-------------------------------------- STORIA UNIVERSALE --------------------------------------

IL NUOVO PREDOMINIO E LA NASCITA DEI RANCORI


236. 45) - L' ESPANSIONE EUROPEA - NEL PASSATO E NEL PRESENTE (1900)


"La civiltà europea oggi non consiste
più semplicemente dei popoli uniti sul suolo europeo".

ATTENZIONE - facciamo notare che questo lungo capitolo
è stato scritto nel 1910 dal Prof. D.K. Lamprecht, dell'Università di Lipsia
in "Storia Universale - Lo sviluppo dell'Umanità" (i 6 volumi curati da Pflugk-Harttung)
Cioè, non era ancora scoppiata la Prima Guerra Mondiale.
Il capitolo ci aiuta a fare una sintesi della situazione europea a partire dal passato
fino all'inizio del XX secolo, chiudendo con una opinione che purtroppo fu una profezia.


Come la crosta terrestre, per quanto la conosciamo, risulta di una certa quantità di strati sovrapposti gli uni agli altri, nella cui formazione si è fissata la storia del graduale raffreddamento e della lenta composizione della materia, onde essa è formata, così su questo fondo fisico-chimico della sua vita si sono fissati in mille forme di diversi sedimenti residui della storia umana; e soltanto li differenzia, a prima vista, dai sedimenti naturali il fatto che essi, crediamo, lasciano riconoscere non un'evoluzione che discende e si dissolve, ma un'evoluzione che progredisce e sale.
Questi sedimenti si trovano da per tutto, pure nel fondo dei mari, anche se qui, per lo più, ci sono ancora inaccessibili; e con impressioni del tutto speciali il viaggiatore, che sente la storia, passa per i luoghi di grandi battaglie navali o per i paraggi d'un traffico marittimo, già vivacissimo, dei quali nessuna onda più parla, e tuttavia la fantasia sogna, e a lui sale un suono dalle profondità marine proprio come se, dove un tempo solo gli uomini si scontravano sul mare nelle lotte e nella gioia, risuonassero le campane di Vineta.

Ma il continente è da per tutto pieno di residui preistorici. Dovunque l'investigatore adopera la vanga, li trova; e dal complesso di tutti gli scavi sul globo terraqueo sorgerà un giorno a vita nuova nel pensiero dell'umanità l'intero passato preistorico della nostra stirpe, del quale oggi ci sono accessibili solo alcuni frammenti.

Ma questi sedimenti sono distribuiti in un modo piuttosto ineguali. In alcuni luoghi vengono trovate solo scarse e povere testimonianze di civiltà primitive; altrove forse ogni scoperta significa un progresso nella conoscenza di un più grande e più alto sviluppo umano, e quindi in un senso particolare anche un'acquisizione per il futuro.
Si potrebbe dire: così ineguale come il livello fisico della crosta terrestre con i suoi monti e con i suoi piani, con le sue terre alte e basse, è anche il livello della tradizione storica.

Eppure una stretta connessione esiste oltre tra il fisico e lo spirituale. Chi volge una occhiata a numerosi popoli si meraviglierà della dipendenza delle vicende e delle disposizioni loro dalle condizioni geografiche. Anzi tutto le caratteristiche della razza, le particolarità più forti e costanti dell'odierno mondo spirituale, dipendono bene in ultima analisi da tali condizioni; e non é stato senza profondo significato, se le idee, che uno dei più geniali geografi del XIX secolo associò a queste conclusioni, hanno dato motivo a una nuova concezione e divisione della storia mondiale.
Ma anche i grandi raggruppamenti civili, a noi noti, della storia umana si classificano secondo il centro di formazione e il primitivo territorio di propagazione, non senza un minimo di condizioni geografiche.

Nel nuovo mondo, che così a lungo costituì un aggruppamento a sé di evoluzione umana, si trovano tutte le divisioni della civiltà, la messicana, la peruviana, quella dei Chibchas, tropicale o subtropicale e tutte considerevolmente elevate, e il loro territorio si é esteso soltanto poco in profondità; prima di tutto verso il mare, verso i territori di una relativa frescura e di una relativa umidità.
Non diversamente sono situati gli aggruppamenti civili più antichi del vecchio mondo. Quelli della metà orientale del grande complesso continentale, formato dall'Asia, dall'Europa e dall'Africa, hanno la loro patria nelle grandi valli fluviali dell'Indo, del Gange e dello Hoangho: in luoghi produttivi lussureggianti o almeno d'una fresca vita vegetale e di una fauna, originariamente abbondante.

E qualcosa di simile può valere anche per la metà occidentale del vecchio mondo, sia che si tratti ora dei gruppi dell'Asia minore di antichissima civiltà nel paese intermedio fra il Tigri e l'Eufrate o del territorio del Nilo o dei frastagliati paesi europei rivieraschi del Mediterraneo, o perfino di quel margine costiero mediterraneo del Nordafrica, che si è opportunamente chiamato, conforme al concetto di Asia minore, Africa minore.
Dovunque sono da considerare fertili territori certamente situati nel sud, si mostra anzi tutto una abbondante quantità d'acqua; come infatti ancor oggi in ogni territorio coloniale del mondo, in ogni pur piccolo luogo di futura colonizzazione umana si richiede l'acqua.
Ma attorno agli aggruppamenti civili del mondo antico giacciono deserti e montagne marginali difficilmente accessibili, che conducono nell'interno dei continenti, non altrimenti che attorno ai territori degli aggruppamenti civili dell'Oriente.
Da questi originari aggruppamenti civili se ne sono poi sviluppati dei più giovani di una natura geografica un po' diversa, che si potrebbero bene, tanto geograficamente, quanto storicamente, chiamare secondari; così quelli della civiltà giapponese, malese, di quella centrale e occidentale europea, in breve di quella odierna europea.

Inoltre si é manifestata, é lecito di esprimere qui alcune osservazioni fatte solo provvisoriamente, nella evoluzione tropicale di simili civiltà secondarie piuttosto una decadenza; nell'evoluzione in territori più rigidi della zona temperata piuttosto un aumento di forme della civiltà umana. Comunque sia, nell'odierno- mondo storico si tratta principalmente di due raggruppamenti civili, l'asiatico orientale-giapponese e l'europeo. Si potrebbe con qualche esagerazione d'orgoglio nazionale inglese anche dire: l'europeo-inglese, o con qualche enfasi d'orgoglio germanico: l'europeo-teutonico, dove con la parola teutonico, secondo un'espressione inglese e soprattutto nordamericana, sono compresi Germani nordici e meridionali (Scandinavi, Tedeschi, Olandesi) Anglosassoni-inglesi e i Teutoni specie coloniali, del Nordamerica e dell'Australia.

Ma di questi due raggruppamenti civili oggi attivi, in prima linea, é di bel nuovo eccellente l'europeo; il quale sulla base di una cultura, che, come complesso, supera abbondantemente ogni coltura di tempi e popoli precedenti sia qualitativamente, sia in specie quantitativamente, ha con risolutezza mosso all'assalto. Infatti esso non é rimasto senza efficacia anche sul raggruppamento asiatico orientale, anche se non é giunto a dominarlo politicamente, e anche se dal XVIII secolo in poi, come già un tempo nel periodo della decadenza del mondo antico, sono giunti soprattutto influssi numerosi e sempre più importanti da questo raggruppamento a quello europeo.

Così è in sé fondato, (e di certo lo accarezza il nostro sentimento etnico europeo) il concludere una storia mondiale odierna con la storia dell'espansione nel mondo di questo raggruppamento, in specie nell'età moderna e contemporanea.
E appunto sotto questo rispetto si può tuttavia introdurvi un accenno in particolare al vecchio e così spesso biasimato concetto della "storia mondiale". Non é davvero il globo terraqueo, e quello che si chiama in senso umano e storico il mondo, che vien riempito dall'espansione europea?
Non si tratta qui per la prima volta d'una storia mondiale nel significato esattamente proprio, tangibile e visibile?

Non viene qui un'estensione assolutamente giustificata del concetto geografico di «raggruppamento civile europeo» - tutti i raggruppamenti civili sono naturalmente chiamati dallo spazio che occupano, quindi sono di carattere geografico - al concetto geografico di "mondo"?
Noi tedeschi abbiamo la duplice espressione di storia universale e di storia mondiale; e, in mezzo alle nuove condizioni della più recente espansione europea, la quale naturalmente esige anche nuovi concetti e quindi ha bisogno di nuovi vocaboli tecnici, ci dovevamo abituare a comprendere nel nome di storia mondiale la storia dell'espansione europea e del raggruppamento civile asiatico occidentale e mediterraneo, su cui questa storicamente si fonda, del tutto in appoggio al significato della parola fin'ora tradizionale nella pratica; ma dovevamo chiamare la storia dell'intera umanità storia universale.

Lo sviluppo più antico dell'odierno raggruppamento civile europeo qui può solo essere sfiorato con due vocaboli, sotto certi aspetti, la cui spiegazione é necessaria ad un'accurata comprensione dei periodi e degli eventi più recenti.
I Teutoni hanno, dentro il gruppo della civiltà europea, formato il nucleo delle masse dei vari popoli, fin dai tempi più remoti. Certo accanto ad essi rappresentano una parte notevole Celti e Slavi, quelli avanti, in paragone dei Germani, di circa venti generazioni nella loro evoluzione almeno della civiltà economica, questi circa altrettanto indietro.
Ma esse non spezzarono definitivamente ed espugnarono quel recinto, il giardino, per così dire, del gruppo della civiltà asiatico anteriore-mediterranea, in cui s'incontrarono l'ellenismo e l'Impero romano, sulla cui conquista si erige ciò che è peculiare della civiltà europea, in quanto si deve al risultato degli eventi storici.
E non essi stanno per ciò anche nel centro della civiltà europea, per quanto l'Europa é stata in prima linea formata dalla propria evoluzione, appoggiata dall'antica cultura dei popoli, germogliati in essa.
Ma la prova, che da tempi remoti i Teutoni-sassoni espugnarono questo centro, non può semplicemente desumersi da avvenimenti politici, come la presa di possesso dell'Impero Romano da parte dei Tedeschi, poiché qui si deve sempre parlare della influenza di speciali circostanze, di ciò che si può chiamare destino storico; essa risulta nella maniera più luminosa piuttosto dal fatto che nei popoli misti romano-celtici, così soprattutto negl'Italiani e nei Francesi, come fra gli incrociatissimi Inglesi l'energia dello sviluppo é stata sempre nelle contrade e nelle stirpi che sono andate sottomesse a un forte incrocio con elementi germanici, e dal lungo predominio sulla più elevata civiltà slava prima per opera dei Normanni, poi dei Tedeschi dei paesi baltici.

Le trasmigrazioni dei popoli, nel corso delle quali si iniziarono in Europa gli incroci fra le varie nazioni, il cui compimento fu la condizione preliminare per lo svolgersi della civiltà europea, sono, per quanto consideriamo i Teutoni, durate circa un millennio e mezzo.
Incominciano in quei grigi tempi, quando, forse quattro o cinque secoli avanti Cristo, piedi teutonici-tedeschi per la prima volta calpestarono il suolo fra Elba e Weser, e cavalli teutonici- tedeschi, per la prima volta, passarono a nuoto il Reno: finirono con gli ultimi straripamenti della forza nordica germanica nell'estremo mezzogiorno, con l'affacciarsi dei Normanni alle coste del Mediterraneo, con la fondazione del Regno dei Normanni italico-meridionale-siciliano-epirota, e con l'evoluzione dell'Impero latino a Costantinopoli.

Da principio si sono soprattutto sparpagliate per terra; hanno in primo luogo organizzato la salda formazione della frontiera a nord delle Alpi; e poi, incominciando da oriente, negli avvenimenti di quella trasmigrazione di popoli, che la dottrina storica meno recente, per lo più, conosce soltanto, ne hanno allagato i confini fino a tal punto che hanno portato le loro ondate attraverso tutti i paesi costieri europei del Mediterraneo, perfino attraverso l'orlo nordico-occidentale dell'Africa.
Più tardi avvennero per mare, toccarono ormai soprattutto le coste atlantiche e mediterranee dell'Europa e dell'Asia minore, ma penetrarono anche, risalendo i grandi fiumi, molto dentro nell'interno del continente, fino al punto che nel loro percorso riuscì l'attraversamento del continente quasi là, dove era più largo, fra il Mar Baltico e il Mar Nero (i variaghi - o rus)
La prima fase del viaggio fu inoltre contrassegnata politicamente dalla formazione di Stati tributari sul suolo dell'Impero, tanto della metà bizantina, quanto dell'occidentale: così sorsero gli Stati gotici al Danubio e nei Balcani; così gli Stati gotici e longobardi in Italia; d'altro lato gli Stati gotici nella Francia meridionale e nella Spagna, lo Stato franco nella Gallia settentrionale, lo Stato vandalico nell'Africa nordica. La conclusione di queste dispute, nelle quali si confondevano germanesimo primitivamente democratico (legge salica ecc.) e residui amministrativi dell'assolutismo romano stranamente e in forme spesso però assai meditate, fu formata dall'Impero dei Carolingi; bisogna dire di Pipino e di Carlo il grande.

È già una storica marca di fabbrica terrestre, in quanto che, nell'istante del suo compimento al più tardi, le trasmigrazioni dei Teutoni per terra cessarono, e tanto più incominciarono quelle per mare; fin dal perfido più tardo di Carlo il grande il nuovo Impero universale dovette soffrire per gli assalti dei Normanni. Ma costituisce anche soprattutto la conclusione dei periodi precedenti, in quanto che in esso si inizia una formazione statale, che per la prima volta attraverso uno spazio di tempo assai lungo cerca di congiungere civiltà antica e civiltà teutonica, ed effettivamente anche, in parte, le congiunge; e appunto così costruisce la prima base duratura per l'espansione di una civiltà europea dei successivi secoli.

Per questo ha valore, per così dire, di un presagio, se per l'età almeno di Carlo il grande in realtà si può parlare dell'imperialismo medioevale e anche dello spuntare di un'espansione cristiana-antica-teutonica verso settentrione e oriente, anzi anche verso sud-ovest, verso la Spagna.
L'età dei Carolingi diventa ancor più un momento di crisi a causa di avvenimenti, che, visti dal punto di vista dell'osservatore europeo odierno, prima di tutto svelano un carattere più negativo.
Sul suolo dell'Impero romano era sorta accanto alla nuova civiltà teutonica anche un'altra, nel sud-est, in antitesi quindi con quella in formazione nell'Occidente franco: la civiltà araba.

Essa si era formata sulla via dello sviluppo di una nuova religione; la via più fruttuosa e più paurosa nella storia mondiale, che ci sia. Questa civiltà aveva con una rapida serie di vittorie occupato tanto le coste asiatiche, quanto quelle africane delle contrade mediterranee limitrofe ad essa, anzi si era impadronita quasi di tutti i punti della costa europea nordica, sporgenti molto verso sud, della Spagna, in parte della Sicilia e dell'Italia meridionale, come pure della Morea. All'inizio dell'VIII secolo i suoi pionieri, pirati e guerrieri, avanzarono per terra fino alla Riviera, perfino in Gallia, risalendo il Rodano, fino a Lione e a Autun e non meno nella Settimania, mentre al tempo stesso minacciavano l'autorità dell'Impero bizantino. Quella civiltà, diffusasi in diagonale, si svelò straordinariamente aggressiva di fronte alla cultura europea nel momento della sua formazione; e non fu piccolo il pericolo che questa, e con essa cristianesimo e teutonismo, soccombesse all'impetuosa avanzata.

