria proventi più ricchi che il povero paese agricolo della Siberia.
Ormai entrò in gioco alla fine anche l'interesse economico dell'industria russa:
In questi popoli, difficilmente accessibili dal mare, la industria indigena russa trovò clienti per i propri prodotti meno pregevoli, che sempre più erano rifiutati dal mercato della Russia europea dalle merci polacche e della Russia occidentale.

E queste regioni erano inoltre relativamente facili a mantenersi in soggezione, dopo che erano state debellate.
Nella scarsezza della pioggia di queste regioni non c'era altro espediente che ricorrere, per l'indispensabile irrigazione del suolo, alle minori arterie fluviali, che appartenevano al sistema del Sir Daria e Amu Daria. Da queste fu, mediante una rete di canali, condotta l'acqua nella campagna.
I Russi si adoperarono quindi soltanto ad assicurare questi corsi d'acqua militarmente; essi avevano pertanto il mezzo, con la chiusura dell'afflusso delle acque, di
costringere ad un'immediata sottomissione le regioni insubordinate.
Il Governo russo si dette da fare attorno per aprire nuovi territori, mediante un'ulteriore costruzione della rete dei canali, per la coltivazione, e nel farlo portò in questi paesi le benedizioni di una pace duratura e di una ordinata amministrazione.

Poiché, per quanto l'amministrazione russa potesse essere, secondo i concetti europei, cattiva e corrotta, di fronte all'economia orientale fino allora prevalente, in cui capricci di un despota e intrighi di serraglio avevano deciso della vita e della proprietà dei loro territori, essa costituiva un così notevole progresso, che i capi indigeni ben presto videro il proprio vantaggio nella continuazione del dominio dello Zar.

Il divario di civiltà, relativamente misero e limitato, fra Russi e abitanti dell'Asia centrale facilitò lo stabilirsi di buone relazioni fra vincitori e vinti; i Russi entrarono presto in rapporti amichevoli e personali con gli indigeni, lavorarono, banchettarono, bevvero con loro e di rado nella vita quotidiana si atteggiarono a padroni. Asiatici capaci entrarono nell'amministrazione russa e salirono addirittura ai posti più elevati dell'esercito.
Si può appena pensare un contrasto più acuto di quello tra il contegno dei Russi nell'Asia centrale e la condotta arrogante degl'Inglesi nella India; e non occorre dire che il sistema russo era tanto più gradito agli orientali.

Occasionali brutalità e punizioni barbariche gli indigeni non le prendevano a male, poiché erano abituati a tali cose da parte dei loro rozzi Sovrani. D'altro lato, i Russi vincitori dovettero fare una concessione, e la fecero fin da principio con un giusto istinto politico: se non volevano causare una tremenda esplosione di fanatismo maomettano, avevano il bisogno di non offendere i sentimenti religiosi degl'indigeni, che professavano dappertutto l'islamismo.

Il moscovitismo ortodosso non fece mai il tentativo di convertire gl'indigeni al cristianesimo, ma anzi considerò le loro idee religiose e i costumi come inviolabili. Questa continua avanzata dei Russi verso il sud turbava profondamente gl'Inglesi e li impauriva per ciò che riguardava l'India.
Parecchie volte da Londra si domandò a Pietroburgo di quanto lo Zar pensava di estendere il suo Impero. Sempre si assicurava che niente era più lontano dal pensiero dell'Imperatore quanto l'aspirare ad ulteriori conquiste.
Questa risposta non era certo un inganno premeditato; poiché a Pietroburgo veramente si voleva rimanere sulle posizioni conquistate, ma i Generali spingevano avanti, giacché - essi dicevano - senza un'ulteriore avanzata non sarebbe stato possibile conservare ciò che già si era conquistato.

Quando poi la guerra aveva creato un fatto compiuto, anche lo Zar non aveva più nessuna voglia di restituire ciò che aveva ottenuto.
Noi sappiamo appunto che in Inghilterra, durante il ministero Disraeli, fu presa la deliberazione di difendersi energicamente contro ulteriori espansioni russe, giacché ormai a Londra si incominciava a guardare al territorio limitrofo Afganistan (posto in mezzo, a sud del Turchestan russo e a nord dell'India inglese)

Subito dopo l'assoggettamento di Chiva, Schir Ali dell'Afganistan si rivolse alla Russia, dopo che il Governo inglese aveva respinto i suoi desideri. (lo abbiamo già letto nel capitolo sugli inglesi)
Fin'ora non si conosce quanto la Russia già allora avesse accondisceso a chissà quale genere di sue proposte. Soltanto è sicuro che la minaccia dell'Inghilterra di inviargli residenti britannici nella capitale, e l'estensione dell'alta sovranità inglese sul Belucistan, dovette rendere l'Emiro Schir Ali sempre più diffidente verso l'Inghilterra e più disposto ad accostarsi allo Zar.

Il problema afgano non era ancora stato chiarito; quando ben presto anche qui giunse la crisi, a causa delle agitazioni della penisola balcanica.

Stava appunto iniziando la questione orientale
cioè la guerra Russo-Turca.

segue:

LA LOTTA PER L'ASIA E L'AFRICA > >

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