Allora appunto, il regno franco, Carlo Martello e la sua cavalleria, San Martino di Tours e la fede cristiana hanno nella battaglia di Tours e Poitiers inclinato il piatto della bilancia in danno dell'Islam e dell'arabismo; ambedue da quel momento furono limitati sempre più alla parte africana e asiatica del Mediterraneo.
Ma qui si consolidarono; e mentre rimanevano in duratura antitesi con la civiltà europea, la loro area formò una massa, che sospese a lungo il traffico fra il mondo della civiltà europea e quello della civiltà indiana e asiatica orientale, come era sempre fiorita da Alessandro il grande in poi nei giorni dell'ellenismo e nel tempo dell'Impero romano; evento della maggiore importanza nella storia mondiale.

Il gruppo della civiltà europea, che così era confinato in se stesso, entrò ormai nei secoli veramente medioevali della sua storia. Usciti più o meno dall'età primitiva, i suoi popoli svilupparono i segni caratteristici di una medioevale unità psichica: le debolezze di una esperienza ancora limitata del mondo esterno nel predominio di una deduzione analogistica, e quindi credenza nell'autorità e nel miracolo in tutte le forme, specie anche suggestive; e le debolezze di una ancor meschina esperienza del mondo interno nella deficienza di una vera e propria educazione, nelle forme per noi grottesche di un gusto di avventurieri cavallereschi e di atti indomiti della volontà, perfino sul terreno della politica.

Era la disposizione psicologica, a cui abbisognava una religione rivelata con una tradizione miracolosa e un clero sacramentale; e così l'unità psicologica di quell'età appare anzi tutto come subordinazione alla tutela della Chiesa.
Per questo niente é più significativo che la mescolanza di considerazioni politiche e spirituali in favore della Chiesa e della loro espressione in Stati ecclesiastici, come il Patrimonium Petri e gli Stati di Ordini religiosi di vari paesi.
Anche il tentativo di gran lunga più forte di abbattere le mura dell'Islam, come si svolse nelle crociate, le quali considerate nel loro complesso, rappresentano l'azione principale dell'età e della civiltà cristiana, non é dovuto al riconoscimento della pericolosità dell'islamismo, ma al caso particolare che i luoghi santi del cristianesimo stavano nel territorio politico del mondo islamico.

Nel campo della vita economica, partendo dal quale c'era da aspettare prima di tutto, attraverso lo sviluppo di nuovi stimoli psichici, una trasformazione dell'esistente vita spirituale così ristretta, quell'età in primo luogo si distinse per condizioni economiche naturali. Lo sfruttamento del suolo con l'agricoltura costituiva la norma assolutamente regolare dell'attività economica; la proprietà fondiaria era l'unica forma generale della ricchezza; e commercio e traffico, come raffinamento di stoffe esistevano sì, ma formavano soltanto un'appendice dell'economia pubblica, e per una parte non piccola, anche se diversamente grande presso i singoli popoli, un serbatoio di tradizioni provenienti da forme di vita un tempo più altamente evolute dall'economia antica.

Così si comprende come una simile condizione, mentre isolava le energie attive, doveva conservare e sempre di nuovo limitare appunto quella piccola quantità di esperienze, donde non in minima parte derivava l'inceppato atteggiamento psicologico di quell'età.
Ma proprio in questa connessione c'era anche il mezzo più essenziale per una mutazione, per un progresso. Mentre l'economia primitiva, esercitata, secondo il costume democratico della remota antichità, in masserie di egual valore, progrediva dovunque a forme organizzate di una qualità superiore, mentre si formavano le condizioni d'un ricco sfruttamento agricolo nel dominio di un fondo e di terre di affitto accanto al semplice podere del contadino, esisteva anche la possibilità di maggiori risparmi per parte dei proprietari fondiari, della nobiltà, dei principi, più ancora delle sviluppanti città, e quindi la premessa per una più salda evoluzione dell'industria.

Poiché ora era possibile con i risparmi - come si presentavano da principio in prodotti naturali, più tardi bene anche in denaro - nutrire degli uomini, che dedicavano le loro forze principalmente o esclusivamente al raffinamento delle materie grezze.
Così alla fine era un molto semplice principio di progresso che qui si imponeva: ma divenne efficace solo assai gradatamente e lentamente, anche se da ultimo produsse modificazioni fondamentali.
Allora fu già più agevole adoperare i risparmi, una volta accumulati, ad acquistare un qualche manufatto straniero, che un commercio più raro, esercitato, a modo del venditore ambulante, però in mercanzie relativamente costose portava di molto lontano: d'un pezzo di broccato di origine saracena, di un falcone romano per la caccia agli uccelli, di uno schiavo che le contrade meridionali la vicina Africa o Asia poteva fornire.

E così gl'inizi del commercio, certo embriologícamente, sono anteriori a quelli dell'industria. Ma si vede bene che il commercio organizzato poteva solo più tardi appartenere interamente alla vera e propria vita economica di quella civiltà, se si alimentava dello smercio dei propri prodotti sia dell'industria, sia anche dell'agricoltura, sia di occupazioni predatorie, della pesca, della caccia alle bestie da pelliccia e così via; per quanto già prima era stato rinforzato nella sua attività, mediante rapporti agili con l'Oriente indiano, come le crociate avevano permesso.

Ora però questo momento di permanente evoluzione del Commercio, dentro la civiltà europea, s'iniziò dunque, prima o dopo, dal XIII al XV secolo; e significò naturalmente il prorompere di una nuova vita economica e anche una nuova possibilità di espansione. Inoltre qui non si può certo esporre quali trame in andarono a formare l'conomia monetarla, con il suo Comune, con il suo trapasso in "signorie" che ben presto si concludeva, dall'artigianato a forme elevate di produzione industriale, col suo maturante commercio di denari accanto al traffico di mercanzie, sboccarono nell'evoluzione spirituale della civiltà europea.

Devono bastare qui le parole trapasso alla vita psicologica individualistica, o all'emancipazione spirituale dell'individuo; deve bastare nominare la rinascenza, l'umanesimo e soprattutto la Riforma, e con queste parole accennare l'inizio di una nuova età psicologica del tutto nuova: quell'età, che ha abbracciato l'evoluzione dal XV al XVIII e XIX secolo, e dalla quale le ultime cinque fino a otto generazioni hanno cominciato ad aspirare ad ancor più alte forme di esistenza psichica.

Del resto qui noi dobbiamo, d'ora in poi, attenerci alla storia più limitata dell'espansione spaziale della civiltà europea, e quindi dobbiamo soltanto domandarci quali condizioni specialmente su questo terreno esistevano nel momento della grande rivoluzione spirituale, come questa rivoluzione ha operato, e ancora cosa é seguito alla storia dell'espansione dal XV al XVIII secolo, quindi in tempi recentissimi, da circa cinque a sei generazioni, in forme ancor più alte di espansione.

Alla domanda, se l'ambito della civiltà europea fino al completo spostamento all'economia monetaria - quindi fino al compimento dei più importanti stadi di questa nel corso del XVII e del XVIII secolo - si sia allargato, chiunque appartenga alla civiltà stessa risponderà sempre con il più gioioso dei si.

Infatti addirittura immenso fu l'ampliamento fino al termine di questo periodo, circa fino ai viaggi di Cook intorno al mondo; e il mondo è stato appunto del tutto scoperto per mezzo di essi.
Quale abbondanza di volti storici già dalle prime migrazioni celtiche e germaniche, della remota antichità attraverso le crociate e la colonizzazione agraria dell'alto medioevo fino alla grande gesta di Colombo; ma soprattutto da allora, attraverso lo sviluppo del dominio coloniale portoghese e della potenza mondiale spagnola, ai grandi avvenimenti marittimi della storia olandese e alla formazione della rivalità coloniale tra la Francia e l'Inghilterra con la quasi interminabile lotta di ambedue le nazioni l'una contro l'altra!

Al più esatto andamento di questi eventi qui però non si può che accennare; essi hanno avuto in altro luogo di quest'opera una esposizione accurata; e solo i motivi, donde sono derivati, ci interessano, poiché vedremo che questi motivi anche più tardi, e fino ad oggi, certo accanto al sorgere di nuovi più moderni e da essi variamente rimodellati, continuano a prevalere.

Quel motivo di espansione umana, che è probabile si sia avverato fin dai tempi più remoti, che in ogni caso produce la più immediata impressione, é quello dell'ampliamento dello spazio per bisogno di mezzi di sussistenza.
Dentro l'ambito dell'espansione europea, specie dell'allargarsi dei Teutoni-Sassoni, non c'é alcun dubbio che esso fu il più antico. Immediatamente, in fonti dirette, si parla dell'eterna fame di terra dei Germani prima e dopo il principio dell'era cristiana. Inoltre questo bisogno di terra era nel complesso tuttavia bisogno di una cultura nomade. Certo si cercavano anche nuovi terreni per l'agricoltura; ma soprattutto si trattava di pascoli per il numeroso bestiame e non per uno stanziamento fisso; e per quanto si cercava una espansione agraria, le idee, che se ne avevano, erano tuttora condizionate da opinioni di nomadi, e quindi estremamente estensive.
Per ciò il desiderio d'ogni popolazione germanica era di avere non puramente un nuovo territorio, ma i più vasti terreni per l'espansione, quam latissimos fines.

E questi vasti terreni, come potevano bastare solo negli anni particolarmente fruttuosi all'allevamento del bestiame o nei periodi particolarmente favorevoli all'aumento della popolazione, non si cercavano soltanto nelle vicinanze, nella congiunzione a territori già attribuitisi.
Le tribù non avevano ancora una patria nel significato odierno della parola; facilmente si allontanavano dal suolo forse da poco calpestato; la loro costituzione non era ancora, in qualche modo, legata con una qualunque contrada; essa era piuttosto una costituzione puramente personale, consuetudinale, trasportabile dovunque in mezzo alle condizioni della vita europea.

E così non consideravano la loro espansione come centripeta muovendo da un punto qualsiasi fisso, ma come espansione quand même, anche col passaggio dell'intera tribù, se occorreva, in altri paesi, climi, latitudini.
Appunto queste caratteristiche e opinioni sono state le fondamentali premesse delle migrazioni teutoniche e dalla loro sfera sono usciti i più alti ideali dell'età primitiva teutonica-sassone, gl'ideali del guerriero viaggiante, dell'eroe. Si capisce che questa condizione psichica ed economico-pratica non si poteva mantenere, appena che l'agricoltura prevalesse come occupazione e come costume del popolo, appena che la stirpe fosse divenuta del tutto sedentaria.
Colonie di popolamento molto lontano dalla patria su terra straniera, eventualmente addirittura in mezzo a un popolo straniero furono un'eccezione; di rado si levarono tutte insieme intere moltitudini per emigrare, come sotto l'efficacia di carestie locali, da cui si fuggiva, invece di attenuarle con una importazione ancora impossibile di cereali, o anche sotto l'efficacia di grandi idee religiose; assolutamente la norma divenne questa che singole o piccole consorterie migravano, e non tanto emigravano, quanto se n'andavano.

Il centro della colonizzazione, come una volta si era formato, rimaneva quindi intatto; e i partenti cercavano il primo luogo propizio - sfruttabile dal punto di vista agrario - nelle proprie vicinanze.
Era lo stadio caratteristico del vero e proprio medioevo, quello del puro e semplice ampliamento dello spazio per i mezzi di sussistenza E si vede bene che queste circostanze dovevano favorire, fra tutti i popoli europei, ancora i Teutoni e in particolare i Tedeschi.
Infatti i Romani fra cui i Francesi(Galli) e gli Inglesi (Angli)- gli Slavi appartengono verso questo periodo, solo limitatamente ai popoli di civiltà europea - dimoravano in paesi di antico incivilimento romano, che
già avevano dietro dí sé lunghi e profondi periodi di elaborazione interna; e i confini dei territori di queste nazioni erano fittamente colonizzati da altri popoli.

Ma i Tedeschi possedevano un paese natale all'inizio molto estensivo; e ad oriente delle frontiere del proprio territorio si estendevano lontano, colonizzati assai meno copiosamente, territori slavi, che facilmente si dischiudevano alla superiore vita economica d'immigrati tedeschi.
E così infatti la Germania, in questo tempo assolutamente rocca del teutonismo, dal IX al XIV secolo ha ininterrottamente sperimentato un crescente ampliamento dello "spazio vitale" per i mezzi di sussistenza dei suoi abitanti; alla formazione interna, nelle antiche residenze si insinuò nuovo villaggio a nuovo villaggio, poi in quella energica colonizzazione e germanizzazione dell'Oriente slavo, del paese fra Elba, Oder e Vistola e dal Danubio in giù; nelle quali, nel corso soprattutto del XII fino al XIV secolo, si guadagnarono più dei due quinti dell'odierno territorio germanico.

Sono eventi e fatti, che ancor sempre producono gli effetti più gravi, condizionano l'odierno divario fra ciò che di solito si chiama tedesco del nord e tedesco del sud, che meglio si chiamerebbe tedesco della primitiva patria e tedesco-coloniale.
Ad essi si deve principalmente quella sovrabbondanza demografica dei Tedeschi, che assicura loro un posto non trascurabile nella pratica della politica mondiale; partendo anzi tutto da essi si comprende sotto importanti aspetti la formazione dell'odierno Impero tedesco, il cui Stato egemonico, in origine, era puramente coloniale.
I tempi dell'economia monetaria del XV al XVI secolo non hanno più cercato, come la cosa più notevole, l'ampliamento dello spazio per i soli mezzi di sussistenza, mediante la colonizzazione di nuovi paesi e contrade.
Dato che svilupparono fino ad un certo punto il traffico e i suoi strumenti nel perfezionamento del mercato monetario, nella costruzione delle vie d'acqua e di terra e nell'aumento dei mezzi di trasporto, particolarmente anche nell'ingrandimento delle navi, così si svolse in prossimità alla patria l'ampliamento dello spazio per i mezzi di sussistenza, mediante il trasporto di derrate alimentari e dei loro equivalenti, soprattutto di quelli di specie particolarmente preziosa e poco voluminosa, come i metalli nobili.

A colonizzazioni all'estero procederono solo singoli individui, che si sentivano in patria oppressi o spostati, anche se l'efficacia storica-mondiale di così simili colonizzazioni, che non di rado derivavano da motivi ideali e per ciò specialmente efficaci, é stata molto notevole.
L'età delle colonie di popolamento anzi tutto solamente di valore economico, ricominciò più forte dall'istante che gli aumentati mezzi di comunicazione permisero il trasporto di grandi masse di uomini; momento, che nell'espansione europea si verificò nella sua pienezza principalmente nel secolo XIX.

Accanto al bisogno sta l'ambizione; accanto all'ampliamento dello spazio per i mezzi di sussistenza l'istinto della conquista é certo uno dei motivi più elementari, continuamente operanti, dell'espansione umana. Nell'età primitiva del divenire della civiltà europea, e così soprattutto fra i Teutoni, esistono già forme salde e ben delineate per attuare questo motivo. La più antica di queste é la semplice razzia ("il mordi e fuggi"); la sua organizzazione é stata descritta da Cesare nella maniera migliore.
In occasione di una delle grandi assemblee politiche di questo popolo si alza un noto guerriero e annunzia che intraprenderà una razzia in un tempo e in una direzione determinata e arruola chi vi vuol partecipare. La spedizione avviene poi come impresa privata, diciamo così, dell'eroe, pur tuttavia con il consenso ufficioso del popolo, a cui egli appartiene.

Questa forma ci interessa molto, poiché comprende momenti dell'espansione, che nell'ambito della vita teutonica e sassone ritornano costantemente fino al presente. Secondo questo principio furono fondate le compagnie commerciali olandesi ancora del XVII secolo, non meno che le grandi compagnie d'Inghilterra dal XVII e XVIII secolo in poi, in particolare pure la compagnia dell'Indie orientali: iniziative private ma con il consenso ufficioso - e il controllo - del pubblico.

E anche i princìpi dell'espansione tedesca nell'età bismarckiana non si possono ricondurre a questa forma?
Ma é caratteristico di questa dal principio fino al presente che essa anzi tutto é appropriata solo alla rapina e al commercio - concetti, fino dall'antichità e nei rapporti con popoli inferiori anche oggi, tuttavia assai spesso sinonimi o almeno affini.
Quando si riesce a occupare duraturamente un paese, questa forma decade; il potere pubblico, che sta dietro l'impresa, deve farsi avanti a viso aperto. La monarchia militare, la seconda forma dell'espansione conquistatrice teutonica dell'età primitiva, si può forse considerare come derivante dalla prima. In questo caso l'eroe, che intraprende una spedizione, si sarebbe accattivato non solo compagni del suo popolo, ma anche singoli e gruppi di appartenenti ad altre popolazioni, li avrebbe fusi in una stabile forza, e con essi avrebbe conquistato nuovi territori, sottomettendone più o meno saldamente gli abitanti.

È un caso, il cui procedimento in ogni modo, se non anche la formazione, noi scorgiamo chiaramente svolgersi nella storia di Ariovisto. Ma una formazione, un po' diversa, della regalità militare, é pure pensabile, e ci si presenta nella pratica, come dimostra la non meno evidente e certa sorte di Maroboduo. Una tribù, nel caso nostro i Marcomanni, poteva levarsi su nella pienezza delle sue forze, e sotto la stabile condotta di un eroe, in cui si aveva fiducia, conquistarsi nuove sedi. La monarchia militare con le molte svariate forme derivatene è stata la maniera d'espansione propria delle migrazioni teutoniche, sia che avvenissero per terra, sia per mare.

E per questo essa stessa e le sue conseguenze sono fenomeni d'importanza storica mondiale. Nei casi più caratteristici queste conseguenze consistono nella formazione di una tirannia, sia del Re militare e della sua famiglia soltanto, sia dell'intera compagine dei conquistatori sui soggiogati; i quali sono almeno costretti in sostanza a niente altro che alla condizione di sudditi tributari.

È il primordio dei così detti regni di tribù della trasmigrazione dei popoli, anche se i soggiogati, di cultura di gran lunga superiore ai vincitori, proprio in conseguenza della progredita loro economia, della divisione del lavoro e delle loro condizioni sociali mai si adattarono completamente al semplice schema, in cui si volevano costringere.

È il carattere anche dei grandi regni, che sorsero da quelli di tribù con l'aggregazione di nuovi paesi conquistati, così soprattutto del regno merovingio dei Franchi. All'inizio come province tributarie, e anche a lungo andare quasi soltanto come paesi finanziariamente importanti, i territori recentemente conquistati si trovavano aggregati al regno centrale; e principalmente i Carolingi introdussero per le loro conquiste motivi più larghi e correlativamente anche una politica di maggior stile.

Ma per ciò la conquista come motivo d'espansione non si è estinta con i Carolingi: solo retrocedeva, poiché il mondo europeo sotto gl'influssi del feudalesimo si spezzettò in una straordinaria quantità di piccole formazioni semistatali e statali che precipitarono nella più viva competizione, anzi quasi nella perpetua guerra fra loro.
Dove però le compagini presero una forma più grande ed unitaria, essa riapparve ben presto, per esempio nella storia tedesca con l'atteggiamento di Alberto l'Orso, e di Enrico il Leone. L'età feudale, come tale, non ha quindi tolto di mezzo per nulla i motivi dell'antica espansione tributaria: essa non era neanche in grado di farlo per un semplicissimo motivo economico.
Regni più vasti in una forma diversa dell'agglomeramento di province tributarie con luogotenenti o viceré, cioè assoluti rappresentanti del potere statale alla testa, possono formarsi solo, se stabili e attivi comunicazioni permettono la permanente efficacia del potere statale da un punto centrale su ampie regioni.

Ma comunicazioni simili, di regola, non esistono in nessun periodo del medioevo con la sua economia primitiva, anzi contrastano propriamente con la sua intima natura; la quale, d'altra parte, per ragioni, che qui non si possono esporre più ampiamente, dovunque sulla terra ha sempre condotto ad ordinamenti feudali.
È importante per l'espansione europea che tuttavia le prime conquiste e colonizzazioni dei Portoghesi e degli Spagnoli si siano compiute per la parte più essenziale sotto la spinta dell'idea, del dispotico Stato tributario. I Re del Portogallo, infatti, magari un Giovanni II o Emanuele il fortunato, non pensavano davvero a considerare i luoghi conquistati e le piazze del mondo straniero altrimenti che terre da sfruttare, e, a dire il vero, nelle forme più immobilmente limitate dello sfruttamento, anche se non fu sempre scelta la più rude, l'imposizione d'un semplice pagamento di tributo.

E così essi dominavano dall'ambiente tuttora del tutto medioevale del loro Stato nativo sulle colonie, come sopra un grande possesso demaniale; e la forma d'uno sfruttamento monopolistico appariva loro inoltre come la più naturali del mondo.
Pure i Re spagnoli traevano dalle condizioni e dalle forme governative del loro Stato concetti del tutto simili, anche se questi in qualche parte erano temperati per l'efficacia delle province un tempo tributarie del loro Regno, particolarmente dell'An
dalusia, già arrivata all'economia monetaria, e dei mercanti di Siviglia.

Negli stadi posteriori dell'espansione europea, tra Francesi, Olandesi e Inglesi questi concetti, d'altro lato, si sono sempre più venuti mitigando; però la loro influenza anche in un avvenimento così importante, come l'emancipazione degli Stati Uniti dall'Inghilterra, è stata pur sempre notevole.
E naturalmente il motivo della conquista, come tale, neanche oggi é per niente scomparso; soltanto vedremo che dal XIX secolo in poi è stato sottoposto ad una ponderazione e a una pratica più chiaroveggente.
Quel motivo dell'espansione, che nel medioevo si aggiungeva ai motivi, fin'ora esaminati, dell'ampliamento dello spazio per i mezzi di sussistenza e dell'ambizione conquistatrice, è il religioso; tuttavia più che il motivo della conquista ci trasporta dalla comune necessità delle cose in una sfera superiore, quasi direi, più umana della storia. Inoltre un po' per volta, nelle sue forme posteriori evolutive, soggiace a una purificazione, che lo fa capace di progressi sempre più poderosi e al tempo stesso più nobili, pur dentro il mondo storico, conforme allo sviluppo della religione stessa in forme costantemente più alte di religiosità intima.

Nel vero medioevo naturalmente il motivo religioso è tuttora legato del tutto alla Chiesa e al Cristianesimo esistente, il cui carattere, in parte almeno, é stato già descritto; correlativamente si esprime in avvenimenti fortemente esteriori, nella difesa anzi tutto degl'ideali delle istituzioni ecclesiastiche, per quanto queste accennano in lontananza é così operano espansivamente.
La cosa più apparente che in questo rapporto poteva venir fuori, e in parte almeno nel medioevo europeo é venuta fuori, é l'impulso al possesso di reliquie miracolose e alla conquista dei luoghi santi, in cui avvenne la rivelazione divina; sono viaggi per rapire immagini di santi, come li vide il medioevo greco; sono le Crociate.

Già sopra è stato detto, accennando, a ciò che queste significavano per l'espansione europea; nondimeno la cosa non si restrinse alla lotta contro l'Islam e il suo indebolimento, e molto meno alla semplice presa di possesso dei luoghi santi; di gran lunga più importante fu il generale ampliamento dell'orizzonte spirituale; e proprio in questo punto prevalse il carattere essenzialmente spirituale di questa specie d'espansione. Le grandi Crociate non rimasero l'unico fenomeno di questo genere che vi si riferisca; accanto ad esse avvennero in Germania Crociate contro gli Slavi, in Spagna contro i Mori. Ma si vede al tempo stesso come in queste l'originario motivo della Crociata, cambi, si modifichi.

Nel paese del nemico non si aspirava a luoghi santi; ma per quanto si potesse desiderarlo per motivi puramente egoistici di conquista, pure vi si intrecciava proprio l'idea d'una primitiva missione.
In realtà è stata poi l'idea della missione che, nel più tardo medioevo ed ancor più dal XVI secolo in poi, al quale sorrideva, per avventura, sempre il concetto della Crociata, ha sostituito l'idea della Crociata; e sarebbe un bell'argomento, da toccarsi qui soltanto con notizie occasionali, esporre una volta cosa l'espansione europea debba appunto ai più recenti propositi e successi del pensiero missionario.
In generale è caratteristico per il loro andamento che anche essi, a loro volta, si fecero sempre più spirituali e quindi più puri e nobili. Come si collegò già con l'espansione portoghese e quasi con quella spagnola press'a poco inseparabile, anzi piuttosto prevalente, l'idea della missione.

L'amministrazione delle colonie spagnole fu quasi più spirituale che temporale, come infatti la Chiesa era press'a poco l'unica rappresentante della cultura nell'ambito, di queste colonie.
Nel Paraguay i Gesuiti formarono un proprio Stato, e in singoli punti dei possedimenti dell'India orientale dei Portoghesi non ci mancò molto, che vi riuscissero.
Ma questo cristianesimo portoghese e spagnolo era rigido e rozzo, quasi più anima che scorza; e le concessioni, che faceva alla comprensione degli indigeni, si muovevano su una linea straordinariamente profonda del suo carattere medioevale. Era una linea propriamente medioevale!

Di fronte a tutto ciò stava già il cristianesimo missionario dei Francesi, quantunque cattolico, tanto più libero; e come miti si sono presentate all'inizio le più antiche missioni dei protestanti, fra le quali certo soprattutto le sette più elevate, degli Erutti forse o dei fratelli moravi (che in patria erano eretiche).
Ma comunque l'idea della missione cristiana potesse atteggiarsi, perfino nelle sue forme più antiche, ad essa aderisce tuttavia la espressione «Andate e insegnate»; e in ciò un momento dell'intolleranza - certo anche dell'espansione.

E così si comprende come nei tempi della sua efficacia maggiore e più vasta, nel secolo XVI e XVII, nella madrepatria europea non poteva ancora dominare nessuna tolleranza ecclesiastica e confessionale; né i cattolici, né i protestanti la conobbero.
Ma appunto da questa connessione risultò da capo un nuovo motivo religioso dell'espansione. Sette, la cui fede vietava loro di rimanere in patria o almeno lo rendeva molesto alle altre, furono cacciate in tutti i punti del mondo e portarono con sè, in caso favorevole, non un cristianesimo perfezionato, ma un intero ritaglio della civiltà europea.
Infatti sulle loro navi non si trovavano avventurieri e spostati o appartenenti solo ai ceti agrari, quelli che miravano alle occupazione predatorie, minatori, cacciatori, pescatori, ma formavano con vasta gradazione sociale un microcosmo del loro popolo. Così gli ugonotti sono emigrati nel XVI secolo, per lo più, in scarsa quantità e per ciò senza buon successo; così emigrarono dal XVII secolo in poi seguaci di sette inglesi, e dai loro primi insediamenti nacquero le più poderose espansioni, che ci offre oggi la diffusione della civiltà europea.

Ma con l'età del soggettivismo, con la possibilità di giungere, per via diversa da quella dell'accettazione della tradizione cristiana, a una più salda concezione della vita e a una religiosità più pura, si trovavano anche altri motivi dell'espansione, etico-religiosi o anche soltanto etici; così quello dell'emancipazione degli schiavi e quello del miglioramento etico, intellettuale e anche igienico delle razze inferiori. Essi stanno in stretta correlazione con tutta la nuova vita psicologica del soggettivismo; e così ne sentiremo parlare in seguito.

Abbiamo fino a questo momento delle nostre considerazioni visto ascendere ad una sempre più alta purezza i motivi dell'espansione europea. Al semplice egoismo della ricerca degli alimenti successe la più nobile ambizione delle tendenze alla potenza, a questa l'impulso della propaganda religiosa; e a questa, in fine, l'intreccio, oltremodo complesso, di impulsi all'umana sollecitudine. L'andamento dell'evoluzione portava dall'egoismo all'altruismo.
Ma abbiamo già anche visto che quest'andamento non era di natura tale che i motivi più antichi fossero stati sostituiti dai più recenti: furono da questi soltanto integrati, e perdurano non indeboliti, anzi ancora assai rafforzati, fino ad oggi.

È una connessione, che bisogna sempre avere davanti agli occhi, che cioè ora si deve risolvere il problema di chiarificare i motivi dell'espansione dello sviluppo recentissimo, dalla metà del XVIII secolo forse, quindi di quel periodo o di quell'età dell'espansione europea, che ci occupa qui in modo del tutto particolare.
Noi dobbiamo naturalmente partir di nuovo dai bassi motivi, come essi appartengono alla vita economica nell'ampliamento dello spazio per i bisogni alimentari, e al sentimento della potenza politica nella necessità della conquista.

Nel terreno economico il problema sta nel comprendere come la nuova vita economica di questa età, quella dell'impresa, doveva influire sull'espansione. Al periodo dell'economia naturale, già verso la fine del medioevo, era succeduto dovunque nell'Europa occidentale e centrale un'età dell'economia monetaria, e cioè un'età dell'industria e del commercio.
Ma però l'industria, in generale, era rimasta locale; e aveva lavorato per gli acquirenti del luogo e per i bisogni dei più vicini dintorni di esso; il pensiero di più vasta esportazione, e quindi di una produzione quantitativa non misurata le era stato estraneo.
La sua ambizione culminava piuttosto nella manifattura di poche qualità, ma buone e migliori; e così la formazione di una poderosa e assai estesa arte industriale fu la legittima fioritura del suo sviluppo.
Messo in relazione infatti anche il commercio non era stato attivo nel senso che avesse tentato con ogni specie di sforzo economico e sociale di accrescere lo smercio dei prodotti industriali della patria. Fino al secolo XVIII, in molti paesi, per esempio in Germania, si diede allo scambio di merci di valore un significato speciale, sia che queste fossero prodotti del suolo e dell'industria: si trafficava con droghe indiane, aranci e fichi italiani, vini francesi panni delle fiandre, seta genovese, cristalli veneziani e così via.

Anche questa attività portava naturalmente ad una certa espansione. Già da qualche tempo carovane commerciali tedesche, e gruppo di mercanti riuniti in società, con le loro merci attraverso le frontiere slave si sono diretti nell'Oriente.
Non meno lontano ritornano le consorterie del Mediterraneo sia che si trattasse di mercanti marittimi di Amalfi o di Pisa, sia di Barcellona o di Genova, sia di Grado o di Venezia. Allora l'influsso della cultura europea in paesi stranieri, che anche con questo sistema non mancò mai del tutto, divenne più forte; nel sud fiorirono le colonie veneziane, ad eccezione quasi soltanto delle colonie dalmatiche soprattutto commerciali, sulle coste della Morea, nel mondo insulare greco, sulle rive del Mar nero; e nel nord l'Ansa tedesca fondò le sue fattorie o stabilimenti in Pskow, Covno e Novgorod, in Wisby, Stocolma, Bergen, in Bruges, più tardi in Anversa e Londra.

Se questi sistemi, ancora relativamente primitivi, appartengono al tramontante medioevo e ai territori di frontiera, prossimi all'espansione centrale europea, che verso questo periodo rappresentavano una parte speciale, essi furono plasmati alla grande dalle scoperte dal XV fino al XVIII secolo, e dalla scoperta soprattutto della via marittima per le Indie. La vera e propria colonizzazione portoghese fu all'inizio solo per un breve periodo, poi cominciò lo sfruttamento agrario e minerario del Brasile, una espansione in fattorie e porti commerciali; la spagnola, dove non rivelò la forma più antica di dispotismo tributario, poco se ne scostò.

Gli Olandesi sostanzialmente furono poi i successori dei Portoghesi e ne accolsero il sistema, che più tardi hanno ampliato sempre più con le conquiste territoriali.
Perfino i Francesi e gli Inglesi, in quanto alla loro storia nei loro possedimenti, non allevarono solo figli di colonie di eretici, nè esercitarono una missione, ma pure loro seguirono e seguono soprattutto questo sistema; le maggiori loro società espansionistiche furono fondate come compagnie commerciali.

Ma questo sistema, come il carattere dell'industria e del commercio precedenti, bisogna distinguerli da quello che, dal XVIII secolo soprattutto, si formò come essenziale per l'espansione moderna.

Già i risultati del sistema più antico lo dimostrano.
Dove si sarebbero allora conosciute fabbriche industriali di migliaia di lavoratori?
Dove si sarebbero visti porti con una selva di banderuolenei pennoni, col traffico di oggi?
La nuova forma della vita economica, che adesso si è formata, è in sostanza oggi piuttosto facile a descrivere.
Nella più antica economia monetaria industria e commercio erano state per principio due forme diverse di esistenza sociale: si era artigiano o mercante. L'importante era che con crescenti risparmi dei popoli europei, quindi con maggiore ricchezza dei rappresentanti dell'una o dell'altra classe, queste classi si fondessero tutte insieme; l'artigiano diveniva un manifattore all'ingrosso, fondatore di industrie domestiche, spesso fabbricante e venditore nello stesso tempo delle sue merci; il mercante si incaricava della vednita della produzione industriale e modellava le sue forme sociali secondo i bisogni della sua esportazione.

Così si sviluppò al posto delle vecchie classi separate una classe dirigente, quella dei ricchi, come si è soliti dire, degl'imprenditori capitalisti. E contro di questa rimase l'altra classe, ugualmente nuova, dei lavoratori sprovvisti di capitali.
Tutto questo procedimento fu agevolato, si può forse dire reso possibile e, in ogni caso, accelerato e rafforzato nei suoi effetti, mediante il contemporaneo svolgersi della tecnica.


Mentre questa seguiva la tendenza delle scienze naturali, come essa mirava a quella prova dell'unità delle forze della natura, prova che sembrava raggiunta finalmente con la legge della conservazione dell'energia, concentrava un po' alla volta tutti i processi dell'industria e del traffico. Infatti alle innumerevoli, eterogenee funzioni del lavoro a mano e dei commerci antichi, imprigionati da lungo tempo in una tradizione solo lentamente apprendibile, sostituì una specie di funzione meccanica, sia che questa potesse applicarsi con la macchina lavoratrice all'industria, o con la locomotiva e sue varietà al traffico, e così ridusse tutto, infine, alla forza motrice.
Anzi perfino le industrie e le forme di trasporti, che si fondavano su antichi processi, si adattarono finalmente a questo procedimento unificativo; poiché anche in esse l'energia chimica si poteva considerare come una forma di quella generale energia, alle cui leggi si plasmava anche la forza motrice.

E così il risultato dal lato tecnico era lo stesso che dal lato sociale ed economico. Se l'intera vita economica si avviava ad un'ingente unificazione delle forze umane e naturali, operanti in essa, diventava variopinta e sempre più variopinta l'immagine, che essa offriva all'esterno; e nel centro della direzione di queste forze si insediava il nuovo ceto degli imprenditori: nel quale stava l'effetto totale e diventava sempre più quantitativo.

E si capisce.
Oggi la ricchezza, considerata socialmente, consiste soprattutto nell'accumulazione del denaro. Ma nelle scienze naturali dall'avviamento meccanico dei tempi del Galilei in poi ha dominato
assolutamente il principio quantitativo. Fu uno dei più grandi trionfi di questo orientamento, quando, agli inizi forse della moderna classe degl'imprenditori, i processi chimici, apparentemente qualitativi, furono per opera del Lavoisier assoggettati ad una speculazione quantitativa.

Se tecnica e capitale avevano un avviamento quantitativo, il risultato del loro connubio non poteva che essere che quantitativo! Quindi, in antitesi con i tempi primitivi dell'economia monetaria, tutto oggi, dagl'inizi del periodo degl'imprenditori, si avviava ad una produzione quantitativa: la folla doveva generare quest'effetto. Ma infatti si capisce che così fu creato anche un ingente impulso a una nuova espansione.
Sorse così la premura per assicurare uno sbocco, privato, nazionale, europeo, il cui soddisfacimento richiese nuove forme di colonizzazione, di conquista, di formazione di sfere d'influenza; quella premura, il cui appagamento oggi costituisce una delle occupazioni essenziali della diplomazia della civiltà europea come delle sue formazioni secondarie coloniali nel nuovo mondo e nell'Australia.

Piccole e semplici forme della vita economica dell'impresa sono sorte già in passato di buon'ora, nel XIV e XV secolo, nel centro d'Europa, fra Italiani e Tedeschi; popoli, che furono fecondati più di tutti dalla corrente, ancor ristretta in sé, del commercio universale, il quale, dal rilassamento in poi degli arabi-islamitici, si svolse fra l'India e il Mediterraneo. Sono i tempi della prosperità di Venezia e di Genova; in Germania i decenni, in cui fiorì il gruppo di città a nord delle Alpi, Vienna, Augusta, Ulma, Basilea, più distanti, Norimberga e Francoforte.
Il capitale di questa età, come era rappresentato in Germania, per esempio, dai Fugger e dai Welser, apparve, di fronte a quello del passato, enorme. Che impressione fece, quando Augusta vide nella rovina del mercante Rem, quasi una prima bancarotta di milioni. Con tutto ciò questi capitali paragonati ai mezzi monetari del nostro tempo erano miseri, anche se si tien conto del più forte potere d'acquisto del denaro nel secolo XVI.

Erano tuttavia appunto gli inizi; e simile appare anche il carattere della nuova vita economica nei suoi singoli rami; l'industria, che non conosceva ancora nessuna grande fabbrica, e nemmeno parlarne di stabilimenti industriali; il commercio, che ignorava ogni distacco del trasporto dalle sue proprie attività. Oggi invece abbiamo società che si occupano solo di trasporti, che fanno da tramite produttori-consumatori.

La maggiore efficacia di questo periodo primitivo della vita economica dell'impresa, che finì all'incirca fra il 1530 e il 1550, fu, alla fine, forse del tutto generale, ma certo, per quanto concerne l'espansione europea, nell'influsso, che essa esercitò sulle prime grandi colonizzazioni transoceaniche, ad un tempo dei Portoghesi e degli Spagnoli.
La colonizzazione portoghese non é addirittura concepibile senza l'aiuto intellettuale e morale-energetico dell'Italia, che nel colmo della rinascenza vide il più bel fiore di questa primitiva vita degl'imprenditori. Come avrebbe potuto svilupparsi quest'età senza i geografi e cartografi fiorentini del XIV e XV secolo, e senza le invenzioni nautiche degl'Italiani?
Infatti l'espansione spagnola non dipese meno dall'intelligenza italiana; basta ricordare il nome di Colombo.

Dal lato intellettuale però ha contribuito perfino la lontana Germania. Chi potrebbe comprendere il corso dei viaggi portoghesi sulla costa occidentale dell'Africa, senza pensare all'influenza del Behaim? E ai mezzi intellettuali si aggiunsero quelli capitalistici. Le ricchezze di questo primitivo capitalismo che si erano accumulate, in Italia, a Firenze, a Genova, in Germania, in Augusta e Norimberga, non sono affluite in piccola quantità sul suolo portoghese e spagnolo, e direttamente o indirettamente non sono state in modesta proporzione la base dei tentativi di colonizzazione di ambedue gli Stati pirenaici.
Infatti il particolare andamento della cosa fu che l'espansione di questo primitivo capitalismo si aggirasse non attraverso i paesi soprattutto in cui aveva la sua patria, ma ne' territori costieri dell'Atlantico, che erano i più vicini al Nuovo mondo, a cui prima si aspirò e che poi si scoperse.
I mezzi di comunicazione, di cui mancava per molto tempo il telegrafo e quasi del tutto la posta, non permettevano ancora la via dell'espansione atlantica all'Europa centrale.
E così i Portoghesi, tuttavia per nulla medioevali e nello stadio dell'economia naturale, e gli Spagnoli, viventi in condizioni per nulla diverse, furono i popoli eroi della prima espansione europea oltre l'Europa. È già implicito in questa connessione che questa parte, a cui mancava il suo più profondo fondamento, finì male per loro. Il Portogallo sciupò i guadagni coloniali, in maniera autenticamente medioevale, in investimenti sterili dei suoi Re, in costruzioni lussuose e nella vita lussuosa della Corte; la Spagna sperimentò la stessa sorte, fin quando i mezzi di potenza, che soprattutto l'America mise a sua disposizione, non sparirono nell'immensa voragine di una infelice politica estera, mirante all'egemonia europea del Papa e del Re spagnolo.

E autenticamente medievali furono ambedue i Regni, le cui finanze rimasero disordinatissime e le cui casse si mantennero antidiluviane; non si poterono accontentare dei proventi derivanti dalla conquista coloniale; ma presero in prestito ingenti capitali per fini spenderecci e per ciò si dissolsero, dalla seconda metà del secolo XVI in poi, a fallimenti seguirono fallimenti, fino alla bancarotta.

Ma intanto anche il periodo primitivo del capitalismo nell'Europa centrale stava terminando. Alimentato dal guadagno, che proveniva dal traffico centrale europeo-indiano, scomparve, si inaridì, appena che la corrente di questo commercio perse slancio. Ciò avvenne appunto a causa delle scoperte atlantiche e soprattutto della scoperta della via marittima all'Indie orientali e del fenomeno concomitante, l'allacciatura del commercio indiano-arabo mediterraneo.
E così infatti anche le successive colonizzazioni europee, la olandese, e fino al XVIII secolo la francese e l'inglese, non furono sostenute da nessuna vita economica dell'impresa.

La cosa andò diversamente con la politica coloniale della Francia e dell'Inghilterra già dalla fine del XVII secolo, ma soprattutto nella prima metà del XVIII. Allora incominciò in questi Stati, che non si svilupparono così unilateralmente sotto l'aspetto commerciale, un contemporaneo rinvigorimento dell'industria e del commercio sotto gl'influssi di un coerente mercantilismo, massimo in Francia, e in mezzo all'influenza di profitti commerciali e, in parte non minima davvero, coloniali dell' Inghilterra.
E con questo rinvigorimento si fece avanti un po' alla volta il connubio dei due rami economici; sorse una nuova vita economica ben costruita dell'impresa e di gran lunga più organica di quanto fosse stata la italiana o la tedesca in precedenza.

Ma in Inghilterra questa vita economica, che esige una libera concorrenza economica, protetta e garantita da libere istituzioni, é giunta molto più rapidamente ad un primo sviluppo molto più elevato che in Francia.
Già nella seconda metà del XVIII secolo appare decisamente molto sviluppata; e nel «Wealth of nations» di Adamo Smith ha avuto la sua prima esposizione sistematica, come premessa di una politica pratica.
All'incirca fra il 1830 e il 1840 la vita economica inglese dell'impresa era ad un'altezza che, per quanto si possono fare paragoni, in Francia fu raggiunta appena tra il 1850 e il 1860.
L'Europa centrale, fu doppiamente danneggiata dopo lo sconvolgimento della corrente commerciale internazionale a causa del sorgere dell'economia degli imprenditori nell'Inghilterra e nella Francia, poiché la loro espansione si volse con un crescente allagamento di manufatti principalmente proprio contro la Germania e i suoi vicini non occidentali. Si é poi con lentezza rialzata nel corso del XIX secolo, quando - dopo aver nel 1871 creato l'Impero - il perfezionarsi dei moderni mezzi di comunicazione le restituì parzialmente i vantaggi del suo precedente sviluppo, le dischiuse l'Oceano, e nello stesso tempo, non in piccola parte portò, a cominciare da essa (perfino preoccupando), ad una trasformazione politica in grandi gruppi nazionali unitari e regni unitari.

La Germania ha principalmente tratto profitto da questa evoluzione; poiché le toccò accanto al vantaggio di un perfezionamento più notevole dei mezzi di comunicazione interna anche una posizione non sfavorevole ormai nell'Oceano Atlantico in grazia della velocità della navigazione moderna.
Così essa, dopo che l'economia nazionale tedesca, già da circa il 1720, si era evidentemente riavuta dalla rovina dell'antica grandezza nel XVI secolo e dai colpi del tutto mortali della guerra dei trent'anni, prima e durante le guerre d'indipendenza, ma soprattutto dopo di quelle, giunse ad un rinvigorimento all'inizio lento, ma alla fine impetuosamente rapido di una vita economica dell'impresa.
Ed é nella memoria di tutti come, in Germania verso il periodo fra il 1870 e il 1880, fu raggiunto un primo evidentissimo stadio di questa evoluzione.
E con la Germania anche il Belgio, un tempo, in grandissima parte a dipendenza tedesca e in ultimo austriaca, arrivò allo stesso grado di sviluppo, anzi spesso ancor più rapidamente.

Invece l'Italia non ne ricavò eguale profitto; solo verso lo fine del XIX secolo partecipò energicamente al movimento, per fare poi solo qualche modesto progresso, in linea generale, mentre nelle comunicazione ferroviarie lo sviluppo fu notevole. A fine anno 1876 raggiunse i 7.780 chilometri. Fu un sensibile passo avanti, ma rispetto a quella di altri Paesi europei la situazione era ancora molto arretrata. Alla stessa data in Francia funzionavano 22.000 km, in Germania 28.000, in Inghilterra 30.000.


Nell'Europa orientale, Ungheria, Romania, negli Stati balcanici, lo sviluppo di una vita economica dell'impresa vi fu trasferito ancor più tardi; trasferito, si può dire proprio con esattezza, poiché innanzi tutto furono cittadini delle nazioni occidentali e centrali, Inglesi, Tedeschi, Francesi, Belgi, che ve lo introdussero. Tuttavia nel frattempo questi paesi, non meno degli Stati scandinavi, hanno osato, sotto l'influsso della economia generale europea e della politica, di muoversi, per conto loro, su questo terreno, e si spera che vengano a trovarsi fra non molto nel vivace progresso nell'orientamento attualmente iniziato.

Ma cosa si é ottenuto con questo sviluppo generale dell'economia degl'imprenditori sul suolo europeo?
C'é appena bisogno di dirlo. Con una concorrenza spietata, che nella partecipazione di ognuno dei nuovi gruppi si aggravava di nuovo e anche più intensamente, i popoli d'Europa si sono dedicati ad una espansione della loro potenza politica sul globo terrestre, il cui scopo immediato era economico, e si rivolgeva allo smercio dei prodotti delle loro imprese industriali-commerciali. Per questo hanno migliorato le vie del traffico, massime quelle marittime, in maniera inaudita; hanno accresciuto in modo incredibile la liquidità dei loro mezzi di pagamento; si sono fatti avanti con sistemi del tutto nuovi per conseguire delle sfere d'influenza, e non hanno sdegnato anche le conquiste.

E nel corso di questo movimento, a cui pure le nazioni secondarie europee d'America e d'Australia parteciparono in maniera del tutto speciale, e incominciano a parteciparvi sempre più - eccettuati i territori di civiltà asiatico orientale - si sono divisi tutto il resto del mondo, così che alla fine del XIX secolo si è conclusa la divisione stessa.

 

Noi abbiamo, nel corso della nostra esposizione, proceduto dalla rappresentazione di connessioni e influssi più esteriori alla narrazione di quelli più interiori. Era una via, che adesso ci suggerisce il problema cosa propriamente nelle ultime grandi mutazioni del mondo europeo lo spirito abbia ottenuto a vantaggio del suo destino, e così ci guida al problema più ristretto, quali effetti sull'espansione europea possano esser particolarmente derivati da una mutata vita psicologica.

Grandi modifiche nella vita psicologica dei popoli seguono innanzi tutto e in prima linea gli impulsi evolutivi, immanenti nella vita di tutte le società umane. Dall'uomo primitivo sempre di nuovo nella vita dei popoli, che si possono svolgere, sboccia l'uomo medioevale, e da quello medioevale l'uomo dell'età moderna. Ma in quale spazio di tempo si compia questo andamento evolutivo e anche in quale più precisa forma (mediante l'elaborarsi di quali particolari caratteri) ciò dipende dalle condizioni, che dall'esterno premono su questo immanente sviluppo.
Queste condizioni possono in sé essere di natura assai varia; ma é necessario che tutte percorrano un mezzo, per così dire, un bagno chiarificatore, in cui ricevano prima ancora della proprietà di operare sulla vita psicologica nazionale, il mezzo degli stimoli psichici.

Per questo motivo il corso e il carattere dei grandi stadi psichici dell'evoluzione di una nazione dipende in particolare dalla specie e dal numero come dall'abbondanza delle quantità di stimoli, operanti su di essa.
Le più normali e numerose fra simili azioni stimolanti provengono in generale dalla vita nazionale economica di ciascun popolo. Questa é la parte giusta nella così detta filosofia materialistica della storia dei socialisti.
Oltre a ciò possono anche esserci e operare altre grandi cause stimolatrici. Proprio la storia delle espansioni nazionali offre numerosi esempi di tali influssi; basta ricordare soltanto l'influsso esercitato sulla vita psicologica delle nazioni europee nel secolo delle grandi scoperte, nell'età di Colombo e di Vasco da Gama.

Ora nel caso nostro, nel formarsi della nuova, recentissima vita psicologica dei popoli europei, ha certo avuto la parte più considerevole lo sviluppo della vita economica di questi popoli; e appunto dal generalizzare questo caso poté sorgere in questi tempi la filosofia materialistica della storia del presente.

Ma gli stimoli, provenienti dalla nuova vita economica dell'impresa, hanno nelle singole nazioni operato in tempi diversi, sempre dopo la formazione di questa stessa vita economica. In generale si può oltre a ciò dire che in Inghilterra si notano molto prima nel tempo; già nel 1700 sono evidentemente percettibili: poi viene la Francia; alla fine la Germania.
Gli altri popoli seguirono più tardi: incerto rimase molto tempo lo sviluppo dell'Italia, poiché molto dipese dalla Francia, e da altre Potenze straniere fin dal secolo XVI, moltissimo dalla Spagna.

La grande serie d'Inghilterra, Francia, Germania, che da allora si é sempre più ripetuta in mille casi simili dell'evoluzione della civiltà europea dei tempi più recenti, si presentò in quest'ordine di precedenza proprio allora per la prima volta.
Fino allora nell'Europa a nord dell'Alpi, eccettuato il periodo della Riforma, la Francia ebbe di gran lunga il predomino in confronto dell'Inghilterra. Questo é il primo grande indizio della maturante supremazia inglese, generata dal più rapido sviluppo della vita economica britannica; generata anche dall'inizio dell'egemonia inglese sul mare, manifestatasi molto presto con la vittoria sulla Francia.
Se così inizia, verso il 1700 circa per l'Inghilterra, dal 1730 per la Francia, verso il 1750 per la Germania, l'età d'una nuova vita spirituale, che nel corso generale della successione degli stadi d'uno sviluppo psichico nazionale si chiamerà benissimo soggettivistica, questa età però per ragioni, che qui non si possono spiegare, fino ad oggi non è passata senza distinzioni.
Anzi si divide, seguendo da capo chiaramente l'andamento storico economico, in una disamina generale europea, in due periodi, il secondo dei quali, oggi quindi modernissimo, si inizia in Inghilterra verso l'inizio del secolo XIX, in Francia fra il 1830 e il 1840, in Germania, particolarmente intenso e brusco, fra il 1870 e il 1880.

Ora il compito è di imparare a conoscere, in primo luogo, il carattere di ambedue questi periodi e del loro sviluppo, in quanto da esso risultano e sono abbastanza comprensibili i motivi dell'espansione dell'età europea più recente.
Ogni nuova età di vita spirituale nazionale, e, in misura più ristretta, anche ogni nuovo periodo dentro una tale età, incomincia innanzitutto con il dissolvimento delle condizioni e relazioni spirituali precedenti.

Nuove quantità di stimoli, che si presentano ora in rapida, ora in lenta successione, penetrano, devastando, con le nuove disposizioni psichiche, che esse generano, nello stato di fatto esistente, e lo distruggono.
Siccome poi non sono in grado di sostituire subito al cadente un nuovo complesso, si verifica innanzitutto lo spiacevole stato del caos; offre l'immagine di un irregolare incrociarsi di ondate in occasione di una crisi dei corsi o addirittura per un semplice affondamento di un moderno piroscafo.

Ma un po' per volta si formano nuove connessioni; e sorge un primo, ancor rude, aspetto d'una nuova vita psichica. Si può, in complesso e astraendo da casi particolari, chiamarlo naturalistico. Le singole persone del tempo si perdono nelle quantità di stimoli che le premono prepotenti, loro si assoggettano e vi scompaiono dentro, con la perdita, per così dire, della propria personalità.
Così, ad esempio, nel terreno dell'arte plastica, e, nei tempi più recenti, specie da campo nella pittura, i nuovi fenomeni, che ora presentano gli oggetti sotto l'influsso delle quantità di stimoli, rilassanti la psiche, si appropriano avidamente, sia che possano consistere, in età precedenti dello sviluppo di una civiltà nazionale, nella nozione dei fino allora incompresi colori locali, sia che, nell'età, che é la nostra, possano consistere nell'adozione di nuove esperienze sulla luce, circondante gli oggetti, specialmente la libera luce, fuori degli spazi chiusi.
Rendere queste nuove impressioni, queste nuove esperienze sembra, in questo come in altro terreno, l'immediato compito della vita spirituale (non necessariamente religiosa), tendente a progredire; essa si perde, per così dire, nella natura della cosa; diventa naturalistica.

Ma viene il momento, che questo primo effetto si esaurisce e i risultati della nuova condizione sono trascurati o almeno appaiono trascurabili. Ed ora incomincia un altro contromovimento idealistico.
Padroni dei nuovi naturalismi, i contemporanei si credono chiamati a questa applicazione autonoma, virtuosa, e arbitraria, che segue la volontà, e soprattutto la loro fantasia, e le adoperano considerandole solo come un totale di mezzi espressivi per formare sistemi compiuti della cultura del periodo, ormai completamente vittorioso, e pur tuttavia portanti in sé il germe di un ulteriore progresso.

Così, per scegliere un esempio dalla storia dei costumi, il naturalismo della nuova vita spirituale suole dissolvere il codice di esigenze morali della più antica vita spirituale, in quanto anzitutto spinge ad abbandonarsi, a così dire, senza condizione alcuna alle esigenze pratiche della nuova cultura.
È il tempo, quando, per esempio, sul terreno della procedente vita economica si affacciano egoismi, non impediti da nessuna legge penale, e mirante come si suol dire, al «godersi a pieno la vita»; cioè di tirare tutte le conseguenze delle loro aspirazioni, indifferenti se sono chiamati morali o immorali. E' questo un tempo di un vasto sconvolgimento delle norme morali, anzi giuridiche. Ma un po' alla volta i contemporanei imparano a riconoscere le interne opportunità della recente cultura economica, si adattano bene ad esse; però al tempo stesso svolgono dalle disperse nuove esperienze l'ideale d'una nuova moralità e di un nuovo diritto, e creano per queste nuove norme non solo un codice, sia esso scritto o non scritto, ma sviluppano in esso anche esigenze, che già attraverso la nuova norma mirano a una nuova età e ad una discendenza, psicologi
camente predisposta in maniera diversa.

E così spuntano fuori dall'idealismo dell'attuale vita psicologica, inclinante alla conclusione, già da capo germi, che operano smuovendo un po' il terreno, e quindi vengono incontro alle virtù del primitivo naturalismo dell'immediato stato complessivo psichico. Per ciò questo nuovo stato potrà essere diverso dal precedente o in alto grado o solo per una sfumatura; nel primo caso si tratterà dell'inizio d'una nuova età spirituale, nel secondo soltanto dell'inizio d'un nuovo periodo di una età, di un punto di arrivo e quindi compimento di tendenze evolutive, già prima essenzialmente presagite.

La nuova età della vita spirituale, che, in sostanza, proruppe dall'azione degli stimoli distaccati mediante la vita economica dell'impresa, l'età del soggettivismo, introdusse da per tutto in Inghilterra, come in Francia e in Germania, nel suo primo periodo con inizi più deboli, quei disordini della vita moderna, che noi tutti conosciamo.
Certo in questi tempi, nel XVIII secolo, non si avevano ancora «nervi», ma «vapeurs»; ci si sentiva a disagio; nella vita spirituale, che nell'età precedente dell'individualismo era stata considerata soprattutto come vita dell'intelletto, spuntò il lato affettivo; sono i tempi del sentimentalismo, della tenerezza. E mentre si vedevano, attraverso una nuova vita affettiva, più profonda, dischiudersi anche nuovi e più profondi lati della natura e dell'umanità, dell'ambiente fisico-estetico e psicologico, si giunse innanzi tutto ad un nuovo naturalismo dell'arte plastica e della poesia.

Anche lo sviluppo poetico era, particolarmente in Germania, molto chiaro e completo; nella storia tedesca sensibilità e periodo rivoluzionario significarono epoche della cultura, per nulla concluse, di sicura limitazione e rappresentazione artistica. L'arte plastica invece, nella seconda metà del secolo XVIII, in Germania, sostanzialmente nelle mani del clero cattolico e di prìncipi incorsi nell'esterofilia, poiché non c'era ancora un mecenate borghese, che percorse questo stadio evolutivo nella maniera più schietta come in Inghilterra, e anche in Francia; per l'Inghilterra Gainsborough e Turner sono nomi perentori e determinativi.
Ma all'attività fantastica seguì la scienza, che in tempi naturalistici di cultura superiore risalta sempre in prima linea, poiché essa, e specie la scienza naturale, é destinata proprio a penetrare e perciò ad immergersi nella natura delle cose, siano di specie fisica o psichica, mentre tecnica e filosofia, come padronanza pratica e teoretica di certe scienze in pieno sviluppo sogliono appartenere all'inizio alle fasi idealistiche.

In Inghilterra furono le grandi scoperte di Newton con le loro conseguenze; in Francia il periodo di Buffon e delle dottrine materialistiche, cioè una dura e semplice filosofia dei naturalisti, che appartennero, per lo più, anche al naturalismo; in Germania, dove questo lato dell'evoluzione é più spiccato sotto l'aspetto scientifico spirituale, le prime grandi scoperte e presentimenti nel terreno filosofico-storico, gli Herder, i Moser, un Federigo Augusto Wolf, un Bertoldo Giorgio Niebuhr, facevano, epoca. A ciò si aggiunse, come in particolare soprattutto caratteristico, la formazione di tali scienze, che iniziarono a particolareggiare molto: ad es. nelle scienze naturali storiche l'elevarsi della geologia, della zoologia, della botanica alle prime grandi investigazioni; nella geografia la pratica dei viaggi di esplorazione, mirante a uno scopo scientifico; nella scienza del genere umano gli inizi di una etnologia razionale.

Ora c'è bisogno ancora di esporre, come sul terreno etico e giuridico sorsero gl'inizi di nuove opinioni ed esigenze?
Noi qui ci vogliamo soltanto arrischiare nell'ambito dei problemi educativi e ricordarci del Rousseau e del Basedow; il campo delle questioni superiori morali e giuridiche ci condurrà ben presto a problemi e tentativi di soluzioni, che sono collegati nella maniera più stretta con la storia delle idee di espansione.
Ma al naturalismo del primo periodo seguì il classicismo e la completa razionalizzazione dei loro risultati in sistemi conclusivi. È il tempo del classicismo inglese, francese, e soprattutto tedesco nella poesia; sono anche i decenni del romaticismo, che, nella più profonda sostanza, generò una prevalenza fantastica e una padronanza completa con i mezzi dei risultati naturalistici; e dalla poesia e dalla scienza, nello stesso tempo, sviluppò le norme di una visione del mondo, conforme allo spirito dei tempi, in sistemi idealistici.

E di nuovo questo movimento comincia in Inghilterra; trabocca in Francia, e finisce in Germania, dove esso consegue l'espressione di gran lunga più grandiosa ed efficace, cosicché risaltò, come può essere anche di vantaggio esser l'ultima cronologicamente fra le nazioni europee, che guidano il moto culturale.

Il primo periodo però dell'età soggettivistica ha, oltre il romanticismo, avuto da per tutto ancora una fase finale, che si può indicare come quella del realismo. Se l'attività fantastica già nei movimenti del classicismo e del romanticismo aveva avuto la sua più piena espressione di ciò che al periodo era dato conseguire, ora furono le scienze, che provvidero a incanalare quanto era stato conquistato, innanzi tutto come presagio e poesia, in forme più cogitative e razionalistiche. Soprattutto vi si composero perfino in un sistema; nelle scienze naturali fu la tesi della conservazione dell'energia, nelle scienze spirituali la teoria delle idee storiche o opinioni affini, a cui furono coordinate le conoscenze e nozioni particolari, affluenti in quantità quasi immensa.
Ma allora il movimento scientifico quasi usurpò l'attività della fantasia; nell'arte plastica come nella poesia trionfò uno storicismo, che certo aveva già cacciato le sue radici nel romanticismo, ma quello era ancora mistico e poetico, mentre ora, passabilmente esteriore e talvolta più archeologico che evoluzionista, minacciava di condurre ad un torpore delle energie fantastiche.

Questa immagine della conclusione del primo periodo é sostanzialmente tracciata conforme gli avvenimenti della Germania, sebbene non manchino i paralleli in Inghilterra e Francia. Ma se sono meno sviluppati, ciò dipende dal fatto che la storia delle nazioni occidentali nel frattempo era già entrata di gran lunga più rapida negli inizi di un secondo periodo soggettivistico.
Allora l'Inghilterra nel campo della poesia aveva avuto, sull'esempio di Gualtiero Scott, i grandi romanzieri realistici; allora la Francia aveva sviluppato nella pittura la scuola di Barbizon. Allora era sorto in Inghilterra Giovanni Stuart Mill; in Francia il Comte. Allora già si segnalavano nel più vasto campo dell'attività fantastica fenomeni di maturazione del nuovo naturalismo, qui con i preraffaelliti, là con lo Zola e la sua scuola. Invece in Germania i naturalismi del nuovo periodo si svolsero principalmente fra il 1850 e il 1860, con inizi, in cui si mescolava ancor molto di vecchio e di nuovo; e solo fra il 1870 e il 1880 portarono la nascita piena. La conseguenza ne é che possediamo una quantità di serie evolutive di una formazione vecchio-idealistica e al tempo stesso nuovo-naturalistica, che in Francia e in Inghilterra non mostrano nessun contrasto di questa forza e grandezza, e che non costituiscono in piccola parte l'orgoglio della storia tedesca del XIX secolo: Riccardo Wagner; Liszt; Cornelius; Hebbel; Keller; Raabe; Bocklin; Thoma; Klinger.

Ma allora propruppe anche in Germania tanto più impetuoso il pieno nuovo naturalismo; furono gli anni dell'impressionismo pittorico e della più antica secessione; i tempi del fiorire della Germania nelle poesia; nelle scienze tempi di un diligentissimo studio minuzioso, che ruppe tutte le relazioni con un pensiero più largo. Negli anni 1870 e 1880 come era sospetto il dotto, che si occupava di questioni filosofiche! Ma anche questa volta chi troppo tira la corda si spezza. Presso a poco contemporaneamente all'Inghilterra e alla Francia, dal 1890 in poi, sorse un nuovo idealismo, quell'idealismo, che ancor oggi può indicare lo svolgimento della cultura europea.
Ecco che Gerardo Hauptmann già per tempo portava la rivoluzione nel dramma, mentre in tutto il campo della poesia anzi tutto penetrava il principio dell'arte paesana. Nella pittura c'era un'intera serie di artisti, il Worpsweder, lo Schulze-Naumburg, i successori svizzeri del Boklin, che svilupparono un idealismo non sempre del tutto chiarito, mentre, segno evidentissimo del destante idealismo, incominciò a formarsi una sua propria ornamentazione, un suo proprio stile dell'arte industriale e sopra tutto una sua propria architettura.

Ma i più precoci esempi di queste nuove formazioni si debbono specialmente cercare in Inghilterra, che in questo importantissimo campo si mostrò di nuovo come iniziatrice e guidatrice fra le grandi nazioni d'Europa.

Ora c'é bisogno di esporre come anche nelle scienze naturali e in quelle spirituali sorse una nuova età?
Con la scoperta dei raggi Rontgen, della radioattività, della trasformabilità di certi elementi - il vecchio edificio - in apparenza definitivo, delle scienze naturali meccaniche col suo coronamento nella formula della conservazione dell'energia - come traballò?
Come sorsero addirittura teorie di un nuovo vitalismo?
Come romantici filosofi sulla natura, press'a poco quelli dello Schelling e della sua scuola, come i presentimenti del Fechner nei suoi scritti profetico-filosofici incominciano ad avere efficacia?

Nessuno oggi nega che nel terreno della scienze naturali, perfino nelle questioni di principio, si mantiene una certa riservatezza di fronte ad ipotesi antiche, apparentemente saldissime, come di fronte ad ipotesi nuove.

Nel campo delle scienze dello spirito però é altrettanto chiaro che il nudo lavoro di ricerche particolari dal 1890 in poi é stato integrato da un lavoro sintetico, sempre crescente di forza e di estensione, del quale si deve solo desiderare che non si accresca, così che l'equilibrio fra processo di ricerca analitica e sintetica non sia turbato.
Se noi qui interrompiamo l'esposizione nostra per dare uno sguardo attorno e indietro a noi, si capisce a tutta prima che un'evoluzione così fruttuosa, come quella di ambedue i periodi del soggettivismo energico, - evoluzione, che qui non si poteva accennare che in pochi lati, se non in compendiosa scelta e con poche significative parole - non poteva rimanere, e non rimane, senza un profondissimo influsso sulla storia dell'umanità.

Ma un tale influsso non significava e non significa già in sé al tempo stesso la più poderosa espansione della civiltà e della potenza europea?

Per quanto tutte le ingenti serie di fatti dello svolgimento di questo soggettivismo rientrino nella nostra speciale ricerca, e noi dovremo cercare, con speciale riferimento alla loro importanza politica, la cui esposizione fin'ora fu riservata, di conoscere le forme della loro efficacia, pure tutto ciò che qui si ha da dire, deve rimanere in alto grado un qualcosa d'incompiuto, poiché evidentemente molti profondissimi influssi in questo campo non sono ancora ben germogliati o già chiaramente venuti in luce. L'attività fantastica col suo ricco mondo d'arte plastica, poesia, visione plastica della vita, e religione, infine musica, resta il fiore di ogni cultura, come ne é stata il germe più saldo e più antico.

Ora l'attività fantastica della civiltà europea nell'età del soggettivismo ha da registrare già grandi successi della sua espansione?

Alla domanda intanto bisogna rispondere, tra bene e male, con un no netto e schietto. Certo, le nazioni europee, come le loro ramificazioni coloniali soprattutto in America e in Australia, hanno bene imposto agli altri popoli e alle altre civiltà alcuni lati e risultati della propria attività fantastica: nella pittura e nella architettura, nella filosofia e nella musica, ed é già antica la loro propaganda religiosa. Non si può dire con sicurezza che esse abbiano penetrato le civiltà straniere come complesso o anche soltanto in parti notevoli.
Invece le civiltà straniere hanno in questo campo esercitato un'influenza non del tutta insignificante su quella europea. Ciò vale innanzi tutto a proposito della civiltà indiana, la cui produzione più elevata, la dottrina buddistica, non é rimasta senza influenza già nel primo periodo del soggettivismo, e nel secondo ha operato notevolmente. Ciò vale quasi ancor più a proposito della civiltà asiatico-orientale.
Se già nel XVIII secolo c'erano da rintracciare influssi della filosofia cinese e ancor più della elevata arte cinese dei tempi moderni e antichi, il XIX secolo ha avuto soprattutto influssi giapponesi. Quanto si siano approfonditi e si approfondiscono, oggi non si può' giudicare. Bisogna sentire tutto ciò che i Giapponesi in questo campo trovano fra noi di «giapponese» per giungere ad un giudizio europeo, non puramente unilaterale.

Questo risultato nel regno così importante dell'attività fantastica sembra forse a qualcuno sorprendente.
Ma é indubitabile; e si può anche bene spiegare. E' noto che civiltà umane, troppo lontane fra loro per lo stadio del loro sviluppo storico, si escludono a vicenda. Così popoli di bassa cultura non sono in grado di accogliere la civiltà europea presente, come già s'impegnarono di fronte a questa civiltà nello stadio del secolo XVI, poiché non si dimostrano capaci di adoprerare quella quantità d'energia spirituale e di attenzione che é indispensabile per accoglierla. Quindi si comprende che i popoli di civiltà inferiori non sono in grado neppure di sopportare natura e risultato della moderna attività fantastica europea, tanto meno di conquistarla e di usarla produttivamente.

Ma ciò vale pure per i popoli d'una civiltà così elevata, come, per esempio, di quella indiana e asiatico-orientale?
Qui le cose cambiano, poiché in tutto o in parte questi popoli non hanno cioè una civiltà più antica degli Europei?
Per la civiltà indiana al tempo di Budda si potrebbe supporlo dallo spirito del buddismo primitivo e sicuramente dalle posteriori sistematizzazioni. Allora si esprimono sentimenti, si suscitano pensieri, che per noi Europei sono ancora nuovi e, a così dire, storicissimi. Ma per quanto s'attiene all'efficacia dell'arte giapponese, che essa rappresenti la parte del maestro di fronte allo scolaro indubbiamente si fonda del tutto sul fatto che essa offrì all'arte europea un impressionismo già molto notevolmente sviluppato in un tempo, quando l'impressionismo europeo appunto incominciava a svolgersi.

Questi accertamenti appariranno, a un primo sguardo, duri; per ciò debbono essere fatti tanto più precisamente. La storia indiana e, sotto qualche rispetto, anche asiatico-orientale (la cinese) é, dal punto di vista della storia del suo sviluppo, più antica della nostra, e perciò anche adatta ad operare su di noi nei valori, che non si allontanano troppo dal nostro sentimento. Se inoltre in queste civiltà non ci sono in parte forti momenti di decadenza, che non le rendono pari ai nostri influssi o accessibili, é un'altra questione, che qui non si deve risolvere.
Come infatti, in questo campo comparativo dei grandi fenomeni della civiltà, i giudizi oscilleranno tuttavia in modo straordinario, poiché mancano della sottostruttura di una storia comparativa della cultura mediante semplici date.
La bilancia é più favorevole per la civiltà europea nei vasti territori dell'attività dell'intelletto. Il movimento delle scienze, che in questa connessione viene soprattutto considerato, e il cui carattere può aggiungersi a tutti gli altri fattori, press'a poco ancora operanti, poiché rappresenta il fiore dell'attività intellettuale europea, ha in sé e per sé qualcosa di universale.

Chi vorrà sapere coltivate soprattutto le scienze naturali nazionalmente o secondo continenti o in qualsiasi altra maniera parziale?
Ma anche nelle scienze dello spirito é insito questo carattere, poiché tutte in ultimo si riferiscono à ciò che é umano; e se questo carattere é espresso molto spesso soltanto come una tendenza, basta tuttavia nella nostra connessione veder sempre più crescere questa tendenza medesima.

Ma ora «universale», considerato e rilevato dal punto di vista europeo, non significa appunto, a tutta prima, anche espansivo?
Siccome le altre civiltà nella cura incondizionata dell'attività intellettuale, come essa appariva nella scienza una delle sue premesse, non si possono misurare con là civiltà europea, sono divenute esse argomento dell'investigazione europea, anzi tutto nei loro rapporti umani, come nell'ambito naturale dello spazio, su cui si estendono.
Ma a questo punto, in pari tempo, uno speciale organizzazione delle scienze si é costituito per una penetrazione esploratrice. Sono stati organizzati ed eseguiti viaggi scientifici e spedizioni in misura sempre maggiore; é incominciata una fase del tutto nuova nello svolgimento delle scoperte, e dall'investigativo soggiorno fugace si é proceduto a quello permanente.
Questa opera fuori dell'àmbito europeo fu però in pari tempo, già fin dal suo inizio, assecondata e promossa mediante l'organizzazione dell'azione scientifica interno, patrio, europeo, condotto al colmo del perfezionamento.

Già la spedizione del Cook per l'indagine sul passaggio di Venere del 1769, che fu così ricca di risultati generali, fu equipaggiata per invito della londinese Società reale. Questa organicità incominciò in sostanza, con la fondazione di accademie nei diversi paesi europei, dopo che già l'età umanistica ebbe conosciuto l'utilità delle sodalities per il conseguimento di generali, e per ciò anche comuni scopi scientifici.
Inoltre avvenne la pubblicazione di stampe periodiche, riviste, raccolte di monografie e si ebbero mille altri mezzi di organizzazione. Da tutto ciò é stata sviluppata, da allora fino al presente, una fittissima rete di mezzi scientifici per chiarire ed eseguire compiti speciali. Ciò supera quanto hanno fatto civiltà anteriori, e altre civiltà presenti, all'infuori di quella europea, sono in grado di compiere.

Ora questa immensa, vivente organizzazione per la comprensione intellettuale e il dominio del mondo non doveva formare il modo migliore di propaganda europea?
Con l'educazione di persone appartenenti alle altre civiltà, che aderivano alla nostra, essa ha assoggettato al proprio pensiero scientifico il mondo dell'intellettualismo in generale, anche se oggi già si notano più forti deviazioni dei metodi, secondo la razza e la posizione geografica - per esempio peculiarità dei metodi nelle scienze dello spirito in America - e dal pensiero asiatico orientale sono da attendere sicuramente contributi indipendenti per la formazione del pensiero scientifico.

Con l'istruire gli stranieri, hanno organizzato gli adepti stranieri della scienza europea, di cui hanno portato le dottrine nella loro patria, e vi hanno anche organizzato, mediante l'accademia e la scuola superiore o mezzi affini, la scienza; e con questi mezzi, per esempio nella «Association des Academies», che già abbraccia anche Tokio, sono stati incatenati così di fatto alle scienze europee, che l'espansione scientifica può bene dirsi la più trionfale e fondamentale di tutte le specie di espansione della civiltà europea.

A ciò si aggiunge ancora un momento speciale. È noto come la modernissima vita economica, e ancor più il moderno senso di potenza dipendano da strumenti sviluppatissimi e da macchine di guerra e di pace; quindi si capisce quale grande importanza abbia la tecnica moderna, quella tecnica, che appunto col perfezionamento del sistema delle scienze naturali celebrava il suo più elevato trionfo.
Ora questa tecnica, e, come sua premessa più profonda, almeno l'opera delle scienze naturali europee, non doveva esercitare una fortissima, si potrebbe dire affascinatrice, influenza sulle civiltà straniere, in quanto appartenevano a stadi più alti?
Non si dovevano appunto qui apprendere i segreti della superiorità europea?
Segreti, il cui possesso e incremento forse permetteva una fortunata difesa dell'espansione europea; forse addirittura uno sviluppo della propria espansione?

Si sa che soprattutto nel Giappone queste correlazioni sono state riconosciute con sicurezza e sono state sviluppate con molto zelo, come solo la cultura di un popolo insulare indipendente nelle sue basi, e almeno attraverso due millenni salda nei suoi un popolo insulare indipendente nelle sue basi, e almeno attraverso due millenni salda nei suoi cardini, ne poteva disporre.
E, dal punto di vista europeo, si presentava la riflessione che da questo movimento si sarebbe sempre più contrapposta espansione ad espansione, affinché di nuovo dalla lotta e dalla contesa maturasse una superiore umanità dell'avvenire.
Ma per la comprensione delle correlazioni, che noi cerchiamo, ora rimane tuttavia un terzo ed ultimo gruppo della grande espansione europea; quello che si attiene all'attività del volere, la cui scienza si svolge nella pedagogia, nell'etica e nella politica.
Di esse é propriamente rappresentativa e più importante la politica; infatti l'etica dei singoli popoli europei ha avuto, in sostanza, un vasto ed efficace influsso solo nella diffusione della vita economica dell'impresa, e la pedagogia ha ancor poco avuto influenza, sia pure nell'organizzazione dell'insegnamento della scuola superiore, per lo più puramente intellettualistica.

Nella politica, anzi tutto, costume e diritto della diplomazia e della cura degli affari esteri se non sono divenuti europei, sono però caduti del tutto sotto l'influenza europea; qui sta bene accanto all'intellettuale il risultato più completo dell'espansione.

E come si estende questo territorio di giorno in giorno mediante lo svolgersi di nuove massime internazionali e soprattutto anche di principi del diritto privato internazionale! Si producono relazioni di specie affatto generale da cui lo spirito europeo potrebbe essere distaccato con altrettanta difficoltà, come lo spirito del diritto romano dalle prescrizioni giuridiche europee del medioevo e della rinascenza.
Ma sembra ancora quasi più caratteristico che pur lo spirito della più recente politica europea abbia operato ed operi espansivamente; poiché qui si tratta, come nei fatti intellettuali, di una espansione, che si compie quasi senza alcuna violenza sulla base di un'intima superiorità.
Nel corso della politica pratica interna del soggettivismo europeo bisognerà distinguere due grandi movimenti: quello del liberalismo e quello del democraticismo.
Così il movimento del liberalismo é in buona parte tuttavia un vero e proprio risultato dell'età precedente dal XVI al XVIII secolo; poiché come lo Stato, sotto qualche rispetto, rappresenta l'ultimo sviluppo e il superiore epilogo della vita civile esistente, le esperienze politiche non sogliono correre parallele del tutto, come sistema e sbocco delle varie età della civiltà, delle quali formano la caratteristica, ma, a così dire, seguire zoppicando, anzi talora, succedere indipendenti.

Il liberalismo si fondava, in sostanza, su quelle dottrine di diritto naturale della civiltà individualistica, che si erano sviluppate dal secolo XVI in poi. Come queste il liberalismo considerava lo Stato composto di una quantità d'individui, forniti di eguali diritti, a ciascuno dei quali contrattualmente dovevano spettare eguali diritti.
Esso giunse per ciò ad una concezione antitetica del potere statale e della cittadinanza, e congiunse ambedue mediante una rappresentanza, garantita contrattualmente, della cittadinanza presso il potere dello Stato. Questa rappresentanza si concretò in un parlamento o in un sistema di due parlamenti, i cui membri furono eletti dai cittadini, per principio considerati eguali nell'ordinamento elettorale di tipo più rigido, anche se si preferiva spesso, anzi tutto, un'attenuazione plutocratica di questo sistema.

Così si forma, se consideriamo l'Europa continentale, il notissimo tipo degli Statuti della prima metà del secolo XIX, della monarchia costituzionale o della repubblica della seconda metà; e quel periodo fu persuaso a lungo che questo sistema significava una imitazione della costituzione inglese. Fino a che punto questa idea fosse vera o no non può essere spiegato qui; é certo che il sistema di un così simile Stato individualistico non rimediava le tendenze soggettivistiche dell'età, e che perciò la sua introduzione, in sostanza, in nessun luogo ha accontentato, per quanto producesse una salda situazione e soprattutto una liquidazione del mondo medioevale politico, giuridico ed etico dovunque esso esisteva ed esiste ancora.

Il vero e proprio sistema politico del soggettivismo, come ancor oggi spesso é ora frammentariamente sviluppato, e ora lentamente compreso nella sua elaborazione, é quello del democraticismo, se é lecito accogliere questa parola, coniata in primo luogo in Inghilterra, senza volere indicare con essa, risalendo addirittura al primitivo significato greco, anzi tutto, altro che un sistema, il quale in particolare é fondato quasi un microcosmo di speciali diritti.

In verità é un fatto caratteristico che questa concezione dello Stato non parte dall'individuo politico, dal cittadino, come rappresentante di eguali diritti e così di un elemento primitivo, politicamente indifferenziato, di ogni formazione costituzionale; ma, proprio all'incontrario, dalla sua diversa natura. Se però l'età del soggettivismo aveva chiarito qualcosa, aveva chiarito ed elevato appunto con ciò a soggetto la libertà morale e religiosa dell'individuo! Ora tale libertà doveva praticamente rimanere, in quanto lo permetteva la soggettiva libertà degli altri, in egual misura legittima.
Se ciò avveniva, ne risultava un sistema intrecciato di libertà e di diritti, di cariche e di doveri, ingranate l'uno nell'altro; e ne usciva fuori una costruzione, che dall'ampio fondamento della vita familiare, per quanto appartenga al diritto pubblico e al pubblico costume, e della locale vita comunale, della locale vita urbana e provinciale, come di quella di grandi società semi-pubbliche saliva organicamente fino al capo supremo, sia monarchico, sia repubblicano.

Così si svolse un ideale dello Stato, nel quale e secondo il quale il popolo dominava di fatto, ma non già il popolo somma di individui, sebbene moltitudine organicamente distribuita, e nel quale il singolo non appariva omogeneo contribuente e fornito di eguali diritti, sì invece rappresentante, diversamente dotato, di doveri e di diritti, in generale secondo la condizione umana, professionale, sociale, che egli si conquistava.
D'altra parte, per tutelare i diritti di tutti e di ciascuno, come per manifestare le opinioni più diffuse c'era bisogno di un parlamento accanto al potere esecutivo. Ma parlamento e potere esecutivo non stavano qui accanto come potenze contrattuale e l'uno contro l'altro, ma operavano insieme, muovendo dalla medesima intonia-intesa di vita nazionale; il parlamento spesso quasi come assistente del Governo, conforme all'antichissimo diritto tedesco.

La partecipazione del singolo al diritto elettorale per la rappresentanza del popolo si regolava individualmente, sempre secondo il posto del singolo all'interno dell'organismo sociale e politico, riccamente animato. Si vede quanto questo sistema sia più complicato di quello del liberalismo, e come poteva elaborarsi naturalmente solo con lentezza, tanto più in tempi di rapide mutazione degli strati sociali, i quali toccarono in sorte all'Europa quasi generalmente negl'inizi della vita economica dell'impresa.

ll fenomeno appare prima naturalmente in Inghilterra, come anche oggi é sviluppato tuttavia più ampiamente; però tutte gli Stati europei dirigenti sono sulla via di produrlo, poiché é la naturale espressione politica del loro sviluppo economico, della loro trasformazione sociale, e della vita spirituale della psiche moderna. Ma era ben comprensibile che ambedue gl'ideali e sistemi politici, il liberale e il democratico, operassero illusoriamente nel mondo extraeuropeo.

Non era possibile, con l'introduzione di uno di questi sistemi, porsi ben presto alla pari di questo mondo europeo?
Dove la storia a tutta prima non vedrà niente altro che un capovolgimento nel vero significato della parola, come si é ben detto con un'energica espressione, "un mettere la briglia alla coda della vacca", dei politici troppo facilmente scorgono una panacea da usarsi in fretta, che guarisce precipitosamente.

Ma si poteva, ricorrere al sistema democratico? In esso c'é assolutamente del solido, dell'essenziale, anzi addirittura dell'organico; e ciò che é organico non può essere sforzato, né imitato. Così rimaneva il sistema liberale, in favore della cui applicabilità già sembravano parlare anche numerosi trapianti, intrapresi sul territorio europeo; e con un procedimento più cauto restava il pensiero di ricavare dall'osservazione della vita statale europea della democrazia le direttive di uno sviluppo progressivo, il più possibile organico, della propria patria costituzione .

Ma sotto questo rispetto il pensiero politico europeo ha di fatto avuto ed è in procinto di avere ancora un'espansione, per la quale può trovarsi un riscontro proprio nei mitici tempi dei trapianti statali degli antichi.
Così il Giappone ha avuto la sua costituzione in parte sul modello di quella prussiana, anche se nel decreto di concessione del Micado é segnalata come premeditata già dai suoi augusti antenati; così la Persia si é gettata in una recentissima, agitata vita costituzionale; così la Turchia ora sembra, dopo l'apparente tentativo del 1876, procedere a una veritiera esistenza costituzionale; così perfino in Cina si pensa a una costituzione.

E chi vorrà oggi dire quali saranno mai le conseguenze di questi trapianti per l'Europa e per i favoriti?
In questo variopinto quadro di espansione politica ha un'efficacia liberatrice e tranquillante il fatto che tuttavia, oltre tutte le differenze di civiltà, incomincia a formarsi una superiore etica universale, che certo, anzi tutto, si basa su un sentimento soltanto europeo, e, in verità, democratico-europeo; ma per sovrappiù schiettamente persegue generalissimi fini cosmopolitici.
Questa etica é sorta come espressione d'una nuova umanità, fin'ora ignota, soprattutto nei forti moti sociali dei popoli appartenenti alla vita economica europea dell'impresa; ma alla fine rimonta anche alle idee organiche di tutta la vita sociale umana.
Ciò che le si adatta, é soprattutto non un sentimento di carità, come contraddistinse il medioevo e anche l'età individualistica, quale espressione generale di umanità, ma piuttosto un sentimento di solidarietà. Uno per tutti, tutti per uno suona la parola d'ordine; e gli individui, che sono bisognosi di soccorso, debbono solo essere abilitati a chiedere ragione a quell'uno, a quel membro completo e, a suo modo, attivo di tutti. Si vede che é la concezione organica. Sul terreno economico essa appare ben presto conforme alla divisione del lavoro, ma nel significato di una divisione del lavoro, cooperante ad una superiore unificazione; il singolo deve fruire della sua individualità, in quanto viene assunto ai posti, corrispondenti alla sua individualità, ma in cambio bisogna anche si subordini al tutto.

E i contemporanei, mossi, in sostanza, dall'interesse economico e da idee economiche e sociali, propendono soprattutto a trasportare tale criterio anche in questi campi. In specie si può dire che esso forma la base più generale della politica sociale moderna nei diversi Stati europei.
Ma ciò che per noi qui appare importante è il fatto che ora questa tendenza é stata trasportata anche ai rapporti dei popoli fra loro; che ad essa i popoli appaiono come grandi individui specializzati, per la cui organizzazione del lavoro progredisce il complesso dell'umanità.
Si vede facilmente! é il principio di un nuovo cosmopolitismo, che si oppone in molte cose diametralmente alla condizione, fin'ora esistente, di un cosmopolitismo liberale.

Poiché un simile cosmopolitismo era stato, in fondo, puramente ideale, non pratico, lontano dalla terra, col motto dello Schiller press'a poco: "State abbracciati, milioni d'uomini", ma anche con la conseguenza: "Mal étreint qui trot embrasse".
Per questo liberalismo, erano state propriamente indispensabili soltanto le nazioni; il che corrispondeva al fatto che i tempi di questo liberalismo sono stati soprattutto i tempi dei moti unitari nazionali. Esso era nazionale fino al punto che l'egoismo nazionale veniva prima di tutto: "right or wrong, my country" (giusto o sbagliato, questa è la mia nazione"), la trista espressione inglese, come spesso é stata citata dai liberali anche del continente.

Di fronte ad esso il nuovo cosmopolitismo democratico é pratico; e così si comprende che abbia affrontato la risoluzione di determinati problemi che danno un colorito speciale all'espansione europea del nostro tempo.
Mentre il liberalismo insisteva soltanto sulla libertà del singolo e per ciò, ad esempio, si era riscaldato per l'emancipazione degli schiavi in una misura, che l'odierno democraticismo mostra di non sentire più, questo democraticismo si entusiasma per l'emancipazione, per la libera, autonoma attività delle nazioni.

E per ciò sul terreno internazionale avversa la violenza: per ciò già da lungo tempo predica il vangelo di un'intesa arbitrale nel caso di contese; ha salutato col più vivo consenso impegni contrattuali di singole nazioni, miranti a tale scopo; é l'apostolo e l'amico fidato di ogni movimento pacifista; il suo spirito informa le conferenze dell'Aja.
In Germania si propende troppo anche oggi a svalutare questo movimento, quantunque sia fondamentale, e non possa essere soppresso da nessuna specie di critica o dal disprezzo. Altre Potenze, massime Inghilterra e Francia, hanno da lunghissmo tempo mostrato come sia agevole inserirlo nell'ambito d'un bene inteso interesse nazionale, senza perdere di
forza e d'idealismo.

Poiché esso esclude la lotta delle nazioni in sé così poco, come vorrebbe fare a meno della lotta degli individui. Esso vuole solo una lotta con mezzi meno brutali che non siano quelli della guerra. E questo riconoscimento e sfruttamento nell'interesse di una determinata nazione esige naturalmente anche mezzi diplomatici e una condotta politico-spirituale diversa da quella propria degli Stati guerrieri.
Ma questi Stati guerrieri non giungeranno molto in ritardo di fronte a movimenti più elevati e, al tempo stesso, più elementari, se non si accorgeranno a tempo delle convinzioni generali del mondo così cambiato?

Con questi ultimi sviluppi potrebbe ben concludersi un sommario delle tendenze generali dell'espansione europea, anche se in esso, contro la volontà dell'autore, é riuscita un po' troppo breve l'esposizione del posto che hanno preso le singole, nazioni e gli Stati. Se essa fosse stata possibile nella cornice dell'economia della narrazione, il quadro avrebbe potuto esser dipinto assai più vario, e per ciò anche più attraente.

Ma accanto alla molteplicità, anzi variopinta dei singoli interessi nazionali e statali sussiste ancora un altro motivo generale di dare forma complicata al quadro dell'espansione europea; motivo che qui non può essere omesso, poiché rappresenta nella storia di questa espansione una parte già, fin'ora, molto considerevole e dovrà rappresentarla certo ancor più.

La civiltà europea oggi in vero non consiste più semplicemente dei popoli uniti sul suolo europeo, ma al tempo stesso dei popoli coloniali, figlioli di essa, in America, in Africa e in Australia. Inoltre non é naturalmente escluso che questi popoli in seguito si trasformeranno, in parte per influsso delle mutate condizioni geografiche, in nazioni particolari con propri fortissimi impulsi evolutivi, politici ed economici.

E già si può credere di scorgerne più di un accenno in America e anche in Australia come in Africa. Ma, almeno per il momento, prevale tuttavia perfino nella maggiore di queste nazioni, gli Americani dell'Unione, il carattere coloniale e britannico così che noi la dobbiamo calcolare come un membro particolare, una particolare metà quasi della civiltà europea, e per ciò anche della espansione europea.
Certo come un membro particolare! Ma questa particolarità é condizionata appunto principalmente dal carattere coloniale.

Mica ogni colonia si educa ad una vita particolare, tuttavia è dipendente, anche se dalla madrepatria è separata. Occorre per ciò oltre l'espansione su un territorio straniero anche il tipo di colonizzazione su di esso; soltanto il paese genera alla fine le nazioni. Perciò, per processi quali noi qui vogliamo esporre, le prime colonizzazioni europee dal XV secolo in poi sono rimaste in parte sterili. La colonizzazione portoghese fu sostanzialmente marginale; solo nelle vicine isole atlantiche, le Azzorre e del Capo verde prima, e più tardi nel Brasile, ha preso - in parte - il carattere di colonizzazione vera e propria.
Così si ha da considerare per la correlazione qui accennata solo le così dette contrade e paesi, soprattutto il Brasile. Diversa appare al primo momento la colonizzazione spagnola: che comprendeva sì anche fattorie, ma tuttavia soprattutto paesi.
Questi paesi furono puramente conquistati, ma anche colonizzati?
Essi assunsero alla fine, un risultato di porzioni di popolazione europea e indigena, per lo più con un carattere di gran lunga più misto del Brasile locale; e questa circostanza é appunto quella che impedisce di prenderli del tutto in considerazione.
Anche l'espansione olandese nei suoi stadi precedenti qui può esser poco considerata; poiché, costruita sui possessi coloniali portoghesi, ha conservato a lungo soprattutto i segni caratteristici del mercantilismo. Più tardi però é giunta non semplicemente a delle conquiste, ma anche, in Giava, a una colonizzazione, per quanto limitata.
Ma la più importante colonizzazione olandese non si deve cercare, come pure avviene per la colonizzazione portoghese, nei territori dell'espansione originaria, ma, fuori di essi, in Africa, ne' già Stati dei Boeri. Se noi finalmente esaminiamo, alla luce della progressiva storia coloniale, pure l'espansione dei Francesi e degli Inglesi, si ricava che i Francesi nell'età anteriore non sono mai giunti a formare colonie proprie di popolamento.
Prima di tutti sarebbe da considerare il Canadà. Ma la colonizzazione francese vi era carente, poiché il suo avviamento non era propriamente nazionale, semmai piuttosto monarchico; e la scelta degli abitanti era sottomessa inoltre a una forte restrizione secondo interessi statali ed ecclesiastici.
E ciò che alla fine si sviluppò, in seguito, nel passaggio del paese sotto la dominazione inglese, si é poi adattato addirittura alle pretese nazionali dei nuovi padroni. In tempi più recenti
però i Francesi possiedono solo nell'Algeria un paese, che si può chiamare colonia di popolamento.

Come ben diversamente hanno colonizzato gli Inglesi quasi dappertutto, dove sono giunti! In America, in Australia, in Africa!
Appunto a questo fatto essi debbono non in piccola parte il loro odierno dominium mundi, e sicuramente per intanto il loro più saldo sostegno.

E con essi andavano a più riprese e in posizione preponderante, come nei territori dell'Unione e del Canadà, i Tedeschi: riservati, senza pretese di indipendenza nazionale, e tanto meno statale. Se si esamina il complesso di questo sviluppo, si ricava, in maniera ancor più esplicita che nel suolo europeo, una completa prevalenza del teutonico-sassone; delle nazioni romane propriamente solo gli Spagnoli, e, in spazio limitato, i Portoghesi sono stati, sotto un certo rispetto, colonizzatori; l'espansione slava, fin'ora non ricordata, straripava dalla Russia in territori fuor di mano e inospitali, e dalla Polonia in terre teutoniche. E così i Teutoni-Sassoni soprattutto hanno personificato le particolarità del movimento coloniale della civiltà europea.
Ma in che consistono queste particolarità? I Teutoni-Sassoni emigranti venivano, quasi senza eccezione, da territori di cultura superiore, da civiltà individualistiche fino allo scorcio del XVIII secolo; da allora in poi, per lo più, addirittura da civiltà soggettivistiche.
Nella loro nuova patria per ciò si trovarono interamente agli inizi delle colonie, ma anche più tardi, assai spesso, in una condizione, che non corrispondeva per nulla a questa cultura più elevata. Là bisognava combattere contro nemici, appartenenti a età del tutto diverse in fatto di civiltà; là aveva importanza la lotta forse ancor più dura contro l'ostile strapotenza, diciamo primitiva, della selva e della palude; soltanto primitivi attrezzi giovarono qui a lungo; a lungo anche una condotta morale primitiva.

Riferiscono concordemente osservatori stranieri, come indagatori della tradizione di quell'età, che uno stato psichico quasi medioevale si sprigionava dai nuovi coloni nella foresta vergine; essi si comportavano come uomini dei tempi di Riccardo Cuor di Leone, si dice, per esempio, nell'Illinois; si assomigliavano ai crociati, ci é narrato dei Mormoni, che entrarono in Utah come Latter' Day Saints. Così pertanto per le più elevate sfere della vita spirituale, attività fantastica e molto più anche pensiero, seguiva un regresso verso condizioni anteriori; avvenimento del massimo interesse nella storia dell'evoluzione, i cui particolari, una volta raccolti dalle fonti, dovevano essere studiati. Ma i medesimi coloni, il cui livello spirituale sembrava trasformarsi a loro svantaggio, mostrarono in molti luoghi, e si può dire di massima sul terreno sociale e politico, qualità, che non solo li avvicinavano alle più moderne idee statali, ma alla fine li facevano addirittura andare avanti!

Di regola vissero concordi; fondarono con buon successo comunità democratiche; le unirono in fasci, donde provennero forme di costituzioni statali, in cui svolsero, riavvicinandosi agli influssi d'una coltura superiore, una democrazia oltremodo produttiva, come per esempio nell'Unione; e infine si accinsero, come in Australia, a creare trasformazioni interne politico-sociali e puramente politiche, che nei territori metropolitani della civiltà europea furono riconosciute superiori e per ciò degne d'essere imitate; e ora nei fatti, soprattutto in Inghilterra, sono imitate. Che bizzarro contrasto di sviluppo al primo aspetto! Eppure punto inesplicabile.
Si sa che le età primitive dei popoli sono contraddistinte da istituzioni democratiche; ciò si verificava in modo particolare appunto fra i Teutoni-Sassoni, come c'insegna la Germania di Tacito; e sotto questo aspetto, considerando puramente l'esterno della forma statale, si potrebbe ben parlare di qualche somiglianza fra lo Stato teutonico-sassone del presente e quello dell'età primitive.
Così corrispondeva anzi tutto all'andamento generale delle cose, il fatto che i coloni, viventi una vita primitiva spirituale, sviluppassero nel terreno delle superiori attività psichiche anche un impulso verso una primitiva costituzione democratica.

Ma con ciò non scordavano le superiori forme istituzionali della patria e le trasformavano democraticamente con tanto maggiore sicurezza e tenacia, in quanto si avvicinavano con una propria ascendente coltura anche al moderno democraticismo.
Però in questa maniera si spiega non soltanto l'apparente contraddizione all'inizio dello sviluppo coloniale, vita psichica primitiva e istituzioni democratiche relativamente elevate, ma si fa avanti anche il corso di una ulteriore evoluzione. Infatti scorgiamo ovunque nelle colonie teutoniche-sassone la vita costituzionale curata in grado altissimo, e finalmente così svolta che, nelle colonie più presto e più seriamente progredite, già nella seconda metà del XVIII
secolo, incomincia a superare lo sviluppo della madrepatria; però, al tempo stesso, gli altri campi della vita psichica coloniale non sviluppano valori, che vincano l'evoluzione metropolitana .

Già, questo fatto sussiste in sostanza fino al presente.
O forse l'Unione, la più progredita, nel complesso, di tutti i territori coloniali, ci avrebbe offerto già una nuova arte accanto all'europea, una poesia superiore a quella inglese, una scienza più efficace della tedesca?
Certo oggi compaiono in tutti questi campi inizi di qualcosa di veramente nuovo: soltanto poco più di un secolo dopo lo sviluppo della costituzione dell'Unione, che al tempo della sua formazione, quasi sotto ogni rispetto, soprattutto poi nella soluzione dei problemi di politica interna federale, e questa si chiama autentica costituzione moderna-democratica, era più progredita di qualsiasi altra costituzione d'Europa. Dall'esilio di Sant'Elena già l'ammirava Napoleone!

 

Quindi risulta il fatto, e trova nello sviluppo delle altre colonie teutoniche-sassone il suo riscontro, che lo svolgimento delle energie volitive, specie nella vita politica. precedeva sempre il perfezionamento delle restanti attività psichiche in forme superiori di civiltà; e non potremo disconoscere che in ciò seguitavano a prevalere sempre originarie tendenze colonizzatrici.

Ma ora ciò che rende ancor più istruttivo e attraente questa evoluzione, che colloca i territori coloniali addirittura, per la questione dell'espansione più interessante, cioè di quella politica, senz'altro alla testa dei più recenti movimenti soggettivistici d'espansione della civiltà europea, é la loro immensa forza e la loro sanità apparentemente indistruttibile. Anche qui si presentano fenomeni, che sono specialmente di carattere coloniali.
Nelle colonie non emergono, non vanno avanti gli indolenti, i pigri. Chi vuole dissodare e dimorare nella foresta-vergine deve possedere la dote, non più comune nelle civiltà elevate, di farcela, di poter vivere anche solo. Deve inoltre essere di una ferrea salute, o andrà in rovina, e tali doti le devono possedere anche i suoi discendenti se vogliono formare una colonia, una popolazione.
Così questa popolazione con questa inconsueta energia e assolutamente disposta ad usarla anche in circostanze insolite.
Ma non basta, queste circostanze sono a loro volta adatte a promuovere energia volitiva, tenacia e ottimismo. È un fatto noto, nei paesi coloniali ogni cosa umana, paragonata con quelle della madrepatria, cresce in maniera colossale, gigantesca.
Si confrontino in Germania i castelli della madrepatria con quelli coloniali, come Marienburg, o chiese della madrepatria con quelle coloniali, come all'incirca la chiesa di Maria di Lubecca, o piazze del mercato della madre patria, come quelle di Colonia o di Magonza, con piazze del mercato; si rammenti in questa correlazione la circostanza chi il podere coloniale tedesco-sassone, il podere normale del contadino, era in generale il doppio del podere degli antenati metropolitani.

C'è bisogno di ricordare a questo proposito i grattacieli d'America, gli immensi palazzi dell'Unione e del Canadà, le masserie di 10.000 i più acri? Anche nello sviluppo dell'Unione stessa, le cui parti più recenti occidentali sono in una condizione rispetto alle orientali come di una colonia rispetto alla madrepatria, può osservarsi il medesimo principio: gli Stati dell'Occidente hanno un'area del tutto diversa per ampiezza di quelli dell'Oriente.
Ma al principio del colossale se ne aggiungi un altro, quello del rapido prevalere di ogni progresso. A Lubecca (capitale della formidabile commerciale Lega Anseatica - 70-80 città riunite nel commercio) si sono avuti i selciati prima che a Colonia, nell'Unione le ferrovie elettriche prima che in Europa; In tutte le colonie attuali ci sono numerosi luoghi, che non vantano nessuna grande strada, ma hanno però la ferrovia, nessun servizio di diligenza, ma hanno un efficiente telegrafo; in un'isola californiana dell'Oceano Pacifico, in Catalina Island, é comparsa appunto la prima gazzetta con un testo, chi era dovuto solo alla telegrafia senza fili.

Naturalmente questi principi evolutivi sono facili a comprendersi. La vita economica colonialeé in alto grado estensiva; quindi chi vi si dedica con abitudini di economia intensiva, che porta con se dalla madrepatria, deve avere il doppio di spazio e di forza, se vuole conseguire i consueti risultati.
E la vita economica coloniale non ha pregiudiziali; per ciò in essa tutte le conquiste tecniche della madrepatria si possono sfruttare molto più semplicemente che nella madrepatria stessa, dove non esiste mai una tabula rasa, dove operano di continuo le resistenze passive, dove sempre il nonno continua per il nipote a vivere nelle sue creazioni.
Ma appunto perchè questi principi sono così semplici e comprensivi operano in modo assolutamente ed energicamente. L'intera vita, e soprattutto le più intime espressioni, per così dire, della vita psichica s'intrecciano con essa: e così l'esattezza razionale, che calcola su spazi vuoti; e ha il senso dei numeri, l'ampio sguardo, l'ottimismo.

Ma ora, mentre queste particolari doti sono attive anche per lo sviluppo di una nuova coltura, le ramificazioni di questo sviluppo, che anzi tutto si espandono e perciò anche sono curate in modo particolare, conseguono fin dall'inizio un moto quasi mostruoso secondo le idee della madrepatria.
È il momento che, conforme a quanto é stato fin'ora esposto, doveva sotto ogni rispetto tornare massicciamente a profitto del democraticismo, nel Comune e nello Stato, nella società, anche nella vita spirituale, dove si manifesta in maniera esplicita per fenomeni generali, e per ciò in luminoso sviluppo, soprattutto di ogni forma statistica e dei suoi metodi.
Ma quando ciò avveniva, poteva succedere che in tale campo, ed esteriormente, nel modo più visibile, nell'evoluzione costituzionale, la parte coloniale della civiltà europea, già al principio dell'età e della cultura soggettivistica, pigliasse addirittura a dirigere il movimento; la formazione della costituzione degli Stati Uniti (1787) é l'evento decisivo, sotto questo aspetto.
Si tratta d'una correlazione che, sembra, incomincia a imprimere allo svolgimento più moderno dell'espansione europea una libera, completa caratteristica. Certo oggi le civiltà europee della madrepatria si sentono tuttora superiori a quelle civiltà secondarie considerate straniere del mondo; si sentono superiori politicamente e militarmente, spiritualmente ed economicamente.
Ma nella realtà nel campo vuoi militare, vuoi spirituale, vuoi economico, vuoi politico, per quanto possa esser difficile giudicare, gli Europei si sentono superiori senza che ci sia stata effettivamente un'esperienza di scontro. Che prima o poi ci sarà!

Questa narcisistica superiorità europea non sarà duratura. Se possiamo da fatti singoli nel più recente sviluppo americano formarci un'opinione, che non vuole essere ancora una profezia, questa superiorità in certi punti incomincia già ad essere contrastata nel campo spirituale, nell'arte, nella poesia, e nella scienza; e in verità con un così simile flusso di energia morale, intellettuale e fantastica sembra essere verosimile che un contrasto vittorioso avvenga anche in tutti gli altri campi.

E la gente avveduta in Europa - se ce n'è ancora - dovrà naturalmente di fronte alle culture secondarie accettarle, adattarsi, dare altre concessioni, e fare delle lodi senza invidia. Guai altrimenti! Le future "crociate" potrebbero essere domani proprio in Europa. E trasformare la stessa Europa in una colonia americana.

E' tempo di terminare. Già le nostre informazioni e considerazioni ci hanno condotto in regioni, che non appartengono più allo storico, ma al profeta. Se con un certo diritto si può per le scienze naturali tirar fuori la pretesa che gli studiosi di quelle debbano al tempo stesso essere dominatori e indovini dell'avvenire, per i rappresentanti delle scienze spirituali vale sempre la formula che essi sono soltanto abili profeti del tempo trascorso, soltanto araldi del passato. Poichè una completa padronanza psicologica del materiale storico, che sarebbe in sé molto ben adatto a somministrare giuste illazioni anche del futuro, è tuttavia ai suoi inizi, come è dimostrato nella maniera migliore dal contenuto e dallo svolgimento di queste pagine, che ora terminano qui.

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Purtroppo quanto fu detto allora, all'inizio del nuovo secolo, il XX, all'interno della narcisistica superiorità europea, stava diventando tutto vecchio, ed erano diventati vecchi anche gli europei, e soprattutto vecchie e inutili le grandi dinastie di tre imperi, fino al punto che nel grande conflitto da loro stessi scatenato, furono spazzati via.
Napoleone da San'Elena anche qui era stato profetico:
"...pensano i vilissimi sciagurati, alle individuali loro convenienze, mentre trattasi di una guerra mortale di princìpi; che prima o poi li ingoierà tutti.... io volevo preparare la fusione dei grandi interessi dell'Europa...L'Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune... Tale unione dovrà venire un giorno o l'altro per forza di eventi....io credo che non sarà più possibile altro equilibrio in Europa se non la lega dei popoli....Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di Cassazione Europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali, abbiamo bisogno  delle stesse leggi per tutta Europa. Avrei voluto fare di tutti i popoli europei un unico popolo... Ecco qual'era la mia soluzione!" N.


Un conflitto che segnò così la fine del dominio dell'Europa sulla scena mondiale, l'inizio di uno spostamento della potenza internazionale, e l'ingresso degli Stati Uniti sulla scena mondiale come unica grande potenza egemonica.
Altro che "civiltà secondaria" !!!

Un cronista a inizio secolo XIX aveva scritto "sarà il secolo degli Inglesi".

Quello di inizio secolo XX scrisse "sarà il secolo degli Stati Uniti d'America".

Il cronista del nuovo XXI secolo cosa mai scriverà?

Non lo sappiamo ancora, stiamo vivendo solo il suo inizio, ma sappiamo anche che la "narcisistica superiorità" che si è sempre formata nel passato in tante luoghi del nostro pianeta, ha sempre avuto il suo non visibile tallone d'Achille.

Nell'attesa, torniamo al fatidico inizio del grande conflitto
alla Prima Grande Guerra, che raggiungerà l'apice con la sua continuazione, con la Seconda Guerra Mondiale, alla fine della quale l'Europa perderà del tutto la propria centralità a vantaggio delle due nuove superpotenze: gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica.
Gli Stati Uniti d'Europa concepiti da Napoleone purtroppo non sono nati.

segue

